Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

giovedì, marzo 31, 2011

Con l'acqua alla gola

E così pare che nel medio-oriente sia in atto un nuovo 1848, una rivoluzione contro la tirannide e per la democrazia. Una primavera araba (ma non islamica). Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Bahrein, Yemen: stiano attenti i despoti, che questi baldi giovani armati solo di Facebook e Twitter ve lo faranno tanto.

Il Corriere della Sera, Repubblica, e poi tutti i media occidentali non sanno più come scriverlo. Lo urlano a squarcia gola: “Guardate, guardate qui: queste sono tutte rivoluzioni spontanee, fatte dalla gente!”

Noi certamente non pretendiamo di capirne e di saperne più di loro, professionisti del settore. Però RussiaToday ha mostrato delle immagini che mettono un po' in crisi questo modello.



Quei cannoni ad acqua che vedete non sono entrati in azione a Damasco, a Sana'a o a Manama. Quello è il Belgio e secondo RT.com (“Europeans against austerity cuts: thousands clash with police in Brussels”, 25 marzo 2011) i manifestanti erano circa 20,000. Il commento finale del giornalista ci confonde:

Con una povertà crescente e milioni di disoccupati in tutta Europa, le gente sembra perdere la pazienza con dei politici che non sembrano in contatto con la realtà”.

Se in questo commento sostituiamo Europa con Egitto, per esempio, la frase potrebbe benissimo apparire in calce ad un pezzo su queste benedette rivoluzioni quarantottine al gelsomino.

Solo che nel caso del Belgio nessuno ha parlato di rivoluzione contro una dittatura, di gioventù che si da appuntamento per protestare tramite Facebook.

E nessuno ne parla neppure ora che le proteste sono arrivate a Londra (“Londra invasa dalla protesta contro i tagli”, Corriere.it 26 marzo 2001). Non ne parlavano negli stessi termini quando le abbiamo in viste in Grecia o nel caso del Portogallo.

Invece per il medio oriente, sono riusciti a farci entrare pure la petizione (online, ovviamente) di 100 intellettuali per il suffragio universale negli Emirati Arabi (“Emirati petition ruler for democratic eletion” Euronews.net, 9 marzo 2011) !

Due pesi due misure: una lente di ingrandimento per osservare il medio-oriente ingigantendo i motivi della rivolta sino alla guerra civile, ed un cannocchiale capovolto per nascondere l'Europa, dove le proteste sono “per i tagli” e non contro il regime.

Viene il sospetto che più che ad una rivolta solo araba si stia assistendo al crollo dell'intero sistema, con le diverse fazioni, già con l'acqua alla gola, che soffiano sul primo focolare che capita per aggrapparsi ad una scialuppa che prima o poi faranno rovesciare.


Di guardia alla scialuppa

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mercoledì, marzo 30, 2011

La croce del Presidente

La pulce nell'orecchio che mi mise l'amico Abate continuava a tarlarmi. Non che io fossi un esperto di croci e crocifissi, ma quell'oggetto posto tra i libri dell'ufficio di Raffaele Lombardo sembrava abbastanza familiare.

Esclusi subito che si trattasse della croce di S.Damiano, quella cara a S.Francesco D'Assisi per intenderci, difatti confrontando la conformazione si nota subito la loro differenza.

Decido così di mettermi alla ricerca su internet e dopo qualche minuto mi imbatto su un'oggetto ligneo decorato nella cui descrizione vi era scritto "croce di pentecoste" molto simile a quella posseduta dal Presidente.

Certo di aver trovato la strada giusta, approfondisco la ricerca e scopro che tale oggetto viene venduto su un noto sito di articoli religiosi dell'Ortodossia russa...

Fingendomi un cliente, invio un email al negozio allegando l'immagine che ritrae la foto della croce di Lombardo e chiedo se posseggono l'oggetto in questione. Dopo qualche giorno arriva la risposta: "abbiamo un articolo che gli somiglia", con sopresa noto che mi indirizzavano sempre alla "croce di pentecoste", la stessa scovata su internet che poi ho scoperto essere anche un link al loro sito.

Seguendo il filone e la linea secondo la quale nella libreria di Lombardo vi sarebbero dei testi che in qualche modo indicano la via politica che Lombardo sta percorrendo e ben consci dei sempre più stretti legami tra l'imprenditoria russa e la Sicilia (dalla Lukoil alla Windjet, passando per la Gazprom fornitrice del rigassificatore di Porto Empedocle e le visite della diplomazia di Mosca) si può ipotizzare che l'esposizione di quella croce russa (probabilmente donata in una delle visite) sia un messaggio per ribadire i rapporti speciali tra la Sicilia e la Russia.

Raffaele d'Agostino

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giovedì, marzo 24, 2011

La spia che venne da occidente

Recentemente, parlando della funzione di “sutura” esercitata nel Mediterraneo dalla Sicilia (si veda il post “Filo da sutura”), abbiamo rilevato come nel quadro geopolitico dell'Italia repubblicana questa vocazione si sia manifestata in ambito prettamente politico con il fenomeno del “compromesso storico”, termine che viene di solito allacciato all'attività di Aldo Moro, ma le cui radici si possono rintracciare proprio nel sentimento autonomista siciliano, che non è come qualcuno vuole far credere (o pretende di credere) un sentimento isolazionista. Tutt'altro.

La tendenza al compromesso in verità non è altro che l'inevitabile strategia che consegue all'obiettivo principale di quella funzione di sutura già discussa: l'obiettivo dell'inclusione, come opposto all'emarginazione ed all'inevitabile scontro tra le parti. L'Autonomia Siciliana è inclusione poiché se una terra punto di incontro tra idee diverse vuole essere autonoma, deve essere capace di pacificare le sue componenti includendole nel compromesso che deve essere raggiunto per potere attuare detta autonomia.

Come già detto, è questo meccanismo il vero nemico di un occidente votato alla conquista ed alla distruzione del diverso da sé. Ed è per questo che politici come Aldo Moro o Piersanti Mattarella, il Presidente della Regione Siciliana appartenente proprio alla corrente di Moro, hanno pagato con la vita il loro sgarro.

Oggi Raffaele Lombardo ha potuto passare indenne attraverso le stesse forche caudine solo perchè ha avuto la “fortuna” di piazzare la sua azione in un momento di crisi irreversibile per l'occidente.

Dall'altro lato invece Silvio Milazzo è probabilmente sopravvissuto ai suoi spericolati colpi di testa “autonomisti” semplicemente perchè sono riusciti a fermarlo in tempo.

Alcuni dettagli di quel periodo ci suggeriscono quanto il meccanismo che lo eliminò (per fortuna solo dalla scena politica) possa essere collegato, almeno ideologicamente, agli omicidi Moro e Mattarella ed alla vendetta occidentale.

Non è certo questa la sede per dilungarsi sui dettagli del panorama politico siciliano di quel dopoguerra [*]. Basterà solo accennare come a livello locale il compito di isolare all'interno della DC i “notabili” calatini (Sturzo, Scelba, lo stesso Milazzo) tagliando le ali a livello nazionale a De Gasperi fu perfettamente espletato dalla corrente catanese dello stesso partito, il cui ultimo esponente (attualmente sindaco di Bronte) continua tutt'oggi a combattere lo stesso tipo di “compromesso”.

Con la loro azione i “catanesi” (Magrì, Drago, Lo Giudice, un giovane Firrarello – per la verità originario di S. Cono) isolarono Scelba e costrinsero un Milazzo imbevuto di indipendentismo al punto giusto ad una azione disperata, quella cioè di dare vita ad un governo autonomista sostenuto dalle sinistre (più o meno la stessa situazione che troviamo oggi all'ARS).

Questa sua “azione disperata” fu neutralizzata da uno stratagemma ideato da un veneto trapiantato in Sicilia: Graziano Verzotto. Mandato giù negli anni 50 da Fanfani (nemico di De Gasperi) a mettere ordine nel partito democristiano, costui resterà in Sicilia per parecchi decenni, decenni che lo vedranno coinvolto in altri casi eclatanti, tra i quali la morte di Mattei.

Lo stratagemma ce lo racconta lo stesso Verzotto, con il tono tronfio da eroe che si compete ad un salvatore della patria (padana), nel suo recente libro “Dal Veneto alla Sicilia” (“Graziano Verzotto, l'«uomo dei misteri»”, Corriere.it 13 maggio 2008):

Verzotto studiò «la strategia migliore per mandare a casa Milazzo e la sua giunta». Nelle stanze ovattate dell’hotel delle Palme convinse il barone Majorana ad abbandonare Milazzo con la promessa della presidenza. Venne architettato anche un atto di corruzione, e un comunista ci cascò accettando 100 milioni di lire. Scoppiò un putiferio e la strana giunta Milazzo fu spazzata via.

La cosa che ci interessa è però quella raccontata dopo:

I complimenti più sorprendenti per la fine di Milazzo, Verzotto, divenuto segretario della Dc siciliana, li ricevette dal boss Lucky Luciano. Gli si avvicinò nel bar dell’hotel delle Palme. «Parlava di politica mostrando una conoscenza straordinaria di fatti e personaggi».

Il fatto che Lucky Luciano si fosse avvicinato a Verzotto per complimentarsi la dice lunga su quale sarebbe stato il piano B nel caso il cui il signorotto veneto avesse fallito.

Ma chi era realmente Lucky Luciano? Secondo la storiografia ufficiale, un potentissimo boss mafioso siculo-americano che tra l'altro fornì l'ispirazione a Coppola per il suo “Padrino”.

Uno scrittore inglese (Tim Newark) la pensa in modo molto diverso (“The Dudfather: gangster who inspired Vito Corleone was a fake”, SWNS.com 5 gennaio 2011):

“La triste verità è che Lucky Luciano era un decaduto senza i soldi o il potere per essere quello che si diceva di lui. Anche se lo fosse stato, la mafia non avrebbe lavorato con lui proprio a causa del suo profilo pubblico.”

Allora perchè tutto questo mito intorno a quest'uomo? La risposta, forse risiede nel titolo del libro:

Lucky Luciano, assassino mafioso ed agente segreto.

Pare ci siano seri indizi sul fatto che il nostro lavorasse per l' “Occidente” insieme a tanti altri suoi colleghi il cui compito era quello di impedire la “sutura”.

Milazzo, come Moro e come Mattarella, non fu fermato da un complotto italiano. Contro di lui si stava già muovendo l'intero apparato da guerra anglosassone, quell'apparato di cui l'Italia risorgimentale era solo una propaggine. E la Sicilia (autonoma) la sua spina nel fianco.


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[*] Sulla situazione politica siciliana del tempo posso consigliare il breve e preciso “La mia verità sull'Operazione Milazzo”, di Pietro Cannizzo Sturzo – Mare Nostrum Edizioni, 2008.

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domenica, marzo 20, 2011

Peggio tardi che mai

Ieri, 19 marzo, mentre su Tripoli cominciavano a piovere le bombe, Raffaele Lombardo dall'Albergo delle Povere di Palermo ha lanciato la costituente non per una nuova stagione dell'Autonomia Siciliana (tante volte sussurrata ma mai attuata) bensì per un altro (ennesimo) partito del sud.

Ennesimo partito che in realtà risulta essere quello vero, quello che da anni era stato programmato ma che si era sempre posticipato nell'attesa del momento propizio, ora catalizzato dallo scoppio delle ostilità nel Mediterraneo. Il partito vero: ripetiamolo nella effettiva consapevolezza che quei prematuri epigoni sorti qui e lì non siano altro che degli specchietti tattici volti a sminuire la temuta creatura del Presidente della Regione Siciliana, pre-destinata a spaccare l'Italia facendo da contraltare alla Lega Nord.

Tutto scritto, dunque. Tutto facile, sembrerebbe. Se non fosse per quel simbolo alle spalle di Lombardo. Che vorrebbe dire?

Malgrado molti facciano a tutt'oggi orecchie da mercante, non è più possibile tacere su quello che tutti vedono: lo scontro strisciante tra Napoli e la Sicilia, uno scontro congelatosi nel tempo e rimasto fermo a 150 anni fa. Ibernato, ma pronto a risvegliarsi ed ad indebolire il corpo di quella che presto potrebbe essere la nuova realtà politica nella quale confluirà la nostra isola.

E' ovvio che il leader siciliano ci vada con i piedi di piombo. Solo che in questo modo si rischia di cadere nel nulla e di tornare a creare qualcosa di artificiale, fondato appunto sul nulla, sperando che poi la strada la si trovi andando. Se la storia degli ultimi 150 anni dovrebbe insegnarci qualcosa è proprio di evitare a tutti i costi di rimanere intrappolati in una di quelle “espressioni territoriali” che sono andate tanto di moda nel XX secolo.

Ed invece i presupposti ci sono tutti, a partire da quella cartina che nella sua vuota banalità cancella millenni di storia da un lato e dall'altro dello stretto, quasi che si preferisca risolvere quel conflitto annullando i due lati dell'equazione invece di provare a sommarli.

I discorsi non dicono di meglio. Dichiarazioni come quella secondo cui la nuova formazione dovrebbe «perdere il suo connotato di partito siciliano», se da un lato tradiscono il (giusto) timore da parte di chi le pronuncia di suscitare un rigetto partenopeo, dall'altro gettano benzina sul fuoco del Sicilianismo, un fuoco che comunque vadano le cose non si spegnerà.

Peggio quando più in là si prende il delicatissimo argomento del nome del partito: «Io credo che il termine “meridionali” dovrebbe esserci». Una auto-segregazione assolutamente inaccettabile per chi vede il discorso dal punto di vista storico, l'unico punto di vista che può dare senso al progetto di uno stato che comprenda sia la Sicilia che il sud Italia.

Assimilando quel termine non facciamo altro che accettare la subalternità nella quale ci ha confinato il risorgimento, rendendola strutturale culturalmente e fissandola nell'immaginario collettivo: una nazione che nasce già sconfitta, che vuole pervicacemente rimanere colonia.

Un altro Sud Sudan, una ennesima Corea del Sud, un astruso Nord Dakota. I nostri padri fondatori normanni lottavano per conquistare gli imperi, da oriente ad occidente. Noi stiamo diventando una improponibile troncatura geografica.

Si corre il rischio di cancellare quello che nemmeno i Borboni si sarebbero mai sognati di cancellare: la gloriosa storia del Regno di Sicilia, comunque la si voglia vedere implicitamente incastonata anche nel Regno delle Due Sicilie.

Ieri, in un luogo il cui nome già di per sé suggerisce privazione, il popolo Siciliano (o Duo-Siciliano che dir si voglia), da Palermo a Napoli, dopo molti ritardi alla fine è stato castrato.

Ma non arrendiamoci ancora: una insperata erezione dell'orgoglio rimane sempre possibile. Presidente, faccia uno sforzo.


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sabato, marzo 19, 2011

Guerra tra cani

Non c'è da meravigliarsi: era solo questione di tempo prima che l'instabilità dovuta al crollo dell'occidente arrivasse sino al Mediterraneo.

Asia Centrale, Medio Oriente, Corno d'Africa sono già da tempo sconquassati dal contorcersi delle spire dell'impero morente. Le uniche zone “pacifiche” sono quelle dove un nuovo ordine si è già instaurato, sotto il controllo cinese: dopo i tumulti finanziari dei passati decenni il sud-est asiatico gode di una situazione che per il momento potrebbe definirsi “sotto controllo”.

Ora tocca a noi.

Basta rileggere attentamente un passo fondamentale della risoluzione numero 1973 dell'ONU riguardante la Libia per capire come oramai il sistema sia in caduta libera e senza paracadute: secondo detta risoluzione gli Stati «potranno agire a livello nazionale o tramite organizzazioni regionali». In altre parole, l'ONU si auto-esonera da qualunque funzione di supervisione e da il via libera ad una vera e propria guerra non contro la Libia, ma per la spartizione della Libia. Le Nazioni Unite con queste poche parole hanno abdicato alla loro funzione di concerto, una funzione che per quanto spesso puramente fittizia fungeva almeno da valvola di sfogo di certe “pulsioni”.

Il tocco da maestro è comunque quello dei paesi astenuti (manco a dirlo: Russia, Cina, Brasile, India e soprattutto Germania), che ora staranno alla finestra a guardare USA, Gran Bretagna, Francia e, per quello che può contare, una moribonda Italia scannarsi a vicenda non solo per il petrolio libico ma anche per mettere un piede nel Mediterraneo (GB, Francia) o per cercare di tenercelo (Stati Uniti, Italia).

Chi ancora non aveva capito cosa stava succedendo, deve ricollegarsi alla strana ritrosia degli americani a dare corso ai fatti dopo tante minacce di intervento ed alla secca bocciatura di Gheddafi da parte dei russi, che a quanto pare d'ora in poi vieteranno al rais ed ai suoi familiari di mettere piede entro i confini della federazione: col passare dei giorni il sospetto di certi accordi sottobanco, ventilati tra le righe anche dal Financial Times (si veda il post “Un Cavaliere senza più staffe”), si sono fatti sempre più forti facendo saltare i nervi a Sarkozy ed a Cameron a fronte della ritrosia americana (“Libia, il risiko della risoluzione Onu: Francia ed Inghilterra in prima linea, Usa e Italia nelle retrovie”, IlFattoQuotidiano.it 18 marzo 2011):

Francia e Gran Bretagna, comunque, sembrano in prima linea. Solo in seconda posizione, invece, gli Stati Uniti: l’ambasciatrice Usa all’Onu, Susan Rice, ha detto di non voler parlare di “dettagli operativi”

La Sicilia, manco a dirlo, si trova in mezzo e non potrà che barcamenarsi tra i contendenti sino a quando non sarà abbastanza forte non solo da poter controllare il proprio territorio, ma anche da assolvere a quella funzione di sutura che spesso nei secoli ha ricoperto (si veda il post “Filo da sutura”) e che specialmente nel medioevo è stata per molto tempo garanzia di un certo equilibrio tra oriente ed occidente.

I prossimi delicatissimi mesi potrebbero trasformarsi in una prova durissima: la situazione di Lampedusa, sottoposta alle angherie della cosca padano-romana, è già drammatica. Noi dobbiamo affrontarli nella convinzione che sotto queste tribolazioni sin da ora una nuova Sicilia è pronta per nascere, una Sicilia che ricollegandosi alle sue tradizioni millenarie potrebbe risorgere ed essere all'altezza del compito che la storia le ha assegnato.

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lunedì, marzo 07, 2011

Un Cavaliere senza più staffe

Mentre i fantini italiani cercano di mettere il piede in quante più staffe possibili, attaccando sia Gheddafi che gli anglossassoni ma in pratica facendo la stessa asinina figura che fecero con il crollo del fascismo, il rais libico sembra aver ritrovato una certa verve: apparentemente l'esercito regolare ha cominciato a guadagnare terreno contro torme di ribelli che non si capisce con quali mezzi possano averglielo tolto nelle prime fasi del conflitto.

Certo il sospetto che sottobanco la “nostra” quarta sponda abbia raggiunto un'intesa con Stati Uniti e Gran Bretagna comincia a farsi strada [*]: d'altronde il vero obiettivo degli occidentali non è quello di instaurare la farsa democratica in Nord-Africa, visto che in Egitto e Tunisia hanno appoggiato nient'altro che dei colpi di stato militari. Il loro vero obiettivo è proprio quello di buttare giù da cavallo Berlusconi con tutta la Padania ed allo stesso tempo dirottare il petrolio libico insieme agli investimenti di Gheddafi altrove.

E' facile notare in questo una certa coincidenza di “vedute” con i Siciliani. Ed in questo senso l'immediata presa di posizione di Raffaele Lombardo (si veda il post “Nel segno dell'Ariete”) è un segnale eloquente: Washington e Londra non sono riuscite a disarcionare il Cavaliere per quasi 20 anni e non ci potrebbero riuscire ora in piena crisi politica ed economica senza una sponda centro-mediterranea.

Chi scrive, crede che l'improvvisa decisione di Lombardo di “mettere mano” al tanto ventilato partito del sud dopo circa due anni di tentennamenti (si veda “Serve un grande movimento che lavori per lo sviluppo del sud”, pubblicato sul blog presidenziale lo scorso 23 febbraio 2011) sia legata anche alla congiuntura mediterranea attuale. Il prezzo che l'occidente pagherà per la spintarella da sud potrebbe essere la perdita del mezzogiorno d'Italia.

Abbiamo già rilevato come la stampa occidentale, a partire da un dato momento in poi, sia diventata piuttosto timida nel rilanciare le infinite accuse di mafia che da sempre condannano la Sicilia ad una immagine di irrimedibile serbatoio di mano d'opera delinquenziale (si veda il post “Corso di fotografia” del 15 novembre 2009). Valga come ulteriore esempio il mancato rimbombo oltre le Alpi delle svariate accuse mosse da alcuni organi di stampa settentrionali allo stesso presidente Lombardo (si veda il post “La cantonata” del 2 aprile 2010).

Ora sembrerebbe che un simile sentimento di pudore possa estendersi alla parte continentale del Regno di Sicilia.

La scorsa settimana il settimanale londinese “The Economist” ha recensito un libro di storia italiana che finalmente squarcia il velo su certi dettagli di un'infausta era ai lettori d'oltremanica (“Avanti”, Economist 24 febbraio 2011). Alcuni tratti sono così musicali per le nostre orecchie da non richiedere ulteriori commenti:

Gli uomini che unificarono l'Italia, segnatamente Camillo Cavour, Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini, e lo stesso d'Azeglio, furono patrioti (almeno per il Piemonte), ma eroi assolutamente no. Mazzini fu un sognatore rivoluzionario senza successo, Garibaldi un avventuriero senza scrupoli la cui invasione della Sicilia nel 1860 fu illegale e Cavour un vecchio cinico che non viaggiò mai a sud di Pisa.

Il libro
[The Pursuit of Italy: A History of a Land, its Regions and their Peoples. di David Gilmour. Allen Lane - la copertina è visibile in alto, ndr] Il libro approfondisce altre due debolezze del risorgimento italiano. La prima la mancanza di entusiasmo di tantissimi italiani. La chiesa era contro di esso (…). Venezia non ha mai voluto unirsi. E di enorme importanza, sebbene molti a Napoli ed in Sicilia videro di buon occhio la conquista da Torino, questo fatto rifletteva la disillusione verso i re Borbone, non entusiasmo per il re piemontese Vittorio Emanuele II.

Ben presto dopo il 1861 sia i settentrionali quanto i meridionali criticavano la saggezza dell'unificazione. Lo snobismo del nord contro la presunta arretratezza di Napoli era (ed è ancora) sorprendente. Eppure Napoli per molti anni fu la più grande città della penisola; ha costruito al prima barca a vapore, il primo ponte in sospensione e la prima ferrovia d'Italia e, ancora più sorprendente, nel 1800 era più liberale di buona parte della nazione.


Macigni sullo stomaco dei massoni nostrani.

Ma oltre alle chiare lettere del brano riportato sopra, ancora più sorprendente dal punto di vista storico è l'ammissione fatta (finalmente) poche righe più sotto secondo cui “l'unificazione fu raggiunta combattendo poco”. Una implicita confessione circa il supporto dato da Londra all'operazione dei Mille?

Se le tanto gloriose (e sin troppo miracolose) vittorie di Calatafimi, di Messina, di Gaeta (per non parlare di Porta Pia, quando i bersaglieri finsero di combattere dopo che tutti gli accordi con il Papa e con i francesi erano già stati presi) possono essere riassunti in un “combattendo poco”, come furono conquistati il la Sicilia, il Sud Italia e Roma?

Non scordiamoci che sui libri di storia inglesi Garibaldi è venerato come un eroe proprio in virtù di quelle “vittorie”, questo per capire quanto il voltapagina non appaia solo storico, ma anche politico.

Dall'altro lato la situazione in Libia non dovrebbe preoccuparci più di tanto: Gheddafi pensava in caso di pericolo di poter contare sull'aiuto padano, aiuto che è venuto a mancare sul più bello facendogli perdere tutte le staffe. Se dovesse riuscire a rimanere in sella potrebbe, malgrado la presa di posizione di Lombardo, decidere di partecipare all'assedio finale al fortino di Arcore insieme alla nostra cavalleria rusticana.

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[*] Secondo il Financial Times (“Oil millions still flow for Gheddafi”, 5 marzo 2011) le banche americane continuano tranquillamente a comprare il petrolio libico finanziando così indirettamente la controffensiva di Gheddafi. Le sanzioni dell'ONU infatti non colpiscono la banca centrale libica e i gruppi libici registrati all'estero.

Gheddafi e Berlusconi ai ferri corti

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