Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

lunedì, ottobre 30, 2006

La stampa inglese avverte l'Europa

Leggendo il famosissimo libro di Tomasi di Lampedusa, chiunque abbia un minimo di curiosità storica non può non chiedersi, sulla scena della visita inglese alla casa del principe, cosa mai ci facesse la marina di Sua Maestà alla rada nel porto di Palermo durante lo svolgersi delle vicende garibaldine.

Ovviamente potremmo anche dare credito a Sergio Romano, in altre occasioni certo un più coraggioso storico, quando sostiene che "era stata mandata dall'ammiragliato per proteggere i grandi stabilimenti vinicoli inglesi di Marsala", ma sinceramente tutto questo dispiegamento per proteggere quattro cantine in un mondo in continua ebollizione ci sembra un poco troppo.

Gli interessi che le navi britenniche erano andati a proteggere erano sì quelli di Sua Maestà, ma in riferimento non proprio al vino, ma a due altri obbiettivi: lo zolfo siciliano e la creazione di un forte stato mediterraneo in funzione anche anti-papalina.

L'asservimento della Sicilia all'Italia, a sua volta asservita alle voglie dell'imperialista di turno, sin da allora è uno dei perni principali sui quali si fonda lo scacchiere geopolitico occidentale, e gli inglesi possono giustamente arrogarsi i meriti di aver capito e creato un tale sistema di potere, anche se nel secondo dopoguerra ne hanno perso il controllo in favore dei cugini americani.

Gli inglesi, così attaccati al formalismo, forse vedono come un nemico chiunque voglia disfare ciò che essi con grande lungimiranza hanno creato, e così qualunque forza volta a intaccare l'attuale equilibrio mediterraneo viene da loro istintivamente combattuta.

Entro tale ottica possono facilmente essere capiti gli innumerevoli attacchi che negli ultimi dieci anni la stampa inglese ha perpetrato ai danni dell'immagine della Sicilia e dei siciliani, evidententemente per nulla rassegnati a continuare ad essere la colonia di un paio di milanesi corrotti e di qualche anglosassone con il mal di pancia (ricordiamo tra tutti il famoso "L'isola da terzo mondo della UE" dell'autorevole settimanale The Economist).

Attacchi di questo tipo da un lato indicano il nervosismo di certi ambienti verso i recenti (seppur ancora timidi) tentativi di ribellione dei siciliani, ma dall'altro ci impongono di tenere la guardia alta e di non sottovalutarne gli effetti: basta guardare il filo sottile che separa la verità e la menzogna in casi come il Kurdistan turco e la Cecenia in Russia. Realtà che a seconda delle convenienze dell'enstablishment occidentale vengono presentati in una luce piuttosto che in altra. Chi infatti dall'esterno può effettivamente sapere come vanno le cose in quelle enclavi?

Sisntomatico è poi l'ultimo di questa serie di articoli, apparso sul Fiancial Times. Ne vogliamo riportare un piccolo tratto, forse non notato dalla stampa nostrana:

"The clubs on Italy's mainland are mostly out of cash, and Zamparini points to another change: after the bribery scandal, referees stopped cheating for the big clubs. When Sicily can compete, you know the Italian system has broken down."
("I club italiani sono per la maggior parte senza soldi, e Zamparini indica un altro cambiamento: dopo lo scandalo della corruzione, gli arbitri hanno smesso di imbrogliare a favore dei grossi club. Quando la Sicilia può competere, sai che il sistema italiano è andato in pezzi")

Cosa vuol dire? Leggendo tutto l'articolo si capisce come la stampa italiana ne abbia completamente distorto il senso. L'articolo infatti, pur essendo pieno di stupidi luoghi comuni, non dice affatto che il Palermo è in testa alla classifica grazie alla mafia, bensì che , come anche evidenziato dalla frase sopra riportata, se il Palermo è in testa alla classifica vuol dire che il calcio italiano (e non solo il calcio) è allo sfascio.
Ed ancora: il calcio (leggi sistema) italiano è allo sfascio non perchè una scadente squadra siciliana è in testa al campionato (che sarebbe come dire che lo stesso calcio inglese è allo sfascio, visto che anche loro hanno perso con il Palermo), ma perchè si è permesso ai siciliani di farsi una squadra così forte.

Sotto questo aspetto l'articolo ha un significato diverso da quello propinatoci dai giornali italiani (e siciliani, al servizio dello stato oppressore), prendendo le sembianze di un avvertimento a tutta l'Europa: guardate che l'Italia è allo sfascio e sta per perdere il controllo della Sicilia.
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giovedì, ottobre 26, 2006

Marginalità: una parola che dovrebbe scomparire dal nostro vocabolario.

Nemmeno il tempo di scrivere un post citando (indirettamente) la lungimiranza del presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello (vedi post precedente), che sullo stesso quotidiano di ieri (Sole 24 Ore) poco più in là trovo un'intervista allo stesso con una dichiarazione che mi lascia a dir poco perplesso:

"Il rilancio dell'economia siciliana passa attraverso un serio intervento infrastrutturale. Un tema centrale per lo sviluppo industriale dell'isola che si trova in una condizione di marginalità geografica rispetto ai mercati"

Al solito, aggiungiamo alcune considerazioni:

1) L'isola, dal 1950 ad oggi, non si trova affatto lontana dai mercati, bensì è un mercato. Ecco cos'è stata la Sicilia (e tutto il Sud Italia) per l'Italia degli ultimi 60 anni: un mercato di sbocco per le proprie merci invendibili sui mercati esteri. Anche a questo è servita la sistematica distruzione dell'imprenditoria e del sistema bancario locali, nonchè (più recentemente) la facilità con la quale si ottiene qui il credito al consumo alla quale corrisponde la quasi totale impossibilità di ottenere finanziamenti per l'attività imprenditoriale.

2) Le aziende siciliane devono innanzitutto conquistare il mercato interno scippandolo CON QUALUNQUE MEZZO (soprattutto con coraggio) alle aziende del nord. Questa sarà la base per qualunque sviluppo imprenditoriale dell'isola. Senza la base costituita dalla domanda interna ci sono poche speranze di andare oltre.

3) La supposta condizione di marginalità rispetto ad altri mercati in un mondo globalizzato come quello in cui ci ritroviamo è un concetto che non esiste. Ed in ogni caso i mercati di un futuro oramai molto prossimo si trovano anche a sud, oltre che a nord. L'isola è quindi è in una posizione tale di CENTRALITA' rispetto ai mercati che quasi nessuno al mondo può vantare

4) La frase di LoBello indica il perdurare di uno stato di colonizzazione mentale che non ha eguali nella storia coloniale di molte altre nazioni. Insistere su parole come "marginalità" indica quasi una sorta di scarsa autostima, una catena che ci portiamo al piede e che ci fa vedere un orizzonte sempre scuro e tempestoso. E come si sa l'umore ha una forte influenza sui mercati e sull'economia in generale.
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mercoledì, ottobre 25, 2006

La Sicilia hub portuale del Mediterraneo

Mentre si consuma il dramma populistico dello "scippo del ponte", torna prioritario il discorso sulle infrastrutture di cui la Sicilia dovrebbe dotarsi per affrontare la sfida globale del prossimo millennio.

Se da un lato in Italia si combattono i mulini a vento sulla debacle di Alitalia (e su quella ancora strisciante, ma evidente di Trenitalia) e si invocano i più inverosimili argomenti per l'inesistente dualismo Malpensa-Fiumicino (inesistente perchè nessuno dei due sarà mai un hub intercontinentale, indipendentemente dai soldi che si scialacqueranno su di essi), dall'altro in Sicilia non sappiamo se ridere o piangere guardando alla torre di controllo del nuovo aeroporto di Fontanarossa (più bassa della torre degli uffici!!) o alla tabella di marcia dei treni sulla tratta Catania-Palermo o peggio sulla Palermo-Trapani.

I settori produttivi ed imprenditoriali siciliani sono sicuri su quale dovrebbe essere la rotta da tracciare. Come al solito è però la parte politica a lasciare a desiderare ed a perdere tempo dietro progetti che erano già datati negli anni 60 (quando cioè un'opera di alta ingegneria come il ponte avrebbe veramente avuto una ricaduta turistica. Oggi purtroppo i turisti cercano aria pulita e templi greci).

Tale rotta, più volte invocata sui mezzi di informazione locale, indica nell'interconnessione Sicilia Orientale - Sicilia Occidentale il perno sul quale far ruotare lo sviluppo infrastrutturale. In particolare i due (inter-) porti di Augusta e di Termini Imerese dovrebbero essere collegati in un sistema di scambio per Trans-shipment che includa anche gli aeroporti di Punta Raisi e Trapani, l'hub aereo di Fontanarossa, ed i porti ed i cantieri navali di Catania, Messina e Palermo.

Il Trans-shipment non è altro che lo smistamento dei container da una nave di più grossa stazza a più navi di dimensioni minori che da un hub smistano poi la merce verso gli altri porti di dimensione regionale. Il porto di Gioia Tauro è un porto appunto di Trans-shipment, e non ha bisogno di TAV, in quanto i container arrivano via mare e ripartono via mare. Il porto di Gioia Tauro è il primo porto del Mediterraneo.

Ed invece guardate la cartina pubblicata oggi dal Sole 24 ore (i numeri indicano il traffico in container):




Noi non esistiamo al momento, mentre Gioia Tauro è destinata a soccombere ad Algeciras (in questo momento numero due, ma in forte crescita). Guardate ancora meglio e osservate quali sono i punti di forza di Algeciras e Gioia: la prima si trova lungo le rotte intercontinentali est-ovest, ma è in posizione defilata rispetto al baricentro del Mediterraneo. La seconda è più vicina al baricentro, ma in posizione defilata rispetto alle rotte commerciali (anche mezza giornata in meno di navigazione su queste rotte corrisponde a notevoli risparmi).
Tutti gli altri porti nella cartina non possegono queste caratteristiche.

Ancora però non ne esiste uno che le racchiuda entrambi. Sempre osservando la cartina, dove lo piazzereste voi?


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lunedì, ottobre 16, 2006

In nota alla proposta dei politici siciliani per l'autofinanziamento del ponte

Questo blog ha espresso un giudizio poco favorevole alla realizzazione del Ponte sullo Stretto (vedi articolo), posizione questa non pregiudiziale o ideologica ma basata su diversi indirizzi di sviluppo e comunque all'interno (almeno idealmente) di un dibattito aperto e franco che coinvolga l'intero Popolo Siciliano, per lo meno nelle sue componenti di rappresentanza (politica, civile, imprenditoriale), dibattito che dovrebbe produrre una maggioranza democratica.

Per onestà intellettuale devo però aggiungere che il beneficio del ponte ai trasporti ferroviari sarebbe innegabile, tanto da poter ritenere il collegamento ferroviario come l'obbiettivo principale dell'infrastruttura, in quanto l'unico capace di trainare lo sviluppo del territorio grazie all'apporto logistico dato allo smistamento delle merci ed all'intercettazione di un traffico passeggeri che preferirebbe la comodità del treno allo stress del volo aereo moderno.

Detto questo, credo però si debba riflettere su due punti:

1) I benefici dovuti allo sviluppo di tale collegamento sarebbero sicuramente considerevoli per la Sicilia (meno per la Calabria, che vedrebbe sminuita l'importanza di Gioia Tauro), ma si estenderebbero all'Italia ed all'Europa intera, che potrebbero contare su di una logistica più efficiente ed economica. Ecco perchè esiste il corridoio Berlino-Palermo: per cercare di compensare la posizione marginale dell'Europa continentale rispetto alla Centralità Mediterranea della Sicilia, e non viceversa!!! (e comunque è importante rilevare che questo corridoio esisterà con o senza ponte)

2) Significativamente, il progetto attuale non è accompagnato dai complementari progetti per collegare le reti ferroviare sulle due sponde. In questo modo il ponte servirebbe veramente a poco. Il suo scopo sarebbe quello di "far lavorare" alcune imprese settentrionali con limitate ricadute locali durante la costruzione e quasi niente dopo, visto che poi dovremo comunque implorare Roma di portare la TAV a Reggio Calabria.

Alla luce di queste due considerazioni, inviterei innanzitutto la classe dirigente siciliana a riflettere sull'opportunità di mettere i soldi dei siciliani in QUEL progetto di ponte, così com'è praticamente inutile allo sviluppo della Sicilia.

Dopodichè vorrei capire perchè i Siciliani dovrebbero farsi le opere "pubbliche" con i loro soldi metre al nord utilizzano i nostri soldi per fare le loro, inutili per noi. Per di più un'opera pubblica di interesse europeo, e non solo locale.

L'affermazione di Di Pietro, riguardo la disponibilità del governo ad accettare un autofinanziamento dei siciliani, oltre che furba, è di una gravità senza eguali, in quanto pone un pericoloso precedente rendendo esplicito e legalizzando l'immenso travaso (forse furto sarebbe più appropriato) di risorse che ogni anno fluisce da sud verso nord.

Se la Sicilia deve finanziarsi da sola le opere "pubbliche", al contrario delle altre regioni italiane, ne risulta di conseguenza che la Sicilia non è parte dello stato italiano.

La verità è che oramai l'unione della Sicilia all'Italia è un fatto puramente ideologico e non sostanziato da efficienti "economie di scala" o da chiari intendimenti culturali (quelli storici non sono mai esistiti). In pratica siamo indecentemente caduti in un paradosso secondo cui la Sicilia fa parte dell'Italia solo perchè ci ricordiamo di averlo letto sul nostro sussidiario.

L'unica speranza per la classe politica siciliana è di prendere atto con coraggio (e riconosco che per certe cose di coraggio ce ne vuole) della situazione e di alzare il livello dello scontro. Altrimento il suo irreversibile destino sarà quello di essere scavalcata e spazzata via dall'onda del divenire della geopolitica attuale, che non è più quella che detta classe politica, ancorata ad una superata visione democristiana (in senso politico) del mondo, crede che sia.
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giovedì, ottobre 12, 2006

Energia: come i terroni sovvenzionano le industrie del nord


Abbiamo già visto come la base dello sviluppo economico di un territorio risieda nella disponibilità di energia (vedi articolo): senza un piano energetico è inutile programmare tutto il resto.

L'Europa centrale, ed in particolare la zona alpina, a questo riguardo si trova in una posizione piuttosto scomoda, lontana allo stesso modo da tutte le possibili zone di produzione: il Nord Africa, il Mare del Nord, la Russia. Ma i Tosco-Padani sono stati furbi ed hanno rivoltato la realtà come un guanto facendo scontare a noi la loro marginalità.

Tutte le strade portano a Roma, ma devono prima passare da Palermo

Il prezzo delle risorse energetiche per l'utente finale, e segnatamente quello degli idrocarburi (gas e petrolio), non dipende solo dal prezzo sul mercato (il prezzo al barile, per intenderci) ma anche dalla distanza attraverso cui, una volta acquistata, la risorsa dovrà viaggiare, nonchè dal tipo di infrastrutture necessarie acchè ciò avvenga. Questo è ancor più vero per il gas, che ha bisogno di infrastrutture rigide e costose, come tubature e terminali di liquefazione/rigassificazione.

In base a questo discorso se si dovesse veramente applicare l'economia di mercato, come pretendono di fare i quaquaraqua di Bruxelles, il prezzo del gas per l'utenza finale dovrebbe aumentare in base alla distanza dalla sorgente anche all'interno di una stessa nazione, poichè la spesa per le infrastrutture sarebbe proporzionalmente più alta. In soldoni: risalendo lo stivale il prezzo del gas dovrebbe salire progressivamente, e poichè in Italia la regione più vicina ad una zona di produzione è la Sicilia, qui il costo del gas (e di conseguenza quello dell'energia elettrica, ma questa è un altra storia...) dovrebbe essere inferiore che altrove. E questo senza considerare la produzione locale che, seppur irrisoria nei confronti del fabbisogno nazionale, diventa importante rispetto ai consumi locali.

Tutto ciò ovviamente non accade: il prezzo del gas da noi non è minimamente legato al costo delle infrastrutture, con il risultato che il popolo siciliano sovvenziona l'energia per tutto il resto d'Italia, ed in misura maggiore man mano che ci spostiamo verso nord: un flusso di denaro rubato e succhiato costantemente verso le regioni padane.

A tale flusso vanno aggiunti i fondi europei che invece di essere spesi per lo sviluppo locale vengono dirottati verso ENEL e SNAM per la metanizzazione (al nord viene fatta con fondi pubblici), rendendo ancora più capillare il borseggio e facendo in modo che i fondi della comunità europea attivamente sovvenzionino l'energia per il nord del paese.

Tale distorsione del mercato potrebbe essere in parte bialanciata da altre misure, ma questo non avviene: l'energia scippata ci ritorna indietro in forma di merci pronte al consumo con un sovrapprezzo abusivo dovuto al trasporto da nord a sud, trasporto che continua ad avvenire con benzina sovvenzionata dai terroni!!!!

Ed il carico sui siciliani è destinato ad aumentare: dovremo infatti sovvenzionare un'altra opera per noi del tutto inutile. Il governo ha aperto le porte al GALSI, il metanodotto Algeria-Sardegna-Italia, un'opera costosissima a causa dei lunghi tratti in mare ed a cui lo stesso governo si è già affrettato ad assicurare i soldi dei contribuenti. A che serve il GALSI? Secondo noi a bypassare l'infida Sicilia. Non che ci dispiaccia, ma non capiamo perchè dobbiamo pagare anche noi.

Direttamente dove serve



Tutto questo meccanismo da solo sicuramente potrebbe spiegare buona parte della differenza in tenore di vita tra nord e sud: proprio in questi giorni l'ISTAT ha rilasciato i dati sulla povertà nel nostro paese. In Sicilia il 30% delle famiglie sembra essere sotto la soglia della povertà, un fatto gravissimo, con alcuni quotidiani che titolano "Sono diminuite le famiglie povere" (al nord, ovviamente).

Sembra ovvio come tale sistema crei una enorme distorsione nel mercato, ma la comunità europea fa finta di non capire. La famigerata Tassa del Tubo, proposta dalla regione qualche anno fa, in quest'ottica avrebbe sicuramente iniziato a correggere queste storture, ma a Bruxelles è stata bocciata, chiaramente per motivi politici.

Caro Cuffaro, Caro Lombardo, Cara Borsellino, Cari miriadi di gruppi autonomisti ed indipendentisti che vi sono in Sicilia, che ne dite di smetterla di parlare e passare ai fatti?

Cari Siciliani, le vogliamo uscire le palle una volta per tutte?


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