Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

mercoledì, dicembre 29, 2010

La piccola terra

Il quotidiano La Sicilia di ieri, 28 dicembre, ci ha regalato un gustoso speciale dal titolo “150 anni di Sicilia” dedicato ai rapporti tra l'isola e lo stato italiano in relazione all'anniversario che tutti sappiamo.

Anche se del suddetto inutile anniversario ne avete piene le scatole, consiglio a tutti di consultarlo per i pochi giorni in cui sarà disponibile online alle pagine 25-47 della versione telematica.

Il tutto si sviluppa intorno al delirante pezzo di Enrico Iachello (Il rapporto immaginario tra la Sicilia e lo Stato, pagina 28). In esso è riflesso il tragico livore di chi non si vuole rassegnare al destino di un'era, quella dell'unità, che sta per finire in un mesto flop atono.

La "terra dei miti" sembra essersi spopolata” dichiara infine il nostro, dopo aver calunniato persino i Florio (“Nel corso del primo Novecento l'élite palermitana, Florio inclusi, rielabora e rilancia il mito del sicilianismo e del complotto antisiciliano per far fronte alle difficoltà che pongono i nuovi processi sociali e politici di una società di massa passando attraverso gli effetti destabilizzanti della crisi agraria”), fatto invero nuovo nel “bestiario” massonico-liberale.

Da antologia il glissare sul fermento indipendentista: “Si elabora e si afferma l'immaginario "riparazionista" (dei torti subiti) che tanta fortuna avrà nell'immaginario isolano, destinato a riemergere, sia pure ormai svigorito, quasi fenomeno carsico, dal 1946 (Statuto della Regione, art. 38) ai nostri giorni”. Quello “svigorito”, termine troppo audace per i mala tempora che corrono, lo perseguiterà per il resto dei suoi giorni.

Per fortuna ogni editore deve gioco-forza dare spazio alle reali disposizioni sul campo. E' così che a pagina 44 le penose truffe dei nostri libri di storia vengono tutte messe allo scoperto da un'emissione filatelica che vorrebbe commemorare l'impresa dei mille (“Quattro Francobolli sull'impresa dei Mille”), leggere per credere.

Il quadretto è completato dall'apertura della pagina seguente dedicata ad un dettaglio gastronomico Marsalese: “Tutto comincia (si fa per dire perché non si possono cancellare secoli di contaminazioni culinarie) dallo sbarco dei Mille. Quando Garibaldi arriva a Marsala l'11 maggio del 1860 non trova ad accoglierlo quella folla festante di cui parlano i libri di storia.”.

Anche gli altri articoli presentano i loro lati interessanti. Oltre alla solita collezione di sventure (la mafia, la spagnola, lo sviluppo mancato) troviamo un duosiciliano “Sotto i Borboni la Sicilia al passo con l'Europa”, pagina 31, ed una intervista al pittore Piero Guccione (pagina 29) che contiene una piccola chicca:

«La nostra è stata terra di conquista. Ricca tanto da bastare a se stessa, ma di una dimensione territoriale tale da non consentirne l'autonomia. Con l'Italia o con un altro paese, la Sicilia sarebbe stata comunque una piccola parte di altro»

Guccione parla dei grandi “sistemi”. E dice una cosa importante: la nostra storia, come quella di tutti gli esseri umani, non si può isolare. La piena indipendenza è in fondo solo una chimera perchè la Storia, con la esse maiuscola, è mossa da forze molto più potenti di noi. Scordarsi questo “dettaglio” può portare a conseguenze disastrose, opposte agli obiettivi che ci eravamo prefissati.

Per tutti i gusti, insomma. Buona lettura.

In alto, particolare di un'opera di Piero Guccione.

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martedì, dicembre 28, 2010

Debitori rubati all'agricoltura

Il debito che schiavizza le masse non è solo debito pubblico. Il dialogo del film “The International” citato nel post “Gli schiavi” (E questa è la vera essenza dell'industria bancaria: fare tutti noi, sia che siamo nazioni o individui, schiavi del debito) si riferisce anche al caso della singola persona.

Spiegare il concetto può apparire semplice, in quanto intuitivamente tutti comprendiamo che chi è pieno di debiti è schiavo dei detentori di quel debito, siano essi degli strozzini o una banca.

Più difficile è invece trarne le giuste conseguenze ed applicarle alla nostra vita quotidiana e questo perché il più delle volte l'immagine che ci costruiamo è quella di casi limite quali un fallimento aziendale o di una perdita al gioco. Un immagine in fondo rassicurante perché forse più lontana da noi.

La realtà è molto più sottile, fatta di catene che ci hanno avviluppano suadenti nel vortice superfluo della modernità e destinate a serrarsi al momento opportuno con un meccanismo che si ripete sempre uguale.

Se da un lato è vero che essendo in debito la comunità alla quale apparteniamo (in questo caso lo stato) siamo in debito anche noi individualmente, dall'altro dobbiamo anche rilevare come il debito nazionale non si traduca istantaneamente in una menomazione delle nostre libertà individuali.

Ma il debito pubblico è solo la prima parte di una più larga strategia.

Bloccati gli stati grazie al ricatto del disavanzo, la “crescita” economica continua tramite il credito al consumo, permettendo al sistema finanziario di passare al suo obiettivo finale: l'individuo. Un individuo drogato da quel fittizio benessere materiale diventato irrinunciabile. Un po' come il topolino da laboratorio che continua ad attivare sino all'autodistruzione quella leva che procura la piacevole scarica elettrica. Il ribasso del costo del denaro, la possibilità di accedere a mutui ipotecari per importi spropositati su periodi di tempo estesi (a volte l'intera vita lavorativa di una persona), le rate per gli elettrodomestici, costituiscono quelle catene che si serrano lentamente ma inesorabilmente.

Il meccanismo è azionato dal modello della crescita continua, svenduto alle masse come “progresso”. Una volta messa in moto la ruota dentata del continuo miglioramento delle condizioni materiali, questa continuerà a girare senza tenere in conto le risorse naturali rinnovabili nella disponibilità della comunità risultando praticamente impossibile da fermare senza provocare instabilità nel sistema. Quel tipo di instabilità che poi passa alla storia con il termine di rivoluzione.

Va da sé che non potendo l'autorità politica costituita accettare la perdita di potere a causa di queste instabilità, continuerà a sottoporsi ai diktat del detentore ultimo del debito, in un ciclo perverso che in ogni caso non potrà non sfociare in un evento traumatico. Il modello della crescita continua adottato nell'era moderna in tutto l'occidente è solo un truffaldino schema a piramide dove gli ultimi a metterci i soldi (ultimi in senso generazionale...) ci rimangono fregati.

La recente crisi finanziaria è quindi una crisi sistemica finale inevitabile (e quindi prevedibile e programmabile...) che nelle intenzioni dei suoi pianificatori dovrebbe consegnarci in catene a quel “detentore ultimo”.

Chiuso il capitolo occidentale, lo stesso meccanismo può ora cominciare a girare per le masse che solo adesso si affacciano sull'orlo del progresso economico. Le masse di nazioni quali la Cina, l'India, i paesi arabi produttori di petrolio.

Si sta semplicizzando un sistema molto complesso. Ma queste poche righe potrebbero essere sufficienti a metterci di fronte ad alcuni quesiti che sino ad ora abbiamo tutti evitato di porci. D'altronde oggi siamo già oltre l'orlo del baratro e non abbiamo scelta.

Il principale di questi è certamente quello che riguarda la sostenibilità del “progresso materiale”.Una considerazione va fatta: le società meno indebitate e più stabili sembrano essere quelle che si appoggiano su di una larga base agricola. In esse troviamo bassa circolazione monetaria ed un modello di sviluppo che non prevede la necessità di una crescita materiale continua.

In altre parole: se vogliamo liberarci del debito, l'unica cosa da fare forse è quella di andare a riprendere la zappa. Non a caso una delle missioni (neanche tanto nascosta) della Comunità Europea è sempre stata quella di distruggere il settore agricolo dei suoi stati membri.

Addirittura l'Economist ha definito l'agricoltura (tradizionale) un'attività che “emette gas serra alla pari della deforestazione”, cioè un'attività dannosa per l'ambiente che potrebbe essere vietata d'ufficio (“Back from the brink”, 18 dicembre 2010): evidentemente il libero mercato non sopporta la libera agricoltura.

Il debito non è altro che una catena che accetto nel momento in cui lo contraggo rimettendo la mia libertà nella mani del “detentore ultimo”. Inseguendo il mito di una crescita materiale continua, l'unico obiettivo che siamo riusciti a raggiungere è stata la perdita del libero arbitrio.

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venerdì, dicembre 24, 2010

Lo scisma

L'orientalismo esoterico di Franco Battiato e dei suoi discepoli (si veda il post “Catania esoterica”) non è solo snobbismo culturale. Esso è piuttosto manifestazione di quello scisma storico e geografico tra oriente ed occidente che si è poi tradotto in scisma di pensiero e religioso.

Significativamente Battiato, analizzato dal punto di vista cattolico da Maurizio Blondet nel suo “Gli Adelphi della Dissoluzione” (si veda a tal proposito “Su Battiato ed altre eresie”, CataniaPolitica.it 15 novembre 2010), dopo essere musicalmente germogliato a Milano, è tornato in Sicilia a cercare il giusto “humus” per continuare a “crescere” quasi fosse questo il suo solo “oriente” possibile.

Il suo “ritorno” non è gretto provincialismo. Lungo la dorsale oceanica della storia, al contatto tra oriente ed occidente, forze immense che lottano da tempi immemorabili (risuonano qui ancora i testi del cantante, si veda il post "Il duello") hanno generato la gigantesca piramide dell'Etna.

La Sicilia è terra di confine, uno scoglio conteso sin dall'inizio della storia e destinato a passare di mano nella varie battaglie della guerra globale tra oriente ed occidente. Guerra la cui composizione eventuale condurrà l'uomo all'apocalisse finale delle sacre scritture.

Avvenire, il quotidiano della CEI, la Conferenza Episcopale (nord) Italiana, lo scorso 21 dicembre ha pubblicato sul suo sito un articolo a firma di Piero Gheddo dal titolo “Il Rinascimento? Fu solo in Occidente” che osservato in traslucido di fronte al caldo rossore etneo rivela in filigrana il secolare lavorio di quelle forze.

Con esso l'autore si propone di confutare le tesi che vorrebbero ridotta l'importanza del rinascimento occidentale cinquecentesco quale sorgente di una civiltà “suprema”.

Gheddo se la prende con Paolo Mieli, reo di aver fatto propria sul Corriere della Sera la tesi propugnata da Jack Goody nel volume “Rinascimento, uno o tanti?”:

“Il Rinascimento europeo che ha prodotto in Europa «la corsa verso capitalismo, industrializzazione e modernità… non fu un unicum nella storia», poiché ci furono altri Rinascimenti nei paesi asiatici, specie in Cina, India e Giappone, che più recentemente stanno raggiungendo gli stessi traguardi del Rinascimento europeo”

Niet, ribatte Gheddo: la civiltà occidentale è superiore a tutte le altre. E supporta questa posizione con varie citazioni. Fosse apparso sul Financial Times un tale articolo non avrebbe destato sorpresa alcuna. Ma il suo ritrovamento tra le pagine di Avvenire dona alle parole di Gheddo una luce diversa.

Per i cristiani l'unico Rinascimento non dovrebbe essere quello che ha fatto scoccare la scintilla della modernità, ma quello verificatosi circa 1500 anni prima con l'avvento di Cristo (in oriente...). Ogni altro rinascimento per i cristiani dovrebbe avere importanza relativa. Su di un piano storico e culturale prettamente cristiano potrebbero anche essere messi tutti sullo stesso piano, come sostenuto da Jack Goody e da Mieli. Strano che un giornale organo di una conferenza di Vescovi cattolici possa tralasciare un tale “dettaglio”.

Ma c'è di più. Forse anche di peggio. L'articolo riporta anche il seguente delirante argomento, una “teoria” sviluppata da Arnold Toynbee:

“La civiltà occidentale è l’unica «universalizzabile», cioè contiene principi e valori validi per tutti gli uomini; principi e valori che vengono non dall’intelligenza umana, ma dalla Parola di Dio. Tesi dimostrata fra l’altro dal fatto che la Carta dei Diritti dell’Uomo varata dall’Onu nel 1948 è stata fatta sulla base dei principi biblici ed evangelici (che erano quelli delle nazioni maggioritarie a quel tempo nell’Onu).”

Quindi Avvenire, voce della CEI, vanta la Carta dei diritti dell'uomo dell'ONU quale prova della superiorità occidentale e della sua aderenza ai principi del cristianesimo.

Ed io che ho sempre creduto che le fondamenta del vivere civile e cristiano fossero i dieci comandamenti dettati da Dio a Mosè (anche qui, in un luogo che tanto occidentale non è). Ora, se la carta dell'ONU prova la superiorità occidentale, tale carta deve avere superato quei dieci comandamenti. Altrimenti, attenendosi alla linea di ragionamento di Gheddo, l'articolo avrebbe dovuto sostenere la superiorità dell'oriente e non dell'occidente. Ma l'ONU non è una chiara manifestazione del mondialismo di stampo massonico? Come fa il giornale della CEI a mettere le leggi massoniche davanti a quelle del Dio cristiano?

Il mal di pancia di Gheddo (e quindi della CEI?) nasce dal fatto che Goody sembra promuovere al rango di “rinascimenti” solo sommovimenti culturali asiatici sbilanciandosi un poco troppo ad est. Il mal di pancia è forse un sintomo della guerra tra occidente ed un oriente che sta raggiungendo gli stessi traguardi del Rinascimento europeo?

Nell'anno 1054, mentre i Normanni riportavano la Sicilia ad ovest, le forze della storia riuscirono ad approfondire la distanza tra cristianesimo occidentale ed orientale a tal punto da rendere formale lo scisma tra ortodossia e cattolicesimo, uno scisma strisciante già da lungo tempo. Il soglio di Pietro non ebbe da questo momento più remore ad allearsi con qualunque altra forza rintracciabile in occidente per combattere la Chiesa greca.

Il Rinascimento segnò l'inizio di un periodo di grandi conquiste per il fronte occidentale: dal crollo di Costantinopoli nel 1453, alla Battaglia di Lepanto del 1571 contro i turchi, sino alla guerra di Crimea del 1854 ed all'unificazione italiana del 1860-61, l'avanzata occidentale sembrava inarrestabile.

La conquista spagnola cinquecentesca della Sicilia, parte integrante del cosiddetto Rinascimento, e il lento decadere del Regno di Trinacria normanno sino all'invenzione del Regno delle Due Sicilie (una creatura tutta occidentale) furono un perno importante di questa avanzata secolare.

Oggi questo lembo di terra faticosamente conquistato dagli eserciti dell'Ovest potrebbe tornare in mano nemica, un movimento ben predisposto dalle precoci lotte indipendentiste di Canepa e del MIS.

Nessuna meraviglia dunque che i Vescovi (nord) italiani ed alcuni elementi cattolici settentrionali (o meglio... occidentali), tra i quali lo stesso Blondet, editore di EffediEffe, vedano la Sicilia, Battiato e tutti i Siciliani, cristiani e non, come fumo negli occhi.

E nessuna meraviglia dovrebbero destare le tensioni createsi tra il papato ed alcuni ambienti vescovili padani sin dai tempi di Giovanni Paolo II (soprannominato con sprezzo “il polacco”), venuto in Sicilia ad esortare i siciliani alla ribellione contro il potere atlantico, e più di recente quelle adombrate da Benedetto XVI (e sottolineate persino dall'Economist, si veda il post “La tempesta”), colpevole di proseguire sul sentiero tracciato dal predecessore tentando una riconciliazione con la Chiesa Ortodossa.

Contrapposizione tanto forte da far preferire una carta dei “diritti” dell'uomo massonica ai dieci comandamenti dettati da Dio a Mosè.... in oriente.

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sabato, dicembre 18, 2010

Il primo uomo

Dalle pagine di SiciliaToday.com, Pietro Lipera si chiede retoricamente quale possa essere il motivo del nome (Iblis) dato all'inchiesta giudiziaria che potrebbe coinvolgere il Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo (Iblis, gli effetti e la leggenda: Cronache di un'inchiesta giudiziaria, 4 dicembre 2010).

Iblis, ci spiega il Lipera, altri non è se non Sua “Santità” il diavolo. Quello arabo, però. Secondo l'Islam quando Dio creò l'uomo ordinò a tutte le altre creature di adorarlo. Iblis per l'appunto rifiutò e fece la fine che tutti sappiamo.

L'articolista procede poi spiegando come l'inchiesta più che danneggiare il Lombardo, lo abbia favorito enormemente, tanto che leggendo il pezzo si fa strada il sospetto che l'identificazione cercata sia quella tra l'uomo che tutti dovrebbero adorare ed il Presidente. Chi si rifiuta di inchinarsi... all'inferno.

Sintomatico a questo proposito è la reazione scomposta dell'editore del giornale catanese La Sicilia, Mario Ciancio, ai risultati del voto della camera del 15 dicembre, voto che ha allungato l'agonia del governo Berlusconi grazie a tre striminziti voti frutto di un vergognoso commercio.

La Sicilia del 16 dicembre a pagina 4, trattando delle conseguenze del voto, titola “Un partito Fini-Casini-Rutelli, nasce il partito terzopolista”: uno sgarro a Lombardo quando è proprio lui il collante di questo nuovo “polo”. Che sia proprio Ciancio, restio ad adorare la nuova creatura, il predestinato Iblis? Circolano voci sui giornali che anche lui sia coinvolto nell'inchiesta (si veda ancora il pezzo di Lipera).

Il parallelo religioso non finisce qui, perchè guardando alla composizione del nuovo polo risulta evidente come la principale forza sia quella cattolica (presente anche tra i finiani). Si è riformata la DC? Suggerirei di non dare molto orecchio a chi cercherà di metterla in questi termini. Quello non è solo un partito a maggioranza cattolica, ma anche una compagine a trazione tutta meridionale. Con due componenti territoriali prevalenti: quella romana (Casini, Rutelli) e quella Siciliana, la più importante numericamente con MPA, Fli, ma anche una buona fetta della base di Casini (si veda il suo subitaneo viaggio da queste parti, “Casini torna in Sicilia. Scissione e prove di terzo polo, Palermo è la capitale del partito per l’Udc”, SiciliaInformazioni.com 17 dicembre 2010).

Sommando il dato territoriale ai tre voti di differenza, e notando che lo stesso PDL si basa su due correnti siciliane (quella di Miccichè e quella di Alfano), otteniamo un sorprendente risultato sfuggito ai più: la nazione è praticamente in mano ai Siciliani che se non litigassero tra di loro per questioni “metafisiche” (ancora fa eco Iblis...) potrebbero farne ciò che più gli aggrada.

Invece ci sono voluti quei tre voti per due motivi: mettere la corrente atlantista di Alfano sotto ricatto, ed aprire le porte a quel terzo polo sotto il quale si nasconde il vero Partito del Sud che alle prossime elezioni si spartirà l'Italia con la Lega, oramai straripante al Nord.

Una prova indipendente che confermi questo quadro?

Il sorgere del nuovo polo pone all'orizzonte un bivio. Da un lato la possibilità di mantenere l'Italia unita, ma questa volta in forma cattolica e non più massonico-risorgimentale. Dall'altro adombra una spaccatura post-elettorale secondo linee pre-atlantiche (medioevali, quasi). Ambedue le strade dovrebbero sembrare anatema ai liberali anglosassoni.

L'unico che potrebbe ancora fermare questa deriva è proprio colui che è stato bravo sin qui a catalizzarla, il nostro caro Silvio Berlusconi.

Guarda caso, oggi il Financial Times ha offerto il suo supporto al Primo Ministro Italiano, che fino a ieri considerava un degenerato, dichiarando con un candido voltafaccia tramite l'opinionista Chstopher Caldwell (“Why Italy still has Berlusconi”) che “Berlusconi non è una minaccia per la democrazia” (il contrario di quello che lo stesso giornale spacciava ai suoi lettori fino a pochi istanti prima del voto della Camera).

Poi, riallacciandosi al discorso metafisico sul diavolo, apre la porte alla vera storia d'Italia dal 1990 ad oggi:

Il sistema politico italiano ha cominciato a divergere in modo malsano da quello delle altre nazioni occidentali. I magistrati, invece dei legislatori, costituiscono l'opposizione. Il risultato immediato di Mani Pulite, ovviamente, è stato una specie di reggenza giudiziaria sulla vita politica italiana [Quello che ha sempre denunciato lo stesso Berlusconi, ndr]. I giudici, allo stesso modo, non sono stati capaci di comprendere perchè avrebbero dovuto smettere

In altre parole il giornalista sembra suggerire che quando la testa di questo gioco era a Milano, con il famoso pool teleguidato da Londra, la reggenza andava bene. Ora che dei magistrati poco allineati si permettono di mettere in piedi inchieste come “Iblis”, non va più bene.

Questa offerta di supporto dai nemici di sempre potrebbe essere proprio quello che il paramassone di Arcore aspettava per aggrapparsi ancora al potere. Tre piccoli voti per salvare il salvabile. Il frutto della corruzione, o la manina di Londra che fa da supporto? Ecco che le parole del depositario di uno di quei tre voti, il siciliano Scilipoti, ("L'ho fatto per il bene del Paese") alla luce delle apparenti contraddizioni del Financial Times possono essere meglio comprese.

Scilipoti era stato eletto tra le fila dell'Italia dei Valori, il partito londinese di Di Pietro ed Orlando. La manina di Iblis.

Nell'immagine in alto, Iblis osserva gli angeli che adorano Adamo in una miniatura islamica.

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lunedì, dicembre 13, 2010

Catania esoterica

Carmen sale sulla littorina. Ma chi è che subito ne scende in questa sorta di circolarità lynchiana?

Allo specchio c'è un'altra donna, e per raggiungerla si deve compiere un viaggio. Un viaggio che finisce nelle ultime parole pronunciate di fronte a quello stesso specchio:

Nel chiudersi un fiore al tramonto si rigenera”.


Attraverso lo specchio il riflesso degli insegnamenti di quel maestro che spiegò al discepolo com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire. Era la San Pietroburgo degli anni venti. E mentre le lezioni sotto la luce fioca di lampade a petrolio trasformavano il discepolo, alle pendici dell'Etna correva quella stessa littorina sulla quale Carmen ora sale.

Ad oriente il giorno scalpita non tarderà, celebrato dai dervisci tourners, satiri danzanti che girano sulle spine dorsali, con il cuore prigioniero tra le mani del Re del Mondo.

Dall'oriente arriva la rinascita dell'artista, della musica, della civiltà. Dall'oriente arriva il tramonto occidentale, il ritorno della tradizione. Ma di quale tradizione stiamo parlando?

Il gioco delle apparenze tra la “vecchia” e la “nuova” Carmen affacciate al finestrino. La cura che ci viene somministrata da un Prometeo conoscitore delle leggi del mondo per riempire il vuoto generato dall'era moderna. Lo stesso vuoto che, sfondo della littorina, viene riempito dall'Etna. Il cratere massimo, cunicolo di connessione con gli inferi. Stiamo parlando della “tradizione” dell'Etna.

I nuovi dei che avanzano: saranno forse essi a riempire il nostro senso di vuoto una volta alzata bandiera bianca. I fotogrammi di una macchina che ci schiaccia, sono ora quelli della locomotiva sulle traversine.

Già vedo gli occhi di mio figlio
e i suoi giocattoli per casa,
ad oriente il giorno scalpita


L'uomo nuovo sta nascendo, figlio di genitori indiani. La nuova era è alle porte. Il giorno è arrivato ed è l'alba che ci insegna a sorridere. Il viaggio iniziatico si è concluso, le vie che portano all'essenza sono state percorse insieme al maestro. Quella che scende è ancora Carmen ma non è più Carmen. E' una donna rinata, tra le braccia di Prometeo, dove persino il dolore più atroce si addomestica. Persino il sacrificio più atroce si giustifica.

La scuola di San Pietroburgo, dietro quelle finestre che si affacciavano sulla Prospettiva Nievskij, è rinata alle pendici del vulcano.



Già natale il tempo vola,
l'incalzare di un treno in corsa,
sui vetri e lampadari accesi nelle stanze dei ricordi,
ho indossato una faccia nuova,
su un vestito da cerimonia
ed ho sepolto il desiderio intrepido di averti affianco,

Allo specchio c'è un altra donna,
nel cui sguardo non v'è paura
com'è preziosa la tua assenza
in questa beata ricorrenza,
ad oriente il giorno scalpita non tarderà..

Guarda l'alba che ci insegna a sorridere,
quasi sembra che ci inviti a rinascere,
tutto inzia,
invecchia,
cambia,
forma,
l'amore tutto si trasforma
l'umore di un sogno col tempo si dimentica..

Già natale il tempo vola,
tutti a tavola che si fredda,
mio padre con la barba finta
ed un cappello rosso in testa
ed irrompe impetuosa la vita, nell'urgenza di prospettiva

Già vedo gli occhi di mio figlio
e i suoi giocattoli per casa,
ad oriente il giorno scalpita,
la notte depone armi e oscurità..

Guarda l'alba che ci insegna a sorridere,
quasi sembra che ci inviti a rinascere,
tutto inizia,
invecchia,
cambia forma,
l'amore tutto si trasforma,
persino il dolore più atroce si addomestica,
tutto inizia,
invecchia,
cambia,
forma,
l'amore tutto si trasforma,
nel chiudersi un fiore al tramonto si rigenera...

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giovedì, dicembre 02, 2010

Il nostro uomo al Cremlino

Commentando sull'affare “wikileaks” durante una intervista per il Larry king Show sulla CNN, il primo ministro russo Vladimir Putin, dopo aver “pregato” i diplomatici statunitensi di essere più cauti con la loro corrispondenza, suggerisce che quei file siano stati creati con il preciso intento di raggiungere determinati scopi politici (“Our spies compare favorably to US ones” – Putin parries with King, RussiaToday.com 2 dicembre 2010).

E con questo la potremmo anche chiudere lì, con questi “wikileaks”. Solo che all'improvviso nella faccenda è stato tirato in ballo un certo Ciancimino, figlio del più famoso sindaco di Palermo.

Tanto per fare un po' di mente locale, vi ricordo che questo Cincimino è quella “gola profonda” che tutti scansano anche se non ne sanno il perchè. Si ricorderà infatti che costui è finito sulle pagine dei giornali per la storia del supposto tesoro del padre. Storia che non si sa bene dove sia arrivata. E di cui non si capiscono alcuni risvolti. Perché non succede la stessa cosa, per esempio, a Bobo Craxi? Con che soldi fa politica costui?

Ma lasciamo perdere, per ora.

Lo spunto per queste poche righe viene invece dalla strana domanda che i giornalisti hanno posto al Ciancimino dopo il moscio scoppio del petardo “wikileaks”:

Ciancimino, non esageri: dopo la trattativa Stato mafia, ora ci vuole spiegare pure la trattativa Putin-Berlusconi sul gas, non le sembra un po’ troppo? Ma il figlio dell’ex sindaco di Palermo spiega: “Io sono stato prima un protagonista e poi una vittima di quella trattativa. Wikileaks riporta la nota degli americani in cui si parla del mediatore italiano che parla russo? Tutti si chiedono chi sia. Bene, io “il mediatore” lo conosco bene, si chiama Antonio Fallico, e chi me lo ha presentato lo definiva ‘la chiave per Gazprom ‘” (Un siciliano fra Berlusconi e Putin. Ciancimino: “E’ Antonio Fallico”, LiveSicilia.it 30 novembre 2010)

Per qualche dettaglio su Antonio Fallico, l'uomo misterioso che tutti conoscono visto che si trova dedicati articoli su tutte le maggiori testate italiane oramai da anni, rimando ad altre pagine, come quella specifica del sito “Brontesi nel Mondo” (www.bronteinsieme.it).

Il punto qui è che se questi file sono stati preparati di proposito come suggerito da Putin, il riferimento al brontese illustre non può essere casuale.

Siamo sempre nel solito circolo: il tramite tra Berlusconi e la Russia è la Sicilia, nel senso che i russi trattano con Berlusconi perchè sono interessati alla Sicilia, dove hanno anche altri agganci. Il file di Wikileaks cita il particolare di Fallico per puntare il dito verso il più complesso disegno alle spalle di tutto.

Tornando a Ciancimino, ecco cosa aggiunge riguardo alle trattative sul gas:

Io l’ho conosciuto prima del mio arresto quando per primo avevo capito le potenzialità del business dell’energia e trattavo con Gazprom per importare il gas dalla Russia. Ero a un passo dalla conclusione, poi mi hanno indagato e l’affare se lo sono preso gli amici di Berlusconi”.

Così Berlusconi si è inserito di prepotenza in uno di quei legami tra Sicilia e Russia che dicevamo. E così Ciancimino ha potute dire apertamente il vero motivo dei suoi guai giudiziari, iniziati quando la sua Fingas stava per chiudere l'accordo con Gazprom sulle forniture di gas in Italia addirittura scavalcando l'ENI, avete capito bene (“L’uomo del gas” Il fatto quotidiano, 29 novembre 2010).

Bobo Craxi può dormire sonni tranquilli, visto che lui di gas non se ne intende.

Stiamo parlando di cose enormi. E su queste cose enormi a quanto pare Putin si fida più dei Siciliani che di Berlusconi, che per lui in questo caso è soltanto un ripiego.

Quale sia lo scopo politico degli americani qui ognuno può immaginarlo da solo, anche se non credo ci sia dietro tanto la voglia di difendere la Sicilia, quanto quella di preservare l'Italia unita.

Chiuso il semicerchio russo, vediamo ora di chiudere brevemente quello siciliano.

La storia della Singas è estremamente complessa ma caso (?) vuole che per un certo periodo il difensore di tal Gianni Lapis, socio nella stessa Singas e sospettato dagli inquirenti di essere prestanome del Vito Ciancimino, sia l'avvocato Palermitano Giovanna Livreri, di cui Il Consiglio si è già occupato (si veda il post “Il pecoraio ha versato il latte”).

Ebbene, la Livreri è anche uno dei più importanti referenti in Patria de L'Altra Sicilia, l'associazione sicilianista di Francesco Paolo Catania con sede a Bruxelles.

Il che ci fa scorgere tra i vari attori della vicenda se non un collegamento fisico continuo, per lo meno una sorta di collante ideologico. Un collante a tre gambe.

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Per i clamorosi dettagli politico-legali della vicenda rimando ad un'intervista che la stessa Livreri ha rilasciato a suo tempo a L'Altra Sicilia.

Altri dettagli sono contenuti nel post "Il bisogno del mito" ed articoli collegati in fondo, sempre dal sito de L'Altra Sicilia

Post correlati:
Il pecoraio ha versato il latte
A Bocca aperta

Nella foto in alto, Fallico insieme a Putin.



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giovedì, novembre 25, 2010

Riso amaro

Risale al 25 maggio del 2008 il post con il quale su queste pagine si delineavano i motivi che stanno portando alla realizzazione dei mega-inceneritori nel sud Italia, in particolare in Campania ed in Sicilia (si veda il post “Spazzatura d'occidente”).

Si era anche visto come non poteva certo esserci la criminalità organizzata a sobillare la popolazione del napoletano contro la riapertura delle discariche e il completamento degli impianti di incenerimento quando la criminalità organizzata ha invece ogni interesse alla loro costruzione.

Una volta costruiti, essi verebbero infatti gestiti direttamente da loro (dai malavitosi). Sotto mandato dello stato centrale, ovviamente.

E' bene ricordare come il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, aveva a suo tempo già sussurrato in commissione parlamentare quale fosse il vero punto critico del diabolico sistema così ben congeniato:

Legambiente non considera la soluzione la scelta la migliore che si potesse adottare, soprattutto – e questo forse è il punto – senza prevedere una selezione dei rifiuti a monte e un riciclaggio degli stessi.

(si veda ancora il post “Spazzatura d'occidente”)

La mancanza di un sistema di selezionamento dei rifiuti apre al porta alla possibilità di bruciare di tutto. E mentre da una discarica si può sempre tirare fuori una prova, i fumi di una ciminiera una volta dispersi sono irrecuperabili. Le prove vanno letteralmente in fumo.

Il tutto è stato ora dimostrato, “per la prima volta in Italia”, da una indagine della Procura della Repubblica di Pavia che nei giorni scorsi ha sequestrato un impianto di termovalorizzazione della Riso Scotti, la nota azienda produttrice di riso.

Oltre agli scarti della lavorazione del riso, il sito bruciava clandestinamente “legno, plastiche, imballaggi, fanghi di depurazione di acque reflue urbane e industriali che per le loro caratteristiche chimico-fisiche superavano i limiti massimi di concentrazione di metalli pesanti (cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo)” (“SCOTTI ENERGIA: VALE 30 MLN L'AFFARE DELL'ENERGIA SPORCA”, Agenzia Parlamentare 24 novembre 2010 – da notare come alcune grosse testate nazionali abbiano omesso di citare le acque reflue industriali)

Eliminare le prove era facilissimo: «la centralina di rilevamento presente nell’impianto funzionava male: dai report non risultavano variazioni tra una rilevazione e l’altra. Impossibile non accorgersene» spiega il comandante della guardia forestale lombarda (“Traffico illecito di rifiuti: sequestrato l'impianto della Riso Scotti Energia” Corriere.it 17 novembre 2010).

Ovviamente nessuna traccia di mafia, mentre troviamo il segnale di un coordinamento degli apparati di controllo pubblici che necessita di una regia posta molto in alto nelle istituzioni: “Tutto ciò era possibile grazie ai falsi certificati rilasciati da laboratori di analisi chimiche compiacenti”.

Ma la cosa più allarmante è la mancanza di consapevolezza nella popolazione circa le reali conseguenze di questa situazione:

La lolla miscelata con scarti industriali, inoltre, veniva anche venduta, senza alcuna autorizzazione, per la produzione di lettiere per animali, in particolare pollame e suini, e per la produzione di pannelli di legno.”

“Le indagini proseguono soprattutto per accertare l'aspetto più controverso e grave dell'intera vicenda: gli effetti degli scarichi dell'impianto sulla salute pubblica. Sulla qualità dell'aria e lo stato di salubrità degli impianti di zootecnia.


Preparando il nostro bel timballo con riso prodotto nei campi intorno a Pavia o consumando i prodotti degli allevamenti industriali italiani, che fanno uso di lolla inquinata (tra gli altri..), a cosa andiamo incontro? Nessuno sembra essersi lamentato più di tanto.

Questo non è un caso isolato, ma il sistema: l'industria italiana non potrebbe reggersi senza questi sotterfugi. E non essendo riusciti ancora a mettere in funzione gli impianti del sud, il “sistema” deve ripiegare su quello che si trova a nord: “i rifiuti bruciati irregolarmente nell'impianto arriverebbero da Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Puglia e Campania”.

Ma se diamo credito al breve spazio di tempo intercorso tra la bocciatura da parte di Bertolaso del supposto piano rifiuti [*] della Regione Siciliana, che vorrebbe riaprire uno spiraglio alla realizzazione degli inceneritori in Sicilia, e la pubblicazione dei risultati dell'indagine, allora dobbiamo anche credere che il confronto si svolga su fronti piuttosto ampi e che le nostre speranze non siano ancora andate in fumo:

La vera questione dirimente tra le previsioni della commissione, supportate dal Governo regionale, e quelle del Governo nazionale e' ancora una volta la realizzazione degli inceneritori”, sostiene Legambiente Sicilia (Liberonews, 12 novembre 2010).

E' questa la nostra battaglia più importante.

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[*] Quello bocciato non è il piano rifiuti ma le linee guida.


Vedendo quei rifiuti passa la voglia di ridere

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lunedì, novembre 22, 2010

Gli schiavi

Il vero valore di un conflitto sta nel debito che genera. Se controlli il debito, controlli tutto quanto. E questa è la vera essenza dell'industria bancaria: fare tutti noi, sia che siamo nazioni o individui, schiavi del debito

Così Luca Barbareschi – Berlusconi nel film “The International” risponde agli investigatori curiosi di sapere cosa ci guadagnasse una banca nel fare da mediatore per una compravendita di armi leggere costruite in Cina.

Se nel film si dicesse la verità, dovremmo dedurne che chi debiti non ne ha o chi cerca con successo di tirarsi fuori dal debito è nemico di questo sistema finanziario globale e globalizzante.

La figura qui sotto mostra l'ammontare del debito pubblico per nazione in valore assoluto. Quello che notiamo subito è che i paesi più indebitati (marrone) sono quelli occidentali.



Il valore assoluto del debito potrebbe però trarre in inganno. Forse la mappatura in base alla percentuale del debito rispetto al prodotto interno lordo è più trasparente:



Mentre le nazioni occidentali continuano ad essere tra le più indebitate, vi sono nazioni come la Cina e la Russia la cui posizione migliora notevolmente, nel senso che sono tra quelle che più facilmente possono ripagare il loro debito (consideriamo anche che questi sono dati resi pubblici dalla CIA, la quale potrebbe avere la propensione a mettere in cattiva luce certe nazioni piuttosto che altre).

Infine, l'ultimo grafico mostra il bilancio tra esportazioni ed importazioni delle varie nazioni o, in altre parole, mostra quali nazioni sono capaci di avere un bilancio attivo e pagare il loro debito e quali invece sprofondano sempre più in basso:



Tra i paesi in attivo troverete invariabilmente quasi tutti quelli “nemici” dell'occidente, dalla Cina, alla Russia, all'Iran, al Venezuela, alla Libia. Le due cose sono forse correlate?

La lista completa paese per paese mostra in testa la Cina, mentre in fondo il paese nelle peggiori condizioni sono gli USA, che seguendo il discorso del film sarebbero anche il paese più schiavo del mondo. In altre parole, gli Stati Uniti non sono un paese sovrano ma controllato da chi ne detiene il debito, quindi dalla Cina e da un piccolo gruppo di persone che tengono le leve dell'alta finanza e che dicono ai vari Bush ed Obama dove devono andare a fare le guerra per i loro interessi privati (non certo quelli dell'America come nazione), che poi significa per creare debito.

Quello che il regista del film cerca di dire è che questi signori, succhiato tutto quello che c'era da succhiare in America, stanno ora cercando di mettersi in mezzo tra la Cina ed il resto del mondo. Se ci riusciranno, se riusciranno a diventare i “broker” della Cina, i loro intermediatori, prima o poi riusciranno ad imporre alla Cina le guerre (e quindi il debito) ripetendo lo stesso giochetto a suo tempo fatto con gli USA: quello di fare lievitare il livello di vita di tutti i cittadini e poi minacciare all'improvviso di bloccare tutto e creare un tale malcontento popolare da distruggere la stessa nazione.


Barbusconi

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venerdì, novembre 19, 2010

I persiani a Palermo

Se da un lato rimane fondamentale per decifrare gli eventi politici di casa nostra tenere conto dei più ampi sommovimenti che stanno caratterizzando la presente era, dall'altro è importante anche dare conto dei piccoli passi che si fanno in Sicilia per tornare ad inserirsi nelle dinamiche storiche globali come soggetti attivi.

Pochi giorni fa abbiamo delineato brevemente il gioco di contrappesi medio-orientale in cui gli USA cercano di inserirsi per fronteggiare l'avanzata russo-cinese tramite terzi (si veda il post “Nuova Crimea”).

Vediamo ora di annotare due piccoli ma significativi eventi che mettono in risalto come anche da quelle parti, tra Damasco e Teheran, i vertici politici tengano sott'occhio gli sviluppi strategici dell'area centro-Mediterranea.

Il primo di questi eventi riguarda una conferenza tenuta nella capitale siriana nel giugno di quest'anno e denominata “Prima conferenza siriaco-italiana degli imprenditori”.

L'agenzia lanciata dalla Syrian Arab News Agency (“First Conference for Syrian, Italian Businessmen discusses developing Bilateral Cooperation”, SANA 8 giugno 2010) ruota intorno ai seguenti interventi:

“Il presidente dalla Camera di Commercio Internazionale siriana, Abdul Rahman al- Attar, ha invitato gli imprenditori siriani a servirsi dalla speciale posizione geografica della Sicilia nel sud dell'Italia per farne un ponte verso l'intera Europa.

Dal canto suo, l'ambasciatore italiano a Damasco, Achille Amerio ha invitato gli imprenditori siciliani a sviluppare la cooperazione economica e lo scambio di esperienze con la Siria, aggiungendo che la Siria è un partner fondamentale in quanto occupa una posizione geografica che ne fa un importante passaggio per il commercio ed i movimenti culturali tra l'oriente e l'occidente”.


La parte più significativa dell'intero discorso credo sia da considerarsi l'invito rivolto ai siciliani dall'ambasciatore italiano. Le sue parole indicano una rivoluzione strategica. Se fino a qualche tempo fa si faceva di tutto per censurare la posizione culturale siciliana, un ponte verso le aree medio-orientali, oggi nel nuovo sistema globale si cerca di sfruttare tale posizione. Questo perché, ora che il fulcro del mondo si sta spostando da occidente ad oriente, essa diventa sempre più imprescindibile.

Spostandosi ancora più ad oriente, nel caso dell'Iran, è stato invece il Parlamento Siciliano a muoversi con largo anticipo rispetto al resto dell'Europa.

Lo scorso maggio l'ambasciatore iraniano in Italia, Seyed Mohammad Ali Hosseini, è stato in visita a Palermo, secondo le agenzie di stampa persiane su invito del presidente dell'ARS Francesco Cascio (“Sicily to Hold Iran's Cultural Week”, Fars News Agency, 29 maggio 2010).

Hosseini riferisce che “Durante l'incontro Cascio ha evidenziato l'espansione della cooperazione culturale, commerciale ed economica tra l'Iran e l'Italia, la Sicilia in particolare”

I due avrebbero anche preso accordi riguardo ad un nuovo corso di lingua persiana all'università di Palermo ed allo svolgimento di una settimana della cultura iraniana nella capitale siciliana, oltre che discutere l'apertura di una camera di commercio iraniana.

Nella seconda parte l'articolo brevemente descrive alcune caratteristiche dell'Autonomia Regionale:

“La Sicilia è la più grande isola del Mediterraneo ed una regione autonoma dell'Italia. Le isole minori intorno sono anch'esse considerate parte della Sicilia.

La politica siciliana si sviluppa nella cornice di una democrazia rappresentativa presidenziale, nella quale il Presidente del Governo Regionale è il Capo di Governo, e di un sistema multi-partitico e multiforme. Il potere esecutivo è esercitato dal Governo Regionale. Il potere legislativo risiede sia nel governo che nell'Assemblea Regionale Siciliana.”


E con questo abbiamo anche scoperto qualcosa di nuovo sull'Iran: i persiani capiscono lo Statuto Siciliano meglio dei siciliani stessi.

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martedì, novembre 16, 2010

Come da programma

Urso (Fli) dopo le dimissioni dei finiani dal governo nazionale e l'apertura della crisi, dichiara che “l' Fli guarderà ad un’altra coalizione di centrodestra con forme che si richiamano alle forze del popolarismo europeo, quindi con Casini, Lombardo, Api” (“Fli esce, Schifani e Fini domani al Colle Berlusconi e Bossi: 'Fiducia o elezioni' ” IlGiornale.it, 15 novembre 2010). Una dichiarazione che sembra dare la leadership di questo “nuovo” blocco politico agli ex-fascisti.

In Sicilia sappiamo benissimo che le cose non stanno proprio in questi termini, visto che il blocco esiste già ed è guidato da Raffaele Lombardo. Urso, che come ricorderemo mantiene forti legami con la Sicilia dove ama passare le vacanze, propone quindi una novità già vecchia.

Dall'altra parte, Berlusconi ribadisce la sua ferma alleanza con la Lega più che con il suo stesso partito (Lo stato maggiore della Lega guidato da Umberto Bossi si trova faccia a faccia con Silvio Berlusconi e i suoi luogotenenti ad Arcore. Un "patto di ferro" tra i due alleati.), che in pratica vuol dire che in caso di elezioni i due schieramenti chi si scontrerebbero farebbero riferimento non più ad idee politiche, ma ad aree territoriali: nord contro sud.

E se a nord la Lega avrà buon gioco a presentare i nuovi sviluppi come un tentativo del sud di sabotare il federalismo per continuare a vivere di rendita, a sud il governo di Berlusconi ha fatto di tutto per irritare i potenziali elettori, cancellando ogni tipo di perequazione, trattenendo i fondi FAS, bocciando il piano rifiuti della Regioni Siciliana, e addirittura dichiarando illegali le leggi delle regioni del sud che vietavano di localizzare depositi di scorie nucleari nel loro territorio.

In questo clima, il risultato delle elezioni sembra essere scontato: spostamento di voti dal Pdl alla Lega al nord, e vittoria di Lombardo e compagnia bella al sud. Due blocchi contrapposti in tutto e arroccati nelle due metà del paese. L'effettiva spaccatura in due dell'Italia. E la sconfitta definitiva (finalmente) del pecoraio di Arcore.

Una sconfitta solo fisica, a ben vedere. Perché con un risultato del genere le sue idee avranno vinto. Non è un mistero che il suo obiettivo sia sempre stato quello di ridisegnare l'Italia su due macroregioni, una a nord ed una a sud, con lo Stato delle Chiesa nel mezzo (si veda il post “Indovinello”).

Si potrebbe anche pensare che questa “sconfitta” l'abbia pianificata lui stesso, con quello scandalo della casa a Montecarlo appioppato ad un Fini così servito su di un piatto d'argento a Lombardo.

Persino il momento internazionale non potrebbe essere più propizio.

La scorsa settimana si è tenuto a Seoul il vertice del G20 dove l'argomento principale sarebbe stato quello della “guerra delle valute”.

Come sappiamo, gli USA, indebitati sino al collo con il resto del mondo, vorrebbero ridurre la loro moneta a carta straccia per non pagare il dovuto (vedi “L'America ed il dollaro, un destino segnato”, RussiaToday.com del 9 novembre 2010 - Tradotto da Il Consiglio) ed a Seoul Obama aveva il compito di fare ingoiare il brutto rospo ai cinesi.

Secondo i giornali occidentali però il meeting sarebbe fallito, che sarebbe come dire che i cinesi e le altre potenze mondiali hanno risposto picche, nei fatti ponendo fine all'egemonia economica statunitense: da oggi in poi saranno loro (Cina, Russia, India, Brasile) a decidere la politica monetaria a stelle e strisce.

Figuriamoci se Washington avrà il tempo ed i soldi per venire a soccorrere i neo-risorgimentalisti italiani quando questi andranno a chiedere aiuto per evitare la inevitabile spaccatura di questa magnifica nazione.

Nella foto in alto, Urso ospita un gruppo di colleghi nella sua villa di Acicatena

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domenica, novembre 14, 2010

Nuova Crimea

Il 14 febbraio del 2005 nelle strade di Beirut, grazie a 100 kg di tritolo, venne assassinato Rafiq Hariri, ex primo ministro dimissionario del governo libanese.

L'omicidio, oltre a ricordare quello di Falcone nelle modalità (in quel caso si trattò di 350 chili di dinamite, molto più potente del tritolo), lo ricorda anche per le conseguenze: la conflagrazione infatti catalizzò le forze politiche che giostravano (e giostrano) intorno all'area cardine del medio oriente facendole venire allo scontro aperto. Scontro che ha raggiunto il suo apice con la tentata invasione israeliana del libano nel luglio 2006.

Ancora oggi in occidente ci si chiede ipocritamente chi abbia assassinato il leader politico libanese, mentre sui giornali è già stato deciso che il colpevole doveva essere la Siria. Il fatto che Hariri stesso avesse più volte dichiarato pubblicamente che proprio la Siria era assolutamente necessaria alla protezione del suo paese contro Israele ed avesse allo stesso tempo rifiutato di implementare la legislazione anti-terrorismo caldeggiata dagli USA (come ricorda la wikipedia inglese, ma invece censura quella italiana) non viene minimamente ricordato.

Fallito il tentativo di rompere l'impasse con la violenza della ricordata invasione del 2006, il fronte occidentale ha cominciato a circuire Bashar al-Assad, il presidente siriano, con la promessa di aprire il mondo al suo paese, da tempo sotto embargo internazionale. Diversi articoli sui mezzi da guerra mediatica anglosassoni (The Economist, Financial Times, National Geographic) cominciavano subito a riabilitare l'immagine di quello che fino a poche ore prima era un stato canaglia tra i neuroni facilmente impressionabili di buona parte dei propri lettori.

Il processo di normalizzazione nelle relazioni USA-Siria lo scorso mese di ottobre (il 4 per l'esattezza) portava ad un contrattacco nel caso “Hariri”, con la Siria che all'improvviso spiccava dei mandati di arresto internazionali contro 33 rappresentanti governativi libanesi con la stessa accusa che questi gli avevano rivolto precedentemente (la responsabilità dell'assassinio di Hariri). I mandati ovviamente non hanno alcuna speranza di essere eseguiti, perché l'Interpol difficilmente li avallerebbe. Ma dal punto di vista politico rappresentano uno stravolgimento sia nei rapporti di forza interni libanesi, che in quelli più vasti dell'area.

Il momento in cui tutto questo avveniva, lo scorso ottobre, ha anche altri risvolti, poiché la richiesta emessa dai giudici siriani preludeva, facendone da supporto, alla visita ufficiale del presidente iraniano Ahmadinejad in Libano che sarebbe iniziata il 13 seguente e che poi si sarebbe rivelata un immenso successo diplomatico iraniano.

La Siria si sarebbe dunque presa gioco di Washington? Forse sì, forse no, perché se da un lato il segretario di Stato USA, Hillary Clinton, continua ad esprimersi con toni aggressivi (“Il comportamento della Siria non ha soddisfatto le nostre aspettative degli ultimi 20 mesi, e le azioni siriane non hanno soddisfatto li suoi obblighi internazionali”, AFP 12 Novembre 2010), dall'altro il senatore democratico Kerry, in visita a Damasco, “ha sottolineato il ruolo della Siria nel raggiungimento della sicurezza e della stabilità nell'area” (9 novembre 2010), in effetti mostrandosi ansioso di trovare un punto d'incontro.

Quello che però sembra di poter leggere tra le righe è che il rinnovato feeling tra Teheran e Damasco, teatralmente messo in mostra nell'occasione ricordata sopra, non abbia inciso sul riavvicinamento tra Damasco e Washington. La qual cosa dovrebbe stupire non poco, visto che non facciamo altro che leggere peste e corna sui “fondamentalisti” persiani.

Se però includiamo nel quadro l'improvviso calo nei rapporti tra Teheran e Mosca, che recentemente insieme a Pechino ha appoggiato nuove sanzioni dell'ONU contro l'Iran ed è tornata indietro sulla vendita di armamenti (vedi dichiarazioni Ahmedinejad del 4 novemnbre) possiamo cominciare ad intravedere qualcos'altro prendere forma, e cioè un incredibile riavvicinamento tra gli Stati Uniti e l'Iran in chiave anti-russa ed anti-cinese.

Ecco perché la Siria non è stato “punita” dopo la sua spavalda dimostrazione di supporto nei confronti dell' “amico” Ahmendinejad: Damasco rappresenta la principale leva che Obama sta utilizzando per centrare un impensabile colpo politico.

Un colpo che qualora fosse messo a segno, potrebbe riaprire una immensa ferita che dopo oltre 150 anni stenta a cicatrizzarsi, una ferita che nella Mosca ortodossa chiamano la “Questione orientale”, sfociata nel 1856 nella tremenda Guerra di Crimea, l'evento politico che più di ogni altri ha determinato il destino della Sicilia nel XIX e nel XX secolo, quando la sconfitta delle “terza Roma” ad opera di musulmani ed anglosassoni (questi ultimi sostenuti anche dalla cattolicissima Austria) aprì le porte all'avventura Garibaldina.


Due illustri sopravvissuti alla Guerra di Crimea: Checov e Tolstoy

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domenica, novembre 07, 2010

La prova del Lupo

Se c'è un merito di cui questo blog è orgoglioso di fregiarsi è quello di aver contribuito in qualche modo alla riapertura del discorso sul fenomeno mafioso, mettendo in dubbio quelle origini mitologiche che alla fantomatica ed onnipresente organizzazione sono state affibbiate per assicurarle quella nobilitazione dei natali necessaria a poterla meglio piazzare sul lucroso mercato globale del truffa mediatica.

Con il recedere delle spinte post-risorgimentali in Sicilia ed il crollo dell'ideologia unitaria, quel capello che lega la mafia alla storia della nostra Terra è rimasto scoperto, ed ora rischia di essere spezzato: a tuttora non sembra che qualcuno sia riuscito a provare un qualche legame tra il fenomeno mafioso e la Sicilia pre-unitaria.

Su queste pagine abbiamo notato come la mafia fosse stata “scoperta” sono ad unità inoltrata, tanto che persino i vocabolari del tempo consideravano il termine come un neologismo (Si veda il post "I mafiusi della Vicaria"). Abbiamo chiarito come solo opera di fantasia fosse il collegamento ad una leggendaria e pre-esistente setta, quella dei Beati Paoli (Si vedano i post "Beata Ignoranza" e "L'eco della Baronessa"). Abbiamo riportato sempre più dichiarazioni sia di pentiti che si uomini di legge che configurano una regia esterna alla Sicilia se non addirittura all'Italia.

Di più, tra gli archivi locali o quelli borbonici non si è mai riusciti a trovare una qualche indicazione circa la presenza di questa “piaga” sociale che teoricamente teneva sotto scacco l'intera società civile.

Anche le teorie secondo cui essa si sarebbe originata nelle campagne per poi spostarsi in città, teorie che potrebbero in qualche modo spiegare la mancanza di documentazione storica negli archivi civici, in fin dei conti potrebbero anche rafforzare il partito di chi sostiene che la mafia sia una conseguenza dell'Unità, visto che in qualche modo il processo di migrazione deve aver trovato un catalizzatore risorgimentale che avrebbe favorito l'ingresso del potere agricolo-mafioso tra i palazzi di Palermo.

A me sembra invece che tra i palazzi di Palermo stia avanzando il coraggio di affrontare l'argomento e di riscriverne la storia. Una svolta questa che mette seriamente in crisi l'esistenza stessa di una delle industrie più floride mai sorte in Sicilia: quella dei professionisti dell'antimafia.

Professionisti che oggi si ritrovano una sola ed ultima arma a disposizione, e nella disperazione si sono finalmente decisi a metterla in campo.

Lampante esempio di questo può essere considerata la Conferenza organizzata dal Centro Studi Pio La Torre dal titolo “Dall’Unità d’Italia ad oggi: evoluzione del rapporto storico tra mafia, potere e opposizione sociale”.

Ecco cosa ci rivela Salvatore Lupo, docente di Storia Contemporanea presso l'Università di Palermo (A Sud'Europa, Novembre 2010):

“Con l’Unità d’Italia si affermano nel nostro paese i principi e diritti di uguaglianza dei cittadini tra di loro e davanti alla legge. Per questo motivo, da questo momento storico, la società civile comincia a percepire l’illegalità del fenomeno mafioso. Sbaglia quindi chi sostiene che la mafia nasca con l’Unità d’Italia. Semplicemente prima non veniva percepita come illegale.

Lupo, mentre ammette di essere con l'acqua alla gola – altrimenti non avrebbe dato spazio alla tesi “sbagliata” (“che la mafia nasca con l’Unità d’Italia”) – in sostanza ci ripropone sotto mentite spoglie la teoria secondo cui i conquistadores franco-anglo-padani ci avrebbero portato la civiltà, a noi popolo di selvaggi condita da un ulteriore “tutto prima dell'Unità d'Italia era mafia” che chiarisce il calibro culturale di questa categoria di affabulatori.

Il dipendente pubblico (nel senso di “pagato dai Siciliani”) espone dall'alto della sua cattedra una teoria, il ché può anche risultare lecito vista la posizione che ricopre all'interno del mondo accademico. Quella stessa posizione impone però allo stesso tempo qualcos'altro. Impone di utilizzare il metodo scientifico esponendo il ragionamento seguito e supportandolo con prove precise, magari evitando di dare del “poco intelligente” a chi sostiene tesi diverse.

Da parte nostra aspetteremo, prima di dare un giudizio sul suo operato, di esaminare queste “prove” Documenti dell'epoca, soprattutto.

Speriamo di non dover aspettare troppo: in tempi di crisi economica credo i Siciliani abbiano il diritto di sapere se questi soldi siano stati ben spesi.

MP3 dell'intervento

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mercoledì, novembre 03, 2010

Ivan il terribile

Il seguente articolo è stato pubblicato oggi dal Sole 24 Ore. Originariamente avevo intenzione di proporlo in alto, tra gli approfondimenti. Credo invece che debba essere letto il più possibile. Primo perché fa vedere come le nuove alleanze ai vertici del governo regionale abbiano rimescolato le carte, con personaggi quali il Lo Bello (autore del pezzo del Sole) o il Riggio (appollaiato ai vertici dell'ENAC) che di colpo con le nuove alleanze di Palazzo D'Orleans si sono trovati isolati è si sono ridotti a fare un tipo di opposizione dai toni di bassissimo profilo, quasi ricattatori. E secondo perchè espone quegli altarini che oramai solo i ciechi non riescono (o non vogliono?) vedere.

I miei commenti sono in grassetto, tra le parentesi quadre.

La Sicilia del futuro contro i nuovi Borboni
di Ivan Lo Bello [Presidente di Confindustria Sicilia]
2 novembre 2010

Da qualche tempo alcuni esponenti della politica siciliana e meridionale hanno avviato (con interventi estemporanei che vanno dalle nostalgie borboniche, alle invettive su Garibaldi, ad improbabili secessioni) una fragile e confusa revisione storica del processo di unificazione, rivalutando molti aspetti economici e sociali della fase preunitaria.

Il processo di unificazione nazionale rappresentò per il Mezzogiorno una grande opportunità di crescita civile ed economica, anche se nessuno ha mai voluto nascondere contraddizioni e zone d'ombra.


[Dichiarazione ancora condivisibile questa: è possibile che molti, in Sicilia per lo meno, avessero visto in quel processo una qualche prospettiva. Purtroppo tutti i sogni si infransero non appena Garibaldi approdò a Marsala: che speranza si può porre in gente che lancia il sasso e nasconde la mano – l'espediente dei Mille per camuffare l'intervento Sabaduo – e che fiducia si può sentire per uno stato che fonda le sue basi sul tradimento e la corruzione – vedi la strana mancanza di resistenza da parte dell'esercito borbonico]

Le condizioni economiche della Sicilia alla vigilia del 1861 presentavano un ritardo significativo rispetto alle parti più sviluppate del Nord del paese e rilevantissimo verso quelle nazioni europee che avevano avviato un serio processo d'industrializzazione, ma drammatiche erano le condizioni civili: un tasso di analfabetismo altissimo e infrastrutture pressoché inesistenti.

[Forse è vero che le condizioni della Sicilia, dal punto di vista industriale, fossero in ritardo rispetto a Napoli ed ad altri paesi europei – non certo rispetto al Nord Italia – ma le condizioni civili non erano per niente drammatiche: erano equiparabili a quelle di ogni altro paese del continente.]

I rapporti sociali, con particolare intensità nelle campagne, riproducevano schemi che sembravano consegnati alla vecchia cultura feudale e il latifondo parassitario rivestiva un ruolo centrale nell'economia siciliana, e questo nonostante lo sviluppo di altre colture intensive che iniziarono a fiorire in quegli anni.

[Vero, ma non è detto che questo si traducesse automaticamente in condizioni di vita peggiori, vedi le condizioni economiche e sociali dei contadini del Piano Padano]

La Sicilia ebbe dopo il 1861 un rilevante progresso economico e civile, basti guardare agli indicatori postunitari nel settore del trasporto ferroviario e nello sviluppo dell'istruzione. Mancò, è vero, un significativo sviluppo industriale che invece ebbe luogo nel Nord del paese. Ma questo non può essere addebitato all'ingresso della Sicilia nello stato unitario in quanto, come dice Guido Pescosolido, «non esisteva un'industrializzazione in atto al momento dell'Unità e dato l'atteggiamento dello stato borbonico non si vede come avrebbe potuto esservi se esso fosse sopravvissuto».

[Non è chiaro quale sia questo progresso di cui va cianciando il Lo Bello, visto che il nuovo Stato si preoccupò di mantenere intatto il sistema feudale di proposito per crearsi a posteriori l'alibi del sottosviluppo. L'atteggiamento dello stato Borbonico era favorevole al giusto grado di industrializzazione, senza essere disposto a dare mano libera ai gaglioffi di Confindustria]

I veri limiti della stagione pre e post-unitaria vanno invece rintracciati nel trasformismo delle classi dirigenti risorgimentali e liberali che, pur con significative eccezioni, adottarono in larga parte gli schemi sociali ed economici della vecchia cultura parassitaria del latifondo.

Fu in quei decenni che si cementò un patto tacito tra le classi dirigenti del Sud e Nord del paese che pur con alterne vicende ha segnato la storia siciliana fino a tempi recenti, quando dopo la Seconda guerra mondiale l'egemonia sociale dei vecchi agrari fu sostituita da un nuovo ceto economico e politico che riprodusse e aggiornò attraverso la spesa pubblica, le distorsioni dello sviluppo urbanistico e la compressione del mercato la vecchia cultura parassitaria.

Per quale motivo allora questi rigurgiti storici emergono oggi in Sicilia e in altre parti del Mezzogiorno?

Due fattori sono intervenuti a modificare lo scenario economico e politico: la contrazione strutturale dei flussi di spesa pubblica; la prospettiva ormai ravvicinata del federalismo fiscale e le sue presumibili conseguenze politiche.

Il processo di contrazione della spesa pubblica ha preso avvio già dopo la crisi economica dei primi anni 90 e gli sforzi sostenuti dal nostro paese per l'ingresso nell'area dell'euro.

L'inizio dell'opera di contenimento della spesa non ha però modificato i comportamenti sociali e politici e questo prevalentemente per la mancanza d'incentivi e disincentivi adeguati. Troppo spesso la spesa in conto capitale è stata trasformata in spesa corrente, e i disastri e dissesti finanziari di alcuni comuni e di tante municipalizzate hanno trovato una «partecipe comprensione», cancellando di fatto il principio di responsabilità. L'esplosione del debito in questi ultimi dieci anni ne è stata la logica conseguenza.

La contrazione della spesa pubblica, e i meccanismi di responsablizzazione che con grande probabilità scaturiranno dalla piena applicazione del federalismo fiscale, minacciano oggi fortemente un pezzo del ceto politico ed economico che in questi decenni ha costruito fortune politiche ed economiche su una capillare redistribuzione e gestione assistenziale e clientelare di risorse pubbliche e prerogative amministrative.


[Una delle componenti del vecchio sistema ad essere minacciata in modo più serio è proprio la Confindustria Italiana, che non potrà più succhiare risorse pubbliche]

I rigurgiti neo-borbonici rappresentano pertanto una variante della vecchia ideologia sicilianista che è sempre risultata funzionale alle esigenze d'identità e di potere dei ceti parassitari che hanno nel tempo ostacolato il processo di modernizzazione della Sicilia e di gran parte del Mezzogiorno.

[Ci siamo: per vendetta verso Lombardo si scoperchiano quegli altarini che già tutti hanno visto. A primo acchito questa associazione tra neo-borbonismo e sicilianismo appare strabica. I Sicilianisti non hanno mai mostrato nostalgia per l'esperienza borbonica.... In realtà il nostro si sta riferendo alla nuova irreversibile struttura politica in cui sta per sfociare il sud Italia insieme alla nostra isola, una struttura probabilmente di tipo federativo che coinvolga le varie regioni (per quanto artificiosa la loro delimitazione sia sempre stata). La congiunzione tra Sicilianismo e Neo-Borbonismo sta in questo. La variante con l'antico Regno delle Due Sicilie che potrebbe soddisfare le richieste “Sicilianiste” risiede proprio nella struttura federata e nel fatto che la vera testa dell'operazione non sarebbe a Napoli ma in Sicilia, cosa questa che però l'ex capitale partenopea non vuole digerire – vedi defezioni dall'MPA e tentativo di formazione di una nuova forza politica meridionalista - Noi Sud - da parte di Vincenzo Scotti.
Oggettivamente Napoli non ha alcuna possibilità di ritornare ai fasti antichi di baricentro politico del Mediterraneo. Oggi che la principale rotta commerciale è tornata ad essere quella orientale, l'area campana è l'unica del meridione a non avere un proprio sbocco ad est, una “tara”che si dimostrerà insormontabile e che favorirà il rilancio di quelle che nel medioevo erano le regioni politicamente più avanzate d'Italia: la Sicilia e le Puglie a sud insieme all'area veneta a nord – tanto per chiarire ancora di più da dove proviene quella misteriosa alleanza tra Veneto e Sicilia di cui parlavamo nello scorso post.]


Fonte articolo: Il Sole 24 Ore

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venerdì, ottobre 29, 2010

La Nazione riesumata

Italiani popolo di ingenui. Che ancora segue i dibattiti, ascolta le interviste, legge l'ultimo saggio storico. Va a votare, persino.

E poi si meraviglia o forse anche si scandalizza dello strano feeling che sembra essere sbocciato tra i leghisti più irriducibili, quelli veneti, ed il Presidente della Regione Siciliana.

I Siciliani siamo esperti nel “porgere l'altra guancia”. Seguiamo con ardore gli insegnamenti del Cristo. Sopportiamo con pazienza e rassegnazione quello che il destino ha in serbo per noi. Ma lo facciamo con cinismo. Un cinismo spietato, innato. Opprimente, persino.

Qualcuno vorrebbe convincerci che Salvatore Giuliano fosse solo un bieco e spregiudicato delinquente. Che i Siciliani dovrebbero smetterla di portarlo sempre sugli scudi come un martire. Ma noi lo sappiamo benissimo chi era Giuliano, ed è proprio per questo che, immaginario o reale che sia, è e rimarrà sempre un eroe qui in Sicilia.

Giuliano è colui il quale ha abbandonato le convenzioni lasciando sgorgare per intero il suo legame con questa terra invece di pensare alle rappresaglie che lo stato avrebbe riversato contro la sua famiglia (rappresaglie che continuano ancora oggi...). Senza pensarci due volte, ha preso il fucile ed ha sparato contro il carabiniere che lo aveva sorpreso a contrabbandare grano, quando invece tutti noi a quel punto ci saremmo lasciati ammazzare, schiacciati da troppi secoli di storia, per non mettere in pericolo le nostre madri, sorelle, i figli.

Malvolentieri, ma ci saremmo lasciati ammazzare. Ci saremmo lasciati morire sognando di vivere almeno un giorno da Giuliano. Tutti vorremmo avere il coraggio di pagare per le nostre scelte. Invece non paghiamo mai. Tramiamo nell'ombra un passettino alla volta, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio, camuffandoci di nobili intenti familiari, fino a quando il nemico, senza accorgersene, si ritrova un coltello piantato nel cuore.

Ed alla fine, otteniamo l'indipendenza senza prendercene la responsabilità. Vogliamo fare la parte delle vittime fino all'ultimo: la colpa è della Lega.

Raffaele Lombardo, dopo l'ultima caustica intervista rilasciata al Giornale (“Lombardo: secessione? La fa la Sicilia”, 28 ottobre 2010), spiega tramite il suo blog di aver usato la forte provocazione per dare una lezione a quella Lega che vorrebbe spaccare l'Italia (“Vogliamo ricostruire una vera unità nazionale”, 28 ottobre 2010):

Battono sulla secessione per liberarsi di questo peso morto che è il sud e la Sicilia. (…) Io ho risposto a questo continuo stillicidio di accuse dicendo 'Ma andare al diavolo voi, questa benedetta secessione datecela, così vediamo'

I veneti però non sono tanto fessi, ed oggi hanno risposto per le rime, coprendo il piatto e chiamando così il bluff del leader siciliano per bocca di Tosi, il sindaco di Verona (“La Lega benedice la formula siciliana”, SiciliaInformazioni.com 29 ottobre 2010):

"Se Lombardo vuole spezzare le logiche clientelari e ottenere il federalismo - prosegue - sarà il nostro migliore alleato"

Aggiungendo che non vi è alcuno bisogno del carroccio al sud, perchè “c'è l'MpA, è come se ci fossimo noi”

Popolo di ingenui, che ancora cerca di capire come stanno le cose. Sotto la benedizione del gran capo, Veneti e Siciliani sono d'accordo per smantellare l'Italia. Ma noi non ci vogliamo prendere la responsabilità, ed allora “porgiamo l'altra guancia”, aspettiamo di essere messi alle corde così che Armao possa poi andare in battaglia, lancia in resta, contro i torti promessi. Aspettiamo che il “popolo” venga a chiedere con forza a Palazzo Reale.

Non ci volete credere ancora. Ma Zamparini a Palermo, non vi dice niente? E Zonin che investe sull'immagine della Sicilia invece di portarsi armi e baracche su al nord come era stato fatto sino e ieri? Ed i Siciliani che spopolano sia al festival di Venezia che al Vinitaly? I leghisti (veneti) e gli autonomisti (siculi) possono anche alzare la voce, ma a quanto pare lontano dagli schermi televisivi vanno d'amore e d'accordo.

Quest'anno per il giorno dei morti, dopo aver partecipato alla sfilata del 30 ottobre, tornerà anche Giuliano, riesumato fresco fresco per l'ennesima tragedia siciliana (o si tratta forse di una commedia italiana?).

Chissà cosa penserà di tutti noi che continuiamo con sempre maggior cinismo a porgere l'altra guancia. Che dichiariamo l'indipendenza per interposta persona. Chissà se alla fine deciderà di lasciarci lo stesso un regalino.

E comunque, Viva la Sicilia liberata e libera: domani a Palermo non mancate, mi raccomando. Domani a Palermo la storia della Sicilia farà un altro passettino avanti.


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martedì, ottobre 26, 2010

Indovinello

Raffele Lombardo, parlando con i giornalisti a Palermo ha ripetuto alcuni concetti che avevamo già sentito sibilare tra le sue labbra di tanto in tanto più o meno negli stessi termini (“Italia150: la Sicilia non dovrebbe festeggiare”, Industriale-oggi.it 26 ottobre 2010):

“L’Unita d’Italia - ha aggiunto - fu una vera e propria annessione, una guerra dichiarata al Regno delle due Sicilie che ha prodotto si qualcosa, ma non per noi. Si sono portati via le riserve auree delle nostre banche con cui hanno finanziato lo sviluppo industriale del nord, hanno determinato una serie di leggi per tassare il pane della gente e depredare la Chiesa. Si contano in quell’epoca decine di migliaia di emigrati e chi ha osato resistere è stato tacciato di brigantaggio o è stato ammazzato senza pietà Non credo sia un occasione per festeggiare, per noi siciliani.”

Più o meno. Perché qualcosina di nuovo c'è.

Il qualcosina di nuovo, introdotto dal neretto di sopra, ci viene sciabolato addosso nelle righe seguenti:

“Che il signor Bossi questa benedetta secessione la faccia, come se fosse una punizione per noi, vediamo se non ce la caviamo meglio, ma che nella nostra area non ci sia Roma, se no non abbiamo concluso niente.”

Ricapitolando: ora sappiamo che Lombardo non vuole Roma. D'altronde Bossi ha sempre lasciato intendere che di Roma non ne vuole sentire parlare.

Allora l'indovinello è il seguente: a chi la daranno questa benedetta città eterna quando si spacca questa maledetta Italia?

La soluzione entro il dicembre 2012.


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domenica, ottobre 24, 2010

Che confusione, sarà perché...

Sembra che in molti stiano cercando di capire cosa sia successo veramente in Sicilia. Che schieramenti sono mai questi, con i partiti spaccati, i presunti fascisti di AN con il neo-liberale Fini apparentati al PD in un epico compromesso storico insieme ai cattolicissimi palazzinari di Casini. Dall'altro lato Bianco, Cuffaro e Firrarello a tenere in Sicilia le posizioni del duo Alfano-Schifani.

Quello che veramente rende incomprensibile la situazione è la presenza ossessiva dell'alito caldo della mafia sul collo di ambedue gli schieramenti per mezzo di condanne, indagini e fughe di notizie. Forse per srotolare la matassa potremmo provare ad eliminarne gli effetti.

Ebbene si: per un attimo immaginiamo che la mafia non esista cancellandola dall'equazione e ritorniamo all'inizio del tutto. A quando cioè il guardasigilli Angelino Alfano per la prima volta propose di limitare l'utilizzo delle intercettazioni nelle indagini della magistratura.

Se teniamo fede alla premessa (la mafia non c'è – più), la proposta di Alfano non sembra poi tanto scandalosa. In realtà la cosa da chiedersi, sempre in base a quella premessa, è che motivo hanno le magistrature di fare un così largo uso delle intercettazioni.

In una Sicilia senza mafia, quello della magistratura sarebbe solo l'esercizio di un potere acquisito. In una democrazia potremmo definirlo un abuso. La legge bavaglio è allora solo il tentativo di limitare i poteri di un avversario che altri non è se non quella magistratura che ha ben posizionato i suoi rappresentanti tra le fila del governo siciliano, unici in questa squadra di presunti tecnici ad essere forniti di tessera di partito.

E' ovvio che per assicurarsi i buoni auspici di questo centro di potere il presidente abbia dovuto prendere posizione nella disputa, prima tramite l'On. Granata e poi personalmente (si vede il post “Sulle intercettazioni è in gioco il nostro vivere civile” del 24 maggio 2010 dal blog di Raffaele Lombardo).

Partito Granata, Fini non poteva che assecondare e scagliarsi contro la legge e contro Berlusconi: senza i voti siciliani forse Fini non sarebbe neanche in parlamento. Ritirata la legge bavaglio, ecco uscire la storia di Montecarlo che nei fatti impedisce a Fini di tornare indietro e lo costringe a seguire gli ordini provenienti dall'isola: nuove elezioni avrebbero come effetto la totale scomparsa di una AN isolata dalla scena politica.

Berlusconi sconfitto da Lombardo? Non proprio: difficile credere che palazzo D'Orleans possa avere la mano tanto lunga. E poi è strano che Miccichè ora fuori dall'esecutivo siculo non sia tornato a casa nel PDL.

Ed è questo il particolare che tradisce i retroscena: Miccichè continua a dire di non voler litigare con il Premier, mentre nel frattempo forma un nuovo partito in un modo o nell'altro contro lo stesso PDL. La cosa non quadra: o Miccichè dichiara il falso, oppure i veri nemici del cavaliere sono all'interno del PDL ufficiale. Ed allora questi nemici non possono essere altri che Alfano e Schifani (ed i poteri che li controllano).

Cosa vuol dire tutto questo? Che la manovra contro la legge bavaglio di Alfano è stata attuata di concerto da Lombardo e Berlusconi con l'aiuto della magistratura siciliana costringendo Fini a dare man forte al nuovo esecutivo siciliano (pena la scomparsa dalla scena politica) con l'obiettivo di isolare gli stessi Alfano e Schifani (ed i poteri che li controllano).

Stupefacente? Non tanto se si pensa a come il potere di Berlusconi vada scemando sin dalle scorse europee e dopo lo strano attentato subito a Milano. Costui è oramai quasi un pupazzo, ma non completamente, tanto che ha intimato al figliolo (Miccichè) di uscire dal governo a Palermo per non dare troppo potere a Lombardo. Ed alla magistratura.

Infine sulla mafia, questa misteriosa Al Qaeda centro-mediterranea, è inutile dilungarsi: non c'è peggior sordo di quello che non vuol sentire.

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