Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

martedì, marzo 31, 2009

Pericolo di crollo

A seguito del dito puntatogli contro per i problemi d'atterraggio di Windjet a Linate, il palermitano Vito Riggio, presidente dell'ENAC è subito volato a Catania in occasione del completamento della nuova bretella di servizio della pista di Fontanarossa per cercare di riequilibrare la sua posizione assicurando i Siciliani di non avere alcuna intenzione di cedere a certi ricatti.

Le sue promesse di allungamento della pista sino a tre km però non ci dicono molto, visto che c'è sempre quel problemino da risolvere: sino a quando Sigonella rimarrà in mano agli americani, niente radar e niente scalo in Sicilia degno di essere considerato porta del Mediterraneo (vedi il post "Vista panoramica").

Nel breve periodo, che reali speranze abbiamo di vedere risolto questo “problemino”?

Le nuove strategie in politica estera statunitensi, nel mezzo del disastroso crollo della finanza globale, sono tutte concentrate intorno all'Afghanistan ed al subcontinente indiano, mentre le forze “alleate” sono in ritirata nel resto del pianeta, dall'Iraq, al corno d'Africa, al Sud America.

Nel gennaio 2009 Gulfnews, quotidiano di Abu Dhabi, ha pubblicato una interessantissima intervista ad Hamid Gul, ex direttore dei servizi segreti pakistani (ISI) e avversario temutissimo da Washington ('We are paying a huge price for US friendship', Gulf News, 3 gennaio 2009) . Gul negli ultimi 20 anni è stato coinvolto praticamente in tutti i principali eventi militari e politici svoltisi nell'area, dalla guerra dei Mujhaidin contro i sovietici, a quella dei talebani contro gli americani, sino ai recenti sviluppi politici interni (ma forse non troppo interni...) al Pakistan.

La chiusura del pezzo riassume il suo pensiero su quello che sta accadendo:

Gul è convinto che gli USA stiano subendo un collasso economico. “Nelle mie previsioni, verso la fine del 2009, Obama capirà che o abbandona la sua agenda di modifiche [all'assetto politico dell'area, ndr] o dovrà trovare un modo per disimpegnarsi da impegni esterni [operazioni militari]”.

Secondo lui, alla fine gli americani dovranno abbandonare tutto.

Diversi “cospirazionisti” hanno dato tinte sinistre a questo collasso ed a questa ritirata, arrivando a predire colpi di stato, guerre civili e secessioni a nord del Rio Grande. Ma ora a dire le stesse cose non è più solo qualche blogger stralunato, ma il grande occhio che tutto pre-vede dell'Economist.

Questa settimana in un articolo dedicato alla situazione interna della (presto ex) superpotenza (“Will there be blood?”, The Economist 28 marzo 2009) si citano dei dati secondo cui i cittadini statunitensi negli ultimi 10 anni avrebbero progressivamente perso fiducia in tutte le istituzioni americane (incluso il Congresso) eccetto una: l'esercito. Addirittura l'apprezzamento per l'esercito è salito con preoccupanti modalità sud americane del 52%! Il commento dell'articolista a questi dati è laconico: “Questi dati sono il pane di cui certi abominevoli movimenti si nutrono”.

L'Economist sembra anche suggerire che i primi preavvisi di problemi in questo senso si sarebbero già avuti nella vicenda dei bonus della AIG, in parte restituiti dai manager. Questo si deduce dalla considerazione secondo cui “il pericolo per Obama e per i Democratici al governo è che l'amministrazione si stia appoggiando pesantemente sugli investitori privati nei suoi vari piani di salvataggio. Questo inevitabilmente significa dare dei premi ad alcuni dei responsabili della crisi”.

La chiusura dell'articolo non lascia spazio a fraintendimenti: “Ma [Obama] potrebbe trovare la sua amministrazione sbattuta fuori corso o addirittura spazzata via dalla rabbia popolare Il titolo dell'articolo lo traduco ora, di modo che il suo significato sia subito chiaro: “Ci sarà del sangue?”.

Abbiamo già visto scene del genere all'altro capo del vecchio sistema, quando Eltsin prese il potere a Mosca.

Ma tra le righe dell'Economist si travisa (volutamente?) qualcosa. L'avvento di un regime militare (per chi ha gli occhi, negli USA preparato dalla versione interna della “war on terror” cioè l'onnipresente Homeland Security) non è, come suggerito, il semplice risultato del successo di “abominevoli movimenti” populistici (nel senso di “fascismo”). Quelli producono gli “stati di polizia”. Una dittatura militare è quasi invariabilmente la conseguenza di un vuoto di potere che nessuno riesce a colmare. In altre parole, all'improvviso è venuto a mancare chi comandava sino a quel momento ed ora nessuno è capace di sostituirlo.

Allora il problema è: chi comanda o chi ha comandato sino ad oggi a Washington? Ne abbiamo parlato su queste pagine. I loro simboli sono ovunque, sul retro delle banconote, nell'architettura dei centri di potere (dal Pentagono sino alla Casa Bianca), nei film di Hollywood, nelle canzoni. Ma se le cose dette qui non sono sembrate convincenti, allora citerò il più famoso “cospirazionista” di tutti i tempi: Silvio Berlusconi.

Al nostro (nostro?) caro Presidente, Obama era sembrato... “abbronzato”. Dietro il furbo commento si celano i solari manovratori del presidente americano, che avrebbe vinto le elezioni bagnandosi nella loro “gnostica” luce (vedi il post-immagine "Sotto i raggi del sole"). Il sole a cui si riferisce è quello della massoneria. O meglio, dei vertici della finanza mondiale. Dell'Entità, per come l'abbiamo definita noi (vedi i post "Il Vangelo secondo Giuffrè" e “Il centro del mondo”).

Tramite il periodico britannico essi non profetizzano lo loro stessa fine. Ma solo la loro uscita di scena da quella commedia: i “fratelli” sembrano in procinto di abbandonare la barca a se stessa. Come fanno i topi di solito durante un naufragio. Battono in ritirata.

Ritornando alla situazione Afghana, nelle condizioni interne delineate sopra l'insistenza in Asia centrale non ha alcun senso logico. Se Obama fosse dedito al benessere dei suoi sudditi, dovrebbe concentrarsi nella politica interna e, ascoltando sin da subito il suggerimento di Gul, lasciare andare tutte le avventure militari esterne.

Invece secondo l'editoriale dell'Economist della settimana scorsa (“How China sees the world”, The Economist 19 marzo 2009) “nel lungo periodo, se egli [Obama] non sarà riuscito a sedurre la Cina (e per lo stesso motivo India e Brasile) in maniera più ferma verso il sistema liberale e multilaterale entro il momento in cui lascerà l'incarico [che come detto prima potrebbe essere molto prima del 2012..., ndr], allora gli storici potrebbero giudicarlo come un fallimento”

Secondo queste parole, il Presidente degli Stati Uniti non dovrebbe preoccuparsi minimamente della situazione dei cittadini americani. Risolvere i loro problemi non è il suo obiettivo. Il fatto è che con tutta probabilità in Asia quei “topi” si stanno preparando la fuga per assicurarsi il futuro e l'unica vera preoccupazione del burattino è aiutarli ad ancorare “in maniera più ferma verso il sistema liberale e multilaterale” Cina, India e Brasile tamponando le falle della nave sino a quando possibile

I segnali in questo senso non sono mancati: dalla vittoria agli oscar di un film pseudo-indiano (Il Milionario) sino all'arrivo in Sicilia della comitiva cinese con a carico un 28% del finanziere di origini ungherese George Soros (vedi anche il post “Fuori dai piedi”).

L'aver citato quelle tre nazioni ha poi un altro importante significato. Esse infatti sono tre dei quattro componenti del cosidetto “BRIC”. Secondo Goldman Sachs entro il 2050 le economie delle BRIC combinate insieme potrebbero eclissare le economie combinate di quelle che sono oggi le nazioni più ricche del pianeta.

L'Entità sta cercando di spostarsi dall'attuale superpotenza, alle superpotenze del prossimo futuro, un futuro molto più vicino del 2050; praticamente prossimo (ma questo non si può dire senza creare panico). Verso tutte meno una: quella “R” sta per Russia, dove evidentemente non vedono alcuna speranza di poter continuare il loro delirio materialista.

I leader politici mondiali sono al corrente di tutto questo. E purtroppo anche il nostro caro pecoraio, che con il suo carrozzone, il Pdl, cerca di inserirsi in questo gioco pensando di fare il Mussolini della situazione e di continuare a pestare impunemente i calli a destra ed a manca.


I quattro dell'Apocalisse. Ma Silvio dov'è?


Nota finale: attenzione ai virus che circolano in rete. Se proverete a cercare notizie circa i finanziatori di Obama per capire se veramente l'Entitá abbia tra le mani il Presidente americano, potreste imbattervi in alcuni “cospirazionisti” che vi riveleranno che dietro tutto vi sia Rothschild. Ad esempio ecco cosa ci dice Sigismondo Panvini, scrittore e studioso siciliano:

Berlusconi con una battuta salace all’indirizzo del coloured Obama, non ha fatto altro che parafrasare un frase di Rothschild il quale nel lanciare la candidatura di Obama in una intervista disse che tifava per l’eletto presidente perché aveva idee fresche ed era nero.

L'estratto di questa intervista si può rintracciare facilmente su svariati blog. Eccolo:

“Ero molto eccitato dal fatto che sembrava fresco, plausibile e dal fatto che sia nero. A dire il vero io stesso vengo dal distretto di Chicago dove egli era un legislatore di stato ed ho sentito molte buone cose su di lui” “Egli era particolarmente interressante per me poiché... aveva idee fresche.”

Strano discorso... il Barone de Rothschild proviene dallo stesso distretto di Chicago di Obama?

In realtà tutta la storia è una bufala madornale. Il brano è infatti utilizzato totalmente fuori contesto ed il Rothschild in questione è in verità il Michael Rothschild, professore di legge all'università di Princeton, New York, che dice di aver sostenuto la candidatura del futuro presidente con... 250 dollari! Il suddetto Michael sarà anche un appartenente alla potentissima famiglia, ma da questa dichiarazione a dedurre l'appoggio del “barone” ce ne passa.

Potete leggere il tutto qui: http://www.dailyprincetonian.com/archives/2007/04/20/news/18183.shtml

Difficilmente si potrà mai trovare prova di certi appoggi. Questi si possono solo dedurre. Studiandone i movimenti (come in questo post) o stando attenti ai simbolismi. Ad esempio, il discorso inaugurale di Obama è durato 18 minuti, cioè 6+6+6, dettaglio riportato con insistenza dalle agenzie di stampa.


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sabato, marzo 28, 2009

Ci siamo

Quando busseranno alla tua porta
Come verrai ad aprire?
Con le mani in alto
o sul grilletto del tuo fucile?
Guns of Brixton – The Clash


Bobo Craxi, dirigente del partito socialista e figlio del più famoso Bettino, saluta così la nascita del nuovo gregge del pecoraio (nella foto decapitato per l'occasione da Corriere.it):

«Il Pdl ha i numeri ed il consenso per governare, ma è fermo all'Italia del 1994. Presto o tardi entrerà in crisi e contraddizione. È un contenitore elettorale con un grande leader. ma non è un partito politico»

Quel “presto” non è relativo solo all'avanzata età di quel leader (72 anni) ma anche alle mutate condizioni geopolitiche sia in Italia che fuori dove la massoneria anglosassone (unica vera artefice della finta unità italiana) è in forte ritirata e forze pre-risorgimentali si tornano ad affacciare sul Mediterraneo. Senza contare l'ascesa inarrestabile di nuovi colossi quali Cina, India e Brasile.

Sono i riflessi in Italia di queste mutate condizioni geopolitiche che sempre in occasione della fondazione del PL, fanno dire a Raffaele Lombardo:

«Quelllo di Berlusconi è un grande partito, ma non il più grande della storia d'Italia. Credo che la Dc del 1948 avesse più consensi, ma io gli auguro di superarla»

Il paragone con la DC (la cui storia Lombardo conosce estremamente bene) non è altro che una ripetizione del “Presto o tardi” di Bobo Craxi. Poco dopo i successi del 1948 l'ala diremmo “nazionalista” della DC guidata da De Gasperi (della quale erano colonna portante i “calatini” Sturzo, Milazzo e Scelba) era destinata a soccombere ed a lasciare il campo ai “fratelli” dell'ala sinistra con i vari Fanfani, Andreotti, Cossiga, Scalfaro dicendo addio al sogno di un'Italia libera dal dominio anglosassone e giusta con tutti i suoi cittadini.

E visto che in fondo il sogno post-piduista e neofascista del cavaliere [*] è ancora quello di creare un'Italia sovrana con la testa al nord ed il sud e la Sicilia schiavi ancora più di prima, quando almeno qualcosa il nord lo produceva, Craxi e Lombardo sembrano suggerire che oramai lo stivale è destinato a spaccarsi comunque.

Il tono degli auguri politici di Lombardo poi sa anche di un “in bocca al lupo” scambiato sì con rispetto, ma tra avversari e non tra alleati. Quel “gli auguro” pone distanza e dà la sensazione di una strada destinata a divaricarsi per sempre.

Siamo dunque al bivio che aspettiamo da tanto tempo? (vedi il post "Repetita juvant")

Secondo un sondaggio propostoci da La Sicilia, “Se si votasse oggi, il Popolo della Libertà avrebbe nell’Isola un consenso tra il 47% e il 50%.” Pietro Vento, direttore dell'istituto Demopolis, autore del sondaggio aggiunge che “Se al Nord [il pecoraio, ndr] si ritroverà una Lega sempre più forte, in Sicilia il Popolo della Libertà avrà di fronte, nel Centro-Destra, due alleati ed avversari di peso come l’UdC e l’MpA di Lombardo”.

Casini, leader dell'Udc (ufficialmente avversario, ma sotto sotto tramite Cuffaro alleato del PdL), dopo aver nuovamente rifiutato lo stomachevole scioglimento nelle megalomanie arcoriane, ha addirittura previsto un prossimo ritorno alle urne sospinto da Berlusconi che spera in questo modo di avere la maggioranza assoluta in parlamento.

L'Mpa (ufficialmente alleato, ma sotto sotto avversario del PdL) dal canto suo ha tentato l'attacco a sorpresa al nord (vedi il post "La nuova breccia") dopo il suo congresso romano forse per evitare lo scontro frontale o forse per accentuarlo, non si capisce bene.

Fatto sta che Berlusconi tre giorni fa (25 marzo) ha aperto ufficialmente le ostilità con la Sicilia. Lo ha fatto ad Acerra, durante l'inaugurazione dell'inceneritore, dove ha dichiarato: "E adesso tocca alla Sicilia". L'inceneritore campano è un simbolo del successo del criminoso piano rifiuti del governo, successo che ha riportato l'area napoletana sotto controllo dopo la tentata ribellione sulla questione delle discariche (vedi il post "Spazzatura d'occidente"), e che fa parte di un trittico terrorista nordista composto anche dalle centrali nucleari e dal ponte sullo stretto.

Il pecoraio sembrava fosse destinato ad una morte politica carica di oblio ed invece, ora che vede il nemico principale (la finanza massonica anglosassone) allo sbaraglio, tenta il colpo di coda tornando a bussare alla porta di colui il quale più degli altri ha aiutato (Raffaele Lombardo) con l'intenzione di riprendersi tutto con gli interessi.

In previsione dell'assalto finale a Palazzo d'Orleans ha circondato l'isolato mandando segnali precisi a tutti gli alleati della vittima.

Per Pulvirenti sono sorti improvvisi problemi di atterraggio a Linate per gli arei della sua Windjet, mentre il Catania Calcio (di cui è presidente) si vede bloccare il progetto del centro sportivo da strani intoppi al Comune di Mascalucia (CT).

Zamparini, fresco di nozze con lo stesso Pulvirenti (vedi il post "Tra Palermo e Catania non mettere il dito"), si vede rinnovate le accuse di connivenze del suo Palermo con la mafia.

La corte dei conti fa partire delle indagini su alcuni amministratori della città di Catania

Infine, quello che sembra essere il pezzo più grosso: il supposto sventato rapimento di Giovanni Cartia, presidente della Banca Agricola Popolare di Ragusa, l'ultima banca siciliana rimasta che ultimamente aveva beneficiato della vendita di alcune filiali del Banco di Sicilia da parte di Unicredit e che potrebbe diventare presto la nuova banca siciliana di riferimento, il nuovo Banco di Sicilia.

Secondo il servizio andato in onda su Antenna Sicilia, il piano dei criminali prevedeva, oltre al rapimento del facoltoso imprenditore anche “assalti a gioiellerie e portavalori”. Come credere che un ex-brigatista (la mente del gruppo aveva finito di scontare il carcere comminatogli per l'affiliazione alla colonna milanese delle BR) sia tanto sciocco da rischiare un rapimento di così alto profilo, quando l'obiettivo finale è raggranellare qualche spicciolo per “fondare una nuova azienda edile nel nord Italia”? Qualche cosa non quadra: la storia del rapimento è forse un bluff per “avvertire” Cartia?

Lombardo, oltre ad incassare l'apprezzamento di Di Pietro (“La corte che stava attorno a Cuffaro non si vede attorno a Lombardo e questo è un formalismo di cui questa regione aveva necessità”) e quella che sembra l'offerta di una alleanza (“Il modello di governo fatto di raccomandazioni, nepotismi, clientele deve cessare in Sicilia. Tutti coloro che si adoperano per fare questo troveranno il nostro appoggio”) non è stato con le mani in mano, ed ha risposto obliguamente minacciando in modo sottile di fare saltare il progetto del ponte (vedi il post “Alta bestialità”).

Ci siamo oramai. Come verrà ad aprire la porta Lombardo, con le mani in alto, o con le dita sul grilletto, come prima di lui hanno fatto Canepa, Milazzo, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Falcone e tanti altri?

Fini, seppur ridotto ad un fantasma politico, mentre il pecoraio si gongolava nell'annuncio della nascita del PdL, si è faticosamente trascinato sino a Montelepre, dove ha scoperto una lapide per ricordare “gli appartenenti alle altre forze di polizia e armate, oltre ai civili caduti sotto i colpi del banditismo” (“Una lapide a Montelepre per le vittime del banditismo” SiciliaInformazioni.com, 26 marzo). Giuliano uccise quei militari in qualità di soldato dell'EVIS ed infatti quei crimini di guerra gli furono perdonati (egli era ricercato per i crimini commessi da civile) ed alla Sicilia fu concessa l'Autonomia. Lascio a voi la risposta al facile indovinello sul reale significato simbolico della cerimonia.

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[*] Ecco le parole di Di Pietro volato subito a Catania: «Credo che in Italia ci siano due Costituzioni, quella dei nostri padri e quella di Berlusconi, il quale l'ha scritta con Licio Gelli» (“Ci sono 100 Catania”, LaSiciliaWeb 28 marzo)




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giovedì, marzo 26, 2009

Alta bestialità

Per chi arriva all'aeroporto di Palermo è una sorpresa scoprire che la stazione ferroviaria per il collegamento con il centro città si trova appena fuori dall'area bagagli. Dal terminal arrivi, nel giro di pochi minuti, si è già in viaggio per il centro città.

Fine delle note positive. Perchè le carrozze, le stazioni intermedie ed il tracciato stesso sono in condizioni stomachevoli tra immondizia, erbacce e macchie di sconosciuta origine sulle poltrone. La cosa non ci stupisce, visto che quel tratto di ferrovia è gestito da Trenitalia.

E non ci stupisce neanche leggere che la Fondazione Sabir, condotto uno studio sul collegamento ferroviario Catania-Palermo, abbia concluso che è possibile portare il tempo di percorrenza in 1 ora e 15' contro le attuali cinque ore ("Lanciata la sfida a Trenitalia: Catania-Palermo in 75 minuti", LaSiciliaWeb.it 23-03-09) . Non solo:

"Con 2,5 miliardi e la costruzione di nuove infrastrutture - ha spiegato Carmine Caprì, presidente della fondazione Sabir - potremmo poi passare a 1 ora e un quarto, risparmiando notevolmente sugli oltre 4 miliardi previsti da Rfi".

Cosa ha risposto l'inutile RFI? Ecco:

“Siamo consapevoli di poter ridurre di almeno un'ora i tempi di percorrenza con la razionalizzazione dei servizi e l'eliminazione di qualche fermata - ha detto Matteo Triglia, direttore del settore Investimenti di Rfi - Poi, oltre al raddoppio fino a Castelbuono, abbiamo progettato un nuovo percorso tra Palermo e Catania con la riduzione dei chilometri percorsi. Il costo - ha proseguito - è di 4 miliardi”

Il “Direttore del settore Investimenti di Rfi”, Matteo Triglia crede ancora che i Siciliani siano pronti ad abboccare a tutte le bestialità che dicono a Roma.

La cosa più stuzzicante della vicenda, risiede però nell'interessamento per la cosa del sottosegretario alle infrastrutture ed ai trasporti Reina (MPA) (Il Sottoosegretario Reina: "Una lezione allo Stato", LaSiciliaWeb.it 23-03-09):

Reina ha anche annunciato che da domani Francesco Russo, consigliere d'amministrazione della Sabir, sarà uno dei suoi consulenti. "Vogliamo il Ponte sullo Stretto - ha concluso Reina - per aprire la Sicilia a nuove opportunità e non per chiudere il nostro territorio che deve essere adeguatamente collegato al suo interno e rappresenti davvero il baricentro del Mediterraneo".

Questa scelta può solo suscitare apprezzamento. Siamo infatti sicuri che Francesco Russo (volendo) non impiegherà molto a scovare le magagne nascoste nei progetti delle infrastrutture di servizio al ponte, progetti che vedono pesantemente coinvolta Rfi. Costringendo Reina a bloccare QUEL progetto.

Nel frattempo, per risolvere il problema del collegamento CT-PA, espropriamo tutta le rete ferroviaria siciliana ad Rfi quale parziale risarcimento dei danni provocati all'immagine della Sicilia dalle condizioni della tratta Punta Raisi – Palermo e sistemiamoci tutto da soli.

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Dalla Fondazione Sabir leggi anche "Dorsale ferroviaria in Sicilia contro la stangata petrolifera", La Sicilia del 19 luglio 2008

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lunedì, marzo 23, 2009

AAA

AAA Cercasi Siciliano. Causa mancanza personalità adeguate, cercasi candidato leader partito genuinamente siciliano capace di lottare per la sua terra con abnegazione e determinazione. Richieste ambizione e lungimiranza. Possibilmente finanziariamente indipendente.

Oggi, dopo il successo dell'MPA e nella continua e persistente mancanza di coesione tra le forze che hanno coraggiosamente e con successo portato in salvo l'idea stessa di Sicilia attraverso la seconda metà del '900 e che ora non sembra riescano ad adattarsi alle mutate condizioni geopolitiche internazionali, chi potrebbe mai rispondere a questo annuncio?

La velocità con la quale Raffaele Lombardo ha conquistato posizioni su posizioni in Sicilia, nel sud Italia e forse presto anche al nord ha colto tutti di sorpresa. Ma mentre il giudizio sul suo operato in veste di Presidente della Regione può dirsi sin qui positivo nella attuale congiuntura e nel facile confronto con il suo predecessore, lo stesso non può dirsi sul modo di operare del suo partito, il Movimento per l'Autonomia, che non è stato capace di modificare l'andazzo generale della “cosa pubblica” nel suo svolgimento giornaliero.

Ma questo potrebbe essere dovuto al tempo necessario affinché i cambiamenti operati in alto (che ci sono e sono importanti) raggiungano gli strati più bassi e permettano ai siciliani di potere vivere la loro giornata lavorativa e familiare con un minimo di dignità in più.

Oggi però all'orizzonte si profila un problema ben più grave implicitamente ammesso dallo stesso Lombardo al recente congresso del partito dove ha dichiarato che L'MpA "si propone di essere il partito nazionale dei partiti regionali"

Come già detto (vedi il post “La nuova breccia”), se l'MPA si trasforma in partito nazionale (al punto che voci di strada danno per certo un cambio di nome...), diventa assolutamente necessario dotarsi di una vera forza regionale. Serve un leader, una personalità capace di coagulare intorno a sé le forze popolari siciliane creando quel movimento che potrà fare da guardia alle nostre istituzioni mentre l'attuale Presidente continua le sue (limitanti) battaglie ideologiche per l'Italia unita. Battaglie per le quali non vedo ampie prospettive di successo duraturo.

Potrebbe questo leader essere Enzo Sindoni, attuale sindaco della cittadina di Capo d'Orlando?

Sindoni, classe 1962, nato in Venezuela, è diventato sindaco della cittadina nebroidea per la prima volta nel 1994. E' stato rieletto nel 1998 con l'80% dei voti e dopo una breve parentesi (2003-2006) è ritornato in carica nel 2006, sempre con liste civiche. Ma il suo nome lo ricordiamo anche legato alla Acio, la prima associazione antiracket in Sicilia fondata insieme a Tano Grasso nei primi anni '90, come ci ricorda il Corriere della Sera in occasione di uno dei tanti arresti. Interessante il titolo dell'articolo:

In cella l' "eroe" antiracket - arrestato Sindoni Enzo, 32 anni: deve ispondere di furto, danneggiamento e dell' incendio della villa di un suo concorrente, Milio Luciano. in cella anche i complici Leonardi Alfio e Falanga Turi

I complici di che, se Sindoni, l'eroe antiracket, è stato poi assolto?

Anche la sua carriera politica è stata costellata sin dagli esordi da diversi guai giudiziari, ma è a partire da una accusa di irregolarità nel rilascio di una concessione edilizia durante le amministrative del 2006 (da lui vinte) che gli attacchi si sono fatti più serrati. La sentenza per l'assoluzione in via definitiva da queste accuse è stata depositata lo scorso dicembre (2008):

I giudici nella sentenza hanno esplicitamente affermato che in relazione alla accuse mosse al Primo Cittadino “nessuna prova è stata acquisita agli atti”

Un'accusa senza prove è una calunnia. “Tantu trafficu pi nenti”, disse una volta il poeta. Lo sappiamo tutti che in questo paese è possibile finire alla gogna solo per qualche “diceria dell'untore”.

Ma il “tantu trafficu pi nenti” nel frattempo invece di diminuire è aumentato sino a diventare, il 18 aprile del 2008, un vero e proprio ingorgo:

“C’è anche il sindaco di Capo d’Orlando Enzo Sindoni, 46 anni, tra le 10 persone arrestate nell’ambito dell’operazione “Orange” della Guardia di Finanza di Siracusa per una maxitruffa all’Unione Europea.”

Anche questa volta il nostro viene sbattuto dietro le sbarre. E durante l'interrogatorio ha parlato greco:

“Sindoni ha spiegato che tra i soci figurava anche uno dei principali indagati siracusani coinvolti nella vicenda, ma che non aveva mai conferito nemmeno un chilo di limoni alla capofila Agridea di Capo d'Orlando e quindi non aveva beneficiato del denaro. Anzi, l'anno seguente era stato cancellato dai soci proprio a causa del mancato conferimento. Quindi nessuna truffa nè consumata, nè tentata.”

Poi finalmente il 30 aprile viene liberato, e può tornare a casa tra una folla di gente che gli ha così dimostrato la propria fiducia e la propria solidarietà, particolare questo non secondario per capire il motivo di tanto accanimento.

Quest'ultima vicenda, più di quella delle targhe risorgimentali abbattute a colpi di martello di cui parleremo tra poco, suggerisce il motivo di questi attacchi. Il provvedimento di arresto del 18 aprile infatti “è stato notificato a Sindoni all’aeroporto di Fontanarossa a Catania: il sindaco era appena sceso dall’aereo proveniente da Torino assieme alla squadra, reduce dal successo a Biella.”

L'Upea Capo D'Orlando in pochi anni è salita dalla C2 ai play-off scudetto, un successo che porta ogni volta al palazzetto circa 5000 spettatori, in un paese di 15000 abitanti! Le modalità della notifica contengono intenzionalmente una chiave di lettura.

Un sindaco che praticamente di tasca propria porta una squadra di basket in Europa partendo da un paese di 15000 abitanti, non è solo un sindaco che cura l'immagine del suo paese, ma anche un politico di ampie vedute e con molte ambizioni. Non è un caso che in una recente intervista di Gaetano Sconso pubblicata su SiciliaInformazioni.com il giornalista citi il Messina dei Franza, che avevano nel sindaco Genovese il loro terminale politico:

Non le sembra una strana coincidenza che calcio e basket in un sol colpo giustizino il Messina Calcio e l’Orlandina Basket?

Ma potremmo citare anche il sodalizio sotterraneo tra Lombardo e Pulvirenti (vedi il post “Vino dell'Etna”), o quello tra Zamparini e Miccichè.

Il Italia il potere politico si affianca sempre ai circenses ed una squadra di livello europeo come quella gestita dal lungimirante Sindoni permette di puntare molto in alto.

Anche nella vicenda dell'abbattimento della targa recante il nome del delinquente dei due mondi (“uomo al soldo dei piemontesi e degli interessi inglesi che della nostra terra ha fatto saccheggio”) traspaiono chiaramente determinate ambizioni di leadership, soprattutto quando invita tutti i sindaci dell'isola a fare lo stesso:



Il sistema ha paura che qualcosa gli sfugga di mano e ce la mette tutta per difendersi. Ma in Sicilia le cose prendono pieghe altrove impensabili, e proprio la squalifica della squadra di basket per un cavillo giuridico (“siamo stati cacciati fuori dal massimo campionato per un debito nei riguardi dell’Enpals relativo a quattro mesi, nel corso dei quali contestavamo all’ente previdenziale che ci era stata rimessa una cartella rapportata ad una aliquota sbagliata e dunque non dovuta. Peraltro abbiamo chiesto di pagare egualmente con riserva, ma ci sarebbe occorso un giorno di proroga. Il ‘no’ è stato secco.”) che avvicina il suo caso non proprio al Messina calcio, ma al Catania di Massimino, sembra aver portato al vulcanico Sindaco ancora più popolarità.

Riuscirà Sindoni a vincere le sue battaglie ed a proporsi come l'uomo nuovo della politica siciliana? Al contrario di Lombardo, che ha conquistato la Sicilia partendo dal fondamentale trampolino catanese, Sindoni non ha alle spalle una base locale così ampia. Egli dovrà sapersi proporre al di fuori del territorio d'origine, dove ha già assunto un importante ruolo di guida come testimoniato dal recente comunicato che vede riuniti tutti i sindaci del comprensorio dei Nebrodi:

Il riscatto meridionale, che nella nostra regione sembrava confortato dallo sbandierato principio autonomistico, nel progetto intestato dall’on. Lombardo, sta rivelandosi fallimentare. (...) Noi riteniamo di essere ancora in tempo ad invertire la rotta e voltare pagina. E nella trincea istituzionale nella quale ogni giorno affrontiamo emergenze, condividiamo i disagi ed ascoltiamo i bisogni della nostra gente, attendiamo fatti, non parole; chiediamo azioni, non passerelle; pretendiamo rispetto per la dignità dei Siciliani."

Abbiamo riportato sopra una delle domande poste da Sconso al presidente dell'Orlandina. Eccone la risposta:

“Beh, sono due storie contemporanee ma radicalmente differenti: chi reggeva il Messina Calcio ha mollato tutto; chi guida l’Orlandina Basket è invece ben saldo in sella e non ha alcuna intenzione di fermarsi”.

AAA Cercasi Siciliano, AAA Offresi Siciliano. Domanda ed offerta sembrano coincidere.

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venerdì, marzo 20, 2009

La frontiera

“Catania è stata ed è una frontiera di una lotta nazionale e non un episodio del degrado meridionale”

Riportando per prima questa frase che da sola racconta tutto quello che c'è da raccontare sull'inutile trasmissione di Report “dedicata” a Catania, ripubblico il magistrale articolo di Pietro Barcellona dall'edizione odierna (20 marzo 2009, consiglio di dare un'occhiata al pdf e di leggere anche il breve trafiletto sulle case da gioco a fondo pagina) de La Sicilia. E' bene ricordare a tutti prima di leggere l'articolo che Barcellona è comunista e che, come da lui stesso specificato, nel 1975 fu eletto consigliere comunale a Catania. Sa quindi di cosa si sta parlando, al contrario dei pupitti di Report manovrati dai vertici della finanza massonica internazionale.

Per chi si fosse perso l'inutile trasmissione, i video sono riportati alla fine come pubblicati da SiciliaToday.net

Chiaramente ora aspettiamo tutti che Licandro rinunci finalmente alla cittadinanza di Catania e vada a farsi eleggere in posti più civili.



Il fondamentalismo d’inchiesta e i troppi perché senza risposte
di Pietro Barcellona

Ho seguito la trasmissione Report dedicata a Catania e i commenti di Milena Gabanelli. Conosco da tempo molte delle immagini e dei fatti rappresentati e sono fonte di domande inevase che mi pongo e che ci dobbiamo porre.

Il Villaggio Santa Maria Goretti si trasformava in paludosa laguna già nel 1975, quando fui eletto consigliere comunale del Pci. La corruzione dell’amministrazione, che attraverso ordini di servizio trasforma un cantoniere in un dirigente della protezione civile, l’abbiamo scoperta già allora, la complicità di molti vigili urbani con i venditori abusivi di carne e pesce senza controlli sanitari l’abbiamo già vista all’opera, i subappalti mafiosi della nettezza urbana esistevano già negli anni ’70. La città satellite di Librino, progettata da Kenzo Tange, era stata persino approvata come progetto di un moderno quartiere, che doveva essere un riscatto delle periferie degradate.

Anche nella Dc c’era chi credeva al risanamento e alla rinascita della città. Con il sindaco Magrì, ex ministro di De Gasperi, siglammo accordi, denunciammo le commissioni mediche, annullammo ordini di servizio, portammo in consiglio comunale i problemi dei subappalti della nettezza urbana, discutemmo pubblicamente del nuovo quartiere in convegni e assemblee pubbliche con i più noti architetti italiani, da Cervellati a Samonà. Ci fu uno scontro durissimo. Magrì fu sfiduciato da parte della Dc e noi comunisti uscimmo dall’accordo di programma.

Catania è stata ed è una frontiera di una lotta nazionale e non un episodio del degrado meridionale.

Chi vuole fare del buon giornalismo e aiutarci, insieme a questo sciagurato paese, ad uscire dallo stereotipo del Sud perduto alla modernità e alla civiltà, deve avere la pazienza e la professionalità di cercare di ricostruire i "fatti" che ci hanno portato a questo triste presente.

Sparare immagini di indiscutibile degrado urbano, di simonie e traffici ignobili di feste patronali, più da carnevale brasiliano che da festa cattolica, legare senza spiegazione fatti veri e sospetti costruiti sui "si dice" o sugli inevitabili incontri che, in ogni occasione pubblica, qualcuno spesso fa con personaggi del mondo della criminalità mafiosa, non è un buon modo per cercare di capire che possibilità ci siano ancora per cambiare questo terribile corso di eventi catastrofici.

Solo un mondo senza contraddizioni è un mondo senza speranza e solo la mancanza di speranza fa il gioco di potenti senza regole e principi morali. Spesso alcune trasmissioni sono bombe mediatiche, che fanno terra bruciata e finiscono per servire, spero senza saperlo, i "padroni" che vorrebbero combattere. Questo non è più il giornalismo di inchiesta che una volta, passo dopo passo, portava alla scoperta delle responsabilità e aiutava i lettori a farsi un’idea dei gruppi di interesse. Questo è un colpo di lupara nel mucchio che lascia solo morti e feriti: produce il contagio dell’intera società e spinge alla fuga e all’impotenza chi vorrebbe ancora tentare altre vie di uscita. Ho ascoltato il commento di alcuni giovani che sconsolatamente pensano che la sola cosa che resti sia quella di emigrare verso altre patrie.

Dalla fine della seconda guerra mondiale, non è stata soltanto Catania ad essere inquinata da una collusione perversa fra mafia, servizi segreti italiani e stranieri, poteri occulti, che hanno inciso profondamente sulla nostra vita nazionale, da Portella della Ginestra alla strage di Bologna, dai misteri della morte di Moro all’assassinio di Falcone e Borsellino. È facile dimenticarsene e mettere sotto processo solo il presente. Io credo che le certezze, a senso unico, di Travaglio, di Santoro e anche di Gabanelli ignorino che questo presente infame sia frutto di responsabilità passate di tanti, che hanno proclamato di aver scoperto la casa del Male e di poterla cancellare, senza poi sortire alcun effetto positivo. Continuo a pensare che l’Italia non sia fatta solo di berlusconiani immorali e ottusi che sognano le ville in Sardegna e che il berlusconismo sia una cosa ben più complessa e contraddittoria, così come non penso che Catania, Napoli, Bari, il Sud intero, siano ormai totalmente fuori dalla civiltà europea, separati da un Rubicone invalicabile.

Voglio ricordare che scandali, collusioni e misfatti ci sono dappertutto, dalle "Molinette" della mitica sanità torinese, dove si commerciavano valvole cardiache non funzionanti, a Parigi, dove un ministro aveva autorizzato la vendita farmaceutica di sangue infetto. Neppure i padri fondatori della Repubblica, né quelli più recenti dell’Unione Europea, sono stati dei santi e qualcuno ha avuto qualche macchia nera nella propria coscienza di democratico. Dopotutto, gli Stati Uniti d’America, per sconfiggere il nazifascismo, si allearono con l’Urss di Stalin, che qualche anno prima aveva fatto un patto di non aggressione con la Germania.

Se, invece di cercare di capire perché nella politica, come nell’economia, non sia quasi mai assente la tentazione di dar sfogo "all’anima criminale che attraversa lo spirito degli eroi", si ripropone l’astratto manicheismo del fondamentalismo moralista, non riusciremo mai a uscire dalla spirale di condanna e vendetta che accompagna il nostro stare al mondo. Catania non è un bubbone di un paese malato, come non lo sono Napoli e Palermo, un bubbone che i "paladini della giustizia", come i vari Forleo, De Magistris, Caselli, Di Pietro, riusciranno a togliere per guarire un corpo temporaneamente malato; la malattia della nostra civiltà è quella di aver perso la memoria e la propria moralità, adorando il denaro come unico dio.

La collusione e la corruzione del potere politico sono la punta di emersione di un degrado della società civile che, purtroppo, ha una diffusione inaudita. Solo un ritorno alla chiarezza della distinzione di istituzioni e di compiti, solo sistemi inconfutabili, solo una riforma di strutture che impedisca la famosa "zona d’ombra", possono aiutarci a uscire dal pantano in cui siamo.

Un magistrato con cui ho avuto recentemente il piacere di fare, proprio a Catania, una discussione sulla giustizia, la dottoressa Acagnino, sottolineava la necessità che i magistrati processino i reati e non il sistema. Io aggiungo la necessità che i giornalisti facciano bene la cronaca dei fatti, che l’Università non si sostituisca allo stato assistenziale per le famiglie e gli amici dei professori, che i politici non creino comitati di affari per gestire trasversalmente attività economiche più o meno lecite. Albertini ha lottizzato con Romeo, così come Mastella si preoccupava dei propri amici. Probabilmente, né l’uno né l’altro hanno intascato soldi, ma hanno patrocinato gli affari dei propri elettori. Occorre ripristinare chiare distinzioni di campo, istituzioni adeguate a nuovi compiti di gestione, ripensare la presenza pubblica nella società ed evitare ogni accentramento confusivo.

Santoro scelga il tema del disagio e della disoccupazione giovanile, lo scavi in profondità per molte puntate e lasci perdere il sensazionalismo spettacolare. Gabanelli segua le piste di un’inchiesta nazionale sullo scempio del territorio e degli imbrogli nell’edilizia; qualcuno si occupi veramente del nostro sistema bancario, del ruolo della vigilanza della Banca Centrale. Lasciamo la pericolosa strada delle crociate a senso unico, che, come dimostrano gli ultimi vent’anni di storia italiana, non serve a niente. Cerchiamo di ricordare che libertà e verità hanno bisogno vitale di confronti a viso aperto e di pluralismo sociale e istituzionale. Un’informazione deformata dall’insinuazione e dal sospetto generalizzato non aiuta a capire come stanno le cose.

Non scrivo certo queste cose per difendere Catania, la Sicilia, il Sud e le sue classi dirigenti, ma per evitare, come ho già scritto tante volte su questo stesso giornale, che, con il fondamentalismo delle condanne totali, aumentino la perdita d’iniziativa collettiva e l’impotenza dei singoli; per evitare che i cittadini catanesi si sentano già esuli nella propria terra. Se ci sono luoghi pubblici dove si può dire quello che si pensa senza il timore di ritorsioni, in questi luoghi bisogna cominciare a costruire nuovi spazi di libertà e verità. Chi si esclude da questi luoghi o li trasforma in fortezza blindata, pronta ad alzare il ponte levatoio al minimo dissenso, ha negato a se stesso ogni fiducia in un futuro diverso.

Report a Catania: Indagine sulla festa di S.Agata
Report a Catania, seconda parte: Indagine sul clientelismo
Report a Catania, terza parte: La città a rischio sismico
Report a Catania, quarta parte: Librino
Report a Catania, quinta parte: Il monopolio dell'informazione



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giovedì, marzo 19, 2009

Fuori dai piedi

Strano come il rombo degli aerei
da caccia un tempo,
stonasse con il ritmo delle piante
al sole sui balconi... (...)
La pace ritornò
Ma il Re del Mondo,
ci tiene prigioniero il Cuore
(...) e il giorno della Fine
non ti servirà l'Inglese.
Franco Battiato – Il re del mondo


Del movimento “No Dal Molin” e dell'opposizione all'allargamento della base di militare americana di Vicenza ne hanno parlato tanto giornali e telegiornali. Tutta la sinistra radicale in piazza, dalle femministe ai centri sociali.

Ecco ad esempio la presa di posizione del “Gruppo di donne del presidio Dal Molin”:

“Ci sentiamo private della scelta sul nostro corpo [?], sul nostro territorio, sul nostro futuro.

Non vogliamo assistere da spettatrici silenziose alla costruzione di un’ennesima base militare, all’aeroporto Dal Molin, che devasta la nostra città UNESCO per esportare la guerra in altri paesi.”


Poi sullo stesso sito del movimento (www.nodalmolin.it) si vede che questa “sinistra radicale” si accorge di quello che avviene in Sicilia. Per quel tanto che gli fa comodo. Ed infatti in bella evidenza troviamo il link ad un articolo del Corriere della Sera del 17 marzo: “Sicilia, stop alla Marina Usa: «No alle mega parabole»”:

Proprio ieri sera è andata in scena l'ultima delle tante iniziative del comitato «No Muos»: una riunione in contemporanea dei consigli comunali di tutti i 15 Comuni (tra cui anche Gela, Caltagirone, Vittoria) per impedire che siano piantate nell'ex base Usa di contrada Ulmo, a 2 chilometri da Niscemi, le gigantesche parabole del diametro di 18 metri e alte circa 100 metri.

Ben 15 consigli comunali uniti contro l'occupazione americana! Le cronache però non ci dicono niente circa la presenza della sinistra radicale. Solo censura? Ma se la sinistra radicale o anche quella parlamentare fossero state coinvolte, il chiasso lo avremmo sentito proprio attraverso siti come quello dei “No Dal Molin”.

Dov'è Licandro, il comunista, quello che dovrebbe rinunciare alla cittadinanza della città di Catania, sputando tra l'altro nel piatto in cui mangia i voti tramite i quali continua la sua carriera politica? Non prende anche lui posizione insieme ai “15 consigli comunali”? Dopo le denunce sulla situazione della sua città (denunce che purtroppo sappiamo in larga parte essere corrette) non partecipa a questa battaglia a fianco del Popolo Siciliano?

Il “Muos” è “un sofisticato sistema di comunicazione satellitare ad altissima frequenza (UHF), un sistema multi-service a terminali e siti mobili e fissi in grado di integrare comandi, centri d'intelligence, radar, cacciabombardieri, missili da crociera e velivoli senza pilota.” [*] Esso in realtà non viene da solo, ma accompagnato al sistema AGS, il sistema di sorveglianza permanente della superficie terrestre della NATO.

Per quanto riguarda l'AGS, è stato già annunciato con immensa soddisfazione da Ignazio La Russa che ha aggiunto che ciò comporterà “un ritorno non proprio indifferente dal punto di vista sociale per quell'area della Sicilia” (“La Russa: «Prestigio all'Italia, presto l'arrivo di 800 militari con relative famiglie»”, SiciliaInformazioni.com, 20 gennaio 2009).

I ritorni sociali dell'occupazione americana li abbiamo tutti sotto gli occhi. Sarà anche per questo che a Niscemi ed in tutto il calatino (ricordiamo, area di provenienza anagrafica e politica del presidente Lombardo) non ne vogliono sapere del Muos, mentre i servili italioti si sono già affrettati ad approvarne l'istallazione: “Il sistema radar 'Muos' (Mobile User Objective System ) è stato approvato dal Ministero della difesa italiano ma deve essere ancora deciso, definitivamente, dove realizzarlo.”[*]

Ma che vuol dire... si è deciso ma non si è deciso “definitivamente”... boh! Tutti questi mastri parolai non risultano convincenti. Di cosa hanno paura gli atlantidei ed i loro burattini romani?

Abbiamo visto intorno alla metà di febbraio Soros precipitarsi alla Piana di Catania tentando di metterci fretta per la storia dell'hub aeroportuale (Vedi il post “Pronti al decollo”: il finanziere americano Soros detiene il 30% della società cinese venuta a visitare Centuripe). Lo vuole costruito lontano dall'ingessato Fontanarossa. O forse lontano dalla dibattuta Sigonella?

Passano una decina di giorni, il tempo di organizzarsi, ed a Niscemi scatta la protesta (“Niscemi in piazza contro il radar USA”, LaSiciliaWeb.com, 28 febbraio 2009):

Tremila persone sono scese in piazza a Niscemi per dire no all'installazione dell'impianto Muos (...) La manifestazione, promossa dagli studenti del liceo scientifico Leonardo Da Vinci, ha coinvolto tutte le scuole del paese. In prima fila sindaci e amministratori dei comuni del circondario (Caltagirone, Gela, Butera, Riesi, Mazzarino). Alcuni bambini, durante il corteo, si sono bagnate le mani nella vernice lasciando le impronte su striscioni di tela bianchi con scritto: "Diamo una mano per salvare il mondo".

A perorare con più forza la causa “sociale” (secondo la definizione del La Russa) delle onde ad altissima frequenza si è allora dovuto scomodare anche sua maestà il console americano di stanza a Napoli, Patrick Truhn, lo scorso 10 marzo in visita a Catania («Sigonella geostretegica, è destinata a crescere», La Sicilia 11 marzo 2009).

Attenzione che le parole del console vanno tenute nel giusto conto, più di quelle del governo italiano. Infatti, come ci avverte il giornalista Vittorio Romano “Truhn è a capo del Consolato generale di Napoli sotto la cui giurisdizione rientrano Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia.”, Senza voler essere troppo capziosi, sul vocabolario italiano il termine giurisdizione fa riferimento all'amministrazione della giustizia. Ne conseguirebbe che a dettare legge nel sud Italia ed in Sicilia sarebbe il signor Truhn. Che lapsus!

Chissà come mai Sua Eccellenza giurisdizionante ha sentito il bisogno di muovere il regale culo per venirci a ripetere di persona nuovamente che “il numero dei nostri militari è destinato a crescere negli anni per garantire più sicurezza ai nostri popoli. In quest'ottica si inserisce anche l'impianto Muos (mobile user objects system) che presto sorgerà in territorio di Niscemi - ha aggiunto il console -. Non si tratta di un radar, ma di un sofisticato sistema di comunicazione satellitare che non procurerà alcun danno alla salute dell'uomo, come hanno già accertato i nostri rigidi test”

Tanta insistenza ci fa sorgere dei dubbi sulla reale capacità del regime americano di continuare a tenere la Sicilia sotto la propria “giurisdizione”, per usare il termine di Romano. Sembra uno di quei lanci di volantini “rassicuranti” di fine fascismo: chi gli diede retta e rimase in paese invece di rifugiarsi nelle campagne perì sotto i criminali bombardamenti dei “fratelli”. Uhm... un altro lapsus, scusate. Volevo dire “alleati”.

D'altronde il Re del Mondo mentre cerca di assicurarsi la nostra fedeltà, non ci promette niente di buono: “Questo è uno dei punti sui quali vorremmo lavorare. Promuovere un cambio di mentalità tra i giovani siciliani”. Traduciamo: ancora colonizzazione culturale e lavaggio del cervello, che quelli subiti sino ad ora non si sono rivelati sufficienti.

La risposta del governo Siciliano non si è fatta attendere. L'iter approvativo dell'autorizzazione per il Muos era già stato bloccato lo scorso ottobre dall'Assessore-ministro regionale all'ambiente Sorbello (“L'assessore Sorbello: «La Regione ha bloccato l'iter per il progetto sul Muos»”, SiciliaInformazioni.com, 5 marzo 2009). Ora interviene anche il Presidente buttando in prima linea Berlusconi, cavaliere con il piede in troppe staffe (“Progetto Muos, Lombardo chiede a Berlusconi un intervento ufficiale con gli Usa”, SiciliaInformazioni.com, 16 marzo 2009).

Lombardo ha chiesto infatti al premier Silvio Berlusconi un intervento ufficiale per manifestare all’Amministrazione statunitense “il disappunto per la mancata informazione e la ovvia contrarietà della Regione a che il sistema venga installato”.

Non si parla più di problematiche burocratiche. Qui sembra quasi che il Muos la Sicilia non lo voglia e basta. Anche se dovesse fare bene alla salute.

Si potrebbe ridere di queste prese di posizione. Cosa deve fare mai il “governo siciliano” di fronte al Re del Mondo. Si potrebbe persino sospettare di peggio. Cioè che dietro le presunta opposizione del governo regionale ci sia l'intenzione di guadagnare qualche voto in vista delle elezioni lasciando poi cadere la cosa. Niente di nuovo sotto il sole: le proteste così bene organizzate della cosiddetta “sinistra radicale” spesso sono solo questo, una via di sfogo della rabbia popolare che poi tutti sanno concludersi a niente.

Per scacciare gli americani da Sigonella in modo da piazzarci finalmente questo mitico hub aereo non bastano le belle parole e le pacifiche marce. Ci vuole anche il bastone.

Lo scorso 4 marzo un aereo NATO facente parte del sistema AWACS è stato costretto ad un atterraggio di emergenza a Trapani per un problema al carrello. Lo stesso giorno a Lampedusa un altro aereo ha un problema simile (scoppio della ruota). Le agenzie ci avvertono che a bordo vi era personale ONU. Le due notizie vengono messe vicine vicine da SiciliaInformazioni.com (foto a lato). Pura coincidenza o roteamento di bastone? La cosa comincia a farsi interessante.

L'agenzia stranamente ci segnalava anche che “a Birgi al momento dell'incidente di registravano forti raffiche di vento da sud”. Un vento che cresce ogni giorno che passa.

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[*] SIGONELLA: ANCORA NON E' CERTA L'ISTALLAZIONE DEL RADAR "MUOS" , portale di libera informazione per le forze armate e di polizia, 1 febbraio 2009


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mercoledì, marzo 18, 2009

Vista panoramica

Il sistema aeroportuale siciliano è composto da quattro scali internazionali (Palermo Puntaraisi, Trapani Birgi, Comiso Magliocco, Catania Fontanarossa) e da due scali minori situati nelle isole di Lampedusa e Pantelleria.

Anche se la cattiva politica sia regionale che nazionale ne ha impedito il corretto sviluppo socio-economico e strutturale, tale sistema potenzialmente servirebbe in modo capillare e senza inutili sovrapposizioni tutta la Sicilia: in qualunque punto del territorio ci si trovi, in circa un'ora si dovrebbe essere capaci di raggiungere uno scalo.

Le uniche aree a trovarsi a distanza superiore sono quelle eoliana e nebroidea. Per la prima la soluzione più logica dovrebbe essere quella di un moderno idroscalo nelle vicinanze del porto di Lipari raggiungibile anche da Napoli e che permetterebbe di arrivare nell'arcipelago da qualunque area del Mediterraneo con un solo scalo intermedio in Sicilia o nel sud Italia. Un sistema usato con enorme profitto alle Maldive.

Per quanto riguarda l'area nebroidea, più che in un aeroporto locale la soluzione del problema dovrebbe risiedere nei collegamenti ferroviari con Termini Imerese e con Punta Raisi (il trasporto su gomma è comunque destinato al declino). Come per il versante jonico della provincia messinese, anche per quello tirrenico si dovrebbe puntare ad un tempo di percorrenza non superiore ad un'ora per i paesi costieri più distanti.

Su questo sistema già estremamente sviluppato, anche se per vari motivi deficitario nei collegamenti intermodali, dovrebbe innestarsi uno scalo di tipo “hub” capace di fungere da centro di smistamento per i voli intercontinentali per l'intero bacino mediterraneo.

Diamo ora una sguardo a questo sistema dall'alto, grazie alle immagini satellitari di Google Earth.

1) Aeroporto Palermo Punta Raisi



L'aeroporto della capitale è, tra tutti gli aeroporti siciliani, quello in posizione meno felice essendo a ridosso del mare per tre lati e con l'ostacolo delle montagne dal quarto lato. La sua pista, malgrado non sia ulteriormente allungabile, misura 3326 metri, abbastanza per poter effettuare collegamenti intercontinentali, ma non per permettere la funzione di “hub”.

Il vergognoso stato del collegamento ferroviario con il centro cittadino (gestito dalle ferrovie di stato) dovrebbe da solo essere causa di rivolta: Punta Raisi dovrebbe essere un gioiello, la vera porta della Sicilia servito da una compagnia di bandiera con collegamenti diretti con le principali capitali mondiali.

2) Aeroporto Trapani Birgi



Posto a soli 13 km da Trapani nelle immediate vicinanze della costa in un'area a fortissima vocazione agricola e turistica. Destinato a servire, oltre l'area trapanese, anche quella agrigentina e parte di quella nissena per i flussi turistici e per l'esportazione dei prodotti agricoli (vini pregiati).

Solo l'integrazione nel polo Punta Raisi – Termini Imerese (e quindi Palermo-Catania-Siracusa) tramite collegamento ferroviario veloce permetterà di sfruttarne al massimo le potenzialità.

E' dotato di una pista di 2695 metri di lunghezza, che potrebbe essere allungata senza problemi (la linea bianca in figura misura 5 km).

La sua posizione defilata rispetto all'asse Augusta – Termini Imerese non lo rende ideale per la funzione di hub.

3) Aeroporto Comiso



Stessa funzione dell'aeroporto di Birgi per un territorio con le stesse vocazioni. Anche la pista realizzata (2546 metri, quella militare ancora visibile nella foto ne misurava 1740) ha dimensioni simili dovendo accogliere la stessa tipologia di traffico. Servirà principalmente il ragusano ed alcune aree del siracusano, del calatino e nel nisseno.

La gara d'appalto per la gestione è stata vinta dalla SAC (Società Aeroporto Catania), cosa che permetterà l'integrazione e la razionalizzazione con Fontanarossa (il discorso gestionale che dovrebbe essere fatto anche per Birgi e Punta Raisi)

La comica “inaugurazione” della pista del 30 aprile 2007 ha, come previsto, lasciato il campo a ritardi di ogni tipo. Ovviamente, la data di inaugurazione definitiva dell'impianto non è stata rispettata.

4) Aeroporto Catania Fontanarossa

Fontanarossa è il primo scalo della Sicilia ed il terzo-quarto in Italia . In effetti a pensarci bene rimane un mistero come un aeroporto dotato di una singola pista della lunghezza di appena 2435 metri (!!), una delle più corte d'Italia, possa smistare più passeggeri di una struttura molto più adeguata quale quella palermitana.

Ma i “movimenti” geopolitici che stanno portando alla creazione del blocco infrastrutturale Augusta-Interporto di Bicocca-Fontanarossa-Termini Imerese sono iniziati già da almeno un paio di decenni. E chi tali movimenti voleva impedire sembra non essere stato con le mani in mano. Ed ha agito proprio su Fontanarossa, l'aeroporto che dovrebbe essere trasformato in hub.



Ecco come si presenta oggi Fontanarossa, “ingessato” da un lato dal mare e dall'altro dalla linea ferroviaria Catania-Siracusa, dall'asse attrezzato, e dalla tangenziale in serrata sequenza: grazie a questa “attenta” pianificazione non è possibile allo stato attuale allungare la pista di un solo metro.

Guardando bene l'immagine vediamo un prolungamento della pista sino ai 5km (linea gialla), cioè la lunghezza necessaria per il proposto hub, finirebbe esattamente in corrispondenza della tangenziale. Allargando lo sguardo un pochino (figura sotto) vediamo che il tracciato autostradale (linea rossa) sembra deviare verso oriente dalla sua naturale prosecuzione proprio in corrispondenza dell'aeroporto. Ed anche il posizionamento dell'asse attrezzato (linea blu) non sembra razionale, visto che il prolungamento dell'autostrada Catania-Palermo (linea gialla) va a finire praticamente nello stesso punto. Non sarebbe stato più logico costruire l'asse attrezzato in modo da congiungersi alla CT-PA all'altezza della tangenziale?



Le cose sono due: o non è stati capaci di pianificare, o si è pianificato sin troppo bene... chi ha orecchie per intendere intenda.

D'altronde senza quegli “intoppi” (in ogni caso facilmente aggirabili dal punto di vista ingegneristico) i Siciliani si sarebbero potuti mettere strane idee in testa, tipo quella di avere un sistema radar autonomo. E la cosa oltre Atlantico avrebbe dato fastidio (vedi il post "Pronti al decollo"). Ora invece sembra che, grazie a quei pianificatori sin troppo attenti, non potremo fare altro che andare a distruggere la fertile Piana per costruirci questo “hub” voluto un po' da tutti, americani, cinesi, russi.

Invece guardate che bella struttura che hanno a Sigonella. Ah! come sarebbe facile piazzarvi una o due piste di 5 km:



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I dati sulla lunghezza delle piste provengono dal sito dell'ENAC (www.enac-italia.it)

Per visualizzare le immagini degli aeroporti da satellite in modo nitido, scaricare il programma Google Earth (www.earth.google.it) e digitare nella barra delle destinazioni a sinistra i nomi delle strutture come indicati nel post.

Post Correlati:

Pronti al decollo (Febbraio 2009)

I pagliacci (Maggio 2007)

Aeroporti: la Regione Siciliana all'attacco di se stessa (Marzo 2007)

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lunedì, marzo 16, 2009

Intervista a Massimo Costa (Seconda parte)

Seconda parte dell'intervista de Il Consiglio al Professore Massimo Costa, autore del libro "Lo Statuto Speciale della Regione Siciliana: un'autonomia tradita?" (Leggi la Prima parte). Ricordiamo ancora una volta che il libro verrá presentato ufficialmente giorno 18 a Palermo alla presenza del Presidente della Regione Siciliana, On. Raffaele Lombardo.

PS: nel testo di Costa mi sono permesso un grassetto. Chiedo venia per questo, ma la tentazione é stata troppo forte....


Puoi darci un giudizio sugli umori che circolano alla Regione riguardo alle varie modifiche proposte per il nostro Statuto. In che direzione credi che andrà l'ARS nel prossimo futuro? Vedi la concreta possibilità di un ristabilimento della legalità? Che in pratica vuol dire Alta Corte...

In passato abbiamo avuto una classe politica che preferiva tenersi “lo scheletro dell’armadio”, giacché questo Statuto, cosí inapplicato com’è, è una vera “mummia vivente”. Si preferiva tenere la mummia nascosta, non per applicarla in tempi migliori (forse qualcuno la pensava cosí, ma non la maggioranza) ma per lasciarla intravedere a Roma qualora qualcuno avesse minacciato i privilegi dei boiardi locali. Quanto ai Siciliani non c’era pericolo che ne chiedessero l’applicazione. Bastava che non sapessero niente. Da qualche anno a questa parte non è piú cosí. I Siciliani sanno, sempre piú numerosi, ed allora si è cercato di modificare lo Statuto “castrandolo”. Ma è troppo tardi. Il tentativo maldestro è riuscito solo in piccolissima parte con la controriforma del 2001. Poi nel 2005 stavano dando il colpo definitivo, ma non ci riuscirono. Ora il campo è diviso e molti non sanno che fare. Vorrei azzardare che all’ARS c’è una maggioranza trasversale, ancora timida in verità, che vorrebbe “osare” applicarlo. Ma ci sono altri due forti partiti, veri nemici dell’Autonomia.
Uno è quello tradizionale, che in piú oggi vorrebbe “emendare” lo Statuto per sancire costituzionalmente un’Autonomia del privilegio e dello spreco. Un’autonomia inutile, anzi dannosa. Ma hanno una forte motivazione alle spalle: in fondo è sempre stata questo, nient’altro che questo, la costituzione “reale” della Sicilia dal Dopoguerra. Quello che c’è scritto nello Statuto è solo “teoria”, per loro. Ma non mi sembra che a Roma o Francoforte nessuno abbia piú soldi o voglia di mantenere i gattopardi siculi.
Un altro è quello “giacobino” che vuole emendare per normalizzare, o addirittura sopprimere la specialità dello Statuto, nell’illusione che cosí geopoliticamente sparisca pure la Sicilia e si trasformi in una quieta provincia italica. Pia illusione, peraltro vigliaccamente prona agli interessi forti dei nostri nemici. Almeno il partito “assistenziale” vuole “mangiare” in Sicilia; questi vogliono solo venderci in cambio di una carriera personale o per una cecità antisiciliana.
Ma non confondiamo i “superiori” partiti con quelli veri. Sono partiti “trasversali”. Le carte, oggi, non sono chiare. Credo che il primo partito sia il più forte nella società e nel Parlamento siciliani.
Su un ripristino della legalità, invece, non sono ottimista. Nel senso che non lo vedo a breve. L’indipendenza (o l’applicazione dello Statuto che è quasi la stessa cosa) verrà solo quando la politica siciliana sarà cosí compatta da “prendersela” con le buone o le cattive. Alternativamente dovremmo cominciare a spiegarlo all’Italia. Se convincessimo l’opinione pubblica italiana sarebbe cosa fatta. Ma la vedo dura, durissima. Il che però non è una ragione per non tentare, per non iniziare. Ma come facciamo a spiegare all’Italia che la Sicilia è una Nazione se ancora qui siamo in pochi ad averlo capito?
L’Alta Corte l’avremo solo quando un partito siciliano sarà determinante per una maggioranza nazionale o quando un paese straniero con forti interessi in Sicilia lo chiederà d’imperio all’Italia o quando le forze USA se ne andranno dalla Sicilia con i loro piedi. A quel punto sarà la LIBERTÀ, quella per cui lottiamo da secoli. Ma senza queste condizioni non è bene farsi illusioni.
Certo, se questi diritti calpestati fossero noti a tanti siciliani…allora sí che la musica cambierebbe, e molto, molto presto.

Si parla tanto di federalismo in Italia e spesso a sproposito. Intanto il futuro dello Stato diventa più incerto ogni giorno che passa. Credi che il nostro Statuto possa essere applicato in altre parti d'Italia? Credi che possa fungere da modello per la creazione di una vera e propria “casa” dei Popoli Italiani?

Nessuno ha la sfera magica se non con un dono di profezia che personalmente credo di non avere. Certo l’Italia come stato sta malissimo. Sotto ogni punto di vista. Non esistesse Roma, con tutto ciò che rappresenta, sarebbe sepolta da un pezzo. Questa grande citta “settentrionale” e “meridionale” ad un tempo ne è il grande cerotto, ma fino a quando?
Lo Statuto Siciliano non è estensibile per la sua profondità a tutte le altre 20 regioni e province autonome. Cosí com’è o farebbe tornare l’Italia allo spezzettamento medioevale o sarebbe solo una farsa (“la seconda che hai detto” direbbe il comico Guzzanti).
Per lo meno si dovrebbero creare le tre macro-regioni di Miglio, con l’inglobamento di Friuli e Trentino nell’Italia Settentrionale, giacché non avrebbero piú alcuna ragion d’essere, e con il mantenimento delle sole regioni alloglotte e della Venezia Giulia, per la particolarissima situazione geopolitica di quel brandello mutilato di regione italiana. Oppure di solo due macro-regioni (con uno statuto speciale “interno” all’Italia del Nord per le tre regioni speciali alpine) e con Roma/Lazio “distretto federale”. In ogni caso la Sicilia e la Sardegna resterebbero due realtà geopolitiche a sé. Cosa succederebbe però in tal caso? Che l’Italia sarebbe una blandissima confederazione destinata a sciogliersi nel giro di uno o due decenni, con i cinque pezzi che prenderebbero ognuno per la sua strada.
Altra alternativa è che si “stacchi” il solo Nord (fino all’Umbria) e, in tal caso, poi si aprirebbe un fronte interno all’Italia del Sud perché fatalmente le Isole vorrebbero sottrarsi al dominio peninsulare, il cui esito potrebbe anche essere tragico.
Altra alternativa ancora è che tutto rimanga com’è e si applichi la Costituzione del 1948, e lo Statuto Siciliano del 1946, trasformando la sola Sicilia in uno stato semi-indipendente, quasi “dominion” italiano.
Secondo me, in ultima analisi, l’Italia e la Sicilia saranno quello che i suoi cittadini crederanno di essere. Per questo la piú grande lotta è oggi spirituale, senza per questo tacere la struttura di fondo, quella dei rapporti economici, che interagisce con la prima.
Diciamo che oggi per la Sicilia sta passando un grande treno. Rischia di perderlo, come ne ha perduti tanti in passato, per mancanza di maturazione politica. Possiamo fare niente al riguardo?
Quanto all’Italia mi permetto di osservare una cosa che pochi dicono. Paradossalmente mi auguro che resti unita. Solo quando ci sarà una Sicilia indipendente (o quasi) “vicino” e “in pace” ad un’Italia unita la nostra libertà e stabilità non sarà piú in discussione, anche per secoli. Finché nella memoria storica si sovrappone l’indipendenza dell’isola alla “disunità d’Italia”, varrà l’implicazione che “se” l’Italia è unita “allora” la Sicilia ne deve fare parte. Legare la nostra autonomia o indipendenza ad analoghe rivendicazioni sulla Terraferma è pericoloso. Noi dobbiamo lottare per la libertà “a prescindere” da ciò che avviene sul Continente. Oggi nessun tedesco pensa di annettere l’Austria, un tempo non era cosí. È un buon modello da imitare, anche con un lavoro pluridecennale.
E lo stesso penso, caro Abate, anche se non me l’hai chiesto, dell’integrazione europea. Sappiamo tutti che cosa è questo straccio d’Europa dei banchieri. Ma se, su altre basi, l’Europa continentale trovasse un altro tipo di integrazione (l’Europa dei popoli, delle regioni, delle sue radici storiche, magari con un latino moderno come lingua ufficiale e non con l’inglese che unisce il mondo ma non l’Europa), allora potremmo vedere con favore questa integrazione, ma … sempre per gli altri. Anche se l’Italia cedesse la sua sovranità all’Europa, noi avremmo sempre tutto l’interesse a restarne fuori, o blandamente associati, un po’ come la Norvegia, un po’ come la Svizzera. Questo non farebbe di noi antieuropeisti o euroscettici. Semplicemente non siamo in Europa, e nemmeno in Italia se vogliamo. Un’Europa unita non schiaccerebbe un piccolo stato insulare di frontiera, lo corteggerebbe. E cosí farebbero la Russia, la Cina, i paesi arabi. Il nostro potere contrattuale salirebbe moltissimo stando in equilibrio fra grandi potenze. Ecco perché non ho nulla contro l’unità d’Italia e quella d’Europa, purché non si estendano al nostro territorio. Ma ovviamente anche questo è un progresso culturale molto difficile da acquisire per l’autocoscienza siciliana.

Finiamo con i tuoi impegni futuri sul fronte “Siciliano”. Hai qualche altro progetto in cantiere?

Sí, vorrei completare l’opera con una vera trilogia. Il siciliano oggi non deve sapere solo qual è la sua costituzione calpestata. Deve conoscere anche la propria storia e la propria lingua.
Sul primo fronte vorrei scrivere un agile opuscolo divulgativo dal titolo “La storia di Sicilia in 35 lezioni”. È chiaro che già è in bozza. Spero fra un anno o due di finirlo. Anche qui non sarà “il solito libro”. Sarà il libro che non c’era, quello non scritto per avere l’imprimatur dei dominatori italiani ma per dire la verità ai siciliani. E poi, ma non mi sento pienamente all’altezza, un manuale di scrittura in prosa in lingua siciliana. Forse mi farò aiutare da qualche amico linguista che ne sa più di me, che sono solo un appassionato della lingua siciliana, che parlo scioltamente, ma che, complice la dominazione italiana, ho difficoltà a mettere in prosa. Eppure è la prosa la chiave di sopravvivenza dell’idioma siculo. Fateci caso: nessuno in Italia contesta la poesia, la cantante Rosa Balistreri, indimenticata, era invitata persino a Canzonissima. Ma la prosa no, è un nervo scoperto. Quella è riservata alle lingue vere, quelle con esercito e passaporto (per dirla con Chomsky). E invece dovremmo imparare a scrivere in siciliano. Per secoli i nostri poveri padri parlavano in siciliano e si sforzavano di scrivere in italiano. Tanto si sono sforzati che ce l’hanno fatta ad imparare questa lingua straniera. Oggi a noi tocca l’inverso: parliamo pure in italiano, ma sforziamoci di scrivere in siciliano, alla fine diventerà naturale. Ma dobbiamo essere in tanti.

E poi ho un’altra iniziativa in cantiere non meno rivoluzionaria. Fare lezioni volontarie a giovani che si vogliono impegnare in politica, qualunque sia il “partito” in cui vogliono militare. Non basta scrivere libri. Sono tante le cose da spiegare per formare una classe dirigente: storia, economia, diritto, retorica,… Non sono uno spirito militante ma credo che i giovani oggi debbano avere quei maestri che noi purtroppo non abbiamo avuto. Per quello che posso…

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domenica, marzo 15, 2009

Sgomento

Apprendo tramite comunicato internet e senza preavviso alcuno, quasi fossi un comune politicante, della decisione de L'Altra Sicilia di interrompere i preparativi per il 63° Anniversario dello Statuto Siciliano in programma ad Adrano nel prossimo mese di maggio.

Reputo la decisione, qualunque sia la causa che l'abbia cagionata, estremamente offensiva nei confronti di chi ha lottato e sostenuto l'evento impiegando tempo e risorse personali e che ora vede sfumare tutto tramite un comunicato in cui con arroganza non vengono neanche specificati i motivi che hanno portato a maturare una tale grave decisione, se si escludono i soliti fumosi piagnistei circa strane “difficoltà” che emergerebbero.

Credeva forse L'Altra Sicilia di trovare i tappeti rossi? Per raggiungere degli obiettivi bisogna lottare e soffrire e soprattutto bisogna essere capaci di fare politica.

Ma facendo politica bisogna anche essere capaci di non tradire chi crede in noi.

Il Consiglio ritira ogni possibile supporto a L'Altra Sicilia sino a quando non saranno presentate pubblicamente delle scuse a tutti i sostenitori per le modalità del comunicato ed al contempo non si spieghi nei minimi dettagli con nomi e cognomi come si sia potuti arrivare a tale paradossale decisione la quale ha come unico risultato quello di fare esultare i nemici della Sicilia, interni ed esterni.

Al tempo stesso, Il Consiglio si scusa con quanti tramite queste pagine siano stati indotti a dare il proprio sostegno all'evento.

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martedì, marzo 10, 2009

Intervista a Massimo Costa (Prima parte)

Pubblichiamo in due parti un'intervista al Professore Massimo Costa, autore del libro "Lo Statuto Speciale della Regione Siciliana: un'autonomia tradita?", versione aggiornata di un lavoro analogo già pubblicato a puntate su L'Isola, periodico de L'Altra Sicilia. Nel ringraziare Massimo per la disponibilità dimostrata nei confronti de Il Consiglio, ne approfitto anche per segnalarvi la presentazione ufficiale del libro, che si terrà nella sala gialla di Palazzo Reale (Palermo) alle ore 17. Per chi volesse conoscere più a fondo le idee sulle quali si basano non solo i vari movimenti indipendentisti ed autonomisti siciliani, ma anche i semplici blog come questo che orbitano attorno alla galassia sicilianista questa è senz'altro un'occasione da non perdere, visto che è prevista la presenza tra il pubblico dei rappresentanti di una gran parte di questi movimenti.

Caro Massimo, iniziamo con lo scoprire il tuo passato. Tutti noi quando si parla della Sicilia e delle sue istituzioni siamo degli autodidatti: le scuole e le università ci hanno offerto molto poco in questo senso e non c'è da stupirsi se oggi la stragrande maggioranza dei siciliani non riesce a comprendere e ad essere fieri della propria costituzione. Qual'è la tua storia personale a questo riguardo? Come hai ri-scoperto la Sicilia e come sei riuscito ad innamorartene al punto tale da dedicarvi così tante energie della tua vita?

È una lunga storia, della quale ho quasi pudore a parlare. Tutti i “sicilianisti” lo sono diventati prima o poi con un processo di maturazione personale; io in un certo senso lo sono nato. Cercherò di spiegarmi e di essere abbastanza sintetico. Tempo addietro mio padre digitalizzò una vecchia cassetta magnetica dei primi anni ’70 – allora potevo avere 7/8 anni – e me ne fece omaggio. Era un ricordo di famiglia, c’era la voce di mia nonna e, fra le altre cose, c’ero io che spiegavo a mio zio, allora già ultraquarantenne, i torti che la Sicilia aveva subito dall’Italia e i vantaggi che avrebbe avuto se fosse stata indipendente. Certo i concetti erano espressi in maniera elementare, da bambino, ma erano già relativamente lucidi. Nel tempo mi ero completamente dimenticato di quella conversazione col fratello di mio padre che mi avrà guardato come un “alieno” ma, riascoltandola, questa “maturazione” mi è ripassata in un lampo alla mente. Imparai a leggere a circa 3 anni, poco dopo non mi soddisfaceva più il giornaletto di “Provolino” o “Braccio di Ferro” e sbirciavo le figure dei libri di matematica di mio padre il quale, dopo avermi sentito fare qualche intuizione un po’ troppo avanzata per un bimbo di 4 anni, me li fece sparire. In cambio mi diede un atlante del Touring Club, un planisfero, spiegandomelo a grandi linee. In un mese conoscevo tutta la geopolitica mondiale (e, ovviamente, nel mio “intimo” sono rimasto fermo, per me il “Burkina Faso” è sempre l’Alto Volta e l’Angola è provincia portoghese d’oltremare); era un gioco, come il Risiko. Poi cominciai a sbirciare il sussidiario di mio fratello che già andava in terza, e “conobbi” la storia. In breve mi ci tuffai, assumendone dosi sempre più forti, e divenne la mia grande passione per sempre. Da questa passione per la storia, poco a poco, inevitabilmente, germogliò quella per la Sicilia, nonostante la storiografia ufficiale che mi arrivava per le mani fosse quasi tutta patriottarda. A 5 anni, nel 1972, ebbi la prima confusa percezione dell’attualità politica con le elezioni di quell’anno e capii che quello che stava accadendo doveva essere l’ultima pagina di un ideale grande libro che era cominciato con gli uomini primitivi e volli saperne di più. Ovviamente fuori dai miei studi ero un bambino assolutamente normale, soltanto uno che si faceva un po’ pregare dagli amici per lasciare quegli strani libri da grandi e scendere giú a giocare e, come tutti gli enfant prodige, da “grande” sono via via rientrato nella piú banale ordinarietà.
Non c’era niente da fare. Alcune cose che leggevo “non stavano in piedi” e me ne accorgevo sempre piú. E tuttavia la passione entusiastica con cui studiai soprattutto le vicende del Regno di Sicilia continuavano a lasciarmi in un sicilianismo epidermico, confuso, un po’ come quello ancor oggi prevalente in gran parte dell’opinione pubblica e non ancora convertito in coscienza politica. Devo tale conversione vera e propria a due fatti singolarissimi, l’uno della mia fanciullezza, l’altro molto piú tardo, dopo la maggiore età.
Il primo lo devo a un autore misterioso, vero Giano bifronte della letteratura siciliana: Luigi Natoli. Apparentemente garibaldino e unitarista in modo ossessionato (o lo era veramente?) lasciava passare nei suoi scritti letterari messaggi cifrati che inneggiavano ad un sicilianismo radicalissimo e romantico. Già lo avevo intuito dai “Beati Paoli” che, in un riposo forzato per una malattia, mi ero ritrovato a leggere. Poi lessi anche tanto altro di lui. E, che dire? I suoi omaggi untuosi al fascismo e all’italianità della Sicilia invece di convincermi mi sembravano giustapposti, mi rafforzarono nella cultura del sospetto, mentre altri messaggi mi parvero chiarissimi. Cito ancora una lettura a memoria, e spero di non dilungarmi troppo: “Veramente la Sicilia non va debitrice a Roma di nessun beneficio. Roma, che incivilì i barbari, etc.etc., qui in Sicilia, dove tante cose imparò, imbarbarí un popolo civilissimo, calpestò ogni diritto, distrusse la coscienza…Pareva che Roma facesse di tutto per abbassare, umiliare lo splendore della civiltà siceliota, quasi mossa da un senso d’invidia per la superiorità spirituale e civile della sua provincia”. E mi chiedevo: ma sta parlando davvero dell’Antichità? O parla – come può – della Sicilia italiana? Un po’ come l’Amari (che allora non conoscevo) che parlava male degli “angioini” mentre era chiaramente rivolto contro i Borbone. Lí l’amore per la propria terra, generico, si andò trasformando in vero sicilianismo, ancorché allora solo “autonomistico”. E intanto notavo sulle strade i manifesti dell’FNS, un po’ sbiaditi, con la scritta “Sicilia svegliati!” dell’immarcescibile Pippo Scianò. Chiedevo ai grandi cosa fossa quel simbolo, che mi intrigava, e, tra il serio e il faceto, mi rispondevano “il partito della Birra Messina”. Curiosando tra i giornali su quello strano partito palermitano, scoprii che prendeva percentuali da prefisso telefonico, e che aveva un minuscolo clone catanese, l’FGS, di cui non ho mai saputo chi fosse il protagonista. Meno decisivo, ma ugualmente importante, per me fu leggere ai tempi della scuola media, pochi anni dopo, l’indimenticabile “La Nazione Siciliana” dello storico Massimo Ganci, altro vero maestro spirituale.
Il secondo fatto lo devo al trasferimento a Milano, dopo la maturità classica, a 18 anni per frequentare l’Università Bocconi, dove ho preso la laurea in Discipline Economiche e Sociali. Ma c’è un piccolo antefatto che non posso saltare: all’ultimo anno di scuola mi toccò in sorte, tra le tante professoresse di storia e filosofia possibili e immaginabili, la figlia di quel D’Antoni che fu primo Alto Commissario per la Sicilia poi rimosso per le simpatie separatiste e poi di nuovo personaggio di spicco durante il Milazzismo. La prof. D’Antoni ci costrinse a studiare la costituzione del 1812, ma avrei saputo solo molti anni dopo delle sue simpatie separatiste. E alla maturità, altra coincidenza “astrale”, mi capita come presidente di Commissione il più antiautonomista degli storici siciliani contemporanei: Giuseppe Carlo Marino. Proprio da lui, ironia della sorte, che lesse e corresse personalmente il tema di storia che avevo scelto, ebbi il suggello per il massimo dei voti. Dicevo della trasferta a Milano… Lí capii definitivamente che parlavo l’italiano ma che con gli italiani veri, quelli della “Padania”, non avevo nulla in comune; lí maturai il mio nazionalismo siciliano definitivo. Potrei citare anche un lungo viaggio in Scozia (due mesi nell’estate del 1989) dove capii che gli scozzesi stavano mettendo in pratica quello che la nostra “nazione mancata” sembrava ancora non capire. Fu una lezione importante vedere a Edimburgo quello sventolio osannante delle Croci di S. Andrea. E noi? Allora non avevamo neanche lo “stemma” (istituito nel ’90), unica regione d’Italia senza “colori”, con gli autobus regionali che portavano un anonimo e burocratico R.S. Queste cose mi infiammavano, mi facevano quasi male e mi spronavano a trovare la strada di un impegno.
E la strada l’ho trovata. Quella delle idee, della divulgazione, di cui questo libro rappresenta una tappa importante, ma non certo l’ultima, anzi forse solo la prima di quelle veramente importanti.

Il tuo libro-commento sullo Statuto Autonomistico Siciliano è forse, oltre che un importante documento, anche un momento storico, uno spartiacque tra il sicilianismo "fai-da-te” e la nascita di un vero e proprio sistema educativo che permetterà alle future generazioni di dotarsi dei mezzi necessari a confrontarsi con il prossimo nella piena consapevolezza della propria identità. Cosa dovrebbero fare in generale le istituzioni per agevolare questa “restaurazione” della coscienza siciliana?

Io credo che bisogna distinguere il ruolo delle istituzioni pubbliche da quelle private, da società civile. Non illudiamoci che basti il “pubblico” per realizzare quel risveglio culturale di cui la Sicilia ha tuttora bisogno. E vorrei pertanto dare una risposta articolata in questi due ambiti.
Certo il pubblico deve fare la sua parte. È per questo che ho scelto di abbandonare l’impegno politico diretto, già all’indomani della competizione del 2007, perché io possa dialogare con tutti, anche con quelli che il sicilianismo militante potrebbe anche considerare “traditori”. Bisogna capire che oggi le istituzioni siciliane sono in gran parte occupate da siciliani inseriti in sistemi di potere italiani e quindi “contraddizioni viventi”, ma nella misura in cui essi sono anche siciliani e anche rappresentanti delle nostre istituzioni non possiamo mai sconfessarli. L’intellettuale non può essere un uomo di partito e per questo continuo a resistere alle tante sollecitazioni che ricevo. Ma veniamo alla domanda: che devono fare le istituzioni pubbliche? Voglio rispondere con uno slogan estremamente sintetico: formare, informare e naturalmente “dare il buon esempio”. La scuola siciliana e gli altri media devono diffondere quel DNA culturale che costituisce la quintessenza della Sicilianità: la storia, il diritto, la lingua e la cultura. In questo senso il passaggio al bilinguismo potrebbe essere, anche se oggi può apparire alquanto bizzarro, un passaggio culturale decisivo. La coscienza storica dei siciliani, la conoscenza della nostra produzione letteraria, artistica, etc., ma anche della nostra carta costituzionale sono passaggi ineliminabili. Poi l’informazione: dov’è la nostra TV? dov’è l’informazione veramente siciliana? E poi ci vogliono “i fatti” ad ogni livello: dalla lotta agli sprechi, alla valorizzazione di una diversità istituzionale che stenta anche nella progettualità a diventare realtà, all’eversione di circuiti di sottosviluppo concretamente legati alla dominazione italiana. Questo, a grandi linee, il ruolo delle istituzioni e del pubblico in generale.
Per andare sul pratico e “cantierabile” basterebbe intanto una grande riforma della scuola in cui questi contenuti fossero veicolati concretamente, ad una regolamentazione autonoma dell’emittenza radio-televisiva, al sopra accennato passaggio al bilinguismo. In pratica quella proposta di legge di iniziativa popolare che L’Altra Sicilia ha portato avanti e che – non credo ci siano segreti da nascondere – è partita da un’idea di fondo che io mi sono permesso di elaborare. Ora molti dicono che è una buona idea, che va raccolta, migliorata, portata al Parlamento statale. Vedremo. Se sono rose fioriranno.
Per quanto riguarda il privato intanto voglio dire che non penso alle imprese o a loro associazioni o a lobby varie. Credo fermamente che il compito principale delle imprese sia quello di produrre ricchezza, e basta. Poi, certo, possono essere coinvolte in progetti “corporativi” di difesa delle prerogative statutarie che implicano anche qualche vantaggio economico, possono “donare” parte dei loro profitti alla causa, ma guai se avessero come fine principale quello filantropico: fallirebbero, prima o poi, e con esse gran parte delle speranze dei siciliani.
Quando parlo di “privato” parlo di noi, della gente comune, dei volontari, delle associazioni, dell’informazione alternativa. Noi possiamo fare tantissimo, anche e forse soprattutto fuori dai partiti che hanno un’altra, importantissima, funzione. Noi dobbiamo dapprima elaborare il nostro pensiero, non quello di chi ci ha conquistato e incatenato, poi divulgarlo con pazienza missionaria. Il resto verrà da sé; è inevitabile.
Nel mio piccolo ho deciso di dedicarmi a questo. E il testo sullo Statuto era un passaggio obbligato: non c’era alcun libro oggi, almeno aggiornato, che spiegasse ai Siciliani di quanti diritti erano e sono ogni giorno defraudati. Ora questo libro va letto, vorrei dire quasi studiato, se non sembrassi cosí un pedante professorino, promosso, diffuso, regalato a chi può capire.
Ma ci sono tante altre cose in cantiere. Da solo, anche questo libro sarebbe destinato ad impolverarsi nelle librerie.

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