Il Vuoto
Lo scontro in atto in Europa tra Chiesa Cattolica ed i gruppi liberal-finanziari che oramai controllano quasi per intero il continente è sotto gli occhi di tutti. Anche le diatribe sul tradizionale assetto della famiglia sembrerebbero rientrare in questo contesto e molti cattolici sono portati a pensare che quello familiare sia solo uno dei tanti fronti d'attacco aperti contro di loro da nemici senza Dio.
Questa impressione a ben guardare trova però poco riscontro nella realtà dei fatti, nel senso che la famiglia non è una istituzione cattolica e nemmeno cristiana. Anzi, la famiglia non è per niente una istituzione religiosa, in quanto essa, nella sua forma tradizionale, è sempre esistita all'interno del consorzio umano (tranne rarissime eccezioni): il potere religioso la ha semmai sacralizzata, riconoscendone la funzione portante che comunque già possedeva. Nemmeno il materialismo comunista al tempo del socialismo reale sovietico ha mai attaccato con tanto rigore la famiglia, limitandosi a ripulirne gli spazi da quella che considerava una posticcia patinatura religiosa.
Ma allora perchè il tentativo oggi in Europa di scardinare la cellula alla base della società umana?
Da destra sono arrivate parecchie analisi anche importanti del fenomeno. Ma tali analisi si limitano a discutere alcuni effetti (nefasti o benefici a seconda dell'angolo politico da cui li si osserva) senza mai proporre una spiegazione sui motivi che indurrebbero a promuovere un tale disfacimento, se non riferendosi ad una poco chiara voglia di sovvertire l'ordine naturale delle cose o a teleologiche influenze del maligno.
I motivi veri rimangono poco chiari, perchè il potere, di qualunque colore esso sia, ci tiene a non svelare i suoi trucchetti. Ed una volta sconfitto l'avversario toccherà al nuovo vincitore applicarne le regole. Chi non ha il potere ma tenta di conquistarlo, non ha incentivi a rivelare il meccanismo che si cela dietro quella che presto diventerà la propria arma.
Vediamo di spiegarci meglio. Sin dalla notte dei tempi i vincitori non si limitano a sottomettere i vinti, ma per piegarne la resistenza ne distruggono la storia: monumenti, templi, intere città, la lingua, le usanze.
Il Popolo Siciliano, e tutti i popoli del meridione d'Italia, stanno ancora subendo questo processo di de-culturalizzazione forzata, e proprio nella nostra esperienza possiamo trovare qualche indizio del perchè si stia cercando di azzerare la famiglia.
La famiglia allargata tipica del meridione d'Italia e della Sicilia al momento della conquista piemontese si è subito dimostrata un elemento di resistenza culturale difficile da fronteggiare. Gli oppressori per “spersonalizzare” i popoli soggetti e demolirne la struttura sociale, si inventarono (tra le altre) la storia delle famiglie mafiose. I fatti dimostrano invece che la mafia non ha alcuna base familiare, se non nel senso che chi nasce in un ambiente degradato ha buone possibilità di finire “male”. Nessuno fa però fa notare come non esista una cosca dei Provenzano o dei Riina (in questo caso si sono dovuti inventare “i corleonesi”) o che nella cosca dei Santapaola sono davvero pochi (il capo ed i suoi figli) quelli che portano questo cognome. Intanto, l'utilizzo della parola famiglia ha criminalizzato l'istituzione in sé, al punto che i Siciliani stessi quando usano il termine famiglia riferendosi alla propria parentela fanno un attimo di pausa mentale chiedendosi se l'interlocutore possa per caso fraintendere.
Si punta alla distruzione della famiglia (non della famiglia quale istituzione religiosa, ma quale struttura di coesione sociale) per rendere in questo modo l'individuo debole. L'individuo perde un punto di riferimento, un punto di appoggio; perde quella zona franca in cui sino ad ora ha potuto liberamente essere se stesso, rimanendo in balia di un mondo estraneo.
Franco Battiato in una interessante intervista a Repubblica TV in poche parole delinea precisamente cosa sia “l'uomo nuovo” nato da questo disfacimento (vedi dal minuto 13 circa):
“un corpo (che) cammina ma non c'é dentro un progetto, è una macchina che si muove”
Un individuo senza protezione che oggi vaga per le nostre città sventrate della loro storia: un involucro che ora può essere riempito a piacimento da chi ha il potere di farlo.
E riempirlo a piacimento significa controllarlo, decidere i suoi comportamenti, farne branco da pilotare per gli scopi più svariati. Ad esempio facendone una milizia da scagliare contro chi cerca di ostacolare le nostre voglie di potere.
L'undici novembre scorso tutta l'Italia ha potuto vedere il risultato di un paio di decenni di disfacimento sociale pianificato, il coagularsi di una generazione di corpi svuotati della loro anima e riempiti di un nulla che alla fine è l'unica cosa a cui questi moderni zombie riescono ad aggrapparsi per riuscire a sentirsi vivi.
Nel cult movie di Romero i morti vagavano nel parcheggio di un supermercato (simbolo di materialismo), in uno spazio vuoto e piatto che nell'intenzione del regista rappresentava anche quello che erano state le loro vite. Oggi gli stessi esseri trovano la loro sustanziazione nella struttura dello stadio di calcio, che anche nella forma ricorda un involucro svuotato dei suoi contenuti.
Nel giro di poche ore dalla morte di Gabriele Sandri, su internet tutti i media di una certa fazione del regime hanno cominciato a suonare i tamburi dell'adunata, flettendo i muscoli in uno degli scontri di potere che stanno scuotendo da dietro le quinte la penisola. La rabbia del branco è stata pilotata contro la polizia per alcune ore, dopo le quali tutto si è improvvisamente calmato.
Il taglio delle notizie è stato manipolato tanto, che nei giorni seguenti all'incidente persino i parenti della vittima si sono dissociati dal tono generale. Dall'altro lato si è lavorato per bene in modo da chiudere la cosa nel giro di poche ore: dopo un giorno esatto le notizie degli incredibili scontri verificatisi qui e lì nel Nord Italia erano già scomparse dalle pagine principali dei siti di regime, mentre i loro manutengoli si affrettavano a ufficializzare la creazione del branco con una spavalderia così plateale da mostrare a tutti quanto capillare sia il controllo sociale che posseggono.
Articoli programmatici come “L'ultrà che è dentro di noi” sono apparsi, in cui sin dal titolo si cerca di normalizzare ed anzi glorificare l'Ultrà. Ma si arriva all'inverosimile lo scorso 23 novembre, con un articolo in cui si beatifica addirittura il capo degli Ultrà bergamaschi, uno dei gruppi più violenti in cerca di un mandante (e che oramai sembra averlo trovato). Leggendolo sembra di entrare in una realtà altra, sembra di attraversare lo specchio e di atterrare tra le pagine sulfuree di un Dylan Dog, il famoso indagatore dell'incubo bonelliano.
Allo stesso tempo nessuna azione è stata presa contro i responsabili dei disordini dalla federazione, mandando al branco un forte segnale di appoggio e di impunità. A Bergamo, a Roma, a Milano si continuerà a giocare come se nulla fosse, mentre al Taranto viene data partita persa e campo squalificato, forse cercando di provocare una qualche reazione in tutto il sud. (Ed attenzione alle date: l'articolo della gazzetta sulle decisioni del giudice le precede temporalmente e le anticipa con una precisione voluta ancora per dimostrare il controllo, quasi una minaccia)
Ed ancora non abbiamo finito. Il 17 novembre con strano tempismo si svolge la manifestazione per ricordare i tragici fatti del G8 di Genova. Gli organizzatori promettono una manifestazione pacifica, e così è. Non vola nemmeno uno schiaffo. Volano però gli slogan. E si capisce che non c'è molta differenza tra quello che dicono oggi i manifestanti e quello che urlavano un paio di giorni prima i rivoltosi. Anzi i riferimenti sono piuttosto espliciti. Un altro flettere di muscoli, con le due parti che si guardano in cagnesco, mentre una delle due esercita un controllo “millimetrico” sul branco.
Ma c'è un altro particolare da attenzionare: la milizia è tutta settentrionale. A sud di Roma, a parte i deficienti di Taranto, non si è mosso niente. Un segno di mancanza di controllo, o una differenziazione voluta? Difficile rispondere per tutto il sud, ma in Sicilia dopo il sostanziale fallimento dei disordini organizzati lo scorso febbraio la prima ipotesi sembra più probabile: le tifoserie di Palermo, Messina, ed ora anche Catania sono sicuramente le più tranquille d'Italia.
Ecco su quali linee di violenza si profila lo scontro nel paese. Una violenza che almeno al Nord Italia sembra oramai inevitabile e che solo tenendo duro riusciremo ad evitare da noi. Una delle parti in lotta, quella che ci ha oppresso negli ultimi 60 anni per intenderci, crede infatti di poter trovare rifugio in Sicilia (dove nel frattempo per altre vie si sta facendo piazza pulita) per poi contrattaccare. Spetta ai Siciliani diventare ora gli avvoltoi, raccogliere le forze ed alla prima occasione colpire alla gola. Perchè basta poco per essere risucchiati dentro il vuoto. Basterebbe per esempio che una piccola scintilla scaturisca la prossima domenica (2 dicembre) a Catania, cosa che al momento sembra estremamente improbabile. Ma non abbassiamo la guardia.
A Catania anche il vuoto è arte
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