Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

lunedì, aprile 30, 2007

Recensioni

In mezzo a tanta spazzatura, ogni tanto tra i media di uno Stato "occidentale" dalla libertà di stampa di livello africano (senza offesa per gli africani, spesso oppressi da regimi di ascari sin troppo simili a quelli rintracciabili nelle aree centrali del Mediterraneo) si riesce a scovare qualcosa di interessante.

Per questo vorrei segnalarvi due ottime oasi di informazione di un certo livello, guarda caso ambedue nate in quella fucina culturale che è (era, e sarà) la Sicilia.

La prima segnalazione riguarda la carta stampata: La Voce dell'Isola, giornale quindicinale siciliano, diretto da Salvatore Barbagallo, sembra un miracolo, un fiore nel deserto che non si sa come sia sgusciato tra le strette maglie delle reti politiche di ascari che farebbero meglio a passare le mattinate appunto pescando piuttosto che poltrire tra gli scranni del parlamento più antico del mondo aspettando chissà quale ispirazione.

Al suo interno coraggiosi articoli di denuncia, come quelli sul sabotaggio dello Statuto sui numeri del 14/04 e del 31/03, ed interessantissime note storiche sul Vespro e sui cruciali anni 40 che videro l'infuriare della rivolta indipendentista

Dal sito (http://www.lavocedellisola.it/) è possibile scaricare e leggere per l'intero il giornale, visto che ancora non è disponibile in tutta l'isola.

La seconda segnalazione si riferisce invece alla nuova trasmissione di Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore nato a Catania ma originario di Agira nell'ennese.


Ieri sera abbiamo assistito alla prima puntata si Giarabub, in onda su La7 ogni domenica alle 23:30. Secondo la descrizione degli autori Giarabub sarà un programma itinerante, che offrirà spunti di riflessione partendo da fatti di cronaca.

Manco a farlo apposta, Giarabub è un'oasi situata nel deserto africano tra l'Egitto e la Libia, tra l'altro teatro di importanti fatti bellici nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

Per la prima puntata, per metà disponibile anche on-line, si è scelto come quinta una raffineria di Priolo, mentre l'argomento sembrava essere lo "scontro" tra i punti di vista arabo ed occidentale sulla realtà della religione musulmana.

Sembrava dicevamo, perché in realtà Buttafuoco ed il suo ospite (un siciliano convertito all'Islam) non hanno fatto altro che segretamente parlare della Sicilia ai siciliani, chiudendola con un Assabenedica che ha suonato quasi come una schiacciatina d'occhio alla nostra storia che gli "altri" non potevano capire.

E già, Buttafuoco: nel suo ultimo bellissimo libro (Le uova del drago) ha commesso qualche strafalcione "politico" (vedi la descrizione della personalità di Canepa e la mistificazione dei fatti di Comiso), ma l'altra sera su Rai 2 quando ha scaraventato in faccia al bellimbusto che gli stava di fronte, e che lo accusava di regionalismo, un "la Sicilia non è una regione" ci ha fatto gridare nuovamente al miracolo.

E così fanno due miracoli nel giro di poche righe. Che stia veramente cambiando qualcosa dentro di noi?
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venerdì, aprile 27, 2007

Bulli, Pupi e Pupari

La mia città massacrata. La mia Catania insultata ed infangata davanti agli occhi del mondo intero. Con bugie, falsità, menzogne.

La mia città spacciata per un covo di delinquenti, per un campo di battaglia permanente. I miei concittadini svenduti come ladri, violenti, imbroglioni.

RAI 3, telegiornale regionale delle 14:00 del 24 aprile 2007: va in onda lo spettacolo neocoloniale. Un falso reportage presenta la città come in preda a bande di "bulli" che prendono d'assalto la gente in pieno giorno mentre "fa lo shopping" con grave pericolo per l'incolumità personale.

In una città con un indice di criminalità comunque basso, dove puoi girare da solo la notte senza temere alcunché, patrimonio mondiale dell'UNESCO, dove le notizie degli efferati crimini che tranquillamente si consumano nei nebbiosi borghi padani sembrano provenire da un altro mondo, un inferno che Catania si è messo alle spalle con la fine degli anni '80 del secolo scorso.

Librino, un quartiere abitato da gente che fa i salti mortali per arrivare a poter riposare con lo stomaco pieno la sera, ma con dignità e senza scorciatoie.

Librino più sicuro del centro di Bologna in pieno giorno. Povero, ma vivo ed onesto. Librino dove anche amici e parenti miei hanno lavorato ed insegnato recandosi tranquillamente in motorino ogni giorno senza che mai gli fosse successo qualcosa. Librino il 2 febbraio scorso condannato senza processo ad essere considerato l'immagine stessa del degrado e del vizio umano: un falso costruito in piena e consapevole malafede dagli organi di informazione ragionali e nazionali.

Catania, la città che sta tentando di alzare la testa, testarda ed impertinente. Si è permessa di mettere le prime pietre per trasformare la Sicilia in quell'hub del Mediterraneo che ci hanno impedito di essere da 150 anni a questa parte. Che ha completamente riprogettato il suo centro storico per attrarre quel turismo che merita. Che sta tentando di fare sistema con altre aree dell'isola per creare il valore aggiunto che serve alla nostra economia.

Catania sicuramente strafottente ed a tratti incivile, ma mai doma. Come in quell'11 gennaio 1693, quando perdeva all'improvviso due terzi della sua popolazione di 18.000 persone, ma che in soli 10 giorni, tra le macerie che ancora riempivano le strade dopo l'immane terremoto, si asciugava le lacrime e riapriva le aule universitarie in ricoveri di fortuna: altro che 11 settembre americano! Vengano loro a prendere lezioni da noi!

Solo che ora qualcuno non vuole che a Catania si completi l'opera iniziata. E per questo ha sguinzagliato i suoi pupi, seduti tra gli scranni di Palazzo dei Normanni a Palermo.

Catania in fondo come tutte le altre città siciliane (Palermo inclusa), mortificate dall'opera interpretata da pochi pupi in veste di ascari, che per rispetto alle nostre stesse istituzioni chiamiamo comunque onorevoli, ma i cui fili vengono tirati lontano da qui.

Da quel giorno del 1693 non erano passati che poco più di 200 anni quando a Messina il 28 dicembre 1908 toccò la stessa sorte del Val di Noto. Solo che nel '600 tutto rifiorì più forte e più splendente di prima. Nell'Italia "unita" quella sventura segnò la fine di Messina, della orgogliosa città che cacciò i francesi nella guerra del vespro e che sino a quel fatidico giorno aveva rivaleggiato con Palermo con velleità da capitale.

Chi tiene questi fili? Chi è il puparo?

C'è la Catania prima stazione appaltante d'Italia ridicolizzando l'olimpionica Torino, c'è quella della squadra di calcio in A che quando si incontra con Palermo in un derby trasmesso in mondovisione e fa ascolti da far impallidire le stracittadine di Roma, Torino e Milano. C'è poi quella che nelle ultime elezioni regionali si è rifiutata di votare per Totò Cuffaro facendo ampio uso del voto disgiunto. Ed infine c'è quella del 2 febbraio, quando senza alcun indizio si parlò subito di Librino, che guarda caso è il serbatoio di voti principale dell'attuale amministrazione. Amministrazione che in cambio sta rendendo il quartiere degno di essere abitato da degli esseri umani (non ho timore di riconoscere i pochi meriti di una classe politica peraltro inconsistente).

Troppi fatti e troppe strade riportano a quel 2 febbraio. Troppo bene erano piazzati quei riflettori, e troppo tempestivi nell'accendersi all'unisono. Ma state attenti che non abbiamo paura di voi, bulli, pupi o pupari che siate.
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lunedì, aprile 23, 2007

Sulle spalle degli altri

Per quale motivo esiste il divario nord-sud?

A questa domanda si è tentato di dare risposta in vari modi. Le ragioni proposte da storici e falsari vari possono essere catalogate in vario modo. Vi sono quelle storiche che non si capisce bene a cosa si riferiscono, vi sono quelle sociali che praticamente non sono altro che un inno a Lombroso, vi sono quelle geografiche secondo cui la Sicilia, ad esempio, è "marginale" quando si tratta di chiedere soldi per mantenere l'occupazione alla FIAT, ma è centrale quando si costruiscono le raffinerie.

Non riusciamo però a far combaciare tutto questo castello di fandonie con alcuni dati diffusi nelle ultime settimane. Abbiamo già menzionato la 'strana' graduatoria delle dichiarazioni IRPEF, che non mostrano alcuna differenza tra nord e sud, potendo osservare una città come Napoli nelle prima 30 - 35 posizioni, Catania a metà classifica ed addirittura Ravenna tra le ultime e Rimini 100ma!

Dopo è arrivata la graduatoria dell'assenteismo nel pubblico impiego: ci si è divertiti a sparlare di Bolzano, città con il più alto indice di assenteismo, e di Siracusa, città dal più basso indice di assenteismo, ma la realtà fotografata dice ancora una volta che non si è registrata alcuna differenza tra nord e sud.

Adesso si parla del recupero dell'evasione grazie alla graduatoria sulla variazione del gettito fiscale tra il 2005 ed il 2006. Anche in questo caso non si notano differenze apprezzabili tra il nord ed il sud della penisola, tanto che tra le prime 10 posizioni vi sono 6 province settentrionali (Lecco, Trieste, Bergamo, Massa, Pisa, Brescia) e 4 meridionali (Crotone, Messina, Salerno, Palermo).

Le indicazioni fornite da tutti questi dati non sono di poco conto. Se esse venissero affiancate da dati concernenti il PIL (prodotto interno lordo), la qualità della vita e il consumo di beni di lusso sembrerebbero indicare tutto il contrario di quello che è stato propagandato da 150 anni a questa parte. Sembra cioè che sia il nord a vivere sulle spalle del sud e non viceversa. Non potrebbero spiegarsi altrimenti le differenze tra i livelli di vita osservabili e le dichiarazioni dei redditi: al nord nessuno paga le tasse, mentre al sud lo stato rastrella a più non posso.

Una conferma potrebbe provenire dai dati della guardia di finanza: essendo dai dalle dichiarazioni IRPEF ovvio che il grosso dell'evasione si nasconde nella provincia padana, ne consegue che dovremmo avere una maggiore incidenza di irregolarità rilevate nelle regioni settentrionali. Se ciò non avviene personalmente non riesco ad imputarlo che ad un solo fatto: al nord non si fanno i controlli.
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giovedì, aprile 19, 2007

Gli è tornata la memoria...

Quante volte abbiamo, noi siciliani, cercato di protestare contro le inesattezze storiche pubblicate dai giornali, scritte sui libri, propagandate dai politici, spacciate dagli storici, urlate attraverso lo schermo televisivo: dal finto plebiscito, ai martiri dell'Autonomia, sino alle recenti fiction RAI (e tra poco arriverà sui nostri schermi l'ultima chicca: una baronessa di Carini spostata all'ottocento che alla fine non muore perché salvata nientepopodimeno che da Garibaldi, tra i dolori di fegato di Anita).

Ma coloro i quali scrivono continuando a perpetrare il falso così indecentemente lo fanno per ignoranza o in malafede? O forse hanno ragione loro e siamo noi siciliani a travisare la storia?

L'Italia "unita" nella sua breve e sozza storia, oltre alle colonie interne, ha avuto la possibilità di prevaricare anche oltremare. I nostri sussidiari ci parlano di popolazioni barbare, anche più dei terroni, alle quali con generoso slancio etrusco-latino si è tentato di portare un alito di ultraterrena civiltà sciaguratamente rispedito al mittente nel giro di pochi decenni.

La verità però circolava da tempo: i soliti disfattisti, urlavano i patrioti, citando strade ed opere di irrigazione che comunque al giorno d'oggi non si sa in che condizioni siano e senza specificare se queste erano costruite ad uso e consumo di tutti o solo dei coloni (che includevano anche una importante componente di disperati siciliani).

Ora all'improvviso è tornata la memoria a tutti e dall'oggi al domani, senza bisogno di riaprire archivi segreti, senza bisogno di indire nuovi processi (come la buffonata di Bronte di pochi anni or sono in cui si assolvevano tutti i protagonisti dei famigerati 'fatti' con nordica nonchalance), il Sole 24 Ore, a corollario della visita di D'Alema a Tripoli, può scrivere:

"(...) un colonialismo che non ebbe mano leggera: la guerriglia di Omar al Mukhtar fu repressa con 120mila morti su una popolazione di 800mila abitanti (...)"

Non so se i numeri così rendono la dimensione dello sterminio: considerando circa 200.000 vecchi e bambini e circa 300.000 donne diciamo che grosso modo è stata ufficialmente trucidata metà della popolazione maschile in età utile. Quindi o tutti facevano parte della guerriglia di Omar, o i macellai nostrani hanno scatenato una tale apocalisse da fare impallidire posti come il Rwanda o il Darfur.

In confronto a questi numeri, che scrupolo potrebbero mai avere avuto i tosco-padani quando i loro occhi avvistarono l'oro millenario dei Normanni?

E visto che ad un cenno dei loro padroni i giornalisti del paese che occupa la 40ma posizione nella speciale classifica sulla libertà di stampa dietro esempi di democrazia quali il Mali o Panama (ed appena più sopra della Serbia solo ieri bombardata con entusiasmo da tutto l'occidente) hanno subito dimostrato una ecccezionale perizia storica, non sembra qui si possa parlare di memoria corta. Piuttosto sarebbe meglio fare riferimento a problemi di "penna" corta.

Certo le cose ora sono cambiate, ed in cambio dell'oro nero libico l'Italia promette la costruzione di una autostrada da Tripoli sino al confine egiziano.

E pensare che in Sicilia in cambio della nostra aria, della nostra acqua, delle vite dei nostri figli non abbiamo ancora un'autostrada che porti a Siracusa o a Gela o una linea ferroviaria decente che colleghi Catania e Palermo.
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martedì, aprile 17, 2007

La strana storia di AS

L'Abate Vella vuole sbilanciarsi facendo una previsione su quello che sarà il destino del 17enne rinchiuso nel carcere minorile di Bicocca per l'omicidio di Filippo Raciti il 2 febbraio scorso.

Il destino a volte gioca con le nostre vite in modo crudele, ed il giovane (colpevole o no non si sa, anche se ognuno si sarà fatto un'idea) si è suo malgrado trovato al centro di qualcosa molto più grande rispetto alla bravata che pensava di fare.

Non tanto per la morte del poliziotto, ma perché tutto il castello accusatorio nei confronti della città di Catania si basa sul fatto che il colpo mortale inferto al commissario Raciti abbia avuto origine dentro lo stadio.

Senza questo legame tra l'interno dello stadio e la morte del poliziotti non vi sarebbe responsabilità oggettiva e quindi si dovrebbe indagare più a fondo sull'origine degli scontri, sul perché della mancanza di poliziotti dentro e fuori lo stadio, sugli strani lanci di lacrimogeni sulle tribune della curva nord che avrebbero potuto provocare una vera e propria strage.

Niente di sicuro quindi. Ma tutti sappiamo quanto vera sia la giustizia in Italia e come un sospetto valga quanto la condanna.

L'Abate Vella, dicevamo, fa una previsione alquanto azzardata e si sbilancia a dire che la posizione del giovane non sarà definita almeno sino a quando il campionato di calcio non sarà finito o il destino del Catania deciso (serie A o B).

Se ciò si avvererà, cercheremo di analizzare più attentamente i motivi di una tale strana situazione.
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martedì, aprile 10, 2007

La resa di Siracusa

Di oltraggi la nostra isola ne ha subiti tanti negli ultimi (quasi) 150 anni. Ma nessuno ha quel sapore di beffa, quel sapore perfido di ignoranza e di sfregio che solo la vicenda dell'INDA riesce ad avere.

Nel 1913, mentre il resto d'Europa precipitava in un medioevo di barbarie, in tempi in cui i siciliani avevano ancora la percezione della loro patria, a Siracusa si costituì il comitato promotore di quello che potrebbe essere considerato il progetto culturale più ambizioso del '900: qualcosa al cui confronto la riedizione delle olimpiadi in chiave moderna di de Cuberten diventa una semplice manifestazione di contorno, almeno sul piano squisitamente culturale. Si decide cioè di far tornare il Teatro Greco di Siracusa all'antico splendore, destinandolo nuovamente alle rappresentazioni teatrali della tragedia greca.

La prima rappresentazione si svolse nel 1914: l'Agamennone di Eschilo suonò quale monito a quell'Europa che di greco non ha proprio niente, se non la refurtiva di qualche scorribanda mediterranea.

Nel 1925 il comitato si trasformò in Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA) come Ente Morale, continuando a svolgere la sua attività unica al mondo sino al 1998 quando si decise (giustamente) di trasformarlo in fondazione.

Ma ahimè l'ascaro siciliano non ha ritegno, e così l'intera storia dell'Isola Sacra di Sicilia si è dovuta prostituire all'invasore ignorante che ha preteso di spostare la sede dell'INDA addirittura a Roma.

Come tesse le sue trame il destino. Come dovevamo scendere in basso: l'istituzione culturale siciliana più importante, conosciuta in tutto il mondo per il suo merito irraggiungibile di avere restituito all'umanità le più grandi opere dell'intelletto nei loro scenari naturali scippata alla sua ovvia sede. Quale insulto per i nostri antenati che vedono la loro immensa civiltà divenire preda dell'arido nemico romano.

Duemila anni fa i siracusani difesero la loro civiltà sino a che l'ultimo respiro non fu esalato e morirono con lei, trascinandosi dietro la loro aristocratica fierezza ed impedendo ai soldati di Marcello di portare a Roma quale trofeo la loro dignità. I siciliani di oggi hanno permesso al ladro romano di riuscire dove il suo ben più degno antenato aveva fallito, e così oggi l'INDA mantiene la sede operativa a Siracusa ma ha sede legale a Roma.

La cosa è tanto mostruosa ed abnorme che sul sito ufficiale della fondazione la verità è quasi nascosta. E potremmo non farci neanche tanto caso se poi non decidessimo di andare a comprare i biglietti. Allora scopriremmo che gli spettacoli di Siracusa sono vietati ai giovani siciliani, perché se non hai la carta di credito puoi comprarli solo a Siracusa. Oltre ovviamente che in decine di punti vendita a Roma ed al Nord Italia.

Ecco la realtà della Sicilia di oggi, dove i nostri studenti non possono andare a vedere le rappresentazioni classiche perché i biglietti li vogliono tutti i padani. Caro sindaco di Siracusa, non si vergogna ad essere presidente di una tale schifezza? Non Le viene il voltastomaco pensando a quale bassezza la classe politica alla quale appartiene è arrivata?

Cosa aggiungere? Che magari sul sito Italia.it, il portale del turismo in Italia voluto dal romanaccio Rutelli (il cui nonno palermitano non smette di rivoltarsi nella tomba), la pagina della storia d'Italia le civiltà della Magna Grecia e della Sicilia non le cita neanche?
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giovedì, aprile 05, 2007

Il professore Bertinotti e la lezione di geografia


In cosa può rendersi utile il Sud Italia e la Sicilia per un comunista italiano tutto d'un pezzo come Bertinotti?

Bel discorso quello del presidente della camera all'università Kore di Enna lo scorso martedì. Peccato che nessuno gli abbia allegato una cartina geografica del Mediterraneo insieme ai fogli del discorso.

Certo ci regala perle inestimabili, come ad esempio l'esaltazione della vergogna dell'emigrazione meridionale che secondo lui è da vedere positivamente perché ha favorito l'emancipazione... di cosa? Della razza terrona? Passando poi anche per il riconoscimento dei grandi meriti dell'assistenzialismo, che sempre secondo lui non ci ha ridotti ad accattoni. No: è stata una 'forma di compensazione'.

Compensazione per cosa? Ed a chi è servito questo 'riflesso di stato sociale' (parole sue), a chi ha giovato questo vivere dell'altrui riflesso splendore?

Ma poi ecco che riesce a stento a trattenersi e lascia scivolare tutto il suo menefreghismo ed il suo malcelato contegno per i buzzurri terroni. Ecco che arriva la verità: 'e il Mezzogiorno può essere una grande opportunità se l'Europa sa guardarlo come un ponte verso le culture del Mediterraneo'

Caro Bertinotti, dicevamo ripassati la geografia: noi non siamo un ponte verso le culture del Mediterraneo. Noi SIAMO il Mediterraneo. Il suo centro per l'esattezza. Ed il tuo ponte non sono altro che le zattere di quei disperati che lì a Roma voi vi giocate come lenticchie alla tombola di Natale, mentre sbavate pensando ai voti che potrebbero portarvi ed ai soldi che vi faranno guadagnare lavorando IN NERO nelle vostre fabbrichette.

Ecco a cosa ti serve il Sud: come comodo corridoio per i tuoi carri bestiame caricati a voti.

Applausi finali.
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mercoledì, aprile 04, 2007

Il costo della vita visto da nord

L'aeroporto di Palermo accoglie i turisti con degli eleganti cartelloni pubblicitari che contrastano con i freddi pannelli lasciati nell'aeroporto di partenza e dedicati al culetto di qualche aspirante velina o ai soliti prodotti industriali. A pochi metri dall'uscita della sala degli arrivi è quindi possibile prendere il treno che arriva sino al centro città. Ed è a questo punto che il piacevole benvenuto avuto sino ad ora si interrompe bruscamente.

Dopo aver pagato 4,50 € di biglietto (un prezzo in linea con le altre città d'Europa) saliamo su delle carrozze sporche e malandate, vecchie di almeno vent'anni e che pare non abbiano mai visto un restauro. La linea ferrata sino al centro città è sporca, infestata dai rovi, e ad ogni stazione vediamo materiale ferroviario abbandonato sparso ovunque, proprio come in tutti i paesi del terzo mondo che si rispettino.

Può mai essere questo il benvenuto che la capitale di una nazione che vuole investire sul turismo offre ai suoi più preziosi clienti, i turisti?

Verso la fine degli anni 80 all'arrivo alla stazione di Bologna i ragazzi meridionali ammiravano i graffiti metropolitani che già allora ricoprivano i muri di alcune città del nord. Questi graffiti arrivarono in Sicilia con qualche anno di ritardo, ma è interessante notare come da noi i primi vagiti di questa cosiddetta “arte” metropolitana non comparvero sui muri, ma sulle vecchie carrozze dei treni che le allora FS spedivano in Sicilia, senza neanche ripulirle, ad uso e consumo dei terroni.

Nessun politico locale si è mai lamentato a proposito, anzi: il solito ascaro camuffato da artista impegnato falsificava la realtà sostenendo in un bel film (Lamerica, parliamo del calabrese Gianni Amelio) che le carrozze vecchie venivano date agli albanesi, facendo finta di non sapere che i primi albanesi eravamo noi.

La tesi di Amelio risulta ancora più fuorviante quando pensiamo che gli albanesi sicuramente pagavano il giusto prezzo per lo scadente servizio offerto da quelle vecchie carrozze, mentre i terroni pagavano (e pagano) per lo stesso squallido servizio degli albanesi un prezzo padano.

Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per ogni altro servizio offerto dallo stato nei possedimenti del sud: oggi l'aeroporto di Catania è collegato con molte delle principali città europee e presto con quelle del Nord Africa con voli affollatissimi. Come mai Alitalia non ci ha pensato prima? Costringendoci a fare scalo a Roma o a Milano di fatto estorceva una tratta aerea al nostro portafoglio (per non parlare del tempo).

Per arrivare poi della corrente elettrica: le interruzioni al sud raggiungono livelli insopportabili per le attività produttive, eppure il kWh costa quanto al nord. Ed il gas: non abbiamo bisogno delle infrastrutture, visto che i giacimenti sono a portata di mano, ma dobbiamo scontare sulla nostra bolletta quelle necessarie per l'industrializzazione del nord.

Fino alla sanità: il fatto che da noi gli ospedali non funzionino proprio come dovrebbero non rende alla Regione il costo degli esami e degli interventi inferiore rispetto al Nord Italia.

In pratica tutto questo può essere riassunto in un sovvenziona mento del dispendioso stile di vita padano da parte di tutti i meridionali, che pagano servizi pubblici di competenza statale a prezzi altissimi rendendo di fatto il costo della vita esorbitante per il suo livello effettivo.

Avete mai udito un politico dei nostri dire qualcosa in proposito? Mai. Anzi, ora che al nord incominciano a scricchiolare si sta cercando di fare passare per buono l'esatto contrario, anche perchè il mondo sta cominciando a notare quanto questo divario tra nord e sud sia sospetto.

Non potendo truccare più di tanto le loro graduatorie (peraltro sbugiardate dalle dichiarazioni IRPEF che vedono in Rimini una delle province più povere d'Italia, a dimostrazione del fatto che da quelle parti sono liberi di evadere il fisco quando e come vogliono) pescano strani indici di “well being” (dello “stare bene”) direttamente dal paese delle meraviglie.

E' il caso (esempio tra i tanti) di un articolo apparso su L'Espresso del 5 aprile, 'Si fa presto a dire povero', che inizia con queste parole:

'Non è detto che una famiglia catanese sotto la soglia minima di reddito sia davvero più povera di una che vive a Vicenza con uno stipendio superiore'

Secondo l'articolista altri elementi dovrebbero entrare nel computo come le opportunità, la libertà di realizzazione personale, la qualità della vita. Ora, chiunque abbia una sia pur minima esperienza delle due realtà si rende conto di come una volta presi in considerazione questi ulteriori elementi la famiglia catanese non è più povera, ma MOLTO più povera di quella vicentina, l'unico fatto a vantaggio dei catanesi essendo il clima. Invece secondo il nostro è vero il contrario.

Cosa ancor più sinistra si fa un accenno alla percezione del reddito. Cioè: una famiglia dal reddito x si sentirà comunque povera se tutti gli altri hanno un reddito 5 volte x, mentre sarà felice se sarà circondata da tante famiglie composte da altrettanti poveracci. Praticamente si invoca apertamente il segregazionismo, la costruzione di un muro di cemento a sud del Lazio.

Sicuramente alla lettura delle ultime righe qualcuno potrà sorridere. Mi chiedo allora se anche in Germania qualcun altro a suo tempo abbia sorriso alle prospettive dei lager nazisti pensando che si stesse andando troppo in là con la fantasia, e che mai si sarebbe arrivati sino a quello.

E comunque non mi sembra il caso di verificare la cosa sulla nostra pelle: rimbocchiamoci le maniche e cominciamo a lottare.
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lunedì, aprile 02, 2007

Il ministro gioca d'azzardo

La decennale vicenda del casinò di Taormina, oramai diventata emblema dell'oppressione dello stato in Sicilia, ha di nuovo provocato quello sdegno generale che in sempre più occasioni vede il Popolo Siciliano unito, ovviamente ad esclusione dei soliti professoroni dell'antimafia, razza di avvoltoi tipica della nostra isola dedita più al saccheggio che al perseguimento della verità.

Il richiamo ai "professoroni" non è casuale, dato che il ministro pseudo-siciliano Giuliano Amato ha invocato il loro adattabile nume per liberarsi degli scocciatori che lo attendevano al varco con la solita richiesta circa la riapertura della vecchia casa da gioco a Taormina.

Con le incaute dichiarazioni del ministro dell'interno la linea di motivazioni secondo cui il casinò di Taormina servirebbe prevalantemente da lavanderia della criminalità organizzata siciliana (o mafia che dir si voglia) è stata ufficializzata definitivamente. Il che espone il fianco dello Stato ad alcune considerazioni di una certa gravità.

Che nei casinò si possa facilmente riciclare denaro non dovrebbe sorprendere nessuno. E non dovrebbe sorprendere nessuno il fatto che in quasi tutti i casinò italiani si siano diffusi odori di riciclaggio provenienti da sud. Sorprende invece come questi odori vengano quasi sempre sorvolati dai mezzi di stampa e come i personaggi che li emanano vengano presto allontanati dalle prime pagine dei giornali(vedi ad esempio il recente caso che ha coinvolto la gloriosa casa Savoia).

Il libro "Messina Campione d'Italia" del 2006 ad esempio, scritto da Roberto Gugliotta e Gianfranco Pensavalli, spiega i meccanismi grazie ai quali la malavita messinese ricicla denaro sporco nella famosa casa da gioco.

La contiguità giurisdizionale tra la Sicilia ed il resto d'Italia rende nulla la barriera posta dalla distanza geografica. Non essendovi frontiere il corriere che viaggia con i soldi da riciclare non rischia più di tanto nel fare il viaggio verso nord.

Il problema potrebbe essere un altro e risiedere proprio nella legalità dei guadagni delle case da gioco autorizzate: il casinò di Taormina insisterebbe in larga parte sulla provincia di Catania, fino ad un decennio or sono regno incontrastato del temutissimo Nitto Santapaola (oggi in carcere). Tra gli anni 80 e 90 uno dei maggiori "business" del gruppo Santapaola era proprio il gioco d'azzardo. Catania era un pullulare di bische clandestine gestite dai membri del clan, frequentatissime da tutta la Catania bene (politici, imprenditori, personalità) e probabilmente era lo stesso a Messina, come probabilmente lo è ancora oggi, anche se con una minore intensità.

L'apertura di una casa da gioco legale avrebbe significato la perdita di un enorme giro d'affari. Cosa ci andavano a riciclare dopo?

In effetti tale linea di ragionamento è quella classica che sottende a tutte le legalizzazioni: senza dover nuovamente tornare al probizionismo americano, sia a destra che a sinistra in Italia si propone l'ovvia ricetta della legalizzazione per combattere da un lato lo sfruttamento della prostituzione e dall'altro il traffico internazionale di stupefacenti.

Stranamente però secondo i professoroni dell'antimafia (e da oggi anche secondo lo stato...) tale legge non varrebbe nel caso del gioco d'azzardo. Come dobbiamo interpretare la cosa? Una evidente manifestazione dell'altissimo valore della ricerca scientifica italiana capace di interpretare al meglio le problematiche sociali o il solito moralismo peloso buono solo a coprire aree particolarmente grigie della realtà politica italiana?

Tornando al nostro caro ministro, dicevamo come la dichiarazione lasci il fianco scoperto a parecchi cattivi pensieri fornendo legna da ardere a chi vede nella "mafia" non un avversario dello stato italiano ma un suo fedele emissario incaricato di mantenere l'ordine nei possedimenti d'oltre faro.

Noi sicuramente crediamo nella buona fede di Amato (magari digerendo a fatica quel suo ammiccamento alle origini siciliane), ma restiamo perplessi sul come possa diventare ministro (dell'interno per giunta) qualcuno che non abbia la benchè minima idea di quello che stia succedendo nella nazione da egli stesso governata.
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