Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

mercoledì, gennaio 31, 2007

Sicilia all'attacco del World Wide Web

Non passa giorno senza che qualche nuova agghiacciante scoperta venga fatta dall'associazione di Don Fortunato Di Noto, che nuovi filmati di pestaggi e violenza vengano diffusi in rete da qualche adolescente cresciuto allo sbando come molti oggi, che la minaccia di un nuovo virus tenga il mondo con il fiato sospeso. In questi tre clichè potrebbe essere riassunto internet da chiunque si tenga informato solo tramite la TV o i quotidiani. Italiani, si intende.

E sì. Perchè stranamente questa idea del web viene diffusa in occidente solo dai media italiani. Chiunque abbia avuto modo di leggere la stampa estera o magari di seguire la BBC sul satellite, o anche solo di aver visto con un pò di spirito critico il serial CSI in televisione (l'originale americano, non la patetica imitazione nostrana) avrà notato un qualcosa di differente nell'atteggiamento con cui all'estero ci si pone di fronte al nuovo mondo informatico: i pericoli esistono certamente, ma anche le opportunità vengono messe in giusta luce.

La globalizzazione dei mercati (o come abbiamo già detto più volte il ritorno alla globalizzazione pre-guerra fredda) poteva sembrare ovvia sin dal giorno dopo la caduta del muro. Ciò che nessuno si aspettava avvenisse in questi termini era la delocalizzazione in settori quali i servizi (il centralinista che ci risponde da Bucarest... o da Palermo, di tanto dobbiamo ringraziare l'Italia) o addirittura quella che potremmo chiamare “decentralizzazione”, una specie di sviluppo dal basso piuttosto che un percorso da seguire dettato dallo stato-regista novecentesco.

Nel nuovo contesto tecnologico lo spettatore non esiste più. Il web fornisce una vera e propria struttura sociale che ricalca sempre più le dinamiche tipiche delle comunità rurali pre-industriali amplificandole a scala globale. Nel web la famiglia, il gruppo, il popolo ritrovano la loro identità spezzata nel novecento dall'invasione di radio e TV: Orwell è stato sconfitto, e l'occhio del Grande Fratello di è dimostrato una vetrata attraverso la quale, è vero, il re può spiare tutti, ma anche noi possiamo spiare il re, oramai nudo.

Lo stato italiano, cioè, non può più opprimere un popolo senza che questo non si accorga delle strategie messe in atto allo scopo. Non può più chiudere le sue frontiere perchè basta un “browser” per aprirle. Non può più costringerci a leggere i suoi giornali (o quelli dei suoi lacchè) perchè tutti possiamo pubblicare. Può farci credere di averci messo sotto controllo, ma in realtà è matematicamente impossibile esaminare l'intero flusso di informazione scambiato in rete.

In questo clima ogni protezionismo è destinato ad essere duramente colpito. Ed infatti lo stato italiano, la cui ricchezza era basata proprio sull'isolamento economico dal resto del mondo del suo popolo e delle sue colonie, sta tentando in tutti modi di rallentare il processo impedendo per quanto possibile la diffusione di nuove tecnologie di comunicazione (il tentativo di bloccare il VOIP, il ritardo nelle aste per il Wi-max) e diffondendo una immagine sinistra della libertà della rete.

Oggi possiamo farci recapitare il nostro libro preferito a casa in lingua originale saltando i rivenditori locali e senza che la dogana possa farci niente. Possiamo ordinare i nostri biglietti da visita o il materiale pubblicitario per la nostra azienda che verranno stampati da una tipografia in un altro stato. Posso organizzare la mia vacanza, incluso il biglietto aereo, senza dover passare dai Travel Operators milanesi. Posso usare un blog come questo e diffondere idee che saranno lette e ripubblicate da decine o forse centinaia di persone che potranno fare a meno di vedere il mondo solo attraverso i filtri dell'ufficialità.

Ecco allora che la nuova internet diventa un'arma. Una nuova arma che dà una possibilità in più ai siciliani, ma che al contempo ne toglierà un'altra: quella di nascondersi, quella della deresponsabilizzazione e del fatalismo. Armi di cui, è inutile nasconderlo, negli ultimi decenni abbiamo abusato un pò troppo.

Sul web possiamo ri-costruire la notizia, spogliandola delle falsità appiccicaticce dell'ufficialità e riproponendola al mondo con il nostro punto di vista, un punto di vista siciliano. Se sappiamo utilizzare gli strumenti giusti, possiamo fare in modo che essa venga letta dal più ampio numero di naviganti possibile, venga citata in altri siti e ripubblicata da altri “blogger”. A poco a poco possiamo costruire una rete, una comunità fatta di forum, blogs, portali, file video ed audio così potente che chiunque cerchi qualcosa sulla Sicilia non potrà sfuggirne.

Possiamo non solo scavalcare il perverso sistema di distribuzione che ci costringe a consumare le scadenti merci padane, ma addirittura sostituirlo con il nostro: se i catanesi, ad esempio, si vantano così tanto delle loro capacità commerciali perchè non aprono i loro negozi on-line vendendo in tutta Europa?

Pensate che beffa: siamo stati trasformati tutti in commercianti per soddisfare i bisogni del regime, ed ora abbiamo la possibilità di andare a vendere a casa loro senza neanche dover affittare una bottega a Firenze o a Milano... o a Londra. Cosa aspettiamo ad aprire i nostri centri commerciali “delocalizzati” on-line?

Ed infine, la cosa più importante: avremo finalmente la possibilità di saldare i due popoli siciliani, quello al di qua e quello al di là del faro: potremo ricongiungerci ai figli della diaspora, sapere cosa fanno o come vivono i siciliani di New York, di Buenos Aires o di Parigi, conoscerci ed unire le nostre forze per combattere affinchè la nostra patria torni a splendere come le compete.

Forza siciliani: alla conquista del world wide web!
[Continua a leggere...]

lunedì, gennaio 29, 2007

Siciliano ed italiano: quale dei due è il dialetto?

Primo di una serie di tre post a supporto della proposta di legge di iniziativa popolare de L'Altra Sicilia



“Al giorno d'oggi, in tempi – che si spera possano durare a lungo – di ricostruzioni
del passato culturale prive di qualsiasi pregiudizio
o impulso di tipo romantico-nazionalista, il problema non si pone più”

(Storia della Letteratura Italiana diretta da Enrico Malato, Salerno Editrice srl)


Il problema delle origini della lingua e della letteratura italiana, nonché quello della classificazione del siciliano come lingua o come dialetto, sono avvolti in una specie di nube per districarsi dalla quale si ricorre di solito a teorie che sembrano prese pari pari dalla cosmologia speculativa più ardita.


Secondo i luminari nostrani pare infatti che la lingua italiana (e la letteratura ad essa connessa) si sia formata a seguito dell'addensamento della nebulosa gassosa dei volgari regionali per merito della maestria toscana e grazie alla “piccola” spinta della scuola “siciliana”, con siciliana rigorosamente tra virgolette.


Il ruolo di guida dato dai “siciliani”, innegabile e noto da sempre, è rimasto però indigesto a molti centri di potere culturale tosco-padano che non sono riusciti a trafugarlo come hanno fatto con l'oro millenario delle nostre banche, ma che continuano a tenerlo in ostaggio. I tentativi di sabotaggio anche in questo caso sono stati parecchi, ma in fondo piuttosto maldestri, tanto che potrebbero aver ottenuto l'effetto opposto.


Dante Alighieri, nel De Vulgari Eloquentia, fu il primo a sostenere quella democratica ed improbabile teoria della koinè, secondo cui nell'italiano nessun volgare regionale prevarrebbe sugli altri. Egli comunque ammette che «in effetti questo volgare (il siciliano) sembra avocare a se una fama superiore agli altri, perchè tutto ciò che gli italiani fanno in poesia si può dire siciliano». A questo punto l'edizione dell'opera in mio possesso (Garzanti, 1991 con traduzione di Vittorio Coletti) inserisce una nota che recita così:


Alluderà alla fama del siciliano come lingua poetica; ma sarà anche legato al fatto che Dante (come mostrano gli esempi che collega) leggeva i poeti siciliani in veste già toscanizzata.


L'arrogante nota suggerisce che Dante teneva il siciliano in grande stima solo perchè non leggeva la versione originale delle poesie in questione, che se lo avesse fatto di certo non avrebbe potuto che deridere la rozzezza meridionale. Proprio su tale idea si basa uno dei tentativi più sudici di screditare la “Magna Curia”.


D'altronde, che le versioni giunte sino a noi di quelle poesie siano scritte in una lingua diversa dall'originale è certo. Quella che sembrerebbe la prova inconfutabile, è la versione originale di un'opera di Stefano Protonotaro, Pir meu cori alligrari, rintracciata nella cinquecentesca “Arte del rimare” di Giovanni Maria Barbieri:


La virtuti ch'ill'avi
d'alcirim' e guariri,
a lingua dir nu l'ausu
pir gran timanza c'aiu nu lli sdigni;
pirò precu suavi
piatà chi mov'a giri
e faza in lei ripausu


Guariri, sdigni, ripausu: non ci sono dubbi, questo è siciliano. Inoltre in tutte le poesie “toscanizzate” vi sono degli errori di rimatura che vengono risolti non appena al vocalismo toscano si sostituisca quello siciliano.


A questo punto il problema dell'origine della letteratura e della lingua italiana si intreccia con quello della liceità o meno di classificare il siciliano come lingua o come dialetto.


Una delle critiche più plausibili verso la rivalutazione del siciliano a lingua riguarda proprio la mancanza di una letteratura siciliana in siciliano, di una organica sistemazione dell'idioma: la scoperta (forse non enfatizzata abbastanza) del sonetto sopra riportato dimostra il contrario, e cioè che esiste una letteratura “alta” in siciliano non modellata su esempi di importazione, ma che anzi ha mostrato la strada ai toscani per quella che sarà poi la “koinè” e la forma poetica di cui parla Dante (il sonetto fu invenzione di Jacopo da Lentini): la scuola poetica siciliana segna il passaggio del siciliano da dialetto popolare a lingua vera e propria.


Tutto ciò pone i rapporti tra italiano e siciliano sotto una luce totalmente diversa: non più nascita dell'italiano in Sicilia, ma nascita dell'italiano DAL siciliano, della letteratura italiana DALLA letteratura siciliana. A questo punto mi chiedo: come fa il siciliano (idioma rimasto pressoché immutato negli ultimi 800 anni) ad essere dialetto di una lingua che da esso deriva le sue forme espressive più pregnanti, la sua letteratura?


Ma si sa, in Italia è possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca, e così per la cultura ufficiale il siciliano rimane un dialetto e italiano e letteratura italiana sono nati in Toscana. Per ripetere una citazione di Sciascia che mi piace tanto, la Scuola Poetica Siciliana non sarebbe altro che “un sogno fatto in Sicilia”.
[Continua a leggere...]

domenica, gennaio 28, 2007

A Gela l'Eni punta a prenderci per il sedere (e per il collo)


Quannu ancora oggi ccu guvernu e ccu li liggi
si vidi arrubbari la so' aria e lu so' mari
quannu comu a li funci spuntaru centu cimineri
e ccu tuttu chissu iddu nun potti travagghiari....
(Turi nun parrò – Carlo Muratori)


Le ultime crociate intraprese dai Verdi per proteggere l'ambiente in Sicilia non sono passate inosservate: i nostri benefattori hanno deciso di difenderci dagli alberghi a cinque stelle come a Sciacca, dai parchi tematici come a Regalbuto o dai termovalizzatori come a Paternò.


Che in tutti e tre i casi ci siano delle questioni di tipo ambientale da precisare non lo vogliamo certo mettere in dubbio, però è strano che nessuno si sia mosso nel caso dei rigassificatori o del Pet Coke di Gela. Ancora più sinistra è la cosa quando viene analizzata sotto un altra luce. Infatti mentre i casi di Sciacca, Regalbuto e Paternò riguardano iniziative che (nel bene o nel male) produrrebbero almeno un vantaggio economico certo per la Sicilia, quelli di Augusta, Porto Empedocle (rigassificatori) e di Gela (Pet Coke) i vantaggi li producono solo per il Nord Italia.


A Gela in particolare, in prossimità delle elezioni si è aperto un fronte politico-sociale piuttosto caldo, con l'MPA che promette una guerra serrata contro il petrolchimico ed il sindaco Crocetta che per riportare sulla sua figura le luci dei riflettori “denuncia” l'acqua calda, e cioè il malaffare del pizzo negli appalti per la raccolta dei rifiuti.


Fra i litiganti locali, ecco che però sbatte il pugno sul tavolo il gigante Eni, che da cinquant'anni fiorisce sulle nostre divisioni, comunicando a mezzo stampa le sue minacce ed al contempo cercando di rifarsi una verginità ambientale a cui non crederebbero nemmeno i bambini dell'asilo nido aziendale.


E così, velina o non velina, il Sole 24 Ore Sud del 24 gennaio pubblica l'articolo dal pomposo titolo “A Gela l'Eni punta sull'idrogeno”. Più ambiente di così! La prima cosa che mi chiedo è come mai una notizia così importante venga pubblicata sul dorso regionale e non su quello nazionale. Che l'Eni abbia deciso di puntare sull'idrogeno credo sia una novità assoluta, che dovrebbe interessare anche gli investitori. Ma poi, leggendo l'articolo, mi rendo conto che facendolo avrebbe fatto ridere tutti a Milano, mentre quei fessi dei terroni se la possono anche bere.


L'idrogeno in questione non è infatti quello delle celle a combustibile, ma quello necessario al processo di idrogenazione tramite il quale il petrolio viene trasformato in benzina. Ogni raffineria ne ha sempre avuto bisogno e se lo deve procurare per poter funzionare. Il fatto che l'Eni intenda aumentarne l'impiego a Gela può voler dire due cose: o che deve incrementare la produzione di benzina o che deve rendere il petrolio più leggero. In tutti e due i casi si prospetta un incremento delle emissioni in atmosfera (e Pecoraro Scanio viene a chiedere ai comuni siciliani di diminuire le emissioni locali: ahi ahi, ma allora ci marcia...).


L'altro problema che incontra l'Eni è quello dell'opposizione alla termovalorizzazione del coke che come sappiamo provoca il rilascio di sostanze cancerogene in atmosfera (e per la quale il solito ministro ha riconfermato gli incentivi Cip6). Anche qui si promettono investimenti, ma forse i manager del colosso petrolifero non hanno capito bene: è inutile che lo stoccate al chiuso il coke, perchè il problema principale sorge quando lo bruciate. Quindi anche su questo punto solo fumo negli occhi (e come sempre anche nei polmoni...).


Il più kafkiano dei proclami è invece quello dell'articoletto di fondo in cui si dice “avviato in anticipo il trattamento di falda”. Ma come in anticipo? Ma in anticipo rispetto a quando? Avete distrutto tutto, massacrato il territorio, forse sterminato famiglie intere (per questo diciamo che aspettiamo le conclusioni della magistratura...) ed ora alzate anche la cresta? Evidentemente se lo possono permettere, tanto è vero che poi, lontano dai titoli e tra le righe, come direbbe Camilleri ci mettono il carico da undici e minacciano di licenziare 400 persone, un quarto dell'intera forza lavoro, che poi è come dire un quarto di Gela.


Sicuramente a questo seguirà la solita farsa dei sindacati (al soldo dei potentati nazionali) che “lotteranno” per i lavoratori e che (mentre sottobanco l'Eni “chiederà” agli insorti di moderare i termini) si prenderanno poi il merito di averne salvati un buon 50-60% (che non sarebbero mai stati licenziati comunque).


Ora mi viene da chiedere ai cittadini di Gela (e di riflesso a tutti i siciliani): ma non siete stanchi di vivere così? Siete solo carne da macello in sovrappiù in vendita ad un unico offerente il quale, in forza di ciò, può chiedervi di tutto. Anche di vedere morire vostro figlio in mezzo ad atroci sofferenze. Davvero credete che se la piovra che vi divora andrà via non avrete più futuro? Che una vittima non abbia speranza senza il suo aguzzino?
[Continua a leggere...]

martedì, gennaio 23, 2007

Ponte sullo stretto: una cassaforte di voti?

Cari amici dell'MPA,

credo sia venuto il tempo anche per voi di sentire le ragioni di chi non crede nel ponte. E' venuto il tempo di oltrepassare i partiti nazionali, di assegnare un'idea (ponte sì / ponte no) a questo o a quello schieramento politico. E si è avvicinato anche il tempo di passare all'azione.

Scrivo a voi, ma in realtà scrivo a tutti i siciliani che riusciranno a raggiungere questo messaggio nella bottiglia che è questo sito, quasi disperso in quel moderno mare che è il World Wide Web, un mare nel quale nessuno può fare finta di non aver udito.

Ultimamente l'MPA si è reso protagonista di una grande iniziativa facendo accettare al Comune di Catania la proposta di intitolare due strade a Canepa ed a Gallo, veri eroi e veri patrioti siciliani. Certamente aspetteremo con trepidazione che questo accada. Ma al contempo vigileremo affinchè questo non si trasformi in uno specchietto per le allodole buono solo a distogliere l'attenzione da partite molto più importanti.

Ci riferiamo a quella che sta diventando in Sicilia la fonte di una profonda spaccatura in seno alla stressa società civile, e cioè la costruzione del Ponte sullo Stretto. Una spaccatura che l'MPA ed il suo principale rappresentante, On. Raffaele Lombardo, non può più fare finta di ignorare, se vuole essere coerente con il suo proporsi quale leader di quel movimento di rinascita che, seppur ancora sin troppo timido, potrebbe finalmente liberare la Sicilia da un cappio lungo anche più dei 150 anni dell'Unità Italiana.

Non potete far finta di ignorare, dicevamo, che le istanze di praticamente tutti i movimenti autonomisti, sicilianisti, indipendententisti etc etc (ad esclusione dell' MPA) siano assolutamente unanimi nella loro contrarietà verso l'opera. Persino il vostro alleato più importante, e cioè l'On. Nello Musumeci, si è sempre dimostrato freddo nei confronti del progetto.

Non vi sono dubbi che la battaglia dell'On. Lombardo a favore del ponte abbia dato degli importanti frutti: accettare la sua cancellazione passivamente senza aprire bocca sarebbe stato un grosso errore politico.

Ora però la situazione è profondamente cambiata, e non è difficile intravedere qualcosa di sinistro nell'accanimento con cui determinate forze politiche locali siano intenzionate a perseguire sulla strada della realizzazione malgrado la realtà dei fatti.

Ma andiamo con ordine.

Non mi dilungherò certo a ricordare qui l'iter che portò il passato governo ad un soffio dall'apertura dei cantieri. Serve però notare come in questo iter si registrarono dei ritardi alquanto strani che spinsero il processo al limite della irreversibilità senza oltrepassarlo, a dimostrazione del fatto che all'interno dello stesso governo Berlusconi vi erano importanti componenti contrarie all'opera. La Lega soltanto? Non possiamo dire con certezza. Rimaniamo però con il sospetto che un'ampia fetta del centrodestra considerasse l'opera politicamente scomoda.

Il nuovo governo si è poi affrettato a smantellare tutto, rafforzando gli indizi (semmai c'è ne fosse stato il bisogno) che puntavano ad uno scopo politico del ponte. Certo rimane l'interrogativo su CHI avesse da guadagnarci qualcosa dal ponte, sempre politicamente parlando.
A questo punto il governo regionale avanza una proposta: quella di fare il ponte con le risorse dei fondi strutturali, spiazzando Di Pietro e Bianchi che all'inizio, a caldo, dicono di non avere niente in contrario, ma che poi a mente lucida ritrattano. Per i sostenitori dell'opera, la dimostrazione della pura volontà di accanimento di questo governo. Ma che senso avrebbe dire di no ad un processo che di fatto porterà i soldi che la Comunità Europea ha destinato alla Sicilia direttamente nelle casse delle aziende del nord?

Comunque la Regione (o sarebbe meglio dire Cuffaro e Miccichè, che a questo punto qualcosa sembra emergere) insiste, e nei giorni passati promuove un rudimentale referendum online (incredibile credere che il sito della Regione Siciliana sia gestito in modo così superficiale) e rende noti i dati di uno studio di fattibilità che indicano in 6 miliardi di Euro i ritorni in 99 anni (questa la durata della concessione) per i pedaggi sul ponte, sufficienti per assicurare un ritorno alla società privata che gestirà l'opera.

Non entriamo nel merito dei calcoli e diamoli per buoni. C'è una cosa però da rilevare: questi calcoli escludono per ovvi motivi che vie alternative di trasporto a quello via terra possano essere sviluppate a livello tale da competere con il ponte stesso, e questo almeno per i prossimi 50 anni, altrimenti la concessionaria fallirebbe (vedi tunnel sotto la manica).

Ora, tra il ponte finanziato dallo stato e quello finanziato dalla Regione non vi sono differenze ingegneristiche o architettoniche, solo che cambierebbe il garante. E nel caso l'ipotesi di cui sopra si verificasse dovremo risponderne noi siciliani, e non lo stato. Ovviamente se l'ipotesi circa “vie alternative di trasporto” è realisticamente possibile può essere argomento di dibattito, ma non credo che la concessionaria avrà voglia di scoprirne i risvolti economici sulla propria pelle.

Il che significa che realizzando il ponte prima delle altre infrastrutture con i nostri soldi, si aprirebbe il campo ad un enorme conflitto di interessi con qualunque altra opera infrastrutturale che non sia dedicata espressamente ed esclusivamente all'utilizzo del ponte. Ed essendo questa l'Italia, credo che non faremo peccato a pensare male e ad essere sicuri che questo conflitto di interessi si espliciterebbe nel sistematico sabotaggio allo sviluppo in Sicilia di porti, aeroporti, strutture di intermodalità, autostrade del mare e quant'altro, con i siciliani nella paradossale posizione di dover assecondare tali sabotaggi.

D'altronde utilizzare l'ultima possibilità di sviluppo (gli ultimi fondi strutturali europei) per l'opera, ci costringerebbe anche moralmente all'inevitabile suicidio d'onore che ne conseguirà. E non parlo di suicidio figurato: chi ci assicura che una volta costruita l'opera, dall'altra parte lo stato provvederà ai collegamenti sull'altra sponda? O vogliamo portare l'alta velocità a Reggio Calabria a spese nostre?

Tornando a noi, On. Lombardo, siamo sicuri che non sia venuto il momento di cambiare strategia? Che ponti ha Singapore? Che ponti ha Dubai? Eppure guardi che aeroporti e che porti! E senza la incredibile posizione geografica della Sicilia!

E se la storia dei conflitti di interessi a qualcuno può sembrare capziosa e quella dei sabotaggi inverosimile, allora suggerisco di allargare poco poco lo sguardo e di fare caso ad un altro “piccolo” problema che sta sorgendo: il 18 gennaio Pierluigi Toti, costruttore romano con alle spalle Capitalia, ha preso il controllo di Gemina, la quale a sua volta controlla AdR (Aeroporti di Roma) tramite la holding Leonardo. La Regione Siciliana detiene una importante quota del patto sociale di Capitalia (diciamo che non sappiamo cosa abbia da guadagnarci Cuffaro con questa partecipazione, ma sicuramente non decide un bel niente sulle strategie di mercato di Capitalia) con il risultato che appoggiando la realizzazione di un hub aeroportuale internazionale in Sicilia, la Regione andrebbe in conflitto con se stessa.

On. Lombardo, possiamo anche nasconderci dietro un dito volendo, ma non è lecito avere il sospetto che sotto l'immenso arcobaleno di cemento disegnato dalla campata del ponte questa volta non troveremo la solita pentola colma d'oro, bensì una impenetrabile cassaforte di voti e di potere che al momento opportuno saranno utilizzati per tenere schiava la Sicilia intera per i prossimi 150 anni?
[Continua a leggere...]

venerdì, gennaio 19, 2007

Una pellicola già vista...

Un cantante napoletano di nome Federico Salvatore qualche anno fa fece scalpore con una canzone dal titolo “Se io fossi San Gennaro”, nella quale si “facevano i nomi” di coloro i quali avevano sfruttato Napoli e l'avevano poi abbandonata: Totò, i De Filippo, oltre che Pino Daniele, Troisi ed altri.


Ma perchè Totò, Peppino ed Edoardo? Poco più in alto il cantautore diceva anche di “...non (potere) più accettare l'etichetta provinciale, di una Napoli che ruba ad ogni telegiornale (...) con il sogno ricorrente di fuggire e di emigrare”.

Istantaneamente nasce un qualche collegamento, un filo che lega l'immagine di Totò e dei De Filippo a quella dell'emigrato tramite una serie di film facenti parte di quel filone il cui punto più alto può essere individuato nel capolavoro “I Soliti Ignoti” (dove vediamo all'opera il Totò), ma che include anche pellicole del calibro di “Napoletani a Milano” di Edoardo De Filippo (regista ed attore). Era il tempo triste dell'emigrazione verso le fabbriche del nord, il tempo della ricchezza costruita sul sangue delle disgrazie di poveracci che, senza speranza di vita in un sud impoverito, decidevano di tentare la fortuna a Milano. Una realtà di disperazione edulcorata e mitizzata da quelli che invece potevano essere gli alfieri di una rinascita culturale per Napoli e per il sud in generale, i potenziali condottieri di quel riscatto che i popoli dell'Italia meridionale non hanno ancora avuto la forza di cominciare per liberarsi dalla tirannia Tosco-padana.

Già all'indomani della sua nascita il cinema aveva attirato l'attenzione di governi, politici, lobby di ogni tipo per la grande capacità di coinvolgimento che il nuovo “media” dimostrava di avere. La propaganda politica non poteva farne a meno, e così mentre da un lato Eisenstein con l'immensa carica emotiva espressa dai volti degli insorti di Ottobre già negli anni venti procurava seguaci per la rivoluzione in Europa, dall'altra Hitler assoldava i registi più promettenti (ricordiamo tra tutti Leni Riefenstahl, recentemente scomparsa) per veicolare attraverso la settima musa la sua idea di Germania.

Fu però la Hollywood del dopoguerra a trasformare il cinema in una perfetta macchina da guerra, ed i suoi protagonisti in soldati mandati in avanscoperta a solleticare il nemico ed a costringerlo ad aprire le porte all'epoca del consumismo, propagandando la sua versione dell'“American Dream”, la sua versione della seconda guerra mondiale, la sua versione del mondo oltrecortina. Ed ostacolando sommessamente chi tentasse di uscire dai ranghi (basti pensare alle difficoltà incontrate per Platoon da Oliver Stone e da lui stesso spiattellate ai quattro venti).

Il meccanismo grazie al quale tutto questo accadde (ed accade anche oggi) è semplicissimo: fare i film costa danaro, e chi ci mette i soldi raramente lo fa per la gloria. Così quando al Nord Italia l'industrializzazione accelerò il passo e gli Agnelli decisero di imitare la Ford, si rese necessaria l'importazione di una enorme mole di forza lavoro. E fecero le cose per bene. Le fabbriche iniziarono il reclutamento al sud assoldando prima i vari Totò ed i vari De Filippo, mentre con lo stesso prodotto rendevano accettabile un tale flusso migratorio anche a chi doveva riceverli, questi schiavi, con film il cui morale finale (sotto sotto) era sempre lo stesso “non sono poi tanto male”. Due piccioni con una fava.

I luoghi comuni di questi film (alcuni dei quali rimangono comunque dei veri capolavori) si sono a poco a poco cristallizzati, ed anche quando il bisogno di mano d'opera andò scemando essi continuarono a fare parte del catalogo cinematografico italiano a tutti i livelli, dall'opera impegnata alla commedia. Ai nostri giorni in alcune fiction è possibile vedere il siciliano buono parlare in perfetto italiano e quello cattivo in siciliano, quello buono vestire in jeans e camicia, e quello cattivo indossare la coppola (vedere il recente “L'Onore ed il Rispetto” di Mediaset per credere), in perfetto stile segregazionista e ricalcando le classiche apparizioni di indiani e “negri” nei film americani .

Il mondo nel frattempo però gira, ed all'improvviso quelle che sembravano certezze granitiche vengono giù trascinando la storia. E con essa le altre “cose” umane: economia, politica, geografia non furono più le stesse dopo la caduta del muro di Berlino. Il mondo è ritornato ad aprirsi, viaggiare è diventato più facile ed economico, le imprese padane si sono trovate in un oceano di una vastità mai vista, in balìa dei flutti della globalizzazione senza più il salvagente della loro liretta sempre pronta ad essere svalutata sulla pelle dei risparmiatori. E come se non bastasse ora i terroni sono anche scolarizzati: più che prendere il posto nelle fabbriche, rubano la poltrona al figlio dell'ingegnere; addirittura aprono le loro aziende al nord e poi dirottano al sud una parte dei profitti.

Serve manodopera a un costo ancora più basso, e serve anche impedire ai colonizzati che alzano il capo la possibilità di entrare nel mercato globale. Servono altre disgrazie da sfruttare, ed al contempo un muro invisibile tra nord e sud, una membrana selettiva capace di lasciar passare un disgraziato piuttosto che un altro. Ecco che la sporca macchina della propaganda italiana ricomincia a mettersi in moto dopo aver ruotato il suo asse. Il posto di Totò è ora preso dall'immigrato extracomunitario, mentre al meridionale, ora solo un peso, viene riservata una fine amara: negli anni '60 il meridionale cattivo e fannullone era quello che rimaneva al sud, con la salvezza distante solo lo spazio che lo separava dalla stazione del paese, ora non ha più speranza di salvezza. E' marcio dentro e fuori, anche grazie al successo del nuovo corso padano abbracciato neanche tanto in segreto da Confindustria e basato sul bluff separatista leghista.

La storia si ripete, anche se gli attori cambiano. E così noi siciliani dovremmo forse salutare con tristezza l'uscita dell'ultimo film di Giuseppe Tornatore. Il ragazzo di Bagheria è stato autore in passato di pesanti denunce contro Roma: come dovremmo interpretare la scena in cui “L'uomo delle Stelle” calato da Roma si “sbatte” la madre-Sicilia che cerca di assicurare un futuro alla figlia? O i geniali insulti decontestualizzati di Benigni ne “Lo schermo a tre punte”?. Ora invece accetta di fare parte di questo odioso meccanismo (da lui stesso smascherato in “Stanno Tutti Bene”) girando un film come “La Sconosciuta”.

Forse. Ma dentro non me la sento di giudicare così severamente un grande artista come Tornatore. Solo che prima o poi anche noi siciliani dovremmo deciderci a farli, questi nomi.
[Continua a leggere...]

martedì, gennaio 16, 2007

Il canone RAI è una truffa

Basta! Non ne possiamo più! Siamo stanchi di sentire calunnie ed insulti contro di noi da parte della televisione di stato. Diciamolo chiaro e senza infingimenti: oramai pagare il canone della RAI è un atto ostile nei confronti della propria terra. Magari continuiamo a pagare (!?) ma quando porgiamo i soldi urliamolo forte il dolore che si sente quando ci si deve piegare ad una truffa.

Mentre oramai pure gli extracomunitari si permettono di trattarci da reietti (vedi post), la puntata di Dossier del TG2 dei giorni scorsi riguardante la violenza in famiglia sulle donne riferiva dati sconvolgenti su quella che è la situazione sociale del Nord Italia: le denunce a carico del coniuge (uomo) sono circa 10 volte quelle che si registrano al sud. Il commento segregazionista dei giornalisti della RAI, invece di analizzare i motivi che possono aver portato al collasso il tessuto sociale padano, liquidava la cosa dicendo che "evidentemente al sud le donne non denunciano". Omertà, a questo si riferiva.

E' veramente così? Non sembra visto che un ANSA di oggi dice testualmente che " La maggior parte degli omicidi in famiglia avviene al Nord", salvo poi evitare di dare i numeri esatti.

Sicuramente sappiamo che anche in Sicilia la situazione va a peggiorare, ma quello che dimostrano questi dati analizzati nel modo descritto è che l'Italia è una repubblica(una finta repubblica) basata sul razzismo.

[Continua a leggere...]

I forestali volanti di Alitalia

Combattere gli sprechi. Ecco il nuovo imperativo nel Bel Paese per contrastare lo sfascio economico a cui il nord è destinato. Scovare i più eclatanti casi e sbatterli in prima pagina come esempio.

E questa sembra essere la nobilissima intenzione di Roberto Galullo sulla prima pagina del Sole 24 Ore dello scorso 13 gennaio:


“I siciliani nell'attraversare una foresta devono incontrare non pochi ostacoli, e forse qualche belva feroce. Deve essere per questo che a ogni operaio-idraulico forestale la Regione Sicilia assegna non più di 12 ettari da pulire etc etc”

Il giornalista si riferisce al numero eccessivo di forestali presenti sull'isola, sicuramente con una qualche carenza tecnica (non esiste nessuna Regione Sicilia in Italia), ma forse a ragione (anche se quel tono di scherno probabilmente non gli sarebbe stato concesso in riferimento ai toscani, ai lombardi o ad altre nobili genìe nordiche).

Stranamente però la stampa economica estera, invece di occuparsi dei forestali siciliani, va a fare i conti da qualche altra parte e dà numeri in confronto ai quali il pagamento degli stipendi delle migliaia di forestali dell'isola diventano un atto di carità.

Il governo sta infatti tentando l'ennesimo salvataggio di quel carrozzone che è l'Alitalia, oramai in perdita dagli anni settanta ed i cui aerei sono riconoscibili più per l'insopportabile olezzo di votificio (proprio come i forestali siciliani, ed infatti l'accostamento non è casuale...) che lasciano ad ogni partenza ed atterraggio, che per il patriottico logo.

Alitalia tra il 1999 ed il 2005 ha accumulato perdite per 2,6 miliardi di €. Il governo ha versato nella casse della fallimentare impresa 2,8 miliardi di euro dal 2002 ad ora, e malgrado questo nell'ottobre 2006 il debito netto era di 972 milioni di €. Noncuranti della verità offerta da questi numeri, secondo gli amministratori Alitalia è una compagnia aerea altamente efficiente.
Il tutto mentre mentre le altre compagnie aeree, sia di bandiera che private, sfornano utili a ritmo frenetico: 116 milioni di € Iberia, 329 Ryanair, 556 British Airways e così via.

Non solo. A questo si dovrebbero aggiungere i soldi buttati in una delle più fallimentari opere mai progettate dall'italico ingegno: l'aeroporto di Malpensa, del quale mi propongo di discutere presto.

Quindi cari giornalisti, se volete veramente andare a scovare gli sprechi inutili ed i motivi per cui la vostra cara italietta sta fallendo, andateli a cercare a nord del Rubicone. E quando vi sarete decisi a dire le cose come stanno, allora farete bene anche a mettere in luce gli sprechi della Regione Siciliana, ma sempre tenendo presente una cosa: i soldi dei forestali sono soldi che vengono dal bilancio regionale, quindi lor signori possono stare tranquilli che siamo solo noi a perderci. Quelli dell'Alitalia invece sono soldi provenienti dal bilancio statale a cui tutti gli italiani contribuiscono. Ed anche noi siciliani, pur non sapendo cosa farcene dei vostri voli pindarici verso il fallimento.


[Continua a leggere...]

lunedì, gennaio 15, 2007

Fratelli d'Italia

Invece di inveire contro questo governo o il precedente, contro Bossi o contro il solito politico locale, il Corriere della Sera o RAI3, perchè non andare oltre e vedere chi sono veramente i nemici contro cui stiamo lottando? Sono veramente tanto terribili, furbi, spietati? A chi rispondono i politici italiani e per conto di chi fanno finta di avere ricette infallibili per risolvere l'inesistente “questione meridionale” (inesistente perchè creata da loro stessi) salvo poi smentirle appositamente ad ogni tornata elettorale per creare sempre più confusione nelle colonie d'oltrecortina?
Guardare in faccia questi “Fratelli d'Italia” ci può aiutare, per capire se sono poi così forti o se per caso non siamo noi a non voler combattere parandoci dietro un malinteso “rispetto delle regole”.


Lapo Elkann tenta di risalire...


Partiamo dal primo: Lapo Elkann, erede di una delle dinastie più potenti dell'italietta sabauda. Sappiamo tutti di quali altezze morali il rampollo è capace. Guardiamolo mentre il Sole 24 Ore lo osanna e lo coccola per cercare di recuperare il terreno perduto.



Callisto Tanzi: pagheremo per anni sul latte che tu hai versato


Passiamo ad un'altra perla di ragazzo: Callisto Tanzi. Gli italiani vogliono strafare, ed in una repubblica dove la legge dovrebbe essere uguale per tutti, loro la fanno ancora più uguale, almeno per alcuni. Non solo le manie di grandeur di questo ominicchio sono state ripianate con soldi pubblici (cioè con i nostri soldi, i soldi dei siciliani), non solo dobbiamo ancora ritrovarci tra gli scaffali dei supermercati quel simbolo di corruzione, per giunta pare se la spassi tranquillo, Ceausesco nostrano, ancora libero tra le mura di una reggia costruita sul sangue dei risparmiatori.




Fazio e Fiorani....


Chiudiamo infine questa nostra prima rassegna di “Fratelli d'Italia” con una bella coppia: Fazio – Fiorani. Davvero una bella coppia, non c'è che dire. Il primo si era già fatto notare in combutta con l'ex presidente della repubblica, il mai osannato abbastanza Ciampi, per la distruzione del Banco di Sicilia. L'altro, il manager rampante Giampiero Fiorani (un eroe per la gente del suo paesotto lombardo, Lodi) salito agli onori delle cronache per la scalata alla Antonveneta Insieme avevano messo in piedi una banca basata sul nulla che senza soldi stava diventando un colosso, trasformando la BPL (banca Popolare di Lodi) in BPI (Banca Popolare Italiana). Quanti rimproveri dai giornali per le banche siciliane che andavano soppresse perchè non rispettavano le regole. Intanto BPI esiste ancora.... e Fiorani? Dietro le sbarre? Ma neanche per sogno: invece del 41 bis, le ultime notizie lo danno di nuovo al lavoro. Chissà per cosa...
Vedete da che gente ci stiamo facendo mettere sotto? Credete veramente che siano così forti? Oppure è solo che preferiamo chiuderci nel nostro torpore invece di uscire gli artigli? Cosa direte ai vostri figli tra qualche anno? Che ci siamo fatti prendere per i fondelli (letteralmente...) da Lapo Elkann?
[Continua a leggere...]

venerdì, gennaio 12, 2007

Da Brescia ad Erba il razzismo padano non ha pudori

Sembra risolto oramai il giallo di Erba: una tragica e squallida storia di pazzia legata ad un ambiente sociale degradato, una storia come molte in tutta l'Italia ultimamente.

Ma lo sciacallaggio e l'ipocrisia padana non si ferma neanche questa volta, ed ora che dai film di Totò e Peppino che mostravano l'emigrazione da sud a nord come una fantastica avventura in cui bisognava esserci si sta tentando di passare alla costruzione di una membrana, un muro simile a quello tra Israele e Gaza o tra gli Stati Uniti ed il Messico, che blocchi i terroni oramai scolarizzati e lasci passare altre miserie ancora da sfruttare, tutti si affrettano a chiedere scusa ad Azouz, losco figuro già in carcere per droga.

Ecco allora che spuntano gli articoli di beatificazione sui siti dei maggiori quotidiani italiani, come quello di Pierluigi Battista su Corriere.it: pentiamoci tutti per aver accusato ingiustamente un disgraziato a noi utile per le nostre fabbrichette. Anche noi giornalisti, pentiamoci. Per questa volta e per quella passata in cui degli extracomunitari furono accusati della strage di Brescia, quando poi si scoprì che gli assassini "tra cui il nipote di un capomafia ucciso nel 1986 e noto come «Mommu ’u nanu», invece facevano parte di un gruppo criminale siciliano".

E no caro Battista. Queste sono tutte stronzate e tu lo sai: Angelo Cottarelli non era un imprenditore, ma un delinquente organico al gruppo criminale che tu da bravo padano chiami "siciliano". Anche i siciliani del gruppo erano imprenditori, ed allora tu non ti puoi permettere di differenziare: o erano tutti imprenditori, o erano tutti criminali.

Ed ancora, caro Battista, noi scuse ad Azouz non ne facciamo. E non scusiamo neanche voi, piccoli tirapiedi del regime per il titolo che dopo la scagionatura del tunisino riportava la sua accusa: "Strage di Erba, il tunisino: «In carcere un clan di calabresi mi odiava» ". Come mai un immigrato sentendosi sulle spine per allontanare i sospetti chiama subito in causa i meridionali? Come mai un gruppo di meridionali in carcere sulle pagine del pezzo di cartaccia per il quale scrivi diventa un "clan"?

State seminando odio. E presto raccoglierete.
[Continua a leggere...]

lunedì, gennaio 08, 2007

Fontanarossa: il ponte aereo dei siciliani. Ma guardiamoci bene le spalle.

La nuova aerostazione di Fontanarossa è pronta: l'opera sulla quale basare il nostro futuro, la pietra angolare sulla quale impostare il nuovo sistema Sicilia e la rinascita dei siciliani. Molto più di un ponte che vuole a tutti costi unirci al passato tenendoci appiedati ai capricci ed alle bugie di uno stato oramai allo sbando. Molto di più di un'Europa ancora senza identità: noi l'identità l'abbiamo ed il Mediterraneo anche, e non possiamo stare a perdere tempo con chi non ha il coraggio di guardare in faccia la realtà.

Oggi il futuro non corre più sui binari della "Freccia del sud" o del "Peloritano" o sulle strette corsie dell'Autosole. Oggi il futuro lo si raggiunge volando: e volando lo si può anche riportare a casa. Oggi il futuro lo si raggiunge volando: e volare costa poco, più o meno quanto prendere l'autobus.

Fontanarossa è la prima pietra di quel sistema costituito dai porti di Augusta e di Termini Imerese, dalle ferrovie ad alta velocità tra Augusta, Catania, Messina, Termini Imerese, Palermo e Trapani, dall'aeroporto di Comiso. Quel sistema cioè che consegnerà la truffa dei plebisciti ottocenteschi all'immondezzaio della storia.

Però bisogna lottare e vigilare, chè ascari e sabotatori di ogni sorta sono dietro l'angolo, pronti a sgambettarci ad ogni bivio ed a metterci sotto con i loro dati falsificati, con le loro sciatte indagini degne solo delle becere fiction con le quali continuano ad insultarci tutte le sere.

Ecco perchè credo sia giusto ora essere lieti per un importante obbiettivo raggiunto (il completamento dell'aerostazione ed il riassetto della SAC), ma anche rimanere calmi e passare subito all'azione. E tra queste righe passeremo all'azione con delle semplici considerazioni:


  1. La torre degli uffici di Fontanarossa: la progettazione di un aeroporto non è una cosa semplice. I controlli sull'operato di progettisti e ditte esecutrici sono molteplici. Eppure qualcosa in questo caso è andato storto, e nessuno si è accorto che la torre degli uffici superava in altezza la torre di controllo ostruendone di fatto il campo visivo. Non siamo più negli anni 80. Il progettista non era il cognato di qualche noto politico locale. Qui si parla di ditte internazionali con decenni di esperienza. Non si stava realizzando un modellino per aggeggi telecomandati. Qui si tratta di uno scalo internazionale, il terzo polo aereo d'Italia. Smettiamola di nasconderci dietro un dito: questo è sabotaggio. Punto. I mandanti non saprei. I motivi sono ovvi: Fontanarossa fa paura a Roma come a Milano, e questa paura innestata sulle beghe politiche locali ha fatto il resto.

  2. Il finto problema della cenere vulcanica: qualcuno vuole ancora farci credere che un'aeroporto vicino ad un vulcano non può stare. Siciliani, date uno sguardo al mondo invece di viaggiare ad occhi chiusi. Siete mai stati in Messico? In Giappone? Alle Filippine? Gli hub aerei in zone vulcaniche sono la norma, come sono la norma le piogge di cenere in concomitanza di eruzioni ed esplosioni. Eventi tali da traformare gli sfoghi dell'Etna in poco più di un folkloristico sbuffo. Il problema è così sentito e conosciuto che L'Organizzazione Internazionale per l'Aviazione Civile ha preparato un documento di circa 150 pagine (Doc 9691) a tal proposito. Leggendolo ci si rende conto di come la chiusura dell'aeroporto non sia quasi mai contemplata, se non in situazioni catastrofiche. Nel documento si raccomanda più che altro il monitoraggio atmosferico: la cenere infatti cammina con i venti e non 'a come gli gira quella sera'. Ed ovviamente la scusa della vicinanza del vulcano può valere per Catania, ma non per un aeroporto situato in Calabria, chiuso per giunta a tempo indeterminato: la cenere viaggia alla velocità del vento, non a quella della luce. Ah... un'ultima cosa: il promesso radar per la cenere non esiste. Si sta sperimentando un'apparecchiatura del genere in Messico, ma quanto questa sia efficace nessuno ancora lo sa.

  3. L'asta per la gestione di Comiso: la SAC per alcuni ritardi non sarebbe in grado di partecipare all'asta per Comiso. Si annuncia ricorso. Da Ragusa rispondono che essendo Comiso una aerostazione privata non si può fare ricorso. Ma allora, se è privata, perchè istituire un bando così rigoroso e non cercare di entrare direttamente in sinergia con Fontanarossa? Dalle dichiarazioni lette sui giornali sembra trapelare il sospetto che Comiso sia stato completato in così poco tempo proprio per dare fastidio a Fontanarossa. Non sarebbe una sorpresa clamorosa: lo straniero ci invade anche grazie agli ascari locali.

  4. Il prolungamento della pista di Fontanarossa: un nuovo scalo al centro della piana serve solo a distruggere gli aranceti. La pista può essere allungata facilmente con molti meno soldi interrando ferrovia, asse attrezzato e, se serve, la tangenziale. In larghezza parte della decadente area industriale sarebbe meglio se fosse sepolta sotto l'asfalto di una seconda pista.


Forse ora sarebbe il caso di chiudere l'aeroporto...

Certo per ognuno di questo punti ci sarebbe parecchio altro da scrivere. Ma iniziamo a riflettere da qui. E soprattutto teniamo gli occhi aperti.


[Continua a leggere...]

giovedì, gennaio 04, 2007

La diaspora siciliana e la globalizzazione

Quest'anno a rappresentare l'Italia agli Oscar sarà una poesia più che una pellicola che ha anche un'altra particolarità che la rende forse unica nella storia del cinema italiano agli Oscar: il film non è recitato in italiano, ma in siciliano, tanto che da noi è stato distribuito con i sottotitoli (persino in Sicilia... sic!). Si tratta di Nuovomondo di Emanuele Crialese.

Da quando ho visto il film ogni tanto la sera mi soffermo su di un baule da viaggio di fine ottocento che tengo ai piedi del letto. Su di esso sono ancora incise con un punteruolo le iniziali della mia trisavola che, dopo essere emigrata negli Stati Uniti con la famiglia, decise di ritornare in Sicilia. Acquistò il baule, lo riempì e lo affidò ai facchini. Come esso sia arrivato sino a me, tra due guerre mondiali e la sistematica distruzione di tutto ciò che sapeva di siciliano e di popolare tra gli anni '50 e '70 del novecento, non saprei dire.

La diaspora siciliana, iniziata verso la fine dell'ottocento e di cui per breve tempo fece parte anche la mia trisavola, ha portato i nostri fratelli in giro per il mondo, come semi trasportati dal vento e scaraventati ai quattro angoli del globo. E dove questi semi hanno trovato terreno fertile, sono germogliati, ed i loro germogli hanno dato frutti.

E' per questo che, per esempio, oggi il presidente di una multinazionale come la Mobil (ora Exxon-Mobil) può chiamarsi Lucio Noto, o l'allenatore della nazionale argentina di calcio Alfio Basile.

I siciliani non sono però l'unico popolo ad aver subito il dramma dell'emigrazione. In tempi più recenti abbiamo visto il popolo indiano esplodere su tutti i continenti a poco a poco salendo la scala sociale dai lavori più umili sino alla stanza dei bottoni di molte multinazionali.

Gli indiani, al contrario dei siciliani, hanno capito l'importanza della ragnatela creata da tutti quei figli della "Madre India" dispersi in ogni angolo del pianeta. E stanno richiamando indietro i loro emigranti tramutando in oro quella che a prima vista poteva sembrare una sconfitta oramai la certa: la perdita cioè del loro DNA più sano.

In tempi di globalizzazione, o meglio di ritorno ad un mondo globalizzato quale quello esistente ai primi del novecento, i flussi migratori diventano reversibili. L'economia moderna, basata più sulle idee che sugli ingenti capitali una volta necessari per intraprendere nuove attività industriali, rende l'emigrato che ha girato il mondo raccogliendo esperienze e magari qualche titolo di studio, una specie di mina vagante capace di sconvolgere i normali flussi di ricchezza sclerotizzati del novecento, riportandosi indietro il benessere nel frattempo prodotto e per giunta con gli interessi.

Sotto questo punto di vista per l'Italia l'emigrato meridionale sta passando da fonte di moneta pregiata (Roma ha lucrato e speculato non poco sulle rimesse dei meridionali all'estero, lucro poi ovviamente dirottato al nord...) a potenziale forza rivoluzionaria capace di scardinare i classici rapporti coloniali tra nord e sud instauratisi all'indomani della cosidetta "unità".

In più l'emigrante (o i discendenti dell'emigrante meridionale dei secoli passati) non sono controllabili dai partiti e dai politici corrotti che hanno permesso il soggiogamento alle nordiche bramosie del popolo siciliano (e meridionale in generale) e sono immuni dalla coercizione culturale alla quale tutti noi siamo sottoposti giorno per giorno attraverso i media convenzionali.

Ritornando all'India, secondo dati forniti da The Economist, il 68% dei manager indiani che vivono attualmente negli Stati uniti stanno assiduamente cercando un'opportunità per tornare a casa. Non si hanno dati riguardanti i siciliani, visto che da noi la classe politica dirigente non ha alcun interesse alla cosa, ma possiamo immaginare che non sarebbero molto diversi da quelli indiani. Il problema è che non si fa niente per attirare imprenditori siciliani indietro dall'estero.

A questo punto la soluzione può essere un'altra: agire dal basso e spingere i figli della diaspora siciliana ad organizzarsi non solo come hanno fatto sino ad ora (e cioè per scopi culturali) ma anche con obbiettivi... rivoluzionari (mi sia consentito il termine, perchè quando ci vuole ci vuole!): la creazione di gruppi di pressione nelle nazioni di residenza affinchè la verità su quello che succede in Sicilia esca fuori dagli angusti circoli culturali, protestando per la mancata approvazione dello statuto regionale, per la continua messa in onda di film spazzatura italiani che continuano a diffondere l'idea di Sicilia quale terra di mafia (La Piovra viene ancora appositamente venduto dalla RAI in giro per il mondo), organizzando dimostrazioni di fronte alle ambasciate italiane, creando quei mass media siciliani che noi qui non abbiamo il permesso di avere (radio, sito internet, TV satellitari).

La rinanscita della nostra nazione deve passare attraverso la totalità dei suoi figli, e solo così potrà avvenire. Ed avverrà. Ovviamente senza capovolgere tutto scordandosi poi di quei figli che sono rimasti in Sicilia: se Crialese nelle interviste parla del coraggio di chi è partito, bisogna anche riconoscere che se la Sicilia è ancora una nazione con i piedi ben piantati sulla sua terra questo lo si deve soprattutto a coloro i quali hanno avuto il coraggio di restare (o di tornare).

Nuovomondo permetterà a tutti i siciliani nel mondo di chiudere il cerchio del loro peregrinare evocando ed esorcizzando il dramma che più di ogni altro ha segnato (anche inconsapevolmente) la loro storia: quella di un siciliano in Sicilia che può toccare il passato attraverso un oggetto testimone di quegli uomini e di quei fatti, quella di un siciliano di fuori che, figlio di emigrati, è idealmente tornato nel grembo della sua Madre Terra con un film capace di collegare da solo l'anima di Trinacria a quella di tutti i suoi figli.
[Continua a leggere...]