Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

sabato, marzo 29, 2008

Cu l'INPS si mori

Ricevo e pubblico questa interessante lettera da parte di Orazio Vasta (Rarika Blog)

Egr.Signor Procuratore della Repubblica
di Catania
e p.c INPS sede di Catania
-Redazione "Mi manda raitre"
- Organi di stampa
- Blogs

Da oltre un decennio lavoro,nel periodo primaverile-estivo,alla reception del Lido dei Ciclopi (Gli Ulivi srl) di Acitrezza,rapporto di lavoro che s'interrompe il 31 ottobre per "fine stagione banleare". Da due anni ho raggiunto i requisiti per avere DIRITTO alla DISOCCUPAZIONE ORDINARIA,che,con la nuova normativa vigente,viene ritribuita dall'INPS mensilmente per almeno sei mesi dopo il licenziamento. Ebbene,al 27 marzo 2008, la sede INPS di Catania ha così pagato,attraverso bonifico postale, la mia INDENNITA DI DISOCCUPAZIONE:
*€ 287,67..."13 giorni.Periodo dal 18/11/2007 al 30/11/2007"
*€ 757,22..."30 giorni.Periodo dal 1/12/2007 al 31/12/2007"
*€ 371,19..."17 giorni.Periodo dal 1/01/2008 al 17/01/2008".
Intanto,non si capisce con quale criterio viene deciso il numero dei giorni da indennizzare: a novembre 13 giorni,ma io sono stato licenziato il 31 ottobre;a gennaio 17 giorni,ma gennaio conta 31 giorni;e oggi è il 27 marzo,e del bonifico dell'INPS nessuna notizia!Converrà con me,Dottore,che questa è una modalità, a dir poco, assai strana d'intendere e di pagare una "indennità di disoccupazione"!
Ma,la cosa che è ancora più sorprendente,è che il mio non è un caso limite. E' così che vengono trattati dalle nostre parti i cittadini che hanno DIRITTO ALL'INDENNITA' DI DISOCCUPAZIONE ORDINARIA! Dalle nostre parti,perchè,da Roma in su,il mio sarebbe un caso limite,considerando,dalle informazioni da me acquisite,che,puntualmente, ogni giorno 20 del mese, i benificiari del trattamento previsto dalla legge,ricevono il bonifico dell'INPS territoriale.
Qui,no,Egregio Signor Procuratore della Repubblica,qui no!
Qui,oltre al danno del lavoro precario- come è nel mio caso-subiamo questa comprovata ILLEGALITA' da parte dell'INPS. E come definire chi non applica le norme previste dalla legge? ILLEGALITA'.
E' LEGALE il conteggio "allegro" fatto dei giorni da indennizzare?
E' LEGALE la non puntualità di tale indennizzo?
E' LEGALE che non ci sia un ufficio URP all'INPS,e che bisogna fare file,file e sempre e solo file interminabili,interminabili e mortificanti file bulgare, per poi sentirsi dire,con tanta aria di sufficienza,dall'impiegato/a di turno, che il "fatto" non è di sua competenza, oppure essere liquidati con l'ermetica e altrettanto indisponente"la pratica è in lavorazione"?
Dottore,mi rendo conto del gran lavoro che svolge Lei e il suo Ufficio,in questa Terra dove alligna ancora la malapianta della mafia. Mi rendo conto del gran lavoro che viene svolto dagli organi giudiziari e di polizia. Ma,Santo Dio,la LEGALITA' deve essere applicata,rispettata e tutelata ovunque,lo dice la stessa Costituzione democratica. E,allora perchè l'INPS si può permettere di fare tutto quello che vuole nei confronti degli aventi DIRITTO all'indennità di disoccupazione?
Attenzione,parlo di DIRITTO e non di favore.
Io ho DIRITTO all'indennità di disoccupazione mensile,e gennaio è di 31 giorni anche a Catania! E il mese di marzo fa parte del calendario anche in Sicilia! E sono disoccupato dal 1 novembre,ma non per l'INPS, che è in ritardo di 17 giorni!
Egregio Signor Procuratore della Repubblica di Catania,credo fermamente nel PRINCIPIO DEMOCRATICO DEL DIRITTO e mi rivolgo a Lei perchè tale DIRITTO mi venga RICONOSCIUTO e TUTELATO,anche nei confronti dell'INPS.
In attesa di un Suo riscontro,un cordiale saluto.
Orazio Vasta

Catania,27 marzo 2008

Che dire? Sdrammatizziamo con una freddura di Giuseppe Castiglia... (Per ascoltarla, cliccate nel riquadro che spunta passando con il mouse sopra il collegamento).
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giovedì, marzo 27, 2008

Area grigia


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lunedì, marzo 24, 2008

Palermo delenda est (Seconda parte)

Leggi la Prima parte di questo post

Ma anche se il potere si sposta ad oriente, non abbiamo spiegato perchè Palermo debba essere cancellata. Per questo dobbiamo capire bene cosa sarà il porto di Augusta: un porto di transhipment.

Ad Augusta dovranno arrivare le gigantesche navi porta-container che fanno la spola tra i principali porti del mondo (Singapore, Dubai, Amsterdam) per scaricare le merci “en ruote” (senza cioè dover cambiare rotta nel loro viaggio tra oriente ed occidente). Questi container non finiranno il loro viaggio ad Augusta. Essi saranno ricaricati su navi più piccole e distribuiti negli altri porti mediterranei da dove raggiungeranno i mercati. Quando la destinazione sarà a nord, la circumnavigazione dell'isola è poco conveniente. Diventa più economico trasportare il container su rotaia verso un approdo volto a settentrione. Anche se il porto di Augusta rappresenta il fulcro del sistema commerciale mondiale asservito all'economia cinese (non lo avevate ancora capito chi comanderà il gioco?), esso non può funzionare da solo.

Quale sia questo porto di sbocco potrebbe sembrare sin troppo ovvio: Termini Imerese. Ed invece no. Per forza si vuole costruire il ponte, in modo da fare ripartire le merci da Gioia Tauro. Questo è l'unico obbiettivo infrastrutturale per la realizzazione del ponte. Una soluzione talmente irragionevole da non potersi divulgare apertamente. La Malpensa del sud. Un vero è proprio fallimento annunciato per l'economia siciliana.

Un fallimento perchè il razionale dietro questo progetto non è economico ma politico. L'obiettivo è impedire che questo polo strutturale sia localizzato interamente nell'isola, cosa che la renderebbe troppo “indipendente” agli occhi di alcuni poteri piazzati a nord. E non mi riferisco alla Padania, che oramai quella se la sono pappata gli stranieri.

E qualche parola su Gioia Tauro (un porto gestito in privato da aziende straniere che lasciano al territorio solo una manciata di salari da terzo mondo) bisogna dirla. Chi ha deciso di piazzare una struttura di quelle dimensioni proprio lì dovrebbe essere internato. Per arrivare a Gioia Tauro le navi devono attraversare lo stretto di Messina (le merci provengono tutte da oriente), un collo di bottiglia che è già al limite di traffico sostenibile (vedi il post Ombre sullo stretto). Gioia Tauro non ha futuro senza un porto di appoggio volto a sud. Ma anche in questo caso la soluzione “ponte” lascia a desiderare. Il porto è piazzato in corrispondenza di quella “strettura” che ha dato il nome all'intera penisola. Invece di costruire il ponte-mostro si potrebbe ingrandire un porto dall'altra parte dell'istmo (Siderno per esempio) e collegarlo con una ferrovia.

In questo modo si avrebbero due poli logistici, uno in Sicilia ed uno in Calabria che potrebbero armonizzare le loro operazioni ed essere integrati dal punto di vista organizzativo. Con un altro vantaggio: in tutti e due i casi la ricchezza prodotta apparterrebbe interamente al territorio e non vi sarebbe bisogno di farla passare da qualche altra parte prima di farla tornare qui ampiamente scremata e sotto forma di aiuti (o sarebbe meglio dire ricatti?) di stato.

Il ponte avrà anche un'altra caratteristica poco attraente: sarà un'opera privata. Nel momento in cui capitali pubblici e privati si mescolano, gli interessi prevalenti non sono quelli dell'indistinto “popolo” che paga le tasse, ma quelli dei pochissimi che avranno versato il loro denaro direttamente. Un'opera costruita con denaro pubblico non deve diventare produttiva nel senso capitalistico del termine. Ma un'opera dove si è investito capitale privato lo deve essere. E se si vuole attrarre questi capitali privati si deve assicurare il ritorno agli investitori: il passaggio sul ponte costerà salato! Come confermato dallo stesso Lombardo che è capace di contraddire se stesso nel giro di 2 righe: “verrà pagata per metà coi finanziamenti già erogati, e per metà dai privati che poi incasseranno i pedaggi. Non costerà un euro alla cittadinanza.”

Basta questo per capire il motivo per cui il ponte lo si vuole costruire subito. Se prima si approntasse l'alta velocità tra Catania e Palermo e si ammodernasse il porto di Termini (per entrambi basterebbero i capitali pubblici) non vi sarebbe più bisogno del ponte, perchè sarebbe molto più economico mandare le merci dall'altra parte dell'isola piuttosto che dall'altra parte dello stretto. Se invece si costruisce prima il ponte, si potranno poi usare i soliti mezzucci per impedire il collegamento CT-PA e l'adeguamento del terminale marittimo.

Sul fatto che il ponte serva solo ed esclusivamente per il trasporto merci da Augusta a Gioia Tauro nessuno dovrebbe avere più dubbi: il ponte scavalcherà sia Messina che Reggio, i turisti vengono già in aereo e per l'alta velocità da Napoli in giù non vi sono neanche i progetti. Ma allora su cosa dovrebbe guadagnarci un privato? Solo la sicurezza che non vi saranno mai alternative logistiche al porto calabrese potrà attrarre capitali privati.

Il ponte taglierà la Sicilia in due e ne impedirà lo sviluppo economico. Tutto quello che cambierà sarà che i parassiti si sposteranno da Palermo a Catania, e siccome chi mangia fa mollica la “capitale” etnea avrà il suo ritorno contabile. La realizzazione dell'inutile mostro manterrà la Sicilia in posizione di colonia. E senza la Sicilia a fare da traino anche il resto del Sud Italia rimarrà azzoppato.

Solo se Catania e Palermo si uniranno questo pericolo potrà essere scongiurato. Un pericolo che coinvolge tutto il meridione d'Italia, che senza una Sicilia forte non riuscirà mai a risollevarsi e rimarrà uno stato fantoccio telecomandato da fuori. E l'unione deve essere anche fisica. La salvezza e la rinascita della Sicilia passano infatti per il collegamento ferroviario tra le sue due principali città. L'alta velocità tra la Sicilia orientale e quella occidentale è la vera madre di tutte le infrastrutture. Una volta fatta quella lo sviluppo di Termini Imerese sarà automatico.

Qualche mese fa si era sparsa la voce che Raffaele Lombardo avesse chiesto alla comunità europea di cambiare il nome del corridoio Berlino-Palermo in corridoio Berlino-Catania. Non era uno scherzo e non era neanche una sua idea. E' un fatto facilmente verificabile anche dal sito del Ministero delle Infrastrutture. Aprendo questo documento e scorrendolo sino alla pagina 21 vedrete raffigurato il più importante polo logistico del Mediterraneo: Augusta-Gioia Tauro, evidenziato dalla striscia blu. Il progetto non ha colore politico: la sinistra sarà contraria al ponte (cioè contraria alla realizzazione del polo logistico) fintantoché sarà la destra a comandare in Sicilia. Dovessero cambiare le carte in tavola, sarebbero loro a darsi da fare per la costruzione del ponte. Chi dice che il polo logistico si farà solo se la destra vincerà le elezioni sta solo facendo campagna elettorale. Tutti e due gli schieramenti nel frattempo sono d'accordo nel cancellare Palermo: uno presenta Raffaele, l'altro Anna.

Questa è la sfida che i Siciliani, e soprattutto i partiti siciliani, devono avere il coraggio di affrontare uniti. Se perdiamo, la Sicilia (ed il Sud Italia) rimarranno schiavi per altri 150 anni.

E chiudiamo con un altra schizofrenica perla del nostro prossimo presidente che ribadisce tutto quello che abbiamo detto: "(Senza il ponte l'alta velocità) non arrivera' mai in Sicilia, e per percorrere i duecento chilometri della Palermo-Catania continueranno a volerci sei ore. Una cosa non da Paese civile". Secondo lui, l'alta velocità in Sicilia si farà DOPO la linea Napoli-Reggio Calabria. Ci sta preparando: visto che tra Napoli e Reggio non vi sarà mai nessuna alta velocità, ne consegue che mai ve ne sarà neanche tra Catania e Palermo.

In bocca al lupo, Sicilia. E speriamo che questa volta a crepare sia il lupo...


I catanesi (I Percussonici) arrivano a Palermo (Vucciria Festival 2006), ma sullo stretto ci fanno passare la musica...

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sabato, marzo 22, 2008

Stati canaglia

Mentre a Cuba il regime liberalizza la vendita dei computer, il mondo “libero” inorridisce alle nuove misure repressive decise dalla Siria, stato canaglia nemico giurato della democrazia e dei diritti dei popoli (dicono...).

Secondo l'agenzia diramata da Reuters “Le autorità siriane hanno ordinato agli utenti degli internet cafè di rivelare la loro identità. (...) Gli ufficiali di sicurezza questa settimana hanno diramato l'ordine ai propietari degli internet cafè di registrare i nomi e conservare una copia dei documenti d'identità dei loro clienti insieme agli orari di nei quali questi arrivano e vanno via.”

Per Mazen Darwich, capo del Syrian Media Center (una organizzazione indipendente che monitorizza l'oppressione contro i media) “Queste misure sono state prese per terrorizzare chi usa internet e per incrementare la paura e l'auto censura in violazione del diritto alla privacy ed alla libertà di espressione”.

Ma vi sono posti dove si fa anche di peggio. Ad esempio in una nazione dove sono già anni che i frequentatori degli internet cafè vengono presi di mira allo stesso modo, oggi si tenta di schedare chiunque possegga un computer.

La cosa più curiosa sono le motivazioni del governo siriano, secondo cui i controlli sono necessari a prevenire la “penetrazione israeliana”. Ed in Italia? In Italia i controlli sono necessari per prevenire la “penetrazione terroristica”.

Stessa faccia, stessa razza.
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mercoledì, marzo 19, 2008

Palermo delenda est (Prima parte)

Ogni volta che le forze in gioco cambiano e l'asse del potere mondiale si sposta da un popolo all'altro, la Sicilia ne sente il riflesso in modo diretto ed irrevocabile. Questa è un era di cambiamenti. Vediamo come questi si stanno attuando nella nostra terra alla vigilia di un voto che inciderà profondamente sul modo in cui li assorbiremo. La seconda parte del post sarà pubblicata nei prossimi giorni.

Ne stanno sprecando di carta i giornali. Chi si presenta, fascista o mafioso, chi vincerà, chiamiamola destra o chiamiamola sinistra, chi salirà, un transessuale in Sicilia o un terrone di Lampedusa in Emilia Romagna. Discorsi inutili, perchè comunque il paese rimarrà ingovernabile. Come da copione.

La vera battaglia alle prossime elezioni si svolgerà in Sicilia. Una battaglia nascosta ai riflettori nazionali (e cioè al popolo bue) grazie al trucchetto della concomitanza con le politiche “romane”. E si tratta di un dramma in due atti. Il secondo (forse il meno interessante) ci dirà se il prossimo presidente siciliano si chiamerà Raffaele o Anna. Il primo è già stato recitato e si è concluso con una immensa svolta storica che come al solito racconteranno i posteri, ma che ai contemporanei si è fatto di tutto per celare: il tramonto della gloriosa capitale dell'isola, la capitale degli arabi e dei normanni, degli aragonesi e delle rivolte contro i Borbone prima e contro i Savoia dopo. Il tramonto di Palermo.

Anna o Raffaele, dicevamo. A scanso di equivoci anche la BCE (localmente nota come PD) ha presentato un candidato catanese, malgrado ai fini del risultato elettorale sarebbe stato più logico proporre un candidato della Sicilia occidentale proprio in contrapposizione all'inviso (ai palermitani) Raffaele Lombardo. Ed invece no: il presidente DEVE essere un catanese.

Ma come mai? C'è il forte rischio che i catanesi, con il loro provincialismo esasperato che non li fa vedere oltre gli archi della marina, cadano nell'autocelebrazione, convinti che questa sia una vittoria della loro “spirtizza”(*). I segnali non sono buoni, se il primo a cedere al suo stesso provincialismo è proprio colui che dovrebbe rappresentare la cultura a Catania, il direttore del teatro stabile Buttafuoco, che getta al caldo vento di scirocco parole farneticanti su Palermo, sulla mafia e persino su Federico II.

No. E' inutile che i catanesi si impettiscano tanto. Se potrà anche essere vero che Palermo è in crisi per sua stessa viltà, non è poi così sicuro che i catanesi abbiano qualche merito nell'inarrestabile avanzata (perché inarrestabile lo è veramente) della loro città.

Per capire quello che sta succedendo basta guardare alla nostra storia. Nella notte dei tempi, quando i mercanti fenici scorazzavano liberi nel Mediterraneo, fondarono diverse città tra le quali Cartagine nelle vicinanze della odierna Tunisi. I cartaginesi, come ogni popolo che abbia ambizioni di dominio su questo mare, si procurarono un avamposto in Sicilia in posizione intermedia alle loro rotte che dalla città nordafricana si propagavano per tutto il Mediterraneo occidentale. Questo “hub” marittimo e commerciale fu l'isola di Mozia, protetta dallo stagnone e irraggiungibile per le grosse navi da guerra (ancora oggi si può arrivare all'isola solo con piccole imbarcazioni o tramite una strada lastricata nascosta appena sotto la superficie dell'acqua, come 3000 anni fa).

Quando da oriente giunsero le genti greche seguendo quella scia colore del vino seminata dal sole al tramonto(**) scelsero a loro volta un posto con caratteristiche simili, ma che fungesse da hub per le loro rotte est-ovest: l'isola di Ortigia. La supremazia orientale (egea) spostò il baricentro della Sicilia da occidente verso oriente, almeno fino a quando nuovi popoli tornarono a impossessarsi della nostra isola giungendo dalle loro basi sulla costa tunisina: gli arabi riportarono il baricentro ad occidente, a Palermo.

E lì detto baricentro è rimasto attraverso l'era moderna, quando i “dominatori” giungevano sempre più da occidente (dagli spagnoli, agli inglesi, agli americani). Ma in questo inizio di secolo stiamo assistendo a dei cambiamenti di tale portata che pochi nelle ere precedenti hanno avuto il privilegio di testimoniare. Stiamo assistendo al tramonto dell'impero anglosassone ed al sorgere di una nuova potenza che con i suoi emissari si è già affacciata nel Mediterraneo per stabilirvi i suoi empori commerciali. Ed il cavo che simbolicamente sta per congiungere Catania e Mumbai non è altro che il segnale della rotazione che l'asse millenario di Trinacria ha GIA' compiuto.

Ogni tipo di commercio ha bisogno di determinate infrastrutture. Ed ogni era usa le tecnologie che gli sono proprie. E se dalle saline fenicie si è passati alle anfore greche, sino alla trazione meccanica della rivoluzione industriale, oggi il commercio ha bisogno di comunicazioni veloci, porti dalle acque sempre più profonde, aeroporti dalle piste sempre più lunghe. E l'area della Sicilia che può fornire tutte queste cose è la piana di Catania, allo sbocco della quale il caso (e non la “spirtizza” dei suoi abitanti) volle porre l'omonima città.

Il fulcro dell'hub Sicilia sarà un porto: il porto di Augusta, lo sbocco a mare della piana di Catania, sta per diventare uno dei più importanti punti di snodo del commercio mondiale. Ed infatti la sua ristrutturazione è bloccata da processi, carte ed indagini che altro non sono se non il moderno mezzo di scontro (una volta si sarebbero usate le spade...) tra i due poteri che vorrebbero avere il controllo dell'area, rappresentati manco a dirlo da PD e PDL.

E lo scontro non è solo per chi controllerà l'area. Lo scontro è anche per decidere come si riuscirà a deviare verso nord i profitti che l'hub logistico genererà. Non importa se il nord sarà Roma o Bruxelles. E se qualcuno crede che non sia possibile mettere in pratica un giochetto del genere (rubarci cioè il formaggio ancora più da sotto il naso di come hanno fatto sino ad oggi), allora provi a guardare al porto di Gioia Tauro: il primo porto del Mediterraneo non dà niente alla Calabria. Fuori dai suoi cancelli è rimasto un deserto economico.

Fine Prima Parte.

(*) Con il termine “spirtizza” si indica quell'insieme di furbizia, prontezza di riflessi, spavalderia tipiche di chi sa il fatto suo. Presenta insieme connotati sia positivi che negativi a seconda del senso del discorso, tanto che del primo della classe si dice “è spertu a scola”, mentre del più discolo “fa u spertu”.

(**) L'Italia fu detta dai greci enotria (terra del vino) per questa scia sul mare al tramonto e non perchè vi si producesse il vino. La novella di Sciascia che nel titolo ricorda questa scia non è altro che una citazione di Omero.

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domenica, marzo 16, 2008

Le solite grane



Secondo il settimanale britannico The Economist, “La domanda cinese per le materie prime di ogni tipo sta crescendo così velocemente e sta creando un tale boom economico per i contadini (...) che i banchieri hanno creato un neologismo per descriverla: superciclo” (traduco per quel popolo che vorrebbero tenere buono: un ciclo economico che non finirà più. Un cambiamento epocale, in altri termini).

Secondo la TV araba Al-Jazeera, il constante incremento del prezzo delle materie prime (tra le altre, il grano) ed il conseguente aumento del costo al consumo di pane sta provocando pesanti problemi in Egitto, dove il governo non riesce più a pagare per importare le necessarie quantità di cereali. Risultato: davanti ai panifici ci sono le file e non tutti riescono a sfamare la famiglia (tanto per essere maligni, direi proprio come in Unione Sovietica prima del crollo).



D'altronde i grafici con l'andamento del prezzo di scambio dei futures dei cereali (sopra vediamo riprodotto un esempio riguardante per l'appunto il grano) parlano chiaro.

La situazione del grano siciliano è alquanto particolare, grazie al sistema coloniale vigente (vedi post). Attraverso la lettera di Giuseppe Antonio Li Rosi (*) del consorzio produttori agricoli di Raddusa, possiamo capire come stanno vivendo questo “boom” i produttori siciliani:

La notizia pubblicata da Apcom e ripresa dal quotidiano La Sicilia sul crollo del prezzo del grano del 10% é l'inizio della solita speculazione annuale che tende a far ribassare i prezzi poco prima della raccolta e favorire l'acquisto ai commercianti.

Tre sono le considerazioni, a mio parere, che ci devono far riflettere sulla condizione dei produttori di grano duro e specialmente di quelli siciliani.

La prima é che la notizia non specifica di quale grano si stia parlando: di quello duro o di quello tenero?

La seconda riguarda i tempi del ribasso, che di solito sono iniziati sempre a maggio ed oggi li fanno iniziare nel mese di marzo.

La terza, invece, é sulla situazione siciliana facendo notare che chi quota il grano sulla pagina dell'economia de La Sicilia ne ha approfittato per togliere 10 euro a tonnellata al grano duro.

I giochi si stanno sporcando, difatti, é del 7 marzo 2008 la notizia del PAM (Programma Alimentare Mondiale) braccio dell'ONU, che si occupa delle emergenze alimentari che lancia un allarme sulle scorte alimentari; queste sono al loro minimo storico: appena 53 giorni di scorta e quando si scende sotto i 60 gg. la diminuzione dei prezzi é anomala.

Allora c'é da chiedersi come mai questo calo e perché nella prima decade di marzo.
Inoltre, il 10% di ribasso riguarda il grano tenero mentre il duro ha smesso di salire ma non si parla ancora di flessione.

Considerazione finale é che in Sicilia siamo precursori, perché non solo abbiamo già i prezzi del grano più bassi d'Italia a 470 ton. di fronte ai 532 dei mercati più importanti della penisola, ma abbiamo già applicato i saldi estivi abbassando il prezzo da euro 480 di domenica 2 marzo, a euro 470 di domenica 9. Che zelo!

A noi agricoltori siciliani ci bastano già le speculazioni delle multinazionali, quelle di piccolo cabotaggio fanno traboccare il vaso.


Una precisisazione: la notizia del calo del 10% è vera. Ma non si tratta di un crollo, bensì di un semplice aggiustamento dopo mesi e mesi di rialzi sfrenati (vedi grafico) di cui (desumo dalla lettera) gli agricoltori siciliani non hanno beneficiato.

Come mai? In questo caso le multinazionali non c'entrano niente, ed infatti Li Rosi parla di “speculazioni di piccolo cabotaggio”. Sono le speculazioni dei seguaci del genio dell'economia padana Giulio Tremonti, che fieramente si oppone alla “globalizzazione”. Ma cosa intende il Tremonti per “globalizzazione”? Semplicemente la possibilità per i Siciliani di vendere i loro prodotti direttamente sui mercati internazionali, senza dover passare dal ricatto italiano, che compra tutto a prezzi stracciati (non globalizzati...) per poi rivendere a prezzi di mercato (a prezzi cioè globalizzati).

Globalizzazione selettiva, ecco come dovremmo chiamare le idee di Tremonti. Selettiva perchè come per tutto il resto in Italia, quando si produce ricchezza, va bene solo per pochi intimi.

(*) La lettera di Li Rosi ci è stata gentilmente inoltrata da Rino Baeli di SiciliaPaisi.org
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martedì, marzo 11, 2008

Il pacchettaro


In Italia abbiamo tanti nei. Ma se un neo in posizione strategica attrae, troppi insieme diventano repellenti . E così fino a quando si trattava di neo-realismo, eravamo attraenti. Poi sono arrivati i neo-melodici. E poi questa nostra finta nazione è caduta nel ridicolo, ri-sfornando il solito vecchiume anni 60 quasi si trattasse di vertiginosi salti in avanti del Made in Italy. Abbiamo subito la nuova (neo) Lambretta, la nuova (ma sempre neo) 500, e via via sino agli orrori para-mafiosi della “nuova” Parmalat e della “nuova” DC. Ma la lista potrebbe continuare indefinitivamente. A voler sempre ripetere il passato incaponendoci sulle stesse note, sorge il dubbio che il problema vero sia la mancanza di idee.

E non ci stupisce che qualcuno pensasse di riproporre interamente il sistema che aveva dato vita agli originali. Di riportare cioè indietro le lancette dell'orologio al lasso di tempo corrispondente grosso modo al periodo compreso tra gli anni 60 e gli anni 80, dopo l'evidente fallimento dell'invettiva celodurista di Bossi. Ecco allora la prima novità, perchè invece di un movimento neo-qualchecosa, il nuovo (ed è bene ricordare, altrettanto fallimentare) corso politico-ideologico potrebbe essere meglio indicato con il termine di post-padano, anche se sempre di vecchiume si tratta.

I post-padani, adepti del mago dell'economia padano-reazionaria Giulio Tremonti, non vogliono ne più ne meno che rifarsi una verginità rimettendo a posto ciò che la Lega ha con puntiglio (e diciamolo pure, facendo anche un chiaro favore ai “terroni”) contribuito a disfare. Vogliono cioè ricostituire il sistema di sfruttamento sotterraneo e sistematico del meridione d'Italia che Bossi con un clamoroso autogoal (voluto?) aveva reso esplicito.

L'esempio più lampante di questo tentativo risiede nella fondazione della neo (e ci risiamo...) Cassa del Mezzogiorno, ora malandrinescamente ribattezzata (non possiamo trattenerci dal vedere il Tremonti con il dizionario dei sinonimi tra le mani) come Banca del Sud, tuttora presente nel programma del PDL.

Nell'operazione si sta anche cercando di cooptare gli stessi fessi (credono loro) terroni con l'ingenua tecnica della pacca sulle spalle.

Sì, la pacca sulla spalla della rivisitazione catto-leghista della storia del risorgimento. Ma solo di quella! I “pacchettari” si guardano bene dal rivisitare quello che successe DOPO il risorgimento.

Il più autorevole portavoce di questo “sentire” post-padano crediamo di poterlo individuare nel giornalista Maurizio Blondet, che attraverso il suo giornale on-line (www.effedieffe.it) ogni giorno cerca di somministrarci il velenoso intruglio abilmente diluito tra le righe dei suoi peraltro competenti ed affascinanti articoli di politica e cultura italiane ed internazionali.

«Ai tempi del fascismo non sapevo di vivere ai tempi del fascismo»

Ecco una bellissima citazione di Hans Magnus Enzensberger ripresa da Blondet per la recensione del libro di Quaglia sull'11 settembre. Il direttore di Effedieffe non ha dubbi nello sposare la tesi complottistica su quei fatidici fatti.

Ma quello che è importante capire è che Blondet conosce l'occidente, sa dove cercare il marcio ed è capace di stanarlo. Non ha timori a denunciare Israele quando crede sia necessario farlo, o a spiegare Putin quando tutti gli danno addosso. Insomma potremmo essere o no d'accordo con lui su questi argomenti, ma Blondet non fa fare vita facile alle cosidette “versioni ufficiali”.

Eccetto in un caso. Basta che si torni a parlare di sud ed ecco che i complotti finiscono, la versione ufficiale torna a farla da padrone, gli abitanti della Gaza italiana tornano ad essere tutti terroristi (“mafiosi”, nell'accezione segregazionista nostrana), il tentativo di autogoverno una follia.

Nel chiedersi quanto le nostre elezioni siano più libere di quelle russe, ad esempio, il nostro rimette in campo l'assioma meridionale uguale mafioso:

“grazie al fatto che nessuno esercita l’autoritarismo per costringere a lavorare i 20 mila spazzini-camorristi napoletani”

E se Sgarbi rischiò di finire come Empedocle gloriosamente inghiottito dalla lava dell'Etna, qui Blondet dove lo mettiamo? Nel forno di un inceneritore come frazione non riciclabile?

Non contento di questo, continua a definire allo stesso modo (o peggio) anche a chi protesta perchè non vuole le discariche in casa: gli abitanti che difendono i loro figli sono “i kikuyu di Pianura” oltre che “camorristi di Pianura in rivolta contro la discarica”.

Ma la malafede non ha limiti, e così ne approfitta per mettere in campo la sua idea (e forse anche di Tremonti) secondo cui al sud si dovrebbe abolire qualunque forma di autonomia e mettere tutto direttamente sotto la custodia dei grandi amministratori padani: “(al sud) occorrerebbe invece, centralizzazione estrema”.

Motivo? L'inefficienza delle amministrazioni meridionali. E qui si sbaglia di grosso. Perchè le amministrazioni meridionali sono degli orologi svizzeri. E non sto facendo ironia. Mi spiego. Dire che Bassolino non ha rispettato il suo mandato è falso. Perchè a Bassolino il mandato non lo hanno dato i campani, ma la cricca romana. Che lo ha piazzato lì per fare quello che ha fatto: tra l'altro, creare il problema dei rifiuti per poi risolverlo con gli inceneritori. Lo stesso vale per tutte le altre amministrazioni pubbliche a sud di Roma, il cui compito è proprio quello di bloccare, delinquere, ostacolare. E chi può dire che da 60 anni a questa parte non abbiano assolto perfettamente a questo compito? Semmai ci vorrebbe più, ma molta più autonomia (quasi una indipendenza, mi verrebbe da dire...) da Roma (e da Tremonti).

Ed il sospetto che quello che dice Blondet sia in fondo quello che gli passa il convento “Tremonti” ci è venuto proprio oggi, quando trattando della inevitabile crisi economica che presto avvolgerà l'occidente tutto, il giornalista dice:

“Una grande potenza (la comunità europea, ndr) economica potenziale, che in teoria ha i mezzi (mercato, capitali, consumatori, contribuenti) per prendere la guida della crisi globale con nuove idee - che potrebbero essere quelle di Tremonti - si sta stringendo da sé al collo il cappio dell’euro «forte sul dollaro»”

Basta, caro Blondet. Forse ho esagerato. Tremonti genio mondiale incompreso dell'economia. Forse l'ho presa troppo sul serio. In fondo dopo una dichiarazione del genere non possiamo che metterci a ridere.

Ma per favore, un domani non ci venga a dire:

«Ai tempi del segregazionismo non sapevo di vivere ai tempi del segregazionismo»


PS: per una agiografia completa leggere anche "Guerra preventiva a Tremonti".
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domenica, marzo 09, 2008

Tra la fine e l'inizio

Lo stato italiano non sarebbe mai potuto sopravvivere senza la mafia. La mafia è morta nel 1992. E lo stato italiano? Pure. Da allora viviamo nella “zona del crepuscolo”. Tutti: politici, mafiosi, semplici cittadini.

Abbiamo anche una legge elettorale da zona del crepuscolo, un sistema grazie al quale è impossibile vincere e che consegna l'Italia ad una perenne instabilità. Un sistema che non la riporterà più indietro ma non la farà neanche riposare in pace. Ed allora quelle che arrivano non saranno altro che elezioni crepuscolari, dai risultati indefiniti, sbiaditi, che continueranno ad anestetizzare ed a mesmerizzare il cittadino mentre alle sue spalle si prepara il gran finale.

Quel gran finale programmato inizialmente per i primi anni 90, ma che non si era più riusciti a portare in scena per via di un giudice testardo, sta finalmente per essere recitato. E ci saranno di nuovo i Siciliani a tentare di guastare la festa dopo quel fatidico 23 maggio 1992.

“Il Medio Evo è bellissimo: sa avere suoi centri decisionali, senza affidarsi interamente a nessuno. E' al di là della parentesi dello Stato nazionale. Anche oggi, come allora, riemergono nelle nostre società i nomadi. Anche oggi abbiamo poteri senza territori su cui piantare bandiere. Senza sovranità non avremo il totalitarismo. La democrazia non ha bisogno di sovrani”.

Queste parole le ha pronunciate lo pseudo-siciliano Giuliano Amato nel 2000, in una intervista rilasciata a La Stampa sul significato della Comunità Europea. Lo smembramento degli stati nazionali (la “parentesi dello Stato Nazionale”) in un superstato europeo dove a comandare saranno dei potentati economici e simil-massonici (i “centri decisionali” ed i “poteri senza territori”) che non dovranno rispondere delle loro azioni a nessuno (la sibillina frase finale: “La democrazia non ha bisogno di sovrani”).

La Jugoslavia è stata smembrata pezzo a pezzo. Il Belgio vive una situazione simile all'Italia. La Spagna procede a passi da gigante. Non è un caso che l'Italia abbia riconosciuto il Kosovo e la Spagna no. Il motivo è veramente l'ETA? Per niente. Il motivo sono le elezioni. Per continuare la sua opera di smembramento sotto i Pirenei l'Europa ha bisogno di Zapatero. E riconoscere il Kosovo avrebbe portato punti ai rivali del Partito Popolare. Ed allora si fa finta di lottare per una Spagna unita, un bell'attentato “false flag” (“falsa bandiera”: uccido un mio alleato e do la colpa al mio avversario) contro un socialista in prossimità del weekend elettorale con tanto di teatrale sospensione della campagna (visto che la destra parrebbe essere ancora avanti) e via a dita incrociate. Che al massimo ci saranno dei ritardi, ma la strada è segnata.

Invece l'Italia riconosce il Kosovo. A poca distanza dalle elezioni. Ci poteva essere miglior viatico elettorale per la Lega Nord e per la nuova creatura di Berlusconi, una “Lega Sud” nata nel grembo dell'MPA di Lombardo?

Avete capito bene. Prodi e Padoa-Schioppa che regalano voti a Calderoli e Lombardo. Perchè questo ha significato il riconoscimento del Kosovo a ridosso delle elezioni. E stranamente malgrado l'incredibile spaccatura della nazione che Berlusconi ha programmato con questo giochetto (Lega al nord, MPA al sud) nessuno a sinistra ha pensato di attaccare su questo fronte.

Ecco il fumoso accordo Berlusconi-Veltroni di cui tutti parlano. Ecco su cosa si basa. La fine è vicina, amici miei. L'odore del napalm confonderà i nostri sguardi. Stiamo per uscire dalla zona del crepuscolo. Stiamo per ritrovarci nel nuovo stato fantoccio del “Sud”, con tanto di capitale a guinzaglio corto, quella Napoli dove le immondizie dell'Italia unita si sono materializzate. Senza neanche più l'Autonomia Siciliana, che ci diranno non avrà più valore legale nel nuovo stato. Oramai siamo liberi, no? I nuovi ascari si sono già fatti avanti, a frotte. Pronti a rinnegare nuovamente la nostra storia ed a giurare fedeltà al sussidiario neo-borbonico. Sentiranno il gallo cantare prima dell'alba, ma non ci faranno caso.

Ma come i Borbone prima ed i tosco-padani dopo, si renderanno conto di aver fatto male i conti da questa parte del faro. Cosa faranno allora? Rinverdiranno i fasti della mafia? Vedremo di che pasta sono fatti. Intanto, godiamoci l'apocalisse.



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venerdì, marzo 07, 2008

I bambini di Cavour

«Nè va sottaciuto il fatto che il concetto di koinè si trascina dietro il pregiudizio che il dialetto regionale sia una lingua e non un dialetto. Conseguenza innocua, se dietro al concetto di lingua non stia spesso (o non sia stato) quello di nazione»
Salvatore C. Trovato


Il cavo sottomarino che presto unirà direttamente la Sicilia all'India potrà mai fare sentire ai Siciliani i battiti di una nazione che ha finalmente ritrovato la sua libertà, anche se ancora alle prese con i guasti ereditati dal dominio coloniale?

Thomas Babington Macaulay, primo barone di Macaulay, nacque il 25 ottobre 1800 da una famiglia scozzese emigrata in Inghilterra dalle highlands.

Macaulay fu poeta e storico, dedicandosi e pubblicando libri contenenti ballate ed episodi eroici della storia romana.

Fu anche un politico di un certo spessore e divenne membro del parlamento britannico.

L'apice della sua carriera lo raggiunse però grazie alle cariche che ricoprì nei vari organi preposti al governo coloniale dell'India. Anzi si può senza ombra di dubbio affermare che fu lui il vero conquistatore del subcontinente.

Egli andò in India nel 1834 e secondo i libri di storia patria creò le gloriose basi sulle quali fu costruita l'India coloniale bilingue, convincendo il governatore a soppiantare le lingua ufficiali di allora (arabo e sancritto) con l'inglese nel sistema educativo indiano.

Ecco come perorò la sua causa di fronte al parlamento britannico il 2 febbraio 1835:

“Ho viaggiato attraverso l'India in lungo ed in largo e non ho visto ombra di straccione o di ladro. Ho visto una tale ricchezza in questa nazione, valori morali cosí alti, gente di un tale calibro, che non penso potremo mai conquistarla a meno che non spezziamo la vera e propria spina dorsale di questa nazione che é il suo patrimonio spirituale e culturale, per cui propongo di rimpiazzare il suo antico sistema educativo, la sua cultura. Perché se gli indiani pensano che tutto quello che sia straniero ed inglese é buono e sia migliore del loro, essi perderanno la loro autostima, la loro cultura e diventeranno quello che noi vogliamo che siano, una nazione sottomessa.”

Ancora oggi con il termine “Macaulay children” (I bambini di Macaulay) si indicano quegli indiani che adottano la cultura occidentale come modello o che dimostrano comportamenti influenzati dai colonizzatori.
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domenica, marzo 02, 2008

All'età del doppino

Internet è comunicazione. La comunicazione è informazione. L'informazione non è altro che dati. Ed i dati sono quelli sui quali si prendono le decisioni. Politiche ed economiche.

L'arrivo della rete ha moltiplicato i flussi di informazione (e quindi di dati) e li ha velocizzati sino a renderli praticamente istantanei. Ma ha anche complicato la loro gestione e li ha resi più vulnerabili.

Sino a pochi anni fa i “dati” erano custoditi in biblioteche, schedari, librerie, negli armadi degli uffici pubblici. I luoghi in cui l'informazione si conservava erano difficilmente accessibili per chi non viveva in prossimità di essi.

Oggi tutta quella massa statica è stata trasformata in sequenze di 0 e di 1 ed è stata riversata in rete. Potremmo dire che sia stata dinamicizzata ad un livello tale da essere diventata comunicazione. Il sapere con internet viene “comunicato” senza sosta causando un accelerazione dei processi decisionali inaudita ed una esclusione inappellabile dalle forze produttive di chi non riesce ad avere accesso ed a gestire tali flussi comunicativi continui.

E le strutture atte a questa “comunicazione” perenne sono diverse rispetto alle austere biblioteche di una volta. I dati sono raccolti nell'equivalente digitale di quelle biblioteche (i server), ed hanno poi bisogno di autostrade dedicate, di sistemi di trasporto sicuri ed efficienti: il flusso informativo è oggi assolutamente mercificato e come ogni merce si muove attraverso le sue vie di comunicazione, strutturate come quelle atte al trasporto delle merci tradizionali. Ed i principali assi di questo sistema sono i cavi telefonici sottomarini.

Queste vie di comunicazione possono e devono essere trattate alla stregua di tutte le altre infrastrutture, e come per le vie di comunicazione tradizionali, quando c'è da scegliere il luogo in cui piazzare il nostro quartier generale faremo di tutto per rimanere il più vicino possibile agli assi principali.

Per essere sempre capaci di prendere le decisioni giuste al tempo giusto i dati che ci interessano devono poter viaggiare in tutte le direzioni ed essere sempre disponibili 24 ore su 24 al riparo da eventuali distacchi o interruzioni che possano compromettere una o più delle vie di comunicazione principali.

Un esempio di quanto importante sia oggi il costante flusso di informazioni per l'economia mondiale si è avuto lo scorso 30 gennaio quando una serie di incidenti nel mediterraneo orientale e nel golfo persico hanno isolato per giorni intere aree del medio oriente, mettendo allo stesso tempo in crisi le attività di tutte quelle aziende occidentali che hanno bisogno per la loro attività del continuo contatto con quelle aree (si pensi alla delocalizzazione dei servizi telefonici in India).

La disposizione dei cavi sul fondo del mare per forza di cose ricalca quella delle grandi rotte navali di superficie, collegando due nodi con il percorso più breve percorribile tutto l'anno (non avrebbe senso affidarsi ad un cavo poggiato sotto il polo nord in quanto sarebbe virtualmente impossibile da riparare in caso di guasto). Ed i nodi non sono diventati altro che hub logistici della comunicazione, degli “hot spot” dove tutti vorrebbero piazzare non solo i loro server (le biblioteche digitali) ma anche centri di comunicazione, aziende di servizi globali, centri di ricerca.

L'8 febbraio a Roma alcuni colossi della telecomunicazione mondiale hanno firmato un accordo per la posa di un lunghissimo cavo (13.000 km) per le comunicazioni che permetterà di dare più spazio al traffico dati tra l'Europa e l'oriente. Il cavo partirà da Mumbai (la Bombay degli inglesi: gli indiani al contrario dei Siciliani si sono ripresi la loro storia...) e riaffiorerà in superficie nientemeno che... a Catania!

E questa non è una novità: basta dare uno sguardo alla cartina qui sotto (tratta da The Economist) per rendersi conto di come la Sicilia è già uno dei più importanti nodi mondiali della comunicazione, e si appresta a diventarlo sempre di più a causa della dipendenza dalla rete del moderno sistema economico globale.

Un server posizionato in Sicilia non potrebbe mai rimanere completamente isolato dalla rete, a meno che non sia la stessa rete nella sua interezza a smettere di funzionare.

La ricaduta economica da una tale situazione dovrebbe essere immensa. Oltre ai posti di lavoro, il costo delle telecomunicazioni e della connessione ad internet dovrebbe essere per i Siciliani vicino allo zero. E per le nostre aziende la possibilità di fare affari ovunque ed in qualunque momento passando per il canale principale.

Credo sia inutile ricordarvi quale sia invece la situazione attuale, con aziende che operano a livello globale (sì, ce ne sono in Sicilia. Anche se preferiscono rimanere nell'ombra) e che non dispongono neanche di una adsl. Il sole 24 ore Sud un paio di anni fa riportò il caso dei Vivai Faro di Riposto. L'azienda, un leader mondiale nella vivaistica delle piante mediterranee e tropicali, non disponendo di una linea adsl per mancanza di copertura locale aveva dovuto rinunciare a partecipare ad un appalto nell'emirato arabo di Dubai per l'impossibilità di mandare i documenti in tempo tramite il doppino telefonico!!!

Ma per fortuna ora ci fanno il ponte. Il manager di una azienda di Riposto per partecipare ad un appalto a Dubai invece di perdere tempo con il doppino telefonico, potrà tranquillamente salire in macchina, attraversare lo stretto comodamente senza aspettare il traghetto e poi farsi un bel viaggetto attraverso lo stivale, i Balcani, l'Iraq. E poi magari raccontare la sua avventura in diretta su una delle trasmissioni pseudo-ambientaliste della rai. Famosi grazie al ponte. Questo si che è sviluppo.

Ovviamente, nel frattempo la Telecom Italia continuerà a firmare contratti insieme alle più grosse aziende del pianeta per posare cavi tra la Sicilia e l'oriente. Tanto per loro la Sicilia è gratis. E noi non ce ne accorgiamo nemmeno, impegnati come siamo a scaricare una email da pochi kilobyte con il doppino.


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