Una pellicola già vista...
Un cantante napoletano di nome Federico Salvatore qualche anno fa fece scalpore con una canzone dal titolo “Se io fossi San Gennaro”, nella quale si “facevano i nomi” di coloro i quali avevano sfruttato Napoli e l'avevano poi abbandonata: Totò, i De Filippo, oltre che Pino Daniele, Troisi ed altri.
Ma perchè Totò, Peppino ed Edoardo? Poco più in alto il cantautore diceva anche di “...non (potere) più accettare l'etichetta provinciale, di una Napoli che ruba ad ogni telegiornale (...) con il sogno ricorrente di fuggire e di emigrare”.
Istantaneamente nasce un qualche collegamento, un filo che lega l'immagine di Totò e dei De Filippo a quella dell'emigrato tramite una serie di film facenti parte di quel filone il cui punto più alto può essere individuato nel capolavoro “I Soliti Ignoti” (dove vediamo all'opera il Totò), ma che include anche pellicole del calibro di “Napoletani a Milano” di Edoardo De Filippo (regista ed attore). Era il tempo triste dell'emigrazione verso le fabbriche del nord, il tempo della ricchezza costruita sul sangue delle disgrazie di poveracci che, senza speranza di vita in un sud impoverito, decidevano di tentare la fortuna a Milano. Una realtà di disperazione edulcorata e mitizzata da quelli che invece potevano essere gli alfieri di una rinascita culturale per Napoli e per il sud in generale, i potenziali condottieri di quel riscatto che i popoli dell'Italia meridionale non hanno ancora avuto la forza di cominciare per liberarsi dalla tirannia Tosco-padana.
Già all'indomani della sua nascita il cinema aveva attirato l'attenzione di governi, politici, lobby di ogni tipo per la grande capacità di coinvolgimento che il nuovo “media” dimostrava di avere. La propaganda politica non poteva farne a meno, e così mentre da un lato Eisenstein con l'immensa carica emotiva espressa dai volti degli insorti di Ottobre già negli anni venti procurava seguaci per la rivoluzione in Europa, dall'altra Hitler assoldava i registi più promettenti (ricordiamo tra tutti Leni Riefenstahl, recentemente scomparsa) per veicolare attraverso la settima musa la sua idea di Germania.
Fu però la Hollywood del dopoguerra a trasformare il cinema in una perfetta macchina da guerra, ed i suoi protagonisti in soldati mandati in avanscoperta a solleticare il nemico ed a costringerlo ad aprire le porte all'epoca del consumismo, propagandando la sua versione dell'“American Dream”, la sua versione della seconda guerra mondiale, la sua versione del mondo oltrecortina. Ed ostacolando sommessamente chi tentasse di uscire dai ranghi (basti pensare alle difficoltà incontrate per Platoon da Oliver Stone e da lui stesso spiattellate ai quattro venti).
Il meccanismo grazie al quale tutto questo accadde (ed accade anche oggi) è semplicissimo: fare i film costa danaro, e chi ci mette i soldi raramente lo fa per la gloria. Così quando al Nord Italia l'industrializzazione accelerò il passo e gli Agnelli decisero di imitare la Ford, si rese necessaria l'importazione di una enorme mole di forza lavoro. E fecero le cose per bene. Le fabbriche iniziarono il reclutamento al sud assoldando prima i vari Totò ed i vari De Filippo, mentre con lo stesso prodotto rendevano accettabile un tale flusso migratorio anche a chi doveva riceverli, questi schiavi, con film il cui morale finale (sotto sotto) era sempre lo stesso “non sono poi tanto male”. Due piccioni con una fava.
I luoghi comuni di questi film (alcuni dei quali rimangono comunque dei veri capolavori) si sono a poco a poco cristallizzati, ed anche quando il bisogno di mano d'opera andò scemando essi continuarono a fare parte del catalogo cinematografico italiano a tutti i livelli, dall'opera impegnata alla commedia. Ai nostri giorni in alcune fiction è possibile vedere il siciliano buono parlare in perfetto italiano e quello cattivo in siciliano, quello buono vestire in jeans e camicia, e quello cattivo indossare la coppola (vedere il recente “L'Onore ed il Rispetto” di Mediaset per credere), in perfetto stile segregazionista e ricalcando le classiche apparizioni di indiani e “negri” nei film americani .
Il mondo nel frattempo però gira, ed all'improvviso quelle che sembravano certezze granitiche vengono giù trascinando la storia. E con essa le altre “cose” umane: economia, politica, geografia non furono più le stesse dopo la caduta del muro di Berlino. Il mondo è ritornato ad aprirsi, viaggiare è diventato più facile ed economico, le imprese padane si sono trovate in un oceano di una vastità mai vista, in balìa dei flutti della globalizzazione senza più il salvagente della loro liretta sempre pronta ad essere svalutata sulla pelle dei risparmiatori. E come se non bastasse ora i terroni sono anche scolarizzati: più che prendere il posto nelle fabbriche, rubano la poltrona al figlio dell'ingegnere; addirittura aprono le loro aziende al nord e poi dirottano al sud una parte dei profitti.
Serve manodopera a un costo ancora più basso, e serve anche impedire ai colonizzati che alzano il capo la possibilità di entrare nel mercato globale. Servono altre disgrazie da sfruttare, ed al contempo un muro invisibile tra nord e sud, una membrana selettiva capace di lasciar passare un disgraziato piuttosto che un altro. Ecco che la sporca macchina della propaganda italiana ricomincia a mettersi in moto dopo aver ruotato il suo asse. Il posto di Totò è ora preso dall'immigrato extracomunitario, mentre al meridionale, ora solo un peso, viene riservata una fine amara: negli anni '60 il meridionale cattivo e fannullone era quello che rimaneva al sud, con la salvezza distante solo lo spazio che lo separava dalla stazione del paese, ora non ha più speranza di salvezza. E' marcio dentro e fuori, anche grazie al successo del nuovo corso padano abbracciato neanche tanto in segreto da Confindustria e basato sul bluff separatista leghista.
La storia si ripete, anche se gli attori cambiano. E così noi siciliani dovremmo forse salutare con tristezza l'uscita dell'ultimo film di Giuseppe Tornatore. Il ragazzo di Bagheria è stato autore in passato di pesanti denunce contro Roma: come dovremmo interpretare la scena in cui “L'uomo delle Stelle” calato da Roma si “sbatte” la madre-Sicilia che cerca di assicurare un futuro alla figlia? O i geniali insulti decontestualizzati di Benigni ne “Lo schermo a tre punte”?. Ora invece accetta di fare parte di questo odioso meccanismo (da lui stesso smascherato in “Stanno Tutti Bene”) girando un film come “La Sconosciuta”.
Forse. Ma dentro non me la sento di giudicare così severamente un grande artista come Tornatore. Solo che prima o poi anche noi siciliani dovremmo deciderci a farli, questi nomi.
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