Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

giovedì, luglio 31, 2008

The Economist vs. Il Consiglio

Che sorta di confronto potrebbe mai esserci tra un piccolo blog che blatera di fantasie sicilianiste ed una delle più potenti testate giornalistiche convenzionali del pianeta. Più che di un Davide contro Golia, dovremmo parlare di un granello di sabbia contro Golia.

Solo che quando il granello di sabbia va a finire in un occhio, il danno che è capace di infliggere va molto al di là delle sue insignificanti dimensioni. E visto che i granelli del deserto sono infiniti, risulta impossibile ripararsi da quella sabbia durante una tempesta. Prima o poi il granello arriverà a colpire l'occhio, fosse anche in cima alla piramide più alta. E farà male.

Ebbene, se l'Economist decide di attaccare Il Consiglio, vuol dire che la tempesta si sta sollevando.

Su queste pagine avevamo già indicato come strada da seguire quella di una rete di pagine intercomunicanti nelle cui maglie sempre più navigatori sarebbero capitati rimanendone invischiati. I siti dei partiti siciliani, i blog, i siti di controinformazione assieme sono quella tempesta, un onda concentrica che si propaga raggiungendone altre ed ingrossandosi sempre di più.

Per questo è importante evitare l'isolamento collegandosi ad altre realtà esterne alla Sicilia o persino all'Italia. Purtroppo una parte di questo processo non è pienamente compresa da tutti, è cioè il fatto che in rete la base per incrementare la visibilità generale sono proprio i link, così molti evitano di linkare siti a meno che non siano semplici fotocopie del proprio (impedendo così che più onde si sommino tra di loro) oppure lo fanno credendo di impedire a quello che credono come un avversario la visibilità, in questo modo danneggiando in primo luogo se stessi.

Come dicevamo il prestigioso settimanale britannico è ora andato all'attacco di queste piccole onde, avendo capito che la marea sta montando. Nell'articolo “The brave new world of e-hatred”, traducibile come “Il nuovo impavido mondo dell'odio elettronico” si cerca di screditare blog e siti di controinformazione con le solite stupide accuse di fascismo, terrorismo, razzismo:

“Quello che disturba molto è il modo in cui giovani e capaci navigatori stanno usando le meraviglie dell'elettronica per aizzare odio tra nazioni, razze, religioni. (...) Spesso questo zeloti lavorano per conto proprio”

Il giornalista cita poi i soliti casi estremi, come gli episodi di hackeraggio di stato contro sistemi di nazioni rivali, per collegarsi incredibilmente ai blog come questo:

“Uno sviluppo più tetro è l'abuso di blog, network sociali, mappe e siti per la condivisione di video che rendono più facile pubblicare materiale incendiario e formare gruppi di odio”

Ed ecco che arriviamo dritti a noi, al granello di sabbia che vola nell'occhio del gigante:

“La piccola taglia di queste comunità in rete non significa che non siano importanti. Il potere di un messaggio nazionalista può essere amplificato con blogs, mappe in rete ed sms”

L'ipocrisia dell'articolo si svela da sola poche righe più sotto:

“I partecipanti alle recenti marce anti-americane in Corea del Sud sono state mobilitate da petizioni online, forums e blogs”

Ecco il crimine di cui questi attivisti vengono accusati: l'aver organizzato una marcia per difendere i propri diritti contro l'imperatore americano. Ma non stiamo facendo proprio questo anche noi? Se invece si trattava di una stupida fiaccolata contro l'Iran, allora ben vengano le petizioni online.

“L'incredibile facilità di aggregazione (assemblare collegamenti a risorse esistenti, video ed articoli) è manna dal cielo. Prendiamo il caso di Anti-cnn.com, un sito preparato da un imprenditore cinese ventenne, che aggrega esempi di supposto pregiudizio dei media occidentali a favore del Tibet. Non appena ha chiesto materiale, più di 1000 persone hanno fornito esempi”

Come facciamo noi con le porcherie pubblicate da pezzi di carta straccia quali Il Corriere, Repubblica o La Sicilia. Quindi anche noi dovremmo ricadere in questa categoria: di proposito si usa un esempio controverso per portare il lettore dal proprio lato, ed all'occorrenza scambiare il nazionalismo cinese con quello siciliano, ad esempio.

E poi ovviamente c'è la storia. Poteva mancare quella?

“Una decennio fa uno zelota che cercava di provare qualche assurda proposizione doveva spendere giorni facendo ricerca in una libreria cercando oscuri testi di propaganda. Oggi, le versioni digitali di questi libri, anche quelle fuori stampa da decenni, sono accessibili in librerie online dedicate”

Una volta avevano gioco facile ad impedire la pubblicazione di certe cose. Oggi stanno freschi. E casualmente si cita l'esempio della negazione dell'olocausto. Ma chissà cosa avrebbero da dire dei massacri sabaudi oggi disponibili in rete nei dettagli per chiunque abbia un minimo di amore per la verità?

Paradossalmente nessun accenno che so... alle reti di siti e blog pedofili per esempio. Evidentemente per l'Economist la pedofilia e più accettabile di questo post. Perchè siamo noi il pericolo contro il quale stanno mettendo in guardia. Prepariamoci, l'occidente in pericolo si prepara ad attaccare. Un nuovo massacro degli innocenti ci attende.
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venerdì, luglio 25, 2008

Elogio dell'ascaro

Chissà che un domani nei paesi siciliani, accanto al monumento al Milite Ignoto, non ne sorga un altro che possa ricordare episodi anche più tristi di quelli patiti dai Siciliani durante le due guerre mondiali. In quei paesi un domani potremmo trovarci un bel monumento all'Ascaro Ignavo, una statua a ricordo di tutti quei politicanti di bassa lega che i nostri municipi hanno sfornato in quantità industriali e che hanno contribuito a ridurre la nostra patria nello stato in cui si trova attualmente.

Ma un tale monumento dovrebbe anche celebrare qualcosa, altrimenti non avrebbe motivo di esistere. Come il tradimento di Giuda fu accessorio alla salvezza dell'umanità, così il tradimento degli ascari è stato accessorio alla realizzazione di un bene più grande, è cioè la preservazione dell'Autonomia Siciliana, il grimaldello che presto ci potrebbe donare la libertà.

Lo stato italiano infatti per potersi assicurare i luridi servigi di quei viscidi prodotti da forno doveva pur concedergli dei privilegi. L'accordo fu presto fatto: gli ascari scambiarono (e scambiano) i diritti che i Siciliani si guadagnarono sul campo con l'approvazione dello Statuto, con la possibilità di mantenere i privilegi di casta da quello stesso Statuto concessi ed di esercitarli in modo assoluto ed arbitrario. Privilegi che, senza la responsabilità data dal peso dell'applicazione integrale della Carta Costituzionale Siciliana, appaiono abnormi anche rispetto a quelli già smisurati dei parlamentari nazionali.

Ma sbaglieremmo a prendere gli ascari per sprovveduti. Essi hanno sempre capito che quei privilegi venivano concessi loro solo in virtù del sangue versato da Canepa e co., e che la menomazione anche marginale di quella conquista, cioè dello Statuto, avrebbe significato la fine di tutta la cosca, in quanto la cupola parlamentare nazionale non avrebbe più avuto bisogno di loro.

Si è così arrivati all'assurdo per cui proprio gli ascari hanno impedito che si toccasse quella carta, promettendo sempre all'invasore l'agognata menomazione, ma sempre trovando una scusa per rimandare il tradimento finale (e quindi la loro stessa estinzione) a data da destinarsi, novelli Penelope che disfanno la notte quello che dicono di giorno.

Tanto è stata assoluta la fedeltà di cosca tra i politici siciliani, che nessuno ha mai tradito malgrado il gioco al rialzo fatto da Roma. Ed oggi siamo nel momento più delicato: quello in cui qualcuno, avendo oramai capito di essere di fronte ad una sconfitta certa, potrebbe rompere i ranghi e tentare un colpo di mano.

Agli ascari il potere esclusivo di distruggere definitivamente la Sicilia lo ha assegnato una sentenza dell'Alta Corte (prima di essere abolita) .

L'articolo 1 dello Statuto recitava originariamente così:

Lo Statuto della Regione Siciliana, approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell'art.116 della Costituzione.

Ferma restando la procedura di revisione preveduta dalla Costituzione, le modifiche, ritenute necessarie dallo Stato o dalla Regione saranno, non oltre due anni dalla entrata in vigore della presente legge, approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l'Assemblea Regionale della Sicilia.


Il secondo comma è stato caducato dall'Alta Corte. Rileggiamo a tal proposito il commento di Massimo Costa:

Esso era il cavallo di troia con cui pensavano di castrare lo Statuto a Roma con una banalissima legge ordinaria. L'Alta Corte ne ha dichiarato l'incostituzionalità in quanto lo Statuto avrebbe natura pattizia e sarebbe quindi immodificabile senza il consenso di entrambe le assemblee legislative. Tale sentenza rende caduco anche il primo dispositivo del comma "ferma restando la procedura..." intendendo implicitamente che la procedura di revisione della Costituzione che non avesse il consenso della nostra Assemblea sarebbe nulla anche se rispettasse la normale procedura prevista dal testo costituzionale.

Ma la sentenza in parola è importante anche per un altro aspetto: l'incostituzionalità del secondo comma avvalora la costituzionalità del primo. E quindi lo Statuto E' COSTITUZIONE COSI' COM'E', senza bisogno di alcuna modifica o integrazione.


In questi cinquantanni di trasversalismo generalizzato, se il colpo di mano non si è fatto vuol dire che non lo si voleva fare. Tanto è vero che quando si è trattato di apportare una modifica migliorativa, e cioè quella che nel 2001 ha introdotto l'elezione diretta del Presidente della Sicilia, non vi sono stati problemi di sorta.

Ed oggi lo Statuto Siciliano è intatto. Non applicato ma valido come Carta Costituzionale e soprattutto, in forza della sia natura pattizia, come trattato internazionale tra la nazione italiana e la Nazione Siciliana. La nostra arma più potente.

Non è però ancora il momento di cantare vittoria. Anzi è oggi che la nostra Patria corre i pericoli maggiori. Perché, come dicevamo, chi è schierato dalla parte sbagliata e si trova oramai con le spalle al muro potrebbe non avere altra scelta se non compiere l'atto che nemmeno il più irresponsabile degli ascari si sarebbe sognato mai di compiere.

E presto saranno in molti ad avere le spalle al muro. Non ci spaventano certo i bamboccetti alla Licandro, e nemmeno ci devono preoccupare più di tanto atti moralmente aberranti quali la scarcerazione di Contrada (in 150 anni abbiamo visto di peggio...) che dovrebbe servire da apripista per la liberazione delle alte gerarchie mafiose, ma che non porterà a niente.

Il pericolo maggiore viene da Arcore e si chiama “Macroregione”. Il pecoraio sa benissimo che la situazione geopolitica che si è venuta a formare con l'avanzata nel Mediterraneo di Russia e Cina, e la crescita di molti paesi medio-orientali coinvolgerà la Sicilia ed il Sud Italia. Ma crede ancora di poterla volgere a suo vantaggio.

Da buon cerchiobottista, da un lato prepara una sponda all'avanzata orientale, dall'altro briga per la creazione di uno stato fantoccio che rimanga schiavo agli interessi suoi e dei “fratelli”.

Mentre la Russia fa l'occhiolino all'Autonomia Siciliana, contraltare legale del pasticciaccio fatto in Kosovo dalla UE, lui propone per l'isola l'esercito e l'inglobamento in una specie di Campania allargata senza alcuna autonomia reale. Progetto questo che non potrà andare in porto senza quel tradimento massimo che agli ascari siciliani è sempre stato chiesto di compiere anche se che finora mai sono stati tanto fessi da eseguire.

Raffaele Lombardo non suona certo rassicurante quando parla di “macroarea meridionale”, ma sappiamo che il nostro si trova tra l'incudine ed il martello e prevedere dove andrà a sbattere per ora è difficile. Quello che succederà nei tormentati animi degli ascari siciliani nei prossimi mesi dipenderà direttamente dagli sviluppi politici in medio-oriente (leggi Iran, leggi OPEC del gas).

Sognare non costa niente. E se invece di allargare la Campania sino a Lampedusa (come progettato ad Arcore), si riuscisse ad estendere l'Autonomia Siciliana a tutto il Regno di Sicilia continentale (magari tramite un bel “plebiscito”) dando così lo status di nazione anche al Sud Italia? Non sarebbe male come fine dell'impero “occidentale” ed inizio di una nuova era “orientale”.
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venerdì, luglio 18, 2008

L'eco della Baronessa

Dedicato a tutti quelli a cui piace parlare (di mafia) a vanvera...

Nei memoriali del pentito di mafia Vincenzo Calcara (ma anche in un preciso editoriale di prima pagina di Salvo Barbagallo su La Voce dell'Isola), pubblicati da Borsellino sul suo sito e più recentemente riproposti sul blog di Paolo Franceschetti, si parla della presenza in Italia di cinque entità che gestirebbero il potere per conto (aggiungo) di un qualcosa di più ampio ed universale la cui testa è al di fuori del nostro paese:

«L’ENTITA’ di COSA NOSTRA, l’ENTITA’ della NDRANGHETA, l’ENTITA’ (...) DELLE ISTITUZIONI, l’ENTITA’ (...) DELLA MASSONERIA e l’ENTITA’ DEI PEZZI DEVIATI DEL VATICANO sono legati l’uno con l’altro come se fossero degli organi vitali di uno stesso CORPO. »

Nel brano riportato i puntini stanno nell'originale per “pezzi deviati”. Ma non essendoci mai stati pezzi deviati nelle istituzioni italiane e della massoneria, il termine si è preferito tralasciarlo (i pezzi deviati delle istituzioni italiane erano proprio i giudici Falcone e Borsellino).

Sempre secondo Calcara, l'entità della massoneria in Italia è stata creata da Cavour nel 1866. L'affermazione è errata, non solo per la data della morte di Cavour (1861), ma anche perchè quella massoneria cui si riferisce il pentito agiva in Italia sin da prima dell'unificazione. Intorno al 1866 fu invece articolato il sistema descritto sopra, e ciò fu fatto dall'interno della massoneria stessa. La nascita ufficiale della mafia è nota, anche se tenuta lontano dai riflettori:

«Il primo ad uscire fuori la storia dell'associazione malandrinesca pare sia stato l'allora prefetto di Palermo F.A. Gualtiero nel 1865» (Cito da un post del 2006 de Il Consiglio che dà altre importanti indicazioni sull'argomento e che invito tutti a rileggere).

Le date sembrano più o meno coincidere.

E gli elementi che indicano che le cose andarono proprio così ci sono. Proviamo a seguirne le tracce.


Sono decenni che la RAI scava con profitto nella storia siciliana. Il problema è che lo scavo continua oggi malgrado da tempo si sia toccato il fondo e lo scivolare nel ridicolo sia stato lento ma costante.

L'anno scorso, una volta letta la sceneggiatura dell'ultima versione della Baronessa di Carini, i Siciliani si sono sinceramente chiesti se la fine potesse essere oramai vicina. La risposta potrebbe essere affermativa.

Nell'ucronìa pensata dalla lunga mano dietro il copione, oltre alla detta Baronessa (XVI secolo), vi ritroviamo anche i Beati Paoli (XVIII secolo) ed il solito Garibaldi (XIX secolo). Senza contare la ciliegina della mafia.

Neanche a dirlo, la storia si evolve intorno alla classica favola dei Beati Paoli impegnati nella fondazione della onorata società. La novità è che questa volta fa da collante al tutto la travolgente storia d'amore tra l'eroe dei due mondi e la nobildonna di rosso vestita vittima di un marito violento.

Dei Beati Paoli abbiamo già discusso qualche tempo fa, mostrando come nella realtà la connessione tra la congrega siciliana e l'organizzazione criminale carnefice della nostra terra sia impossibile, se non altro per il semplice motivo che prove storiche dell'esistenza della setta segreta non ve ne sono. Ne consegue che non ve ne possono essere neanche di una qualche connessione con la piovra mafiosa.

Questo nella realtà. Ma nell'allegoria?

Il dubbio circa la presenza di una “quarta” dimensione nascosta tra le righe di quel copione sorge leggendo le prefazione scritta da Umberto Eco per una delle edizioni del romanzo di Giuseppe Natoli dal titolo appunto “I Beati Paoli”, romanzo grazie al quale la leggenda della setta è saltata all'attenzione di qualche mente raffinatissima.

Di tutto lo scritto del pedante una frase ancora rimbomba nella mia testa: «...[episodi storici] non del tutto estranei alla realtà contemporanea dell'isola ...» (*). Questa frase mi perseguita la notte, mi assale al risveglio, mi attende assassina dietro ogni angolo. Perchè non è neanche lontanamente immaginabile che Umberto Eco non sappia che nel romanzo storico del Natoli l'unico elemento di fantasia è dato proprio dalla sedicente setta. E che quindi quell'allusione – anzi, qualunque allusione – alla mafia fatta in connessione agli eventi raccontati nel libro sia assolutamente sbagliata. Almeno in questa dimensione.

I Beati Paoli, secondo il racconto dello scrittore originario della provincia di Messina, erano una setta segreta. Un vero e proprio stato parallelo con regole e tribunali che applicava una giustizia tutta sua per correggere le storture della società di allora. Gli adepti partecipavano alle riunioni coperti dal segreto di un cappuccio, non conoscevano l'identità degli appartenenti ai gradi superiori (al vertice troviamo un nobile che si muoveva liberamente nella Palermo settecentesca) e ancora più significativamente erano obbligati da un giuramento al silenzio. Pena, la morte. Più che la mafia, una tale struttura capace di arrivare ovunque, di lasciare messaggi a chiunque (il cattivo di turno se li poteva ritrovare sulla scrivania) e libera di muoversi a piacimento nei sotterranei della città ci fa venire in mente delle maschere diverse. Le stesse dietro le quali di tanto in tanto si nascondevano quei siciliani che collaborarono attivamente allo sbarco dei mille, tra tutti in testa il Crispi.

Che fondamento può avere una tale impressione? Se dovessimo trovare un qualche indizio che il nostro grande scrittore conoscesse quegli ambienti, forse potremmo sostenere la nostra idea con più forza. Neanche il tempo di iniziare la ricerca. Ecco cosa dice Wikipedia di Luigi Natoli:

Veniva da una famiglia di ardenti ideali risorgimentali: nel 1860, quando aveva solo 3 anni, sua madre, alla notizia dell'imminente arrivo dei Mille guidati da Garibaldi, fece indossare a tutti la camicia rossa: l'intera famiglia venne arrestata dalle guardie borboniche e portata nella prigione palermitana della Vicaria.

Questa famiglia di ardenti risorgimentali proveniva dall'area di Gioiosa Marea, dove basta chiedere in giro per sapere che tra i Natoli si sono annoverati diversi politici repubblicani. Quanto detto basta ad ipotizzare che il nostro sapesse cosa fosse la massoneria. E cosa facesse.

Ma non è tutto. C'è qualcuno che dice anche che l'autore del romanzo più letto nella storia della Sicilia (e forse d'Italia) fosse effettivamente massone. Lo sostiene Massino Introvigne, noto anticomplottista molto citato anche da M. Blondet, in questo articolo pubblicato dal suo centro studi, il CESNUR:

Sebbene i Beati Paoli fossero dei nobili vendicatori degli innocenti nella Sicilia del diciannovesimo secolo,essi usano mezzi illegali, potrebbero corrispondere almeno parzialmente ad una organizzazione storica ed abbiano generato una infinita diatriba sul se per caso questo libro, il più letto in Sicilia per un secolo, possa essere una apologia nascosta per la mafia. Sebbene l'autore Luigi Natoli (1857 - 1941) che scriveva sotto lo pseudonimo di William Galt, ed a proposito un MASSONE, sicuramente non era amichevole con il crimine organizzato, i capi della mafia moderna hanno orgogliosamente proclamato i Beati Paoli come i loro nobili antenati.

Potremmo spingerci anche ad ipotizzare il tipo loggia di appartenenza deducendola dallo pseudonimo usato nello scrivere: William Galt è un nome scozzese.

I Beati Paoli in realtà non è il romanzo della mafia. I Beati Paoli spiegano la massoneria. Anzi, forse per qualcuno lo scritto è da intendersi come una glorificazione della Libera Muratoria.

Cominciando a stringere il cerchio, che Garibaldi fosse massone è risaputo. Solo che Garibaldi non sembra appartenesse ad un grado tanto alto. Più pupo che puparo insomma. Come ci dice il suo infelice tentativo in Aspromonte.

Possiamo fare il nostro salto attraverso lo specchio. Basta un attimo: ora sì che possiamo credere che i Beati Paoli abbiano “creato” la mafia, come proclamato dai mafiosi stessi, sempre per come ci racconta Introvigne. Ma i Beati Paoli nella “quarta” dimensione sono qualcos'altro. Attraverso lo specchio li vediamo sogghignare incappucciati, impegnati nei loro esperimenti, mentre dall'alto un occhio ci guarda severo. Essi rappresentano allegoricamente la massoneria. Ed anche i mille ora si sono trasmutati, rappresentando l'atto creativo, la filiazione, la formula per l'esecuzione di quell'esperimento. Il loro percorso è il cordone ombelicale che lega la creatura al suo Dr. Frankstein.

E se per un attimo vi lasciaste convincere da queste righe, allora dovreste provare qualche vertigine rendendovi conto di quanto grande (nella sua malvagità) questa “operazione” sia stata. Se voi nella vostra malvagità foste stati capaci di tanto, non ve ne sareste un po' vantati? Non avreste preteso per questa vostra malvagità una continua celebrazione? Non avreste preteso i credits, come dicono oltremanica? E la continua sceneggiata raccontata sui Beati Paoli altro cos'è, se non questa celebrazione? Sino all'apoteosi dell'ultima folle versione della RAI.

La traballante trama dell'ultima versione de “La Baronessa di Carini” celebra la creazione della mafia da parte della massoneria.

Si dovrebbero scovare documenti, scritti, analisi. Da qualche parte certamente esistono. Dal canto nostro potremmo invocare l'arrivo di una prova finale. Collegata alla frase pronunciata da Eco. Anche lui sa? Ha delle prove? Se le ha e non le ha fornite sino ad ora non le fornirà mai. Dovremo fare come abbiamo fatto per Natoli e la sua famiglia. Capire se anche il pedante porti di tanto in tanto il grembiulino. Ed allora la quarta dimensione di quella frase istantaneamente ci spalancherà le porte dell'inferno.

Chi vivrà vedrà.

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(*) Riprendo il passo completo dal post “Beata ignoranza”:

L'edizione della Flaccovio del racconto del 1986 riporta una introduzione di Umberto Eco che all'inizio recita così:

'(...)leggerlo (...) per la non poca luce che getta su episodi storici ignorati ai più (e a quanto pare non del tutto estranei alla realtà contemporanea dell'isola).'

e più in là aggiunge:

'Che “I Beati Paoli” siano o no il racconto degli antecedenti storici della Mafia, etc. etc.'

Ignoranza ingiustificabile quindi dei più, che sconoscono elementi fondamentali della storia d'Italia e d'Europa, e del pedante che ha scritto questo finto saggio senza neanche sapere di cosa stava parlando, visto che la setta dei Beati Paoli è l'unico elemento del romanzo la cui storia è interamente inventata dall'autore.

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martedì, luglio 15, 2008

Liberi commenti

Ho appena ricevuto una email che mi segnala il seguente commento pubblicato a margine di un interessante articolo di M. Blondet. La mail conteneva opinioni del tutto condivisibili riguardo alla cosa, ma che evito di riportare perché piuttosto pesanti. Pare infatti che i moderatori di EffeDiEffe (che non credo possano operare se non dietro le direttive dello stesso Blondet) censurino ogni commento nel quale si faccia anche il minimo riferimento ad una qualunque comparazione nord-sud che non ponga il nord in risalto positivo rispetto al sud e specialmente rispetto alla Sicilia.

La cosa può sembrare infantile, ma in realtà è tanto perfida quanto la pubblicità della ricarica citata nell'articolo. Blondet infatti nei suoi pezzi nasconde sempre le sue pillole avvelenate per bene, utilizzando quei sistemi tipici di uno dei poteri che lui (a parole) dice di voler combattere, quello massonico.

E queste pillole amare una volta ingoiate si sciolgono in odio, odio ariano contro il napoletano, il siciliano, il calabrese.

Stiamo attenti a Blondet. Stiamo molto attenti.

Ecco il commento. Notate che chi scrive, scrive proprio da Perugia (ricordate il caso Meredith), che il cognome è Bellini e che la ragazza doveva andare a Catania. Solo coincidenze o una provocazione precisa?

Emilio Bellini
Perugia , luglio 15, 2008 12:56

Mi sono alzato alle cinque e ho portato mia figlia all'autostazione.

Alle 6,33 doveva partire per prendere l'aereo a Fiumicino.

E' andata in vacanza, ospite di una amica, a Catania.

Durante il breve tragitto le ho detto di stare attenta, perché la Sicilia...è la Sicilia!

Sostanzialmente ho "sintetizzato" quanto dice questo articolo.

Si è offesa!

Ha detto che ho gettato "un'ombra" sulla sua vacanza e che, notoriamente, i siciliani sono tutti "gentili".

Mia moglie, che era con noi, mi ha dato torto e mi ha "aggredito".

Sono ancora rattristato...

Emilio


Nel caso in cui qualcuno fosse interessato, questa è la posta elettronica di Blondet: info@effedieffe.com
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venerdì, luglio 11, 2008

Le ciambelle arabe non hanno il buco

L'immagine di un Mediterraneo a ciambella con un buco in mezzo in corrispondenza della Sicilia recentemente proposta da Massimo Costa su SiciliaInformazioni.com fotografa con precisione le ingordigie più sfrenate di un continente senza più identità. Di un'Europa ridotta ad una gelatina molle ed incolore che tenta solo di imbrattare il più possibile gli altri in modo da puntargli poi l'indice contro.

Ma qualunque cosa la falsa storia scritta sui libri dell'occidente racconti (recentemente ho trovato un libro americano che definiva la Sicilia pre-romana come un “accampamento greco”...) l'isola sempre qui rimane, mentre quelli che si rendono conto che quel buco al centro della ciambella sia solo una illusione ottica sono sempre più numerosi.

Per riprendere ancora un dettaglio dell'articolo di Costa, dare uno sguardo ai nostri cugini maltesi può sempre tornarci utile per avere un idea della strada da seguire e delle potenzialità inespresse che possediamo (e che presto esprimeremo, abbiate fiducia e pazienza...).

Malta grazie al suo stato di semilibertà, accordato all'arcipelago poiché le sue limitatissime dimensioni non erano sentite come un pericolo dai padroni inglesi come nel caso della Sicilia, sta diventando la testa di ponte dell'oriente verso l'Europa.

L'anno scorso gli arabi di Dubai sono infatti sbarcati a La Valletta. Una importante azienda d'investimento, la Dubai Holding, sta creando una “media city” che dovrebbe attirare aziende del calibro di Microsoft o Cisco a mettere un piede nell'isola. Il primo ministro dell'isola-stato (Gonzi) ha detto che il motivo è la creazione di un “unico negozio per l'Europa” nel campo della tecnologia dell'informazione.

L'Economist, che riporta la notizia in un suo articolo, al solito non spiega che il motivo per l'interesse verso Malta è la posizione lungo le rotte commerciali oriente-occidente. Rotte percorse non solo dalle merci ma anche dai cavi per le comunicazioni intercontinentali.

La cosa più strabiliante è che a supporto di questi importanti investimenti Emirates, la compagnia aerea di bandiera dell'emirato di Dubai, ha subito piazzato un collegamento diretto tra il golfo e La Valletta, ad un tiro di schioppo da Fontanarossa. Ma per non sbagliarsi l'Air Malta ha dovuto interrompere i collegamenti mattutini con Catania, in modo che la Sicilia venisse subito tagliata fuori. Pensare che in questo non sia coinvolta la feccia generalmente nota come “governo italiano” francamente è difficile.

Non che questo abbia scoraggiato i pii musulmani, che hanno mostrato le loro vere mire presentando pochi mesi fa un piano di investimenti per Palermo, subito appoggiato da Unicredit (ricordate, quella degli eventi sull'indipendentismo Siciliano...). Come vedete non tutti credono all'effetto ottico della ciambella.

A Dubai però dovranno usare un po' di cautela. Gli europei, come sempre viscidi e traditori, non hanno intenzione di stare a guardare. Dopo le minacce ad Emirates del nano malefico d'oltralpe (Sarkozy) che accusava (falsamente) la compagnia aerea di concorrenza sleale, è arrivato il pesante avvertimento inglese del pericolo di attentanti “terroristici” nell'emirato. Ma chi vorrebbe colpire un hub così importante per tutte le parti in gioco? La risposta è arrivata nel giro di pochi giorni: un passeggero ubriaco ha minacciato il personale di bordo del volo Emirates dopo l'atterraggio sostenendo di avere una bomba nella valigetta. Il volo proveniva dall'Inghilterra. Ed il passeggero era inglese. Chi ha un minimo di dimestichezza con questo tipo di messaggi ha già capito chi saranno i mandanti di un eventuale atto “terroristico” a Dubai.
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martedì, luglio 08, 2008

Vogliono accendere un fuoco

Per capire gli eventi che stanno accadendo intorno a noi in questi tempi non basta esserne coinvolti in prima persona. Non basta neanche essere sul campo direttamente a raccogliere le testimonianze perché i fili che dirigono quegli eventi sono così lunghi e sottili da non permettere all'occhio di seguirne la traccia. Per avere un quadro più completo, a tutto questo dobbiamo sempre aggiungere giornali, televisione, ed oggi anche internet. Ma bisogna anche fare attenzione a quelli che potremmo definire i diversi “livelli di lettura”.

La realtà, le sue cause e le sue possibili conseguenze, non sono comunicate esplicitamente da questi media “ufficiali”. Sono nascoste in un codice fatto di segnali e simboli che nel tempo è diventato il linguaggio usato dai pupari (che quei fili tirano) per comunicare con i loro alleati o con i loro avversari e lanciarsi sfide, minacce, consigli, insulti, per dare ordini o per riportarne la corretta esecuzione.

Il disarticolato giornalino locale che trovate sgualcito dal barbiere o al bar (le notizie vengono tutte diramate da poche agenzie) può così essere letto secondo codici e livelli. Riuscire a decifrare quei diversi livelli (che possono essere molteplici, anche in base alle stratificazioni del potere) significa aprire le porte sulla realtà. Sulla storia. A volte sull'inferno.

Per iniziare in modo abbastanza semplice, ogni volta che leggiamo una notizia potremmo andare a controllare il luogo da cui essa viene diramata, di solito posto all'inizio. Il ministro La Russa rilascia le dichiarazioni sull'uso dell'esercito nelle città italiane da Bruxelles. Come mai una decisione tanto delicata non viene resa pubblica dall'interno del parlamento italiano? Pensate pure male, anzi malissimo: l'esercito non lo sta schierando l'Italia quale stato sovrano, ma Bruxelles quale ente abusivo e fascista che con un colpo di stato (il trattato di Lisbona) sta occupando i nostri territori. Per essere precisi, i territori del sud Italia e della Sicilia. Il nord è già occupato.

Episodi come questo permettono di trovare delle chiavi per decifrare questo oscuro alfabeto. Non sempre però i segnali sono così chiari, anche perché le azioni compiute sembrano così stravaganti, quando non abominevoli, da impedire al cittadino medio di poter immaginare tali turpitudini nelle peraltro già screditate classi dirigenti del paese.

E' il caso ad esempio degli strani incendi che si sono verificati negli ultimi mesi in Sicilia.

Invece di concentrarci su chi, come e perché ha appiccato quei fuochi, tentiamo di rileggere attentamente le notizie come riportate sui giornali, che poi è lo stesso che dire 'come diramate dalle agenzie'. Concentrandoci sui luoghi.

Della maggior parte degli incendi è stata data una descrizione abbastanza precisa dei luoghi in cui si sono sviluppati. A volte anche di un qualche 'marker' presente nelle vicinanze. Vediamo quali sono questi marker.

Innumerevoli roghi si sono verificati nelle vicinanze di autostrade, specialmente nei dintorni di Palermo, e sull'asse Palermo-Trapani. Ricordiamo quelli nei pressi dello svincolo di Termini Imerese lo scorso 18 giugno e quello di ieri (7 luglio) nelle vicinanze di Salemi. Ma anche lo stranissimo rogo sul treno PA-TP.

Seguono poi i roghi avvenuti in aree sensibili dal punto di vista energetico. Il 26 maggio un incendio si sviluppa nel messinese dalle parti di Rometta. Secondo i giornali “il rogo sembra che sia iniziato dalla zona vicino al metanodotto dove si stanno effettuando lavori”. Il primo giugno l'ansa si sofferma su due mezzi dati a fuoco a Priolo. Stranamente anche questi sono indicati quali “incendi” e non quali attentati, come sarebbe più logico chiamarli:

La polizia é intervenuta la notte scorsa a Priolo Gargallo per due incendi, divampati tra l'1.30 e l'1.50, rispettivamente in via De Gasperi ed in via Bari, il primo ad un'auto, il secondo ad un motociclo.

Negli ultimi giorni abbiamo poi assistito ad una concentrazione di eventi nel siracusano.

Non possiamo trascurare l'incendio nei pressi dell'ospedale Cervello di Palermo, a causa del quale “per precauzione sono stati evacuati il Poliambulatorio ed il reparto di Medicina Nucleare”, e quelli collegati alla crisi dei rifiuti ed agli inceneritori: la sequenza di fuoco è iniziata a Messina all'improvviso quando di notte i cassonetti vennero dati alle fiamme mentre a Napoli Berlusconi trovava una inattesa resistenza al suo piano di strage tramite rifiuti tossici.

L'ultima concomitanza ci permette di introdurre un altra stranezza di questa epidemia di fuoco: la coincidenza delle 'crisi' con determinati eventi politici. Oltre al collegamento con la crisi campana, gli eventi sono sembrati precipitare durante il periodo di gestazione del nuovo governo regionale, quindi all'indomani della tornata elettorale amministrativa (quando si è verificato l'episodio più clamoroso, quello dell'incendio alla collina del disonore) e di nuovo oggi che il PDL sembrerebbe sfaldarsi sempre di più in Sicilia e le inchieste sulle tre emme (mafia, massoneria, magistratura) proseguono stringendosi intorno alla provincia di Trapani (nelle cui vicinanze, a Salemi, si segnala uno strano affollamento di inutili fannulloni perdigiorno).

Dobbiamo credere che questi eventi siano innescati con la precisa intenzione di minacciare qualcuno in Sicilia, o che siano piuttosto i media a filtrare le notizie in modo da farle apparire tali? L'incendio alla collina del disonore, dove le fiamme appena spente dai vigili riprendevano inaspettatamente vigore, sembra suggerire una combinazione dei due.

A ben guardare la banale spiegazione della follia “piromane” non regge in un susseguirsi di “incidenti” così ampio. Come non reggono quella dell'interesse per le lottizzazioni (cosa devono lottizzare vicino all'ospedale Cervello o nei pressi di uno svincolo autostradale?) e quella dell'incendio da parte dei pastori, un mestiere non tanto diffuso nelle aree interessate. Sempre che qualche pecoraio non sia sceso da nord a creare pascolo per le sue greggi di ascari.

Ed una volta eliminate tutte le spiegazioni possibili, non rimangono altro che quelle impossibili. L'unica: gli incendi sono atti premeditati di intimidazione politica. Sentite una imprecisata fonte della protezione civile cosa disse in occasione di una serie di indendi il mese scorso:

«Quello che sta succedendo dimostra la matrice dolosa di molti degli incendi in Sicilia. È impossibile che si siano sviluppati centinaia di roghi contemporaneamente, in aree peraltro strategiche: autostrade, ferrovia, centri abitati e centri urbani: dietro c'è senz'altro una sorta di guerriglia in atto e quindi dovremmo fare anche un'azione di intelligence su altri versanti».

O dobbiamo credere alla notizia secondo cui dei ragazzotti avrebbero appiccato il fuoco ... “perchè si annoiavano”? Ma forse questa notizia diramata in questi termini serviva a rassicurare coloro i quali avevano pagato gli sconsiderati per compiere il misfatto: tranquilli, niente è stato da costoro rivelato.
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