Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

venerdì, novembre 30, 2007

Il Vuoto


Lo scontro in atto in Europa tra Chiesa Cattolica ed i gruppi liberal-finanziari che oramai controllano quasi per intero il continente è sotto gli occhi di tutti. Anche le diatribe sul tradizionale assetto della famiglia sembrerebbero rientrare in questo contesto e molti cattolici sono portati a pensare che quello familiare sia solo uno dei tanti fronti d'attacco aperti contro di loro da nemici senza Dio.

Questa impressione a ben guardare trova però poco riscontro nella realtà dei fatti, nel senso che la famiglia non è una istituzione cattolica e nemmeno cristiana. Anzi, la famiglia non è per niente una istituzione religiosa, in quanto essa, nella sua forma tradizionale, è sempre esistita all'interno del consorzio umano (tranne rarissime eccezioni): il potere religioso la ha semmai sacralizzata, riconoscendone la funzione portante che comunque già possedeva. Nemmeno il materialismo comunista al tempo del socialismo reale sovietico ha mai attaccato con tanto rigore la famiglia, limitandosi a ripulirne gli spazi da quella che considerava una posticcia patinatura religiosa.

Ma allora perchè il tentativo oggi in Europa di scardinare la cellula alla base della società umana?

Da destra sono arrivate parecchie analisi anche importanti del fenomeno. Ma tali analisi si limitano a discutere alcuni effetti (nefasti o benefici a seconda dell'angolo politico da cui li si osserva) senza mai proporre una spiegazione sui motivi che indurrebbero a promuovere un tale disfacimento, se non riferendosi ad una poco chiara voglia di sovvertire l'ordine naturale delle cose o a teleologiche influenze del maligno.

I motivi veri rimangono poco chiari, perchè il potere, di qualunque colore esso sia, ci tiene a non svelare i suoi trucchetti. Ed una volta sconfitto l'avversario toccherà al nuovo vincitore applicarne le regole. Chi non ha il potere ma tenta di conquistarlo, non ha incentivi a rivelare il meccanismo che si cela dietro quella che presto diventerà la propria arma.

Vediamo di spiegarci meglio. Sin dalla notte dei tempi i vincitori non si limitano a sottomettere i vinti, ma per piegarne la resistenza ne distruggono la storia: monumenti, templi, intere città, la lingua, le usanze.

Il Popolo Siciliano, e tutti i popoli del meridione d'Italia, stanno ancora subendo questo processo di de-culturalizzazione forzata, e proprio nella nostra esperienza possiamo trovare qualche indizio del perchè si stia cercando di azzerare la famiglia.

La famiglia allargata tipica del meridione d'Italia e della Sicilia al momento della conquista piemontese si è subito dimostrata un elemento di resistenza culturale difficile da fronteggiare. Gli oppressori per “spersonalizzare” i popoli soggetti e demolirne la struttura sociale, si inventarono (tra le altre) la storia delle famiglie mafiose. I fatti dimostrano invece che la mafia non ha alcuna base familiare, se non nel senso che chi nasce in un ambiente degradato ha buone possibilità di finire “male”. Nessuno fa però fa notare come non esista una cosca dei Provenzano o dei Riina (in questo caso si sono dovuti inventare “i corleonesi”) o che nella cosca dei Santapaola sono davvero pochi (il capo ed i suoi figli) quelli che portano questo cognome. Intanto, l'utilizzo della parola famiglia ha criminalizzato l'istituzione in sé, al punto che i Siciliani stessi quando usano il termine famiglia riferendosi alla propria parentela fanno un attimo di pausa mentale chiedendosi se l'interlocutore possa per caso fraintendere.

Si punta alla distruzione della famiglia (non della famiglia quale istituzione religiosa, ma quale struttura di coesione sociale) per rendere in questo modo l'individuo debole. L'individuo perde un punto di riferimento, un punto di appoggio; perde quella zona franca in cui sino ad ora ha potuto liberamente essere se stesso, rimanendo in balia di un mondo estraneo.

Franco Battiato in una interessante intervista a Repubblica TV in poche parole delinea precisamente cosa sia “l'uomo nuovo” nato da questo disfacimento (vedi dal minuto 13 circa):

“un corpo (che) cammina ma non c'é dentro un progetto, è una macchina che si muove”

Un individuo senza protezione che oggi vaga per le nostre città sventrate della loro storia: un involucro che ora può essere riempito a piacimento da chi ha il potere di farlo.

E riempirlo a piacimento significa controllarlo, decidere i suoi comportamenti, farne branco da pilotare per gli scopi più svariati. Ad esempio facendone una milizia da scagliare contro chi cerca di ostacolare le nostre voglie di potere.

L'undici novembre scorso tutta l'Italia ha potuto vedere il risultato di un paio di decenni di disfacimento sociale pianificato, il coagularsi di una generazione di corpi svuotati della loro anima e riempiti di un nulla che alla fine è l'unica cosa a cui questi moderni zombie riescono ad aggrapparsi per riuscire a sentirsi vivi.



Nel cult movie di Romero i morti vagavano nel parcheggio di un supermercato (simbolo di materialismo), in uno spazio vuoto e piatto che nell'intenzione del regista rappresentava anche quello che erano state le loro vite. Oggi gli stessi esseri trovano la loro sustanziazione nella struttura dello stadio di calcio, che anche nella forma ricorda un involucro svuotato dei suoi contenuti.



Nel giro di poche ore dalla morte di Gabriele Sandri, su internet tutti i media di una certa fazione del regime hanno cominciato a suonare i tamburi dell'adunata, flettendo i muscoli in uno degli scontri di potere che stanno scuotendo da dietro le quinte la penisola. La rabbia del branco è stata pilotata contro la polizia per alcune ore, dopo le quali tutto si è improvvisamente calmato.

Il taglio delle notizie è stato manipolato tanto, che nei giorni seguenti all'incidente persino i parenti della vittima si sono dissociati dal tono generale. Dall'altro lato si è lavorato per bene in modo da chiudere la cosa nel giro di poche ore: dopo un giorno esatto le notizie degli incredibili scontri verificatisi qui e lì nel Nord Italia erano già scomparse dalle pagine principali dei siti di regime, mentre i loro manutengoli si affrettavano a ufficializzare la creazione del branco con una spavalderia così plateale da mostrare a tutti quanto capillare sia il controllo sociale che posseggono.

Articoli programmatici come “L'ultrà che è dentro di noi” sono apparsi, in cui sin dal titolo si cerca di normalizzare ed anzi glorificare l'Ultrà. Ma si arriva all'inverosimile lo scorso 23 novembre, con un articolo in cui si beatifica addirittura il capo degli Ultrà bergamaschi, uno dei gruppi più violenti in cerca di un mandante (e che oramai sembra averlo trovato). Leggendolo sembra di entrare in una realtà altra, sembra di attraversare lo specchio e di atterrare tra le pagine sulfuree di un Dylan Dog, il famoso indagatore dell'incubo bonelliano.

Allo stesso tempo nessuna azione è stata presa contro i responsabili dei disordini dalla federazione, mandando al branco un forte segnale di appoggio e di impunità. A Bergamo, a Roma, a Milano si continuerà a giocare come se nulla fosse, mentre al Taranto viene data partita persa e campo squalificato, forse cercando di provocare una qualche reazione in tutto il sud. (Ed attenzione alle date: l'articolo della gazzetta sulle decisioni del giudice le precede temporalmente e le anticipa con una precisione voluta ancora per dimostrare il controllo, quasi una minaccia)

Ed ancora non abbiamo finito. Il 17 novembre con strano tempismo si svolge la manifestazione per ricordare i tragici fatti del G8 di Genova. Gli organizzatori promettono una manifestazione pacifica, e così è. Non vola nemmeno uno schiaffo. Volano però gli slogan. E si capisce che non c'è molta differenza tra quello che dicono oggi i manifestanti e quello che urlavano un paio di giorni prima i rivoltosi. Anzi i riferimenti sono piuttosto espliciti. Un altro flettere di muscoli, con le due parti che si guardano in cagnesco, mentre una delle due esercita un controllo “millimetrico” sul branco.

Ma c'è un altro particolare da attenzionare: la milizia è tutta settentrionale. A sud di Roma, a parte i deficienti di Taranto, non si è mosso niente. Un segno di mancanza di controllo, o una differenziazione voluta? Difficile rispondere per tutto il sud, ma in Sicilia dopo il sostanziale fallimento dei disordini organizzati lo scorso febbraio la prima ipotesi sembra più probabile: le tifoserie di Palermo, Messina, ed ora anche Catania sono sicuramente le più tranquille d'Italia.

Ecco su quali linee di violenza si profila lo scontro nel paese. Una violenza che almeno al Nord Italia sembra oramai inevitabile e che solo tenendo duro riusciremo ad evitare da noi. Una delle parti in lotta, quella che ci ha oppresso negli ultimi 60 anni per intenderci, crede infatti di poter trovare rifugio in Sicilia (dove nel frattempo per altre vie si sta facendo piazza pulita) per poi contrattaccare. Spetta ai Siciliani diventare ora gli avvoltoi, raccogliere le forze ed alla prima occasione colpire alla gola. Perchè basta poco per essere risucchiati dentro il vuoto. Basterebbe per esempio che una piccola scintilla scaturisca la prossima domenica (2 dicembre) a Catania, cosa che al momento sembra estremamente improbabile. Ma non abbassiamo la guardia.


A Catania anche il vuoto è arte


xFruits


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martedì, novembre 27, 2007

Aggiornamento sulle perle di Catania

Molti di voi ricorderenno che recentemente ci siamo occupati della situazione del Castello Ursino e delle collezioni d'arte che dovrebbero trovarsi in esso custodite.

L'assessore alla cultura del Comune di Catania aveva denunciato di aver subito minacce a causa della sua intenzione di riaprire il museo.

Il timore sia del Consiglio, sia dei navigatori che hanno commentato il post, era che una parte anche importante di quella collezione non si trovasse più al suo posto.

Riportiamo di seguito per intero e senza ulteriori commenti quello che ha pubblicato oggi il sito de La Sicilia sull'argomento. Un grazie di cuore all'assessore Grasso.

Silvana Grasso cerca un Rembrandt in tv

CATANIA - La presentazione di una denuncia al Questore in mattinata e la richiesta di una diretta televisiva della trasmissione di Raitre 'Chi l'ha visto?' dal Castello Ursino: sono le iniziative annunciate dall'assessore alla Cultura del Comune di Catania, Silvana Grasso, per cercare di ritrovare 51 tele "di pittori del Seicento" scomparse dalle cantine del maniero.

Tra queste anche una piccola tela di Rembrandt, della cui presenza nei depositi del Castello Ursino sarebbe traccia in una catalogazione con una descrizione incompleta: "monaco che tiene in mano...".

"È una tela piccola - spiega l'assessore Grasso - che chiunque ha potuto arrotolare, mettere sotto un maglione e portare via. Forse esiste una foto". Analoga sorte sarebbe toccata a altri 50 piccoli dipinti di pittori del Seicento, compreso a un Guido Reni.

"I furti - ricostruisce - furono denunciati ai carabinieri nel 1995 ma da un funzionario dell'ufficio Anagrafe e non dall'assessore e la notizia fu taciuta per non fare clamore, alla siciliana, spegnendo quei riflettori che oggi io ho fatto diventare fuoco". Adesso li cerca in Tv, sperando in aiuti per trovarli.

11/26/2007


xFruits


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venerdì, novembre 23, 2007

"Voglio conoscere il regista"

Chi di noi guardando i film Mery per Sempre oppure Ragazzi fuori non si è identificato con qualcuno dei protagonisti, malgrado fossero sicuramente dei tipi poco raccomandabili?

In questi giorni è apparsa una notizia in giro secondo cui in Sicilia, dopo aver visto la fiction di Riina, alcuni adolescenti sarebbero rimasti affascinati dalla figura del criminale.

Se la cosa fosse vera (le notizie dei media ufficiali è bene prenderle con le pinze) non si capisce perchè la notizia debba provenire da Corleone e non da Roma.

Vedete, oramai i trucchetti della macchina da presa li conosciamo tutti. Il motivo per cui ho ricordato i due film tratti dai libri di Aurelio Grimaldi non è per paragonare quei giovani sfortunati a Riina, ma per paragonare l'operato delle macchine da presa.

Il regista voleva suscitare empatia nello spettatore nei confronti dei protagonisti per farlo immedesimare in quelle problematiche e per esorcizzare l'emarginazione che essi subivano nelle periferie urbane. Un immedesimarsi anche educativo.

Lo stesso meccanismo per cui un film d'amore provoca emozione, uno di paura apprensione, uno su Hitler ribrezzo. L'emozione è controllata da dietro la macchina da presa.

A questo punto dobbiamo chiederci non se i siciliani in fondo siano mafiosi, ma con quali intenzioni sia stato girato il film. Come mai i ragazzini non provano ribrezzo come quando vedono un film su Hitler, ma ammirazione per il mafioso? E per questo bisogna investigare a Roma, non a Corleone. Ed anche un po' a Palermo per capire come mai si sia ancora una volta permesso a questa gentaglia di venire a girare queste porcherie in Sicilia (porcherie sotto il punto di vista qui discusso, non di quello puramente artistico o tecnico).

Vadano a girarsi una bella fiction su Olindo a Erba invece di rompere le scatole a noi.


Come sempre, diretto da un ottimo regista


xFruits


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martedì, novembre 20, 2007

Videogiochi pericolosi

La storia della Sicilia (o meglio del Regno di Sicilia) si studia praticamente ovunque nel mondo: nelle scuole superiori di tutti i paesi musulmani, in Grecia, in Spagna ed in tutte le università del vecchio e del nuovo mondo. L'unico posto dove la storia della Sicilia non si studia è la Sicilia (il resto d'Italia neanche lo prendiamo in considerazione).

Al contrario di quello che dicono i nostri professoroni universitari, la storia del Regno di Sicilia e così dirompente e l'immagine della Sicilia così forte nell'immaginario comune da essere usata persino nei videogiochi. E con un tale livello di enfatizzazione da poter far venire il paradossale dubbio ad un genitore su cosa sia la cosa migliore da fare: mandare i figli a scuola, o piazzarli davanti appunto ad un videogioco.

Ed il videogioco in questione si chiama Medieval II: Total War. In esso il giocatore assume il controllo di una fazione all'interno di un contesto storico reale (compreso tra l'anno 1000 ed il 1500 d.c.), partecipando alla simulazione di eventi bellici reali, studiandone lo svolgimento e possibilmente influenzandone l'esito con le sue decisioni. Più in generale ogni giocatore ha la possibilità di costruire una vera e propria civiltà, sviluppando le risorse naturali del suo regno, costruendo infrastrutture e assoldando nell'esercito i sudditi, che chiaramente meglio si nutrono a casa, più energie hanno a disposizione sul campo.

Svolgendosi come detto tra l'anno 1000 ed il 1500, non poteva mancare tra le parti in gioco il Regno di Sicilia, uno dei maggiori protagonisti degli eventi di quegli anni, anche se oggi cancellato dai libri di storia di mezza Europa. Anzi, sfogliando il sito ufficiale del gioco si scopre che per pubblicizzarlo come esempi delle principali fazioni (cliccare prima su Game Info e poi su Factions), accanto a Russia, Impero Bizantino, Turchia ed Inghilterra troviamo la Trinacria Siciliana.

Chi ha sviluppato il gioco la storia l'ha studiata bene. Anzi benissimo, visto che sa anche quanto sia odiato dagli europei questo maledetto Regno di Sicilia. Al punto che se andiamo a cliccare sulle bandierine delle lingue spagnola, francese, tedesca e soprattutto italiana, notiamo che andando a cercare sulle stesse pagine il Regno di Sicilia è scomparso! (troviamo i bizantini, il papato, l'Inghilterra e l'Egitto). Come d'altronde scompare la dizione “Regno di Sicilia” dalla pagina italiana di wikipedia che descrive il gioco (ma in quella in lingua inglese è citato correttamente) sostituita da un algido “siciliani” che controllerebbero le regioni (!!?!) di Palermo e Napoli.

Altra cosa curiosa è che sbirciando nei vari forum ho notato che molti utenti che si ponevano al comando del Regno di Sicilia notavano un strana e persistente irritabilità del Papa nei loro confronti. Anche questo un dettaglio dovuto alle conoscenze storiche degli sviluppatori?

Allora a Natale facciamo un regalo poco poco più intelligente ai nostri figli (scusate il messaggio promozionale: vi giuro che non mi danno niente...) e permettiamo almeno a loro di imparare la Storia, quella vera con la S maiuscola!


Scomparsi per sempre?


Vedi anche: Sicily against the Moors

xFruits


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domenica, novembre 18, 2007

L'uomo che sconfisse la storia

Cosa sta succedendo in Italia ed in Sicilia dietro la fittizia facciata dello scontro tra destra e sinistra? In Sicilia potrebbe veramente cambiare qualcosa? Capire casa è successo e cosa sta succedendo è fondamentale per prevedere le mosse dei nostri nemici e cercare di scardinare il perverso sistema oppressivo tosco-padano. Con questo post iniziamo a dare uno sguardo più generale agli eventi degli dell'ultimo ventennio, coscienti che comunque le linee tracciate avranno bisogno di aggiustamenti e correzioni. Quello che si vuole dare è un primo organico tentativo di inquadramento delle lotte di potere che stanno sconquassando la penisola italiana e la stessa struttura di potere siciliana inquadrandole in un contesto internazionale. Partendo da quella che qualcuno credeva di fare passare impunemente come la fine.

Il popolano che 725 anni fa difese la sua compatriota dalle prepotenze dei soldati francesi allo scoccare del vespro, poteva immaginare quali conseguenze avrebbe avuto il suo gesto? Salvatore Giuliano, quando reagì al carabiniere che lo scoprì mentre tentava di contrabbandare un misero sacco di grano, poteva mai essere cosciente di cosa il destino avrebbe tramato su quel fatto di sangue, all'apparenza insignificante per la storia (vedi post su questo blog)? Eppure questi sono due esempi di come ognuno di noi può diventare un fondamentale accessorio della mano implacabile del processo storico (non uso il manzoniano provvidenza per rispetto nei confronti di chi nel “processo” ci perse la vita...). Questi sono due esempi di eroi tragici nel senso “classico” del temine, due eroi tragici che svelano il lato greco dell'animo siciliano, un animo dotato di quel pathos che ci spinge ai tipici slanci istintivi sui quali il destino può poi ricamare facilmente le sue trame.

Al momento della caduta del muro di Berlino la Democrazia Cristiana era saldamente al potere in Italia. Nel dopoguerra era riuscita nella scalata perchè era stata capace di catalizzare le forze che si muovevano dietro la facciata democratica dell'occidente in una convergenza d'interessi favorita dal pericolo dato dal colosso sovietico. E questo aveva permesso a finanzieri e speculatori locali di rimanere saldamene in controllo del sistema-Italia

Stati Uniti, liberal-massoni anglosassoni, massoneria italiana, il Vaticano e persino la stessa Russia sovietica puntellavano questa specie di baraccone chiamato Repubblica Italiana. Una seconda prova per i padani, che già avevano bruciato la prima possibilità offerta loro dall'impero britannico con il passo almeno tre volte più lungo della gamba compiuto da Mussolini. Ed invece di imparare dal primo fallimento, cosa fecero i nuovi leader settentrionali? Ricominciavano subito ad arraffare a più non posso dal meridione e visto che i Siculi avevano provato a ribellarsi questa volta usarono maniere ancora più forti, dando campo libero alla cosiddetta 'mafia' che cominciò a fare il bello ed il cattivo tempo in Sicilia, protetta da una connivenza CERCATA e GESTITA dai politici e dallo stato, e non da essi subita, come si è tentato di far passare.

Ma il 9 novembre del 1989 cade il muro di Berlino. Da quel giorno è uno stillicidio per l'Unione Sovietica, che crolla definitivamente nell'agosto del 1991 a seguito di un fallito colpo di stato da parte dei militari. L'alleanza dietro la famigerata DC (nel frattempo affiancata dai socialisti di Craxi) si rompe non appena la minaccia d'oltrecortina evapora. Alcuni degli attori rimasti pensano a quel punto di avere il mondo in mano e vengono allo scontro immediatamente.

Dietro la cosiddetta “sinistra” italiana, rimasta senza padrone, si assembrava già la finanza anglosassone, decisa a saltare alla gola dell'affaticato regime sempre intento a gozzovigliare nella corruzione e nel nepotismo ed a fare un bello scherzetto agli odiosi cugini americani, a cui cinquant'anni prima aveva dovuto cedere il controllo del Mediterraneo. Controllo del Mediterraneo che ha sempre coinciso con il controllo della Sicilia: controllo economico (ora concesso in usufrutto ai padani) e militare (riservato agli Stati Uniti).

La democrazia cristiana è così isolata ma all'inizio forse non se ne rende conto: i liberal-massoni anglosassoni tradiscono subito, rompono con la massoneria cattolica padana e celebrano in pompa magna il 17 febbraio 1992 l'inizio di tangentopoli. La consorteria toscopadana e romanocentrica è in rotta: a sud nel frattempo si completa l'accerchiamento cercando di colpire Andreotti scoprendo i legami del sistema di potere da lui presieduto con la criminalità organizzata in Sicilia che assicurano a Roma il necessario blocco di voti per tenere il controllo in tutta Italia.

Ma il destino ha in serbo un diversivo. A Palermo si era fatto notare un giudice, Giovanni Falcone. Il Siciliano Falcone si era messo in testa di sconfiggere la mafia, e aveva fatto passi da gigante riuscendo a rompere quel muro di silenzio che tutti si erano trovati di fronte quando interrogavano qualche pesce un po' più grosso finito chissà come nella rete. Subito numerosi ostacoli si frapposero, lucchetti invisibili cominciarono a scattare, dita appiccicose a trattenere. Ma Falcone, animato da una incrollabile fiducia nello stato e nella verità continuava, incapace di capire che era proprio da quello stato che lui credeva di servire che i sabotaggi arrivavano.

La nuova sinistra italiana, che aveva trovato nell'odio verso gli yankee il collante ideale che saldasse il connubio con le massonerie d'oltremanica, vide in Falcone quello che ci voleva per realizzare i suoi piani. Gli fu fatto trovare il pacco dono: un nuovo pentito pronto a cantare a comando, tal Pellegriti (vedi nostro post). Il colpo di grazia. Un colpo di stato elegante e sottile. Pellegriti inguaia Andreotti, gli eroi antimafiosi ed anticorruzione vanno al potere ed i liberali conquistano i mercati finanziari padani e la loro lucrosa appendice mediterranea.

Ma nessuno di quegli ominicchi aveva previsto quanto quel Siciliano fosse deciso a redimere la sua terra combattendo solo con le armi della giustizia e della verità. Quanto fosse deciso a recitare la sua parte fino in fondo, coerente e cocciuto come tutti i suoi conterranei.

Falcone capisce subito che lo stanno usando e svela l'ordito bloccando il colpo di stato, cosa che provoca la reazione furiosa dell'antimafia. Senza l'intervento del giudice non ci saremmo accorti di niente. Nessuno si sarebbe accorto di niente. Saremmo passati da una miseria all'altra, da un regime ad un altro che tutto avrebbe cambiato affinchè tutto potesse rimanere lo stesso.

Il Popolo Siciliano è così entrato in scena prepotentemente. Giovanni Falcone si è fatto trasportare dalla passioni, dalla sua incrollabile fede nella verità e nella giustizia non potendo comportarsi in modo diverso. La sua fine fisica segna l'inizio di una nuova guerra, di un nuovo Vespro che il Popolo Siciliano è ora chiamato a combattere per onorare la memoria del suo eroe. L'anima di Falcone sta chiamando ognuno di noi alle sue responsabilità di Siciliano: l'Ora del Vespro è tornata a scoccare.


xFruits


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giovedì, novembre 15, 2007

Poker petrolifero: l'ENI cala... le braghe!

La partita per l'accaparramento delle risorse energetiche riveste un ruolo di primo piano nel nuovo assetto geopolitico mondiale. Ma il mondo delle compagnie petrolifere è un mondo chiuso ed opaco, fatto di attori sia pubblici che privati che tendono a salvaguardare gelosamente i loro segreti scientifici ed economici.

Il gioco dei contratti, delle alleanze, degli accordi con i governi proprietari delle risorse vede quindi i contendenti puntare spesso quasi al buio, rilanciare sulle offerte altrui e bluffare sulle proprie forze sperando che il proprio gioco non sia scoperto. Un duello fatto più di sguardi e smorfie ad un tavolo al quale è difficilissimo essere ammessi e dal quale non ci si alza se non quando si è perso tutto.

L'Eni sin dai tempi di Enrico Mattei è sempre stata uno dei giocatori più scaltri a sedere al tavolo non proprio verde di questo poker petrolifero. Partendo quasi da zero Mattei ha messo l'Italia all'altezza delle grandi compagnie petrolifere: un manager geniale e con pochi peli sullo stomaco che perseguiva i suoi obiettivi con diabolica pervicacia.

Ma Mattei è passato come tanti altri personaggi che hanno contribuito a portare il nord Italia nel club della politica mondiale. Solo che lassù non si sono ancora rassegnati e continuano a tentare colpi a effetto per ritornare su quelle cime che difficilmente potranno nuovamente toccare.

L'ENI negli ultimi anni ha veramente puntato grosso, cercando di trasformare i suoi possedimenti mediterranei (leggi Sicilia e Puglia) in un hub energetico destinato a convogliare idrocarburi da est e da sud verso l'Europa. Ma siccome capita che niusciuno è fissa, il suo gioco è stato scoperto prima ancora di cominciare la mano e la sua tattica smontata pezzo per pezzo (vedi post), tanto che ora il colosso energetico italiano è costretto alla difesa.

Il segnale più evidente di questa difficoltà, nonché delle paure che attanagliano la Padania, si è avuta in questi giorni con la firma dell'accordo per la costruzione del GALSI (il Gasdotto Algeria-Sardegna-Italia), un'opera dai costi esorbitanti e dall'apparente inutilità strategica.

Poggiare una tubatura sul fondo del mare ha dei costi elevatissimi rispetto all'interramento in superficie. I tratti in mare sono in genere brevi e si scelgono solo per una oggettiva mancanza di alternative: sarebbe impossibile fare arrivare il gas in Italia se non si attraversasse lo stretto di Messina. Certo, si sono costruiti tratti estesi nei mari asiatici interni e si sta costruendo una nuova tubatura sul fondo del Mar Baltico, ma le profondità di questi bacini hanno poco a vedere con i fondali mediterranei.

Tanto per fare un confronto, il GALSI (110 milioni si metri cubi al giorno, 2 miliardi di Euro di costi complessivi per 900 km di lunghezza) verrà a costare circa 3.3 milioni di dollari al km. In questi stessi giorni Iran e Turchia hanno raggiunto un accordo per un gasdotto di portata 5 volte superiore, ma lungo ben 2577 km interamente sulla terraferma: costo totale 5 miliardi di dollari. Costo al km: 2 milioni di dollari. Una bella differenza: sarebbe stato molto più conveniente costruire l'ennesima condotta attraverso la nostra isola!

Un tale sperpero di soldi (in buona parte pubblici) ha senso solo se vi sono delle precise motivazioni strategiche: mancanza di fiducia nella disponibilità dei siciliani a continuare a collaborare a costo zero?

Strani sono anche i termini del contratto: per ottenere la partecipazione della Sonatrach (l'azienda di stato algerina) al progetto e per assicurarsi il gas necessario a riempire il tubo gli italiani hanno spalancato le porte del mercato interno agli algerini e degli 8 miliardi di metri cubi annui che arriveranno in Italia, 3 potranno essere gestiti direttamente sui mercati italiani dai nordafricani. Praticamente l'ENI (o forse sarebbe meglio dire l'Italia) sta pagando per calarsi le braghe.

Cosa alla quale ultimamente pare si stia abituando parecchio: nel giugno 2006 un accordo simile era stato raggiunto con la Russia (e spacciato qui come a noi favorevolissimo, quasi che Putin fosse babbo...), mentre pochi giorni fa un contratto con la Libia è stato degradato di categoria (dai libici, ovviamente).

La cosa più tragica è che tutti questi stati (Russia, Algeria, Libia, Turchia, Iran) sembrano intendersela parecchio bene tra di loro mentre trasformano l'Europa in una immensa camera a gas dove stanno per morire asfissiati i sogni di potere di padani e liberali. Basterebbe che la Sicilia si allontanasse da Villa di qualche altro millimetro che le braghe non riuscirebbero ad alzarsele più.


Quante braghe porta un cane a sei zampe?

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lunedì, novembre 12, 2007

Questa volta gli avvoltoi siamo noi

Capita ogni tanto nella vita che arrivi il momento di mettere da parte i buoni sentimenti, di comportarsi in modo cinico ed utilitarista. Che dimentichi di ogni carità cristiana sia necessario affondare il colpo sul nemico ferito che invoca pietà. Che anche noi, smessi gli abiti signorili che ci piace sfoggiare nelle grandi occasioni, ci abbassassimo un attimo a fare lo sgambetto al nemico distratto.

Oggi è uno di quei momenti, e visto che in pochi avranno il coraggio qui in Sicilia di smettere quell'ingombrante pastrano signorile, la prima pietra, pur nella consapevolezza di non essere senza peccato, la scaglierà questo blog, come esempio per la prossima occasione che sicuramente si ripresenterà presto.

Dove sono le analisi sociologiche tagliate su misura? Dove sono le condanne all'intera città? Dove sono le strane ed immediate interviste agli Ultrà? Dove sono soprattutto le immagini di tutto quello che è successo mandate a ripetizione su tutti i canali? Insomma, dove sono andati a finire i luridi vigliacchi che il 3 febbraio scorso veleggiavano radiosi sulle spoglie di una città umiliata e massacrata con preordinata precisione?

Ieri mattina in un autogrill in provincia di Arezzo un giovane definito solare da tutti i giornali dell'italietta è morto tragicamente ucciso dal proiettile di un poliziotto che neanche sa come fare il suo mestiere. Ora però, senza alcuna pietà, diciamo qualcosa di più preciso: quello che è morto ieri mattina ad Arezzo sarà anche stato un ragazzo solare, ma forse pure un po' balordo visto che in compagnia di balordi per motivazioni balorde era rimasto coinvolto in una rissa con altrettanti balordi di opposta fazione. Questo lo hanno ammesso i suoi stessi amici. Altri testimoni non vi sono, vista l'omertà che in questi casi solitamente regna sovrana in tutta la Tosco-Padania ed il Lazio.

Un tragico incidente indubbiamente. Ma appare ancora più tragico e surreale che da questo fatto (amplificato incredibilmente dai giornali) debbano poi scaturire le scene da guerra civile somala viste di sfuggita in televisione (stranamente questa volta le telecamere non erano piazzate benissimo come invece qualche mese fa a Catania...) in così tante città del nord e del centro.


Niente a che vedere con il panorama del Massimino


L'Italia è oramai alla bancarotta morale ed economica (nonché storica) totale, ma ancora ci sono maiali razzisti che a Rai1 hanno mandato in onda un servizio con le immagini di Catania invece di quelle che venivano registrate in quelle ore. Ci sono ancora veri e propri delinquenti che si permettono di scrivere falsità come questa sul Corriere della Sera:

“È stata la prima, spettacolare reazione al grande silenzio a cui le curve erano state costrette negli ultimi mesi dall'offensiva dei decreti. Ingabbiati dai tornelli e dai biglietti nominativi, disconosciuti dalla tifoseria ufficiale, ormai censiti dalla polizia a decine e decine di migliaia, gli ultrà hanno tentato ieri di uscire dall'assedio con una mossa così evidente da sembrare disperata.”

Mentre la realtà è che negli ultimi mesi di disordini negli stadi e nelle città se sono avuti a ripetizione, e non solo nel calcio. Mentre la realtà è che centinaia e centinaia di balordi della stessa razza di quelli coinvolti nella rissa nell'autogrill, uomini e donne di ogni età e di ogni ceto sociale, hanno pensato bene di sfogare il vuoto nel quale vivono contro tutto quello che gli passava davanti.

Sarà fermato il campionato? Sarà squalificato il campo dell'Atalanta per una decina di giornate? Sarebbe giusto, ma sappiamo che non lo faranno (anzi, le immagini sono già scomparse dai siti, e si parla di pene “severissime”, tipo vietare la curva di Bergamo: ripeto sono solo dei porci razzisti) e non ce ne potrebbe fregare di meno. Perchè questo è il momento delle decisioni dure. Questo è il momento in cui un governo siciliano veramente autonomo avrebbe impedito a tutte le squadre siciliane di continuare a partecipare ai campionati nazionali (ed avrebbe fatto rispettare la sua decisione con la forza se necessario, tramite la polizia che dovrebbe controllare) nell'attesa di creare un proprio comitato olimpico e di smantellare finalmente quei bunker che sono diventati i nostri stadi restituendoli alla nostra gente ed ai nostri ragazzi.

Mentre ancora qui da noi c'è una famiglia che piange un morto senza che niente si sappia su cosa sia successo quella sera, in cui stranamente si erano raccolti a Catania agitatori provenienti da altre parti d'Italia. Intanto le squadre di Catania e Palermo continueranno e giocare in questa vergogna che è il campionato di serie A italiano infangando la memoria del commissario Raciti e la rispettabilità di tutti i siciliani. E siamo tutti responsabili, dato che buona parte dei soldi che spendiamo per assistere a spettacoli sportivi oggi servono a finanziare questa banda di delinquenti razzisti che abusivamente controlla tutto.
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venerdì, novembre 09, 2007

Nun semu chiù suli

Su questo blog si sono dedicati parecchi post a come stia cambiando il fenomeno della migrazione ed a come oggi l'esperienza migratoria possa rafforzare l'identità di un popolo anche attraverso le barriere dovute alla distanza che dividono le comunità emigrate da quella originaria, anche grazie alla rivoluzione informatica (su tutti voglio ricordare il post 'La diaspora siciliana e la globalizzazione' del gennaio scorso).

Vediamo in questi due video come l'esperienza diretta del processo possa segnare le parole e l'arte di un grande artista siciliano in uno spezzone di un intervista rilasciata a Repubblica.tv:


Argentina


Sulu, lontano dalla mia terra

L'intera intervista può essere ascoltata su http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=8367
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mercoledì, novembre 07, 2007

Il Popolo Siciliano tenta lo scacco

Cos'è una rivolta? Cosa succede quando un popolo spontaneamente si ribella e la folla tumultuosa rompe gli argini spalancando le porte dell'inferno per gli oppressori, che hanno solo un breve lasso di tempo per richiuderle prima di essere inghiottiti? In questa era moderna imbevuta di un vuoto “politicamente corretto” e del paradosso delle missioni di pace non c'è più la percezione della folla, della moltitudine inferocita. Persino la sensazione di appartenenza ad un popolo sembra essersi affievolita sino quasi a scomparire. Ma in Sicilia ancora no. In Sicilia il Popolo è ancora forte, e più di un secolo dopo la famosa rivolta del sette e mezzo, sessant'anni dopo i moti indipendentisti degli anni 40, il Popolo Siciliano mette ancora paura:



4000 poliziotti per un funerale di stato? Ma quannu mai... Il regime tremava, e sapeva quello che sarebbe potuto succedere. Non è successo per un pelo, ma quel segnale ha tramutato il martirio di Falcone e di Borsellino in una vittoria, in una spinta verso la libertà che, grazie anche ad una ruota della storia che si è rimessa a girare, non si è ancora spenta e sembra travolgere tutto con il suo impeto.

Una battaglia non è però la guerra, e la vittoria è ancora incerta. Ma chi si scontrava in quei giorni, e chi si sta ancora scontrando cominciamo a poter distinguere, per quanto scaltri gli attori principali siano nel muoversi nell'ombra.

Seguiamo allora questa traccia appiccicosa che come una scia pende dalle filiere degli immondi tessitori. E ripensiamo al video di prima. Chi era quel vecchietto sconsolato interrogato ad inizio filmato? Come mai quella vena di disfattismo che il regista pensa di fare collimare con quelle che crede (o vuole far credere...) siano scene di disperazione e che invece contrasta nettamente con quel moto di risveglio?

Quello che sembra un povero vecchietto spaurito è il realtà uno dei più grandi eroi dell'antimafia. O meglio, degli “antimafiosi”, potremmo dire maliziosamente. Quello è Antonino Caponnetto. Al tempo delle stragi mafiose magistrato in pensione. SUBITO DOPO le stragi, candidato con la Rete di Orlando (divenne presidente del consiglio comunale di Palermo). E dopo ancora gran parlatore in tutti i convegni dove si trattasse di mafia. Un eroe a parole, possiamo dire: Falcone, Borsellino e tanti altri che ancora lavorano in silenzio saranno ricordati per le loro azioni. Ma quali azioni ricordiamo oggi di Caponnetto? Solo premi e parole. Sicuramente messo nell'ombra da Falcone e Borsellino quando era ancora in servizio, raggiunse la fama solo DOPO la loro morte.

Ma in che rapporti era Caponnetto con Falcone in vita? Leggiamo un brano tratto dal libro “Il cono d'ombra” di Mario Patrono (Cerri editore,pag.103-105)*:

"Ma l'accerchiamento di Falcone non è opera solo dei politici,della Rete,del Pci-Pds. Incredibilmente i suoi più cari amici,i magistrati a cui è stato più vicino,non hanno esitazione a sottoscrivere pubblicamente contro di lui. Il 28 ottobre 1991 sessanta magistrati firmano una lettera contro la sua Superprocura, definendola uno strumento inadeguato, pericoloso, controproducente: una lettera che tanta amarezza cagionò a Giovanni Falcone. Le prime firme sotto il documento sono quelle di Antonino Caponnetto,di Giancarlo Caselli e di Elena Paciotti"

Caponnetto, con la sua autorità negli ambienti giudiziari, si occupò quindi di isolare Falcone 'da sinistra', insieme ad altri colleghi. Il motivo? Per alcuni si trattò forse di sincera convinzione personale dell'inutilità delle proposte del giudice. Altri probabilmente furono spinti da invidia professionale. Per un gruppetto però si intravedono motivazioni politiche.

Falcone infatti si rifiutò di prestare fede alle dichiarazioni di un pentito, tale Pellegriti (uno dei tanti delinquenti stipendiati dallo stato sia prima che dopo, per chi ha orecchie per intendere...), che chiamavano in causa Andreotti dando apparentemente sostanza all'ipotesi di un terzo livello politico romano (Pellegriti accusava Salvo Lima di essere il mandante dell'uccisione di Piersanti Mattarella). Questo lo rese inviso a tutta la 'sinistra' (a quel tempo pronta a saltare alla gola della DC oramai indebolita per accaparrarsi il potere) ed in particolar modo all'ambiente della Rete ed al duo Orlando-Caponnetto.

Falcone forse peccò a quel punto di ingenuità: isolato come detto a sinistra, non poteva certo cercare protezione nella tana del lupo e ricevere riconoscenza da una DC che aveva momentaneamente salvato (ma solo per onestà: secondo lui quel pentito non era credibile) e che nel frattempo lo attaccava altrettanto violentemente tramite i suoi rappresentanti locali**:



Falcone uomo fedele allo stato fino in fondo non poteva arrivare troppo in alto. Capì o non capì quanto fosse realmente isolato? Quando fu fisicamente eliminato dalla mafia (in esecuzione di ordini provenienti da più lontano) egli era già morto dal punto di vista civile, ucciso dall'antimafia.

Ma come detto ad inizio, la rivolta dei Siciliani il giorno dei funerali della scorta di Borsellino capovolse tutto. E sul martirio di due eroi fiorì il risveglio di un Popolo.

Oggi tutto questo sta tornando di attualità. Mentre in Sicilia si smantellano gli ultimi resti di una certa struttura di potere mafioso (vedi gli ultimi eclatanti arresti) senza che gli antimafiosi (o semplicemente anti-DC?) riescano a rimpiazzarla con un altra, sembra si stia cercando di iniziare lo stesso processo oltre faro, in Calabria, dove i recenti fatti di cronaca riguardanti De Magistris ricalcano la storia appena raccontata, come traspare dall'intervista pubblicata sul Corriere.

La guerra è appena cominciata ma la conclusione non è poi tanto lontana nel tempo. Come in un torneo di scacchi, vincerà colui che riuscirà a prevedere con maggiore anticipo le mosse degli avversari, ed il Popolo Siciliano è iscritto al torneo di diritto.

*La citazione ed altri passaggi del post traggono spunto da un articolo segnalatomi da un navigatore. L'articolo spiega dettagliatamente i passaggi che portarono all'isolamento di Falcone da parte dei professionisti dell'antimafia. Ricordiamo comunque che esso è scritto da Lino Jannuzzi (Forza Italia), parte in causa nella guerra di potere di cui si parla.

**Lo spezzone video è isolato e fuori contesto. Cuffaro difende il sistema dal punto di vista politico da nemici che valgono tanto quanto lui ed i suoi capi romani. Nemici che non cercano cambiamenti ma solo sostituzioni. Si intravede un Falcone “danno collaterale” di una spietata guerra per il potere. Bisognerebbe ascoltare anche quello dal giudice detto nell'occasione, ma all'antimafia di Falcone interessa solo la fotografia. Non le parole. Se qualcuno ha notizie di altri spezzoni della trasmissione di Costanzo è pregato di segnalarli.

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domenica, novembre 04, 2007

Siciliani coraggiosi

Ha aperto ieri (3 novembre) a New York, al museo di Ellis Island, una interessantissima mostra sull'emigrazione siciliana verso gli Stati Uniti dal titolo "Sicilian Crossings" (vedi il manifesto).

Il professore Saija, curatore della mostra e direttore del circuito dei musei siciliani, ci ha gentilmente inviato il comunicato stampa ufficiale dell'inaugurazione, che alleghiamo al post.

La mostra contiene un sezione particolarmente interessante, riguardante le motivazioni che spinsero questa gran massa di siciliani a cercare fortuna oltre oceano.

Essendo essa curata dalla Regione Siciliana, probabilmente non troveremo quelle realtà "scomode" che tutti noi stiamo cercando di riportare alla luce e di diffondere tramite le nostre ricerche e le nostre analisi, ma è pur sempre un passo nella giusta direzione. Per la prima volta infatti ci vediamo protagonisti di un evento ufficiale quale Popolo Siciliano con dei confini culturali ben delimitati.

Ripeto, non è un passo da poco. Possiamo quindi capire quella caduta di tono, che troverete sia sul comunicato ufficiale sia sull'articolo de La Sicilia (non più presente sul server), in cui si parla di "un'altra Italia". Una conclusione sicuramente forzata e priva di logica.

Meno capiamo invece cosa ci trasi la mafia.

Chiunque abbia la possibilità di visitare l'evento di persona o di mandare amici e parenti residenti negli Stati Uniti, può recapitare le sue impressioni (positive o negative che siano) o eventuali documenti (video, commenti audio, foto) ad abatevella@hotmail.it così che si potrà fornire un feedback a tutti coloro i quali non potranno partecipare.

La mostra rimarrà aperta sino al 3 febbraio 2008.


Con la Sicilia sempre tra i ricordi


Comunicato Stampa:

La Sicilia dell`emigrazione

in mostra a New York

NEW YORK - (2 nov. 07) Una mostra allestita all`Ellis Island Museum, l`isoletta a cinque minuti di battello da Manhattan che ospita il piu` grande museo mondiale dell`emigrazione, racconta in 120 pannelli la storia dei siciliani che scelsero la via degli States e la sfida di un`avventura per molti rivelatasi felice. Un secolo in mezzo di "Sicilian Croissing", titolo dell`esposizione, che comincia dalle cause di un flusso emigratorio gia` dalla fine dell'Ottocento imponente.

E allora, perche` partirono ? Probabilmente non solo per la condizione economica conseguente alla difficolta`di esportare agrumi, alla crisi delle miniere di zolfo e di pomice; vigneti distrutti dalla fillossera, riduzione del lavoro nelle tonnare e nelle saline, pressione della mafia nel controllo delle masse contadine. Contribui`anche un forte elemento di attrazione determinato dalla fomidabile campagna promozionale messa in atto dagli agenti marittimi che avevano dalle Compagnie di navigazione una robusta provvigione sui biglietti per l`America, tanto da mettere su, persino nei piccoli centri dell`interno, una rete di sub-agenti cui veniva riconosciuta una meta dell` intero 3 per cento del costo totale del viaggio. Manifesti e messaggi che lasciavano spazio al sogno di un`America con pavimenti lastricati d`oro e lavoro in quantità, tanto da non doverlo cercare: 'Gia` sul molo qualcuno vi avvicinera` per dire cosa volete fare. Sarete voi a scegliere'.

In centoventi pannelli, realizzati dalla "Rete dei musei siciliani" e curati da Marcello Saija, presidente dell`organismo, c`e tutto il sogno americano: dal cosa e` stato a determinarlo, al come e dove si e` realizzato. Alla mostra "Sicilian Croissing" hanno partecipato i musei siciliani dell`emigrazione di : Salina, Savoca, Giarre, Canicattini Bagni, Ragusa, Acquaviva Platani, Santa Ninfa.

Cinque sale in cui trovano spazio sentimenti, testimonianze, scene struggenti sul molo, le valigie di cartone tenute da lacci, le paure dei momenti immediatamente precedenti all`abbandono, l`ansia determinata dalla visita medica, dalle formalita` dell`ultimo momento; poi le lacrime e i fazzoletti sventolanti sulla banchina e sulle navi che prendono il largo dai porti di Messina e Palermo. Nella terza galleria l`impatto con la nuova realta` e dopo il pasaggio da Ellis Island, tappa obbligatoria, la via di Manhattant, o di Chicago Little Italy, Rochester, ecc. Nelle ultime sale il ruolo delel societa` di mutuo soccorso che ciascuna comunita` ha costituito e alcune delle quali ebbero rapidamente considerazione e prestigio fino a diventare interlocutori delle principali industrie americane nella segnalazione dei lavoratori da assumere. Ma non solo perche` rappresentarono un catalizzatore aggregante per le famiglie gia insediatesi e quelle in arrivo.

La mostra sara l`occasione per presentare il nuovo Notiziario on-line di emigrazione e immigrazione con cui la Regione Siciliana intende offrire a questa altra Italia nel mondo un ponte di dialogo e alimentare un rapporto che dagli italiani in America e` fortemente sentito e sollecitato: "Qui Sicilia", affidato alla direzione del giornalista Mario Cavaleri, li informera' su normativa, questioni sociali e quant`altro puo` essere d'interesse, ospitera` contribuiti e proposte, dara` spazio ai protagonisti di questa avventura. Argomenti che saranno ripresi nella rivista trimestrale "Neos" il magazine di ,"Qui Sicilia" il cui primo numero sara` distribuito domani.

Inaugureranno la mostra il console generale d`Italia dott. Francesco Maria Talo` e l`assessore al lavoro della Regione Siciliana on. Santi Formica; presenti tra gli altri il sen. Enrico La Loggia, il presidente della Corte dei conti di New York Thomas Di Napoli, i rappresentanti dello Stato di New York e delle associazioni italo americane.




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giovedì, novembre 01, 2007

I soliti 30 denari...


Vi ricordate l'autonomista Cateno de Luca? Vi ricordate le sue melodrammatiche campagne elettorali, con tanto di carretti siciliani e pianti di fine comizio, con valigie di cartone e repertorio rivendicativo para-sicilianista?

Il nostro aveva addirittura abbandonato l'MPA al suo destino, rifiutandosi di partecipare alla sceneggiata dal Lombardo recitata.

Cateno de Luca si era messo in proprio, allestendo una nuova compagnia teatrale e facendo al corte anche ai partiti sicilianisti.

Ma la sua commedia è durata poco, appena il tempo di trovare un nuovo padrone da Roma, e via nuovamente dentro l'o-vile democristiano. La sua compagnia teatrale si era originariamente chiamata "Sicilia Vera". Oggi il suo nome completo è Democrazia Cristiana per le Autonomie - Sicilia Vera, e fa riferimento a questi signori qui. Quanto avrà preso Cateno da Rotondi per mettere la bandiera italiana nel suo simbolo? Manco a dirlo, i soliti 30 denari. Però guardate che bel risultato...

Di seguito è riportato il comunicato che L'Altra Sicilia ha diramato riguardo ad una rappresentazione-conferenza organizzata dalla suddetta compagnia: il regista dell'opera non sa neanche il nome del teatro in cui si appresta a presentare il suo capolavoro, dal titolo:

Regione Sicilia: Conferenza Stampa Mercoledì 31/10/2007 all'ARS.
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Bruxelles, 30 ottobre 2007

Egregia Segreteria,

Gruppo Democrazia Cristiana per le Autonomie - Sicilia Vera

alla c.a. Sig. Cateno DE LUCA, deputato siciliano all'ARS,

e p.c. ai signori eletti deputati nel più antico Parlamento del mondo


La Regione nostra è "Siciliana" e non "Sicilia", non solo perché formalmente questo ne è il nome ma per un motivo storico preciso e per un preciso rapporto istituzionale che la lega all'Italia.

Il nome ufficiale non è modificabile nemmeno in maniera surrettizia con il suo cattivo uso. Così come la Sardegna si chiama Regione Autonoma della Sardegna altrettanto la Sicilia deve chiamarsi soltanto Regione Siciliana quando ci si riferisce alla persona giuridica che la rappresenta mentre la Regione Sicilia è un'espressione accettabile solo quando ci si riferisca al territorio su cui la medesima persona giuridica esercita la propria sovranità.

La Regione è "Siciliana" in assonanza con la Repubblica che è "Italiana" e non "Italia" (e, se vogliamo, con l'Unione che è "Europea") perché nasce come ente originariamente sovrano e legato all'Italia da un rapporto pattizio e potenzialmente paritetico.

La Regione "Sicilia" sarebbe invece una regione "concessa" dal centro, un'articolazione amministrativa e burocratica dello Stato Italiano, come la vogliono i neocentralisti; la Regione Siciliana, invece, ha preferito l'aggettivo al sostantivo perché non "costituisce" per gentile concessione dello Stato una comunità politica ma "è derivata" da una comunità nazionale o comunque storica e geo-politica che le preesiste e che trova la propria prima legittimazione nel Popolo Siciliano e nella sua storia, prima ancora che nel decreto di Umberto II o nella legge costituzionale di recepimento (la n. 2 del 1948): queste ultime tutt'al più "riconoscono" l'Autonomia della Sicilia, la incorporano nella Costituzione Repubblicana ma non hanno valore costitutivo.

La Sicilia è un'Istituzione a sé e una società (prima che uno Stato o un Ente Pubblico); da questa deriva uno Stato (non dichiarato come tale ma tale nella sostanza per il dettato statutario e per le sue modalità di formazione) che, dovendo fare riferimento e "derivare" da quella società-nazione, ha bisogno di un aggettivo (o, similmente, di un complemento di specificazione). Così, nel mondo, ci sarà una "Generalitat de Catalunya" e non "Generalitat Catalunya" uno "United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland" e non "United Kingdom Great Britain etc."

Abbiamo diffidato i curatori del sito istituzionale della Nostra Regione e, prima ancora, il Governatore (sic) Toto' Vasa Vasa, al quale attribuiamo la responsabilità politica in materia, ad adeguare il nome ed ad adoperarsi affinché la cittadinanza conosca il vero nome dell'ente sovrano della nostra "piccola patria" e più in generale che i valori dell'Autonomia vengano trasmessi con una azione di vera e propria "educazione civica", senza la quale le lamentele sulla "scarsa proficuità" dell'Autonomia non dovrebbero avere diritto di cittadinanza.

Continuano ad ignorare questo nostro appello perché hanno disprezzo per le istituzioni e per la Sicilia stessa che non merita questo dalle persone alle quali è stato affidato affidato il più delicato dei nostri tesori, l'amministrazione della cosa pubblica.

Per la Sicilia, solo per amore della Sicilia

ANimus TUus DOminus!

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