Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

giovedì, novembre 25, 2010

Riso amaro

Risale al 25 maggio del 2008 il post con il quale su queste pagine si delineavano i motivi che stanno portando alla realizzazione dei mega-inceneritori nel sud Italia, in particolare in Campania ed in Sicilia (si veda il post “Spazzatura d'occidente”).

Si era anche visto come non poteva certo esserci la criminalità organizzata a sobillare la popolazione del napoletano contro la riapertura delle discariche e il completamento degli impianti di incenerimento quando la criminalità organizzata ha invece ogni interesse alla loro costruzione.

Una volta costruiti, essi verebbero infatti gestiti direttamente da loro (dai malavitosi). Sotto mandato dello stato centrale, ovviamente.

E' bene ricordare come il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, aveva a suo tempo già sussurrato in commissione parlamentare quale fosse il vero punto critico del diabolico sistema così ben congeniato:

Legambiente non considera la soluzione la scelta la migliore che si potesse adottare, soprattutto – e questo forse è il punto – senza prevedere una selezione dei rifiuti a monte e un riciclaggio degli stessi.

(si veda ancora il post “Spazzatura d'occidente”)

La mancanza di un sistema di selezionamento dei rifiuti apre al porta alla possibilità di bruciare di tutto. E mentre da una discarica si può sempre tirare fuori una prova, i fumi di una ciminiera una volta dispersi sono irrecuperabili. Le prove vanno letteralmente in fumo.

Il tutto è stato ora dimostrato, “per la prima volta in Italia”, da una indagine della Procura della Repubblica di Pavia che nei giorni scorsi ha sequestrato un impianto di termovalorizzazione della Riso Scotti, la nota azienda produttrice di riso.

Oltre agli scarti della lavorazione del riso, il sito bruciava clandestinamente “legno, plastiche, imballaggi, fanghi di depurazione di acque reflue urbane e industriali che per le loro caratteristiche chimico-fisiche superavano i limiti massimi di concentrazione di metalli pesanti (cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo)” (“SCOTTI ENERGIA: VALE 30 MLN L'AFFARE DELL'ENERGIA SPORCA”, Agenzia Parlamentare 24 novembre 2010 – da notare come alcune grosse testate nazionali abbiano omesso di citare le acque reflue industriali)

Eliminare le prove era facilissimo: «la centralina di rilevamento presente nell’impianto funzionava male: dai report non risultavano variazioni tra una rilevazione e l’altra. Impossibile non accorgersene» spiega il comandante della guardia forestale lombarda (“Traffico illecito di rifiuti: sequestrato l'impianto della Riso Scotti Energia” Corriere.it 17 novembre 2010).

Ovviamente nessuna traccia di mafia, mentre troviamo il segnale di un coordinamento degli apparati di controllo pubblici che necessita di una regia posta molto in alto nelle istituzioni: “Tutto ciò era possibile grazie ai falsi certificati rilasciati da laboratori di analisi chimiche compiacenti”.

Ma la cosa più allarmante è la mancanza di consapevolezza nella popolazione circa le reali conseguenze di questa situazione:

La lolla miscelata con scarti industriali, inoltre, veniva anche venduta, senza alcuna autorizzazione, per la produzione di lettiere per animali, in particolare pollame e suini, e per la produzione di pannelli di legno.”

“Le indagini proseguono soprattutto per accertare l'aspetto più controverso e grave dell'intera vicenda: gli effetti degli scarichi dell'impianto sulla salute pubblica. Sulla qualità dell'aria e lo stato di salubrità degli impianti di zootecnia.


Preparando il nostro bel timballo con riso prodotto nei campi intorno a Pavia o consumando i prodotti degli allevamenti industriali italiani, che fanno uso di lolla inquinata (tra gli altri..), a cosa andiamo incontro? Nessuno sembra essersi lamentato più di tanto.

Questo non è un caso isolato, ma il sistema: l'industria italiana non potrebbe reggersi senza questi sotterfugi. E non essendo riusciti ancora a mettere in funzione gli impianti del sud, il “sistema” deve ripiegare su quello che si trova a nord: “i rifiuti bruciati irregolarmente nell'impianto arriverebbero da Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Puglia e Campania”.

Ma se diamo credito al breve spazio di tempo intercorso tra la bocciatura da parte di Bertolaso del supposto piano rifiuti [*] della Regione Siciliana, che vorrebbe riaprire uno spiraglio alla realizzazione degli inceneritori in Sicilia, e la pubblicazione dei risultati dell'indagine, allora dobbiamo anche credere che il confronto si svolga su fronti piuttosto ampi e che le nostre speranze non siano ancora andate in fumo:

La vera questione dirimente tra le previsioni della commissione, supportate dal Governo regionale, e quelle del Governo nazionale e' ancora una volta la realizzazione degli inceneritori”, sostiene Legambiente Sicilia (Liberonews, 12 novembre 2010).

E' questa la nostra battaglia più importante.

--------------------
[*] Quello bocciato non è il piano rifiuti ma le linee guida.


Vedendo quei rifiuti passa la voglia di ridere

[Continua a leggere...]

lunedì, novembre 22, 2010

Gli schiavi

Il vero valore di un conflitto sta nel debito che genera. Se controlli il debito, controlli tutto quanto. E questa è la vera essenza dell'industria bancaria: fare tutti noi, sia che siamo nazioni o individui, schiavi del debito

Così Luca Barbareschi – Berlusconi nel film “The International” risponde agli investigatori curiosi di sapere cosa ci guadagnasse una banca nel fare da mediatore per una compravendita di armi leggere costruite in Cina.

Se nel film si dicesse la verità, dovremmo dedurne che chi debiti non ne ha o chi cerca con successo di tirarsi fuori dal debito è nemico di questo sistema finanziario globale e globalizzante.

La figura qui sotto mostra l'ammontare del debito pubblico per nazione in valore assoluto. Quello che notiamo subito è che i paesi più indebitati (marrone) sono quelli occidentali.



Il valore assoluto del debito potrebbe però trarre in inganno. Forse la mappatura in base alla percentuale del debito rispetto al prodotto interno lordo è più trasparente:



Mentre le nazioni occidentali continuano ad essere tra le più indebitate, vi sono nazioni come la Cina e la Russia la cui posizione migliora notevolmente, nel senso che sono tra quelle che più facilmente possono ripagare il loro debito (consideriamo anche che questi sono dati resi pubblici dalla CIA, la quale potrebbe avere la propensione a mettere in cattiva luce certe nazioni piuttosto che altre).

Infine, l'ultimo grafico mostra il bilancio tra esportazioni ed importazioni delle varie nazioni o, in altre parole, mostra quali nazioni sono capaci di avere un bilancio attivo e pagare il loro debito e quali invece sprofondano sempre più in basso:



Tra i paesi in attivo troverete invariabilmente quasi tutti quelli “nemici” dell'occidente, dalla Cina, alla Russia, all'Iran, al Venezuela, alla Libia. Le due cose sono forse correlate?

La lista completa paese per paese mostra in testa la Cina, mentre in fondo il paese nelle peggiori condizioni sono gli USA, che seguendo il discorso del film sarebbero anche il paese più schiavo del mondo. In altre parole, gli Stati Uniti non sono un paese sovrano ma controllato da chi ne detiene il debito, quindi dalla Cina e da un piccolo gruppo di persone che tengono le leve dell'alta finanza e che dicono ai vari Bush ed Obama dove devono andare a fare le guerra per i loro interessi privati (non certo quelli dell'America come nazione), che poi significa per creare debito.

Quello che il regista del film cerca di dire è che questi signori, succhiato tutto quello che c'era da succhiare in America, stanno ora cercando di mettersi in mezzo tra la Cina ed il resto del mondo. Se ci riusciranno, se riusciranno a diventare i “broker” della Cina, i loro intermediatori, prima o poi riusciranno ad imporre alla Cina le guerre (e quindi il debito) ripetendo lo stesso giochetto a suo tempo fatto con gli USA: quello di fare lievitare il livello di vita di tutti i cittadini e poi minacciare all'improvviso di bloccare tutto e creare un tale malcontento popolare da distruggere la stessa nazione.


Barbusconi

[Continua a leggere...]

venerdì, novembre 19, 2010

I persiani a Palermo

Se da un lato rimane fondamentale per decifrare gli eventi politici di casa nostra tenere conto dei più ampi sommovimenti che stanno caratterizzando la presente era, dall'altro è importante anche dare conto dei piccoli passi che si fanno in Sicilia per tornare ad inserirsi nelle dinamiche storiche globali come soggetti attivi.

Pochi giorni fa abbiamo delineato brevemente il gioco di contrappesi medio-orientale in cui gli USA cercano di inserirsi per fronteggiare l'avanzata russo-cinese tramite terzi (si veda il post “Nuova Crimea”).

Vediamo ora di annotare due piccoli ma significativi eventi che mettono in risalto come anche da quelle parti, tra Damasco e Teheran, i vertici politici tengano sott'occhio gli sviluppi strategici dell'area centro-Mediterranea.

Il primo di questi eventi riguarda una conferenza tenuta nella capitale siriana nel giugno di quest'anno e denominata “Prima conferenza siriaco-italiana degli imprenditori”.

L'agenzia lanciata dalla Syrian Arab News Agency (“First Conference for Syrian, Italian Businessmen discusses developing Bilateral Cooperation”, SANA 8 giugno 2010) ruota intorno ai seguenti interventi:

“Il presidente dalla Camera di Commercio Internazionale siriana, Abdul Rahman al- Attar, ha invitato gli imprenditori siriani a servirsi dalla speciale posizione geografica della Sicilia nel sud dell'Italia per farne un ponte verso l'intera Europa.

Dal canto suo, l'ambasciatore italiano a Damasco, Achille Amerio ha invitato gli imprenditori siciliani a sviluppare la cooperazione economica e lo scambio di esperienze con la Siria, aggiungendo che la Siria è un partner fondamentale in quanto occupa una posizione geografica che ne fa un importante passaggio per il commercio ed i movimenti culturali tra l'oriente e l'occidente”.


La parte più significativa dell'intero discorso credo sia da considerarsi l'invito rivolto ai siciliani dall'ambasciatore italiano. Le sue parole indicano una rivoluzione strategica. Se fino a qualche tempo fa si faceva di tutto per censurare la posizione culturale siciliana, un ponte verso le aree medio-orientali, oggi nel nuovo sistema globale si cerca di sfruttare tale posizione. Questo perché, ora che il fulcro del mondo si sta spostando da occidente ad oriente, essa diventa sempre più imprescindibile.

Spostandosi ancora più ad oriente, nel caso dell'Iran, è stato invece il Parlamento Siciliano a muoversi con largo anticipo rispetto al resto dell'Europa.

Lo scorso maggio l'ambasciatore iraniano in Italia, Seyed Mohammad Ali Hosseini, è stato in visita a Palermo, secondo le agenzie di stampa persiane su invito del presidente dell'ARS Francesco Cascio (“Sicily to Hold Iran's Cultural Week”, Fars News Agency, 29 maggio 2010).

Hosseini riferisce che “Durante l'incontro Cascio ha evidenziato l'espansione della cooperazione culturale, commerciale ed economica tra l'Iran e l'Italia, la Sicilia in particolare”

I due avrebbero anche preso accordi riguardo ad un nuovo corso di lingua persiana all'università di Palermo ed allo svolgimento di una settimana della cultura iraniana nella capitale siciliana, oltre che discutere l'apertura di una camera di commercio iraniana.

Nella seconda parte l'articolo brevemente descrive alcune caratteristiche dell'Autonomia Regionale:

“La Sicilia è la più grande isola del Mediterraneo ed una regione autonoma dell'Italia. Le isole minori intorno sono anch'esse considerate parte della Sicilia.

La politica siciliana si sviluppa nella cornice di una democrazia rappresentativa presidenziale, nella quale il Presidente del Governo Regionale è il Capo di Governo, e di un sistema multi-partitico e multiforme. Il potere esecutivo è esercitato dal Governo Regionale. Il potere legislativo risiede sia nel governo che nell'Assemblea Regionale Siciliana.”


E con questo abbiamo anche scoperto qualcosa di nuovo sull'Iran: i persiani capiscono lo Statuto Siciliano meglio dei siciliani stessi.

[Continua a leggere...]

martedì, novembre 16, 2010

Come da programma

Urso (Fli) dopo le dimissioni dei finiani dal governo nazionale e l'apertura della crisi, dichiara che “l' Fli guarderà ad un’altra coalizione di centrodestra con forme che si richiamano alle forze del popolarismo europeo, quindi con Casini, Lombardo, Api” (“Fli esce, Schifani e Fini domani al Colle Berlusconi e Bossi: 'Fiducia o elezioni' ” IlGiornale.it, 15 novembre 2010). Una dichiarazione che sembra dare la leadership di questo “nuovo” blocco politico agli ex-fascisti.

In Sicilia sappiamo benissimo che le cose non stanno proprio in questi termini, visto che il blocco esiste già ed è guidato da Raffaele Lombardo. Urso, che come ricorderemo mantiene forti legami con la Sicilia dove ama passare le vacanze, propone quindi una novità già vecchia.

Dall'altra parte, Berlusconi ribadisce la sua ferma alleanza con la Lega più che con il suo stesso partito (Lo stato maggiore della Lega guidato da Umberto Bossi si trova faccia a faccia con Silvio Berlusconi e i suoi luogotenenti ad Arcore. Un "patto di ferro" tra i due alleati.), che in pratica vuol dire che in caso di elezioni i due schieramenti chi si scontrerebbero farebbero riferimento non più ad idee politiche, ma ad aree territoriali: nord contro sud.

E se a nord la Lega avrà buon gioco a presentare i nuovi sviluppi come un tentativo del sud di sabotare il federalismo per continuare a vivere di rendita, a sud il governo di Berlusconi ha fatto di tutto per irritare i potenziali elettori, cancellando ogni tipo di perequazione, trattenendo i fondi FAS, bocciando il piano rifiuti della Regioni Siciliana, e addirittura dichiarando illegali le leggi delle regioni del sud che vietavano di localizzare depositi di scorie nucleari nel loro territorio.

In questo clima, il risultato delle elezioni sembra essere scontato: spostamento di voti dal Pdl alla Lega al nord, e vittoria di Lombardo e compagnia bella al sud. Due blocchi contrapposti in tutto e arroccati nelle due metà del paese. L'effettiva spaccatura in due dell'Italia. E la sconfitta definitiva (finalmente) del pecoraio di Arcore.

Una sconfitta solo fisica, a ben vedere. Perché con un risultato del genere le sue idee avranno vinto. Non è un mistero che il suo obiettivo sia sempre stato quello di ridisegnare l'Italia su due macroregioni, una a nord ed una a sud, con lo Stato delle Chiesa nel mezzo (si veda il post “Indovinello”).

Si potrebbe anche pensare che questa “sconfitta” l'abbia pianificata lui stesso, con quello scandalo della casa a Montecarlo appioppato ad un Fini così servito su di un piatto d'argento a Lombardo.

Persino il momento internazionale non potrebbe essere più propizio.

La scorsa settimana si è tenuto a Seoul il vertice del G20 dove l'argomento principale sarebbe stato quello della “guerra delle valute”.

Come sappiamo, gli USA, indebitati sino al collo con il resto del mondo, vorrebbero ridurre la loro moneta a carta straccia per non pagare il dovuto (vedi “L'America ed il dollaro, un destino segnato”, RussiaToday.com del 9 novembre 2010 - Tradotto da Il Consiglio) ed a Seoul Obama aveva il compito di fare ingoiare il brutto rospo ai cinesi.

Secondo i giornali occidentali però il meeting sarebbe fallito, che sarebbe come dire che i cinesi e le altre potenze mondiali hanno risposto picche, nei fatti ponendo fine all'egemonia economica statunitense: da oggi in poi saranno loro (Cina, Russia, India, Brasile) a decidere la politica monetaria a stelle e strisce.

Figuriamoci se Washington avrà il tempo ed i soldi per venire a soccorrere i neo-risorgimentalisti italiani quando questi andranno a chiedere aiuto per evitare la inevitabile spaccatura di questa magnifica nazione.

Nella foto in alto, Urso ospita un gruppo di colleghi nella sua villa di Acicatena

[Continua a leggere...]

domenica, novembre 14, 2010

Nuova Crimea

Il 14 febbraio del 2005 nelle strade di Beirut, grazie a 100 kg di tritolo, venne assassinato Rafiq Hariri, ex primo ministro dimissionario del governo libanese.

L'omicidio, oltre a ricordare quello di Falcone nelle modalità (in quel caso si trattò di 350 chili di dinamite, molto più potente del tritolo), lo ricorda anche per le conseguenze: la conflagrazione infatti catalizzò le forze politiche che giostravano (e giostrano) intorno all'area cardine del medio oriente facendole venire allo scontro aperto. Scontro che ha raggiunto il suo apice con la tentata invasione israeliana del libano nel luglio 2006.

Ancora oggi in occidente ci si chiede ipocritamente chi abbia assassinato il leader politico libanese, mentre sui giornali è già stato deciso che il colpevole doveva essere la Siria. Il fatto che Hariri stesso avesse più volte dichiarato pubblicamente che proprio la Siria era assolutamente necessaria alla protezione del suo paese contro Israele ed avesse allo stesso tempo rifiutato di implementare la legislazione anti-terrorismo caldeggiata dagli USA (come ricorda la wikipedia inglese, ma invece censura quella italiana) non viene minimamente ricordato.

Fallito il tentativo di rompere l'impasse con la violenza della ricordata invasione del 2006, il fronte occidentale ha cominciato a circuire Bashar al-Assad, il presidente siriano, con la promessa di aprire il mondo al suo paese, da tempo sotto embargo internazionale. Diversi articoli sui mezzi da guerra mediatica anglosassoni (The Economist, Financial Times, National Geographic) cominciavano subito a riabilitare l'immagine di quello che fino a poche ore prima era un stato canaglia tra i neuroni facilmente impressionabili di buona parte dei propri lettori.

Il processo di normalizzazione nelle relazioni USA-Siria lo scorso mese di ottobre (il 4 per l'esattezza) portava ad un contrattacco nel caso “Hariri”, con la Siria che all'improvviso spiccava dei mandati di arresto internazionali contro 33 rappresentanti governativi libanesi con la stessa accusa che questi gli avevano rivolto precedentemente (la responsabilità dell'assassinio di Hariri). I mandati ovviamente non hanno alcuna speranza di essere eseguiti, perché l'Interpol difficilmente li avallerebbe. Ma dal punto di vista politico rappresentano uno stravolgimento sia nei rapporti di forza interni libanesi, che in quelli più vasti dell'area.

Il momento in cui tutto questo avveniva, lo scorso ottobre, ha anche altri risvolti, poiché la richiesta emessa dai giudici siriani preludeva, facendone da supporto, alla visita ufficiale del presidente iraniano Ahmadinejad in Libano che sarebbe iniziata il 13 seguente e che poi si sarebbe rivelata un immenso successo diplomatico iraniano.

La Siria si sarebbe dunque presa gioco di Washington? Forse sì, forse no, perché se da un lato il segretario di Stato USA, Hillary Clinton, continua ad esprimersi con toni aggressivi (“Il comportamento della Siria non ha soddisfatto le nostre aspettative degli ultimi 20 mesi, e le azioni siriane non hanno soddisfatto li suoi obblighi internazionali”, AFP 12 Novembre 2010), dall'altro il senatore democratico Kerry, in visita a Damasco, “ha sottolineato il ruolo della Siria nel raggiungimento della sicurezza e della stabilità nell'area” (9 novembre 2010), in effetti mostrandosi ansioso di trovare un punto d'incontro.

Quello che però sembra di poter leggere tra le righe è che il rinnovato feeling tra Teheran e Damasco, teatralmente messo in mostra nell'occasione ricordata sopra, non abbia inciso sul riavvicinamento tra Damasco e Washington. La qual cosa dovrebbe stupire non poco, visto che non facciamo altro che leggere peste e corna sui “fondamentalisti” persiani.

Se però includiamo nel quadro l'improvviso calo nei rapporti tra Teheran e Mosca, che recentemente insieme a Pechino ha appoggiato nuove sanzioni dell'ONU contro l'Iran ed è tornata indietro sulla vendita di armamenti (vedi dichiarazioni Ahmedinejad del 4 novemnbre) possiamo cominciare ad intravedere qualcos'altro prendere forma, e cioè un incredibile riavvicinamento tra gli Stati Uniti e l'Iran in chiave anti-russa ed anti-cinese.

Ecco perché la Siria non è stato “punita” dopo la sua spavalda dimostrazione di supporto nei confronti dell' “amico” Ahmendinejad: Damasco rappresenta la principale leva che Obama sta utilizzando per centrare un impensabile colpo politico.

Un colpo che qualora fosse messo a segno, potrebbe riaprire una immensa ferita che dopo oltre 150 anni stenta a cicatrizzarsi, una ferita che nella Mosca ortodossa chiamano la “Questione orientale”, sfociata nel 1856 nella tremenda Guerra di Crimea, l'evento politico che più di ogni altri ha determinato il destino della Sicilia nel XIX e nel XX secolo, quando la sconfitta delle “terza Roma” ad opera di musulmani ed anglosassoni (questi ultimi sostenuti anche dalla cattolicissima Austria) aprì le porte all'avventura Garibaldina.


Due illustri sopravvissuti alla Guerra di Crimea: Checov e Tolstoy

[Continua a leggere...]

domenica, novembre 07, 2010

La prova del Lupo

Se c'è un merito di cui questo blog è orgoglioso di fregiarsi è quello di aver contribuito in qualche modo alla riapertura del discorso sul fenomeno mafioso, mettendo in dubbio quelle origini mitologiche che alla fantomatica ed onnipresente organizzazione sono state affibbiate per assicurarle quella nobilitazione dei natali necessaria a poterla meglio piazzare sul lucroso mercato globale del truffa mediatica.

Con il recedere delle spinte post-risorgimentali in Sicilia ed il crollo dell'ideologia unitaria, quel capello che lega la mafia alla storia della nostra Terra è rimasto scoperto, ed ora rischia di essere spezzato: a tuttora non sembra che qualcuno sia riuscito a provare un qualche legame tra il fenomeno mafioso e la Sicilia pre-unitaria.

Su queste pagine abbiamo notato come la mafia fosse stata “scoperta” sono ad unità inoltrata, tanto che persino i vocabolari del tempo consideravano il termine come un neologismo (Si veda il post "I mafiusi della Vicaria"). Abbiamo chiarito come solo opera di fantasia fosse il collegamento ad una leggendaria e pre-esistente setta, quella dei Beati Paoli (Si vedano i post "Beata Ignoranza" e "L'eco della Baronessa"). Abbiamo riportato sempre più dichiarazioni sia di pentiti che si uomini di legge che configurano una regia esterna alla Sicilia se non addirittura all'Italia.

Di più, tra gli archivi locali o quelli borbonici non si è mai riusciti a trovare una qualche indicazione circa la presenza di questa “piaga” sociale che teoricamente teneva sotto scacco l'intera società civile.

Anche le teorie secondo cui essa si sarebbe originata nelle campagne per poi spostarsi in città, teorie che potrebbero in qualche modo spiegare la mancanza di documentazione storica negli archivi civici, in fin dei conti potrebbero anche rafforzare il partito di chi sostiene che la mafia sia una conseguenza dell'Unità, visto che in qualche modo il processo di migrazione deve aver trovato un catalizzatore risorgimentale che avrebbe favorito l'ingresso del potere agricolo-mafioso tra i palazzi di Palermo.

A me sembra invece che tra i palazzi di Palermo stia avanzando il coraggio di affrontare l'argomento e di riscriverne la storia. Una svolta questa che mette seriamente in crisi l'esistenza stessa di una delle industrie più floride mai sorte in Sicilia: quella dei professionisti dell'antimafia.

Professionisti che oggi si ritrovano una sola ed ultima arma a disposizione, e nella disperazione si sono finalmente decisi a metterla in campo.

Lampante esempio di questo può essere considerata la Conferenza organizzata dal Centro Studi Pio La Torre dal titolo “Dall’Unità d’Italia ad oggi: evoluzione del rapporto storico tra mafia, potere e opposizione sociale”.

Ecco cosa ci rivela Salvatore Lupo, docente di Storia Contemporanea presso l'Università di Palermo (A Sud'Europa, Novembre 2010):

“Con l’Unità d’Italia si affermano nel nostro paese i principi e diritti di uguaglianza dei cittadini tra di loro e davanti alla legge. Per questo motivo, da questo momento storico, la società civile comincia a percepire l’illegalità del fenomeno mafioso. Sbaglia quindi chi sostiene che la mafia nasca con l’Unità d’Italia. Semplicemente prima non veniva percepita come illegale.

Lupo, mentre ammette di essere con l'acqua alla gola – altrimenti non avrebbe dato spazio alla tesi “sbagliata” (“che la mafia nasca con l’Unità d’Italia”) – in sostanza ci ripropone sotto mentite spoglie la teoria secondo cui i conquistadores franco-anglo-padani ci avrebbero portato la civiltà, a noi popolo di selvaggi condita da un ulteriore “tutto prima dell'Unità d'Italia era mafia” che chiarisce il calibro culturale di questa categoria di affabulatori.

Il dipendente pubblico (nel senso di “pagato dai Siciliani”) espone dall'alto della sua cattedra una teoria, il ché può anche risultare lecito vista la posizione che ricopre all'interno del mondo accademico. Quella stessa posizione impone però allo stesso tempo qualcos'altro. Impone di utilizzare il metodo scientifico esponendo il ragionamento seguito e supportandolo con prove precise, magari evitando di dare del “poco intelligente” a chi sostiene tesi diverse.

Da parte nostra aspetteremo, prima di dare un giudizio sul suo operato, di esaminare queste “prove” Documenti dell'epoca, soprattutto.

Speriamo di non dover aspettare troppo: in tempi di crisi economica credo i Siciliani abbiano il diritto di sapere se questi soldi siano stati ben spesi.

MP3 dell'intervento

[Continua a leggere...]

mercoledì, novembre 03, 2010

Ivan il terribile

Il seguente articolo è stato pubblicato oggi dal Sole 24 Ore. Originariamente avevo intenzione di proporlo in alto, tra gli approfondimenti. Credo invece che debba essere letto il più possibile. Primo perché fa vedere come le nuove alleanze ai vertici del governo regionale abbiano rimescolato le carte, con personaggi quali il Lo Bello (autore del pezzo del Sole) o il Riggio (appollaiato ai vertici dell'ENAC) che di colpo con le nuove alleanze di Palazzo D'Orleans si sono trovati isolati è si sono ridotti a fare un tipo di opposizione dai toni di bassissimo profilo, quasi ricattatori. E secondo perchè espone quegli altarini che oramai solo i ciechi non riescono (o non vogliono?) vedere.

I miei commenti sono in grassetto, tra le parentesi quadre.

La Sicilia del futuro contro i nuovi Borboni
di Ivan Lo Bello [Presidente di Confindustria Sicilia]
2 novembre 2010

Da qualche tempo alcuni esponenti della politica siciliana e meridionale hanno avviato (con interventi estemporanei che vanno dalle nostalgie borboniche, alle invettive su Garibaldi, ad improbabili secessioni) una fragile e confusa revisione storica del processo di unificazione, rivalutando molti aspetti economici e sociali della fase preunitaria.

Il processo di unificazione nazionale rappresentò per il Mezzogiorno una grande opportunità di crescita civile ed economica, anche se nessuno ha mai voluto nascondere contraddizioni e zone d'ombra.


[Dichiarazione ancora condivisibile questa: è possibile che molti, in Sicilia per lo meno, avessero visto in quel processo una qualche prospettiva. Purtroppo tutti i sogni si infransero non appena Garibaldi approdò a Marsala: che speranza si può porre in gente che lancia il sasso e nasconde la mano – l'espediente dei Mille per camuffare l'intervento Sabaduo – e che fiducia si può sentire per uno stato che fonda le sue basi sul tradimento e la corruzione – vedi la strana mancanza di resistenza da parte dell'esercito borbonico]

Le condizioni economiche della Sicilia alla vigilia del 1861 presentavano un ritardo significativo rispetto alle parti più sviluppate del Nord del paese e rilevantissimo verso quelle nazioni europee che avevano avviato un serio processo d'industrializzazione, ma drammatiche erano le condizioni civili: un tasso di analfabetismo altissimo e infrastrutture pressoché inesistenti.

[Forse è vero che le condizioni della Sicilia, dal punto di vista industriale, fossero in ritardo rispetto a Napoli ed ad altri paesi europei – non certo rispetto al Nord Italia – ma le condizioni civili non erano per niente drammatiche: erano equiparabili a quelle di ogni altro paese del continente.]

I rapporti sociali, con particolare intensità nelle campagne, riproducevano schemi che sembravano consegnati alla vecchia cultura feudale e il latifondo parassitario rivestiva un ruolo centrale nell'economia siciliana, e questo nonostante lo sviluppo di altre colture intensive che iniziarono a fiorire in quegli anni.

[Vero, ma non è detto che questo si traducesse automaticamente in condizioni di vita peggiori, vedi le condizioni economiche e sociali dei contadini del Piano Padano]

La Sicilia ebbe dopo il 1861 un rilevante progresso economico e civile, basti guardare agli indicatori postunitari nel settore del trasporto ferroviario e nello sviluppo dell'istruzione. Mancò, è vero, un significativo sviluppo industriale che invece ebbe luogo nel Nord del paese. Ma questo non può essere addebitato all'ingresso della Sicilia nello stato unitario in quanto, come dice Guido Pescosolido, «non esisteva un'industrializzazione in atto al momento dell'Unità e dato l'atteggiamento dello stato borbonico non si vede come avrebbe potuto esservi se esso fosse sopravvissuto».

[Non è chiaro quale sia questo progresso di cui va cianciando il Lo Bello, visto che il nuovo Stato si preoccupò di mantenere intatto il sistema feudale di proposito per crearsi a posteriori l'alibi del sottosviluppo. L'atteggiamento dello stato Borbonico era favorevole al giusto grado di industrializzazione, senza essere disposto a dare mano libera ai gaglioffi di Confindustria]

I veri limiti della stagione pre e post-unitaria vanno invece rintracciati nel trasformismo delle classi dirigenti risorgimentali e liberali che, pur con significative eccezioni, adottarono in larga parte gli schemi sociali ed economici della vecchia cultura parassitaria del latifondo.

Fu in quei decenni che si cementò un patto tacito tra le classi dirigenti del Sud e Nord del paese che pur con alterne vicende ha segnato la storia siciliana fino a tempi recenti, quando dopo la Seconda guerra mondiale l'egemonia sociale dei vecchi agrari fu sostituita da un nuovo ceto economico e politico che riprodusse e aggiornò attraverso la spesa pubblica, le distorsioni dello sviluppo urbanistico e la compressione del mercato la vecchia cultura parassitaria.

Per quale motivo allora questi rigurgiti storici emergono oggi in Sicilia e in altre parti del Mezzogiorno?

Due fattori sono intervenuti a modificare lo scenario economico e politico: la contrazione strutturale dei flussi di spesa pubblica; la prospettiva ormai ravvicinata del federalismo fiscale e le sue presumibili conseguenze politiche.

Il processo di contrazione della spesa pubblica ha preso avvio già dopo la crisi economica dei primi anni 90 e gli sforzi sostenuti dal nostro paese per l'ingresso nell'area dell'euro.

L'inizio dell'opera di contenimento della spesa non ha però modificato i comportamenti sociali e politici e questo prevalentemente per la mancanza d'incentivi e disincentivi adeguati. Troppo spesso la spesa in conto capitale è stata trasformata in spesa corrente, e i disastri e dissesti finanziari di alcuni comuni e di tante municipalizzate hanno trovato una «partecipe comprensione», cancellando di fatto il principio di responsabilità. L'esplosione del debito in questi ultimi dieci anni ne è stata la logica conseguenza.

La contrazione della spesa pubblica, e i meccanismi di responsablizzazione che con grande probabilità scaturiranno dalla piena applicazione del federalismo fiscale, minacciano oggi fortemente un pezzo del ceto politico ed economico che in questi decenni ha costruito fortune politiche ed economiche su una capillare redistribuzione e gestione assistenziale e clientelare di risorse pubbliche e prerogative amministrative.


[Una delle componenti del vecchio sistema ad essere minacciata in modo più serio è proprio la Confindustria Italiana, che non potrà più succhiare risorse pubbliche]

I rigurgiti neo-borbonici rappresentano pertanto una variante della vecchia ideologia sicilianista che è sempre risultata funzionale alle esigenze d'identità e di potere dei ceti parassitari che hanno nel tempo ostacolato il processo di modernizzazione della Sicilia e di gran parte del Mezzogiorno.

[Ci siamo: per vendetta verso Lombardo si scoperchiano quegli altarini che già tutti hanno visto. A primo acchito questa associazione tra neo-borbonismo e sicilianismo appare strabica. I Sicilianisti non hanno mai mostrato nostalgia per l'esperienza borbonica.... In realtà il nostro si sta riferendo alla nuova irreversibile struttura politica in cui sta per sfociare il sud Italia insieme alla nostra isola, una struttura probabilmente di tipo federativo che coinvolga le varie regioni (per quanto artificiosa la loro delimitazione sia sempre stata). La congiunzione tra Sicilianismo e Neo-Borbonismo sta in questo. La variante con l'antico Regno delle Due Sicilie che potrebbe soddisfare le richieste “Sicilianiste” risiede proprio nella struttura federata e nel fatto che la vera testa dell'operazione non sarebbe a Napoli ma in Sicilia, cosa questa che però l'ex capitale partenopea non vuole digerire – vedi defezioni dall'MPA e tentativo di formazione di una nuova forza politica meridionalista - Noi Sud - da parte di Vincenzo Scotti.
Oggettivamente Napoli non ha alcuna possibilità di ritornare ai fasti antichi di baricentro politico del Mediterraneo. Oggi che la principale rotta commerciale è tornata ad essere quella orientale, l'area campana è l'unica del meridione a non avere un proprio sbocco ad est, una “tara”che si dimostrerà insormontabile e che favorirà il rilancio di quelle che nel medioevo erano le regioni politicamente più avanzate d'Italia: la Sicilia e le Puglie a sud insieme all'area veneta a nord – tanto per chiarire ancora di più da dove proviene quella misteriosa alleanza tra Veneto e Sicilia di cui parlavamo nello scorso post.]


Fonte articolo: Il Sole 24 Ore

[Continua a leggere...]