Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

giovedì, dicembre 31, 2009

Il Siciliano dell'anno



E speriamo che autonomisti ed indipendentisti non lo convincano a tornare indietro:

(ASCA) - Palermo, 30 dic - Il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, ha inviato una lettera al presidente dell'Ars, Francesco Cascio, per chiedere la convocazione urgente di una seduta straordinaria dell'Assemblea regionale siciliana sulla vicenda della chiusura dello stabilimento Fiat a Termini Imerese. Il 22 dicembre scorso alla Presidenza del Consiglio, e' stato presentato il piano Fiat che prevede lo smantellamento della fabbrica.

La convocazione urgente dell'assemblea e' stata richiesta da Lombardo "al fine di avviare una dura azione di contestazione da parte di tutte le forze politiche dell'Ars - si legge nella nota - per scongiurare tale infausta previsione".
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30 dicembre 2009
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martedì, dicembre 29, 2009

Turista per caso

Uno degli ostacoli principali che ci impedisce di capire cosa stia succedendo intorno a noi risiede nella difficoltà di accettare la verità su Al Qaeda e sui suoi attentati.

Svelato l'arcano mistero dietro questa fantomatica organizzazione che, un po' come la mafia nostrana, si trova sempre al posto giusto al momento giusto, altri pezzi del puzzle combaceranno meglio l'uno con l'altro chiarendo meglio il quadro generale.

La verità è così palesemente sfacciata da rendere misterioso più che altro il motivo per cui il “popolo” si ostini a tenere gli occhi ben chiusi.

Un motivo che non è solo dovuto alla disinformazione scientificamente diramata dei mass-media, ma anche agli agganci che Al Qaeda ha trovato dentro di noi, alla comodità offerta da un ombrello che copra la nostra mancanza di coraggio nel vivere. Al Qaeda, con i suoi “suicide bombers” dagli occhi iniettati di sangue, folli nel voler preferire l'aldilà all'aldiquà, perdona implicitamente la nostra paura di morire ed il nostro attaccamento ad una vita che si misura con il numero di pollici esposti in salotto.

Il 18 dicembre scorso in Mauritania è stato rapito un siciliano di Carini, Sergio Cicala, insieme alla moglie originaria del Burkina Faso. Chissà in base a quale sibilo di vento, invece di addossare la colpa ai Tuareg o ai tanti gruppi ribelli che imperversano un po' ovunque nel Sahara e che si finanziano proprio tramite rapimenti di turisti ed ingegneri occidentali, gli “esperti” suggerivano prontamente che a rapire la coppia poteva essere stata proprio la famigerata formazione:

“Secondo alcuni osservatori locali, si tratta senza dubbio di un sequestro compiuto da uomini dell'organizzazione al Qaeda nel Maghreb islamico.” (“Mauritania: rapiti due italiani nel deserto” Corriere.it 19 dicembre 2009)

Oggi finalmente le previsioni degli esperti sono state confermate: Azione compiuta «contro i crimini compiuti dal governo italiano in Afghanistan e nell’Iraq», sottotitola il Corriere in rete (“Mauritania, Al Qaeda rivendica il sequestro della coppia italiana”, 28 dicembre 2009).

Peccato che l'Italia sia in occidente la nazione che più di tutte, per mano del capo del governo Silvio Berlusconi, abbia combattuto USA e GB, dando per lo meno indirettamente una mano d'aiuto ai musulmani contro l'occupazione anglosassone. Quindi, quali crimini avrebbero commesso gli italiani in Iraq o in Afghanistan contro l'Islam?

Se Al Qaeda fosse veramente quella che ci raccontano, non avrebbe alcun senso rapire un italiano con quelle motivazioni. Diversa sarebbe la storia nel caso in cui Al Qaeda fosse invece alleata di Washington. In quel caso si capirebbe benissimo quali siano questi “crimini compiuti dal governo italiano in Afghanistan e nell’Iraq”: crimini contro l'occidente.

Basterebbe fare più attenzione a dove colpiscono i “terroristi” per notare come questo sia un “pattern” ricorrente. Al Qaeda ad esempio ha minacciato gli Emirati Arabi («Dubai, sventato un piano per colpire il più alto grattacielo del mondo», Corriere.it 15 settembre 2009) mentre gli sceicchi si preparavano a dare il ben servito a Sua Maestà (si veda il post “Un tacchino indigesto”).

Tornando all'ultimo rapimento, innanzitutto il Cicala non è un turista dell'ultima ora. Già nel 1994 in Ciad ebbe la sfortuna di saltare su una mina mentre accompagnava dei turisti in una delle zone più pericolose di tutto il Sahara. Dopo quella “avventura” si è trasferito più ad occidente, tra il Marocco ed il Mali.

Cicala è quindi un esperto dell'area, tanto che i tour operator affidano a lui intere carovane di turisti. Come si sia fatto questa esperienza non è chiaro. Ma è ovvio che sapeva quello che stava facendo.

Anche il motivo del viaggio risulta difficile da inquadrare. I giornali parlano di un marito che accompagna la moglie a trovare la figlia in Burkina Faso. Ma se l'obiettivo era quello, non sarebbe stato più comodo arrivare in aereo ad Ouadougou, la capitale, invece di percorrere in macchina 2 o 3000 chilometri dalla Mauritania? Sembra che si voglia dipingere il siciliano di Cinisi come un folle allo sbaraglio in un'area pericolosa. Solo che, La Russa o non La Russa, per viaggiare in quelle zone di solito hai bisogno di permessi speciali e lasciapassare da parte dei governi. Hai bisogno in poche parole di una certa capacità organizzativa e di conoscenza diretta dei luoghi. Di nuovo, Cicala non può essere lo sprovveduto che ci vogliono far credere.

Il territorio sahariano inoltre non è quasi mai sotto il controllo degli stati di cui fa nominalmente parte. Le tribù di beduini che lo abitano lo amministrano indipendentemente e per passare dai loro feudi è necessario pagare il pedaggio. Cicala è una fonte di guadagno non indifferente per i locali, che difficilmente lo avrebbero preso di mira o avrebbero permesso a gruppi esterni di farlo.

Insomma, il nostro conterraneo non era per niente un obiettivo facile facile. Al Qaeda avrebbe potuto rapire un italiano ovunque senza dover affrontare gli stessi rischi. Invece ha scelto quell'area dell'Africa ed ha scelto un siciliano.

Coincidenza vuole che negli ultimi giorni non sia questa l'unica azione dei terroristi che tocchi i paesi dell'Africa occidentale. Come detto Cicala e la sua compagna, se sono vere le notizie riportate dai media, erano diretti in Burkina Faso, nazione che gravita intorno al gigante petrolifero nigeriano.

E proprio nigeriano è l'attentatore che sotto Natale ha fatto esplodere una bomba su un volo della Delta Airlines per Detroit. E' facile capire dal modo in cui il ragazzo ha agito che uno degli obiettivi degli organizzatori era fare accettare al gregge il cosiddetto “body scanner”, un attrezzo che serve semplicemente a rendere più “orwelliano” il controllo dei passeggeri (ed infatti in Gran Bretagna hanno subito detto che l'aggeggio sarà montato in tutti gli aeroporti). Ma anche qui la scelta della nazionalità fa riflettere, perché guarda caso anche la Nigeria (come un po' tutti i paesi “segnalati” da Al Qaeda) è una di quelle nazioni che sta abbandonando l'occidente per stringere patti economici e petroliferi con la Cina, con la Russia e con l'Italia.

L'accordo che vede interessato il nostro paese riguarda l'importazione in Europa di gas tramite il rigassificatore di Porto Empedocle, struttura per la quale la Regione Siciliana (ecco il primo lato del triangolo) si è mostrata ampiamente disponibile (“Porto Empedocle, sì al rigassificatore”, La Repubblica, 21 gennaio 2009):

“Il gas per il terminale, annuncia intanto l'ad dell'Enel Fulvio Conti, arriverà dalla Nigeria”

Tra i fondi negati dalla comunità europea e le grane legali piantate dal Sindaco di Agrigento la sua realizzazione è ancora tutt'altro che certa. Ma passando dall'altra parte dell'isola (secondo lato del triangolo) ad essere definitivamente affossato è stato un altro rigassificatore, quello di Melilli, progettato da Shell. Le motivazioni addotte dall'assessorato competente (Territorio ed Ambiente) sono tanto gravi da non lasciare spazio a futuri ripensamenti. Ecco le conclusioni del documento firmato dalla Interlandi (Rigassificatore Melilli: Dietro front!, Cip 6 blog 4 dicembre 2009):

Il sito prescelto ha un grado di pericolosità tale da rendere necessario un approfondimento e una riduzione del rischio prima della realizzazione di un analogo impianto quale è il rigassificatore. L’opera in argomento non risulta coerente con i principi di risanamento ambientale di cui al predetto Piano, considerando che lo stesso pone tra detti principi il contenimento e la riduzione dei rischi. (...) Per quanto sopra rappresentato, nell’ottica della prevenzione, della sicurezza e del contenimento e riduzione degli incidenti derivanti dai rischi prima evidenziati, si esprime parere negativo alla realizzazione dell’opera nell’area prevista dal progetto.

In altre parole si dovrebbero eliminare prima tutti gli altri impianti di produzione di idrocarburi (la “riduzione dei rischi”).

Il vicolo cieco imboccato in Sicilia avrà pesanti conseguenze per la Shell. Con l'esaurimento dei giacimenti del Mare del Nord ormai prossimo, le tubature siciliane costituiscono la principale porta d'ingresso al mercato europeo per gli idrocarburi provenienti dall'Africa e dal Golfo persico. Considerando la non felice situazione ad est, dove la Russia controlla tutto, il rigassificatore era di fatto l'ultima spiaggia. Shell, già in ritirata in parecchie aree strategiche, potrebbe ora rischiare il tracollo.

Come se non bastasse, nei giorni in cui gli attacchi di Al Qaeda si materializzavano i lati del triangolo si chiudevano intorno al vertice africano (“Shell plans $5 billion sale of assets in Nigeria: report”, Reuters 20 dicembre 2009):

Royal Dutch Shell, la più grande compagnia petrolifera d'Europa, sta pianificando la vendita di alcuni campi petroliferi in Nigeria valutati sino a 5 miliardi di dollari. (...) L'asta arriva mentre la Nigeria si prepara ad imporre termini contrattuali più duri agli operatori stranieri ed a lasciare un maggiore controllo alle aziende domestiche.

Dopo anni di attacchi, rapimenti e minacce la vendita potrebbe essere stata “consigliata” alla Shell dallo stesso governo nigeriano per prevenire problemi peggiori. A subentrare, sempre secondo l'agenzia, sarebbero pronte un paio di aziende cinesi.

Chi per caso si trovasse a cadere in questo triangolo rischierebbe di finire nei guai.

L'evidenza di un qualche legame tra il rapimento dell'avventuriero italiano e la situazione petrolifera nigeriana è sicuramente tenue. Sappiamo però che enormi pressioni vengono fatte sul governo centrale di Roma per capovolgere il verdetto sulla struttura di Melilli: il “ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo, che ha minacciato conseguenze sul piano dei rapporti fra (ex) alleati e da parte dell’assessore Regionale alla Cooperazione Titti Bufardeci che ha parlato nelle settimane scorse di un nuovo rapporto diametralmente opposto a quello dei dirigenti dell’assessorato regionale al Territorio e Ambiente Cuspilici e Interlandi che ritengono pericolosa e dannosa l’installazione del rigassificatore in un’area già fortemente compromessa.” (“Qualche spiraglio di sole nell’Isola offuscata dalle emissioni di idrocarburi”, Quotidiano di Sicilia 29 dicembre 2009), tanto da portare frizione tra l'MPA (a cui la Interlandi fa riferimento) e gli uomini di Miccichè (Prestigiacomo e Buffardeci).

La Shell in fondo è solo un piccolo ingranaggio di un meccanismo molto più complesso con raggi d'azione ben più ampi. L'azienda petrolifera non ha sicuramente niente a che vedere con il rapimento di Cicala, ma il coacervo di interessi nel quale rientra il petrolio africano potrebbe avere spinto un qualche grumo di potere “deviato” all'azione. Una deviazione clinica più che politica.

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mercoledì, dicembre 23, 2009

Il suggeritore

Le dichiarazioni di Marchionne intorno a quella che sembra essere la fine dei rapporti tra la FIAT e la Regione Siciliana impongono delle riflessioni, a partire dalla constatazione che il taglio politico di alcune frasi, improprio per un ruolo preminentemente economico come quello dell'amministratore delegato, sembri suggerire alle sue spalle il respiro pesante di un regista trascinato da un rancore puramente ideologico e pressato da una inarrestabile sete di potere.

La chiusura dell'impianto è stata giustificata dallo stesso Marchionne in modo contorto: “L'unico modo per risolvere il nodo Termini sarebbe spostare la Sicilia e metterla vicino a Piemonte o Lombardia.” (“Il no di Marchionne”, LaSiciliaWeb.it 23 dicembre 2009). Una circonlocuzione che ha molto poco di logistico, visto che non tutte le fabbriche dell'azienda torninese si trovano “vicino a Piemonte o Lombardia”, mentre mantiene tutto l'aspetto di una meschina ripicca politica.

La Sicilia va via allontanandosi sempre più dal Lingotto (Piemonte) e da Arcore (Lombardia) e dell'abbandono di FIAT dovremmo solo rallegrarci perchè nei fatti sono 150 anni che lottiamo affinchè questo momento si avveri.

Il problema dei posti di lavoro è un non problema: la Sicilia non è destinata a diventare un deserto produttivo e la stessa scelta dei tempi da parte di Marchionne (o chi per lui) ne è prova.

Piazzare una dichiarazione del genere sotto Natale non ha alcun senso logico se l'obiettivo fosse quello di abbandonare la Sicilia ad un destino infame. Se la decisione avesse avuto basi economiche o se fossimo in presenza di un “tracollo finale” come sbandierato da certi disfattisti nostrani, FIAT avrebbe fatto di tutto per uscirsene in punta di piedi e senza far rumore. Avremmo udito i nostri politici cercare di calmare gli animi.

Invece l'annuncio è stato ventilato per lungo tempo ed è stato poi effettivamente confermato in modo da provocare il maggior danno possibile tentando di condizionare l'umore dei siciliani. In particolare di quelli che da questa decisione saranno coinvolti in prima persona. Una rancorosa punizione finale per chi non si è voluto ri-assoggettare.

Ora non ci può essere più trattativa: la FIAT è fuori dalla Sicilia e non si deve più fare marcia indietro, costi quel che costi nel breve termine. Anzi, prima la proprietà verrà tolta dalle mani del nemico, meglio è (probabilmente andando a guardare nella vicenda dei finanziamenti pubblici alla SicilFIAT la fabbrica potrebbe essere espropriata per vie legali). Altro che 2012.

In questo senso l'assessore-ministro all'industria siciliano Venturi è sembrato molto più concreto dello stesso Presidente Lombardo:

“Noi non possiamo obbligare nessuno a rimanere (...) non si può sempre e solo parlare di salvaguardia dell'occupazione. Noi dobbiamo rilanciare il settore auto in Sicilia, con e senza FIAT (...) era giusto aspettare cosa ci dicesse la FIAT, ora però dobbiamo andare avanti.”

Indiani, cinesi, russi o brasiliani non ha alcuna importanza: ora tocca a noi agire per dimostrare se siamo capaci di andare avanti con le nostre gambe o se invece siamo solo dei “quaquaraqua”. Malgrado tutte le apparenti smancerie celebrative massoniche, da nord arriva solo il rifiuto assoluto a continuare con l'unità d'Italia se questa non includesse anche la totale sottomissione del sud a determinati potentati economici.

I tentativi di mediazione dell'MPA e del suo leader non hanno più prospettiva storica indipendentemente dal ruolo istituzionale che Lombardo ricopre.

Il fronte nordista è anche estremamente fratturato al suo interno. Riprendendo il parallelo sportivo, in questo campionato la Juventus ha perso con Palermo, Bari, Napoli e Catania forse anche grazie anche all'appoggio in Lega di Massino Moratti (si veda il post “Panchine scottanti”). Una tale prospettiva, nella quale i tre principali gruppi politici ed economici italiani (rappresentati da Milan, Inter e Juventus) si combattono tra loro permettendo ai meridionali di infilarsi tra le crepe, fino a pochi anni fa era fantascienza.

Oggi il disastro padano lo tocchiamo con mano, eppure nella stessa Sicilia si respira come un rifiuto a voler credere ai propri occhi. Forse è anche paura: dopo aver vissuto di elemosina per tutto questo tempo è sicuramente fonte di preoccupazione il doversi rimettere in piedi e camminare da soli.

Il conforto della schiavitù è come una droga che cancella la coscienza regalando un oblìo farcito di insipidi diritti e libero di responsabilità e di doveri.

«Psss... psss.... 22 dicembre... psss psss ....spostare.... psss... Sicilia ... Piemonte... psss»


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martedì, dicembre 22, 2009

Schifiu

Domani si darà il via ai lavori per il Ponte sullo Stretto. Ma tanto hanno fatto che “a purtanu a malacumparsa[*].

Oggi la prima velina di regime snocciolava trionfalmente i numeri del ponte. Sappiamo che di velina o agenzia che dir si voglia si tratta perchè tutte le testate hanno pubblicato la nota celebrativa (ad esempio SiciliaInformazioni.com oppure LaSiciliaWeb.it) hanno inserito ad un certo punto la seguente frase:

Sarà aperto 365 giorni l'anno 24 ore al giorno.
Excusatio non petita. Una precisazione che smonta completamente l'opera. Una decina di parole che la seppelliscono sotto il fragore di immense risate.

Ma non solo. Qualche ora dopo è apparsa la seconda velina (“Ponte, sì ai 900 mln in più. Ma l'esperto boccia i lavori”, LaSiciliaWeb.it). Leggere cosa dice Alberto Ziparo, coordinatore degli studi di impatto sul progetto del ponte sullo Stretto, per credere:

“Riteniamo non possa avviarsi alcuna attività relativa allo 'stralcio binario' della Variante di Cannitello compreso l'affidamento dei lavori; a meno di non incorrere in abusi palesi”

“Le aree interessate dal 'progetto stralcio' e gli elaborati stessi - afferma Ziparo - sono tuttora sottoposti a verifica di ottemperanza delle prescrizioni Cipe che durerà fino al 10 febbraio, data fino a cui non può svolgersi alcuna attività operativa. In merito a quanto sostenuto nei giorni scorsi dalla società Stretto di Messina, secondo cui solo alcune aree sono sottoposte alla citata verifica e sulle altre si potrebbe in ogni caso operare, c'è invece la conferma che l'intera sezione relativa allo stralcio è sottoposta a procedura ostativa di qualsiasi operazione”


Il bluff è stato scoperto platealmente (si veda il post “Una pietra non fa primavera”). E chi lo sente a Ciucci ora che la cerimonia per la pseudo-posa della prima pietra è stata schifiata in questo malo modo?

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[*] A purtanu a malacumparsa si potrebbe più o meno tradurre con “l'hanno trasformata in una figuraccia”

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lunedì, dicembre 21, 2009

Panchine scottanti

Nel giro di due settimane il Palermo ha sconfitto il Milan a San Siro ed il Catania (ultimo in classifica) la Juventus a Torino: la partita di Termini Imerese si fa sempre più avvincente.

Quando le geometrie variabili dei movimenti politici continuano solo dietro le quinte e chi si trova ancora seduto in sala non riesce a decifrarne i contenuti dalla goffa traccia che essi lasciano sui teloni del sipario, è sempre possibile aiutarsi con le geometrie tattiche dei campi da gioco.

L'attuale stagione è iniziata all'insegna di un nuovo ordine calcistico forgiato grazie al cuneo appuntito della squadra etnea, cuneo sostenuto da quelle squadre che negli anni passati si sono coagulate nell'opposizione alla combriccola dei Matarrese (Lazio, Udinese, Napoli, Sampdoria, Milan, Bologna, Juventus, Cagliari) ma che è riuscito a sfondare quando al gruppo si è finalmente unito il Palermo di Maurizio Zamparini (si veda il post “Tra Catania e Palermo non mettere il dito”).

L'accordo tra Catania e Palermo, suggellato dal tracollo casalingo dei rosanero nel derby dello scorso campionato (1-4), ha prodotto i suoi risultati verso la fine della stagione allorché in maggio le squadre della massima serie decisero di costituire una Lega della A e di affidare l'incarico di guidarla a Maurizio Beretta, atto che segnò la fine di Matarrese (si veda il post “Una cosa che andava fatta”).

Il nuovo gruppo di potere si insediò presto anche formalmente occupando attentamente tutti i posti disponibili: Zamparini, Lotito (Lazio), Cobolli Gigli (Juventus), Paolillo (Inter), Cellino (Cagliari), Ghirardi (Parma), Lo Monaco (Catania), De laurentis (Napoli), Pozzo (Udinese) e Garrone (Sampdoria) sono ora tutti consiglieri di Lega. L'unico fuori posto sembra essere Paolillo, rappresentante di quel Moratti che più di tutti ci guadagnò dalla fine di Moggi e dal ritorno di Matarrese.

Sino ad un paio di settimane fa il quadro però non quadrava per niente, visto che le società che costituivano quello zoccolo duro languivano in posizioni di classifica non proprio felicissime: il Napoli, squadra con velleità europee, navigava a vista nelle zone centrali. Lazio, Palermo ed Udinese erano appena sopra la zona retrocessione. Per non parlare del Catania (ma se ne è parlato nel post "Colpo di coda"). Ecco la situazione allo scorso 29 novembre, 14ma giornata:

Inter 35; Milan 28; Juventus 27; Sampdoria 24; Parma 24; Genoa 23; Cagliari 22; Fiorentina 21; Roma 21; Bari 21; Napoli 20; Udinese 18; Chievo 18; Palermo 17; Bologna 13; Lazio 13; Atalanta 12; Livorno 12; Catania 9; Siena 6

Di contro, a parte l'Inter, le compagini che sembravano più in forma di tutte erano il Milan, dato per spacciato dopo un precampionato fatto di svendite, la Juventus e la Sampdoria, tutte squadre in mano ad interessi che al momento in Sicilia remano contro il governo regionale: Berlusconi e Marchionne (FIAT) li troviamo alleati nell'affaire SicilFIAT (si veda il post “Assedio nella steppa”), mentre Garrone (patron della Sampdoria e dell'ERG) si è da poco visto definitivamente bocciare il progetto del rigassificatore di Melilli insieme alla Shell.

Ma da quella 14ma giornata la situazione sembra mutata radicalmente: la Sampdoria ha conquistato un solo punto, la Juventus ha battuto l'Inter, suo principale nemico, ma ha poi perso due partite consecutive, il Milan (altro nemico giurato dell'Inter) ne ha persa una mentre quella di ieri contro la Fiorentina è stata rinviata.

Dall'altro lato il Napoli ha conquistato 7 punti ed il Palermo 9. Non solo: Milan e Juventus hanno perso in casa proprio contro le squadre siciliane, Palermo e Catania (0-2 e 1-2 rispettivamente).

Qualcosa deve essere successa.

Il tifoso ingenuo risponderebbe gli allenatori. E non avrebbe tutti i torti. Catania e Palermo hanno effettuato il cambio quasi contemporaneamente. Il Palermo subito dopo il deludente pareggio con il Catania, e gli etnei dopo la sconfitta rimediata a Siena contro una diretta concorrente per la salvezza (il Napoli aveva già a suo tempo dato il benservito al “milanista” Donadoni).

Le coincidenze non finiscono qui. Walter Zenga, malgrado il glorioso passato da calciatore, non ha avuto la vita facile come allenatore. E' stato costretto a peregrinare il mondo mentre molti suoi ex-colleghi (vedi Roberto Mancini) hanno trovato al strada spalancata senza dover dimostrare prima niente. Sembrerebbe che l'ex portiere della nazionale sia inviso a qualcuno e considerando il fatto che l'anno passato allenasse una squadra (il Catania) che non si preoccupava di nascondere le sue profonde antipatie per la Milano di sponda nerazzurra (si veda il post “Vino dell'Etna”), non è difficile immaginare a chi fosse inviso.

Il Palermo si è voluto liberare di un uomo poco gradito a Moratti? In questa ottica diventa interessante il parallelo con il nuovo allenatore scelto da Pulvirenti e Lo Monaco: un uomo decisamente ben visto dallo stesso Moratti, quel Sinisa Mihajlovic che affiancava Mancini all'Inter.

Pure congetture certamente, ma ieri il Catania ha beneficiato di un rigore a favore e di 4 ammonizioni pesanti a scapito dei bianconeri. A tutto vantaggio della capolista Inter.

Abbiamo assistito al riflesso sportivo di un riallineamento politico? Sempre a proposito di coincidenze, mentre nei dintorni del Massimino si diramava la notizia del cambio in panchina (8 dicembre), a Palermo Raffaele Lombardo concludeva gli accordi con il PD, tanto che appena un giorno dopo, il 9 dicembre, le nuove alleanze si concretizzavano con l'approvazione di un ordine del giorno firmato PDL Sicilia – MPA dove si chiedeva al Presidente di “proseguire senza indugio nell’azione intrapresa di modernizzazione e riforme della Regione, attraverso la puntuale realizzazione dei punti programmatici elencati auspicando il consenso parlamentare più solido e qualificato”. Il PD, pur astenendosi, con la presenza ha garantito il numero legale. (“Lombardo rompe col Pdl. Verso una nuova giunta”, LiveSicilia.it 10 dicembre 2009).

Sul campo polveroso di Termini Imerese Ronaldinho e Del Piero hanno mangiato solo sabbia.

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venerdì, dicembre 18, 2009

Assedio nella steppa

Termini Imerese è un fulcro intorno al quale si muovono tante leve ma come ogni fulcro rimane immobile ed indifferente. In equilibrio tra le diverse forze. Allo stesso modo, la questione di Termini appare enorme se vista alla distanza, con leve che sembrano muoversi da un continente all'altro. Ma quando poi ci si avvicina, ci si accorge che non c'è assolutamente niente e che alla fin fine il futuro della fabbrica FIAT per la Sicilia conta poco. Anzi, nulla.

Conta nulla perchè quella di Termini Imerese è una fabbrichetta marginale di un “business” in forte crisi che può essere sostituita in ogni momento. Basta la volontà politica. Conta nulla perchè nei fatti la questione della SicilFIAT non ha alcun risvolto economico o sociale. Essa è solo ed esclusivamente una questione politica.

I caroselli dei sindacati, le vuote e mai decisive “veline” diramate dall'azienda torinese, le ardite difese del Governo Siciliano e le repentine prese di posizione di uno Scajola qualunque, sono solo voti e baratto politico nella triangolazione Sicilia, Arcore, Europa.

Con i lavoratori dello stabilimento e dell'indotto a fare da ostaggio nelle mani di Berlusconi e dei suoi nemici globali. Palermo deve solo fare argine, perchè il tempo gioca a suo favore.

La questione ha preso quota all'interno delle trattative per l'acquisto di Opel da parte di una cordata russo-canadese appoggiata dal Primo Ministro russo Vladimir Putin.

In quel frangente Marchionne, anche lui interessato all'affare, nell'imminenza delle elezioni europee (si veda il post “Carburante elettorale”) ebbe buon gioco nel ricattare Silvio Berlusconi, al tempo più vicino a Raffaele Lombardo, minacciando la chiusura di Termini con relativa perdita di voti.

L'affare Magna (dal nome dell'azienda canadese decisa a rilevare la Opel dalla General Motors) andò avanti grazie al gradimento del governo tedesco e il Presidente del Consiglio italiano fu costretto a capitolare ed a discutere con Putin possibili compensazioni per FIAT in Russia.

In altre parole, da questo momento Marchionne (e tutto quello che gli sta dietro) sono alleati di Berlusconi che nel frattempo, dopo le scorse europee, si è riposizionato ad una certa distanza dall'MPA.

Il 7 ottobre 2009 Marchionne si incontra a Mosca con Putin, seguito pochi giorni dopo dal pecoraio, per dare corso agli accordi già presi da qualche tempo (si veda il post “Colpo di coda”). Malgrado questo il calvario dei lavoratori siciliani non è terminato in quanto ora la chiusura è minacciata non come schiaffo a Berlusconi ma su suo mandato. Un modo come un altro per tenere sulle spine Raffaele Lombardo e per non fargli alzare troppo le ali.

La posizione economica generale della Regione Siciliana non è poi tanto malvagia se si pensa ai rating delle varie agenzie di valutazione. Recentemente Moody's ha confermato un A1 mentre Standard and Poor's ha fatto lo stesso con il suo A+ : “secondo S&P, la forza dello statuto autonomo della Sicilia e' un fattore chiave per il rating.

Tanto per fare un confronto, la Grecia, la cui situazione è una delle più precarie dell'intera Europa, secondo la Standard and Poor's ha oggi un rating BBB+.

I greci però di farsi sbranare dai lupi delle banche occidentali non ne vogliono sapere e quindi, come aveva già fatto l'Islanda qualche mese fa, si sono giocati la carta orientale ed hanno sventolato in pubblico la predisposizione dei cinesi a coprire il debito ellenico tramite l'acquisto di 47 miliardi di bond che Atene emetterà il prossimo anno ("La sindrome cinese", La Repubblica 10 dicemnre 2009). In questo modo i levantini sperano di arginare il tentativo dei mercati finanziari di portare sempre più stati europei al fallimento in modo da farli cadere nelle mani dei burattini di Bruxelles.

Marchionne e Berlusconi a Termini stanno tentando una manovra simile, cercando di affamare di voti l'esecutivo siciliano per portarlo al collasso ed alla resa. Una manovra velleitaria con pochissime se non nessuna possibilità di successo, ma capace di causare comunque danni cosnsistenti.

A Palermo, dicevamo, non devono fare altro che temporeggiare nell'attesa della fine di quel cavaliere solitario e solo. Certo l'attesa può diventare noiosa, per cui qualche diversivo di tanto in tanto gli assaliti se lo concedono per tentare di arginare l'irruenza degli assalitori.

Ecco allora spuntare l'ipotesi cinese, secondo cui sarebbe la Chery a rilevare la fabbrica siciliana, a pochi giorni dalle rivelazioni ateniesi. E poi anche quella indiana.

Ma il messaggio principale non è destinato nè al lingotto né ad Arcore. E' tra le fredde steppe russe, a Mosca e tra i corridoi del Cremlino che il messaggio deve arrivare.

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lunedì, dicembre 14, 2009

Intrigo internazionale

Ne “I Beati Paoli” il prepotente di turno si ritrova “pizzini” con minacce ed avvertimenti ovunque ed a qualunque ora del giorno e della notte malgrado i sistemi di sicurezza dei palazzi del governo.

Questo succede a chi si mette contro chi è protetto dalla fantomatica “fratellanza”. Questo è quello che è successo ieri a Berlusconi.

Lo scorso venerdì Il Giornale aveva rivelato, tramite un articolo dall'editore stesso considerato "La" provocazione l'esistenza di un qualche piano per un attentato contro il capo del governo italiano ("Provocazione Quella sovranità della moneta in mani private", 11 dicembre):

“Abraham Lincoln, John F. Kennedy, Robert Kennedy sono stati uccisi, infatti (questo collegamento causale naturalmente è senza prove) subito dopo aver firmato la legge che autorizzava lo Stato a produrre il dollaro in proprio”.

Una firma che voleva dire essersi messi contro gli stessi poteri contro cui si è messo il nostro pecoraio.

Lapsus freudiano, l'articolo sorvola su Ronald Reagan, ferito con un colpo di pistola dopo alcune precise dichiarazioni:

“Non dobbiamo rendere conto alla Federal Reserve Bank, tanto meno al (suo) presidente.”

Avvertimenti Berlusconi ne aveva già ricevuti parecchi (si veda ad esempio il post “Bang bang”, dove si era già fatto il paragone con Reagan). Ora che è rimasto senza protezioni politiche internazionali e che la fine si avvicina, quei poteri sono riusciti ad assestare il primo colpo.

Da chi sono stati uccisi Abraham Lincoln, John F. Kennedy, Robert Kennedy, da chi è stato ferito Ronald Reagan? Da malati di mente, da squilibrati forse anche un po' estremisti. Da chi è stato ferito Brelsuconi?

Ma il dettaglio che deve aver fatto tremare la vittima è un altro, ed è stato sottilmente messo in luce dai cronisti:



Secondo l'inviato l'organizzazione della sicurezza lascia perplessi. Come nel racconto dei Beati Paoli. E come allora, oggi la vittima è assalita dal terrore di sapere lavorare per il nemico qualcuno di quelli che dovrebbero invece curare la sua sicurezza.

Che spettacolo indecente vedere trionfanti tutti questi giullari con le mani insanguinate. Tutti questi “Spatuzza” dell'ultima ora. Da Di Pietro a De Magistris, dai fratelli Borsellino a Sonia Alfano, schierati con gli assassini dei loro stessi congiunti.

Sino a Beppe Grillo che oggi pubblica (sotto dettatura) un post dal titolo amichevole ed amabile: “La Jugoslavia dolce”, lui che invece come gli altri vorrebbe veder scorrere il sangue:

Con la sua sovrumana volontà di sopravvivenza alla giustizia e alla decadenza fisica ha tenuto in vita artificiale un Paese inesistente insieme alla sua carcassa. Il dopo Berlusconi è già iniziato. (...) L'Italia si sta spaccando come un lastrone di ghiaccio. (...) La Lega punta alla secessione del Nord e con tutta probabilità riuscirà a ottenerla. La crisi dello Stato e il crollo dei piduisti del PDL la favorirà. Diventerà il primo partito sopra il Po. La mafia in Sicilia ha lo stesso obiettivo sin dai tempi di Salvatore Giuliano. Una Jugoslavia dolce ci aspetta.

Berlusconi infatti farà la fine di Giuliano, l'unico a pagare per tutto. Il parafulmini del nuovo sistema, che se sessant'anni fa ci ha visto, noi siciliani, sconfitti, oggi ci vedrà vincitori. Amnistia per tutti i combattenti, incluso Dell'Utri (apparentemente scagionato dalle contro-dichiarazioni di Graviano), ma non per Silvio-Turiddu.

Amnistia per la Sicilia tutta: dopo Il Financial Times, che ha recentemente pubblicato un articolo sulla mafia riuscendo a non nominare la Sicilia (si veda il post “Corso di fotografia”), ora anche l'Economist ci sdogana parlando della Sicilia senza accennare alla mafia, accentandone il suo status inter-nazionale.

Lessons from the Leopard” (Lezioni dal Gattopardo, 12 Dicembre) con la scusa di discutere la decadenza europea al sorgere del secolo asiatico, porta in alto la letteratura isolana dichiarando il libro “una metafora siciliana per la UE”, che dopo un solo decennio ha già fatto il suo tempo (si veda il post “I puffi”).

Mentre in Sicilia tutto sta per cambiare, l'Economist ci ricorda che “Il Gattopardo è meglio conosciuto per una singola frase: «Se vogliamo che tutto rimanga le stesso, tutto deve cambiare»“(...) I leader europei di oggi parlano delle cose che devono cambiare, ma in modo destinato ad compiacere, troppo spesso, ad un lato dell'Europa che è vecchio, stanco ed ansioso. (...) Ma i rivali dell'Europa sono giovani ed affamati. Il vecchio continente dovrebbe resistere all'attrazione della resa gentile.”

Le porte si stanno continuando ad aprire, ed è inutile che si cerchino ancora foglie di fico per nascondere quello che è diventato il presente.

“Per la Cina il Mediterraneo è il principale corridoio di sbocco delle sue merci verso il grande mercato europeo. In questa prospettiva il Pireo è solo uno degli anelli della catena globale del valore - dalla fabbrica al consumatore, ossia dalla Cina all' Europa via Mediterraneo - che Pechino sta cercando di irrobustire. Con buon successo. Le imprese cinesi investono su tutta la portualità mediterranea, anche nordafricana. (...) Un' area dove negli ultimi anni gli americani stanno ammainando bandiera, mentre non solo cinesi, ma anche arabi, indiani e brasiliani stanno entrando alla grande.”

Il brano non è tratto da un post de Il Consiglio, che ha scritto queste cose sin da un paio di anni fa (si vedano “Palermo delenda est (seconda parte)” o “Tutte le scarpe del presidente”), ma da un articolo di Repubblica dello scorso 10 dicembre (“La sindrome cinese”). La Sicilia, il convitato di pietra, non è neanche menzionata.

Raffaele Lombardo, Presidente della regione che presto lui stesso, guardando ad oriente, potrebbe condurre a diventare nazione, insieme al suo scudiero Leanza, Assessore alla cultura, a proposito della prossima restituzione della Venere di Morgantina da parte degli USA non si nasconde più (Tornati in Sicilia gli acroliti di Demetra e Kore Lombardo: "Invitiamo Napolitano", SiciliaInformazioni.com, 13 dicembre):

“Vincere la (...) battaglia: quella di impedire la parentesi romana di sei mesi della Venere di Morgantina che, in base agli accordi con gli Usa, tornerà in Italia nel gennaio del 2011. A Roma neanche un giorno”

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Post Scriptum: Il titolo del post si riferisce al recente film “The International”. L'attentato di ieri era stato in qualche modo anticipato dalla pellicola. Il Presidente del Consiglio italiano, interpretato da Luca Barbareschi, viene ucciso durante un comizio in una piazza di Milano. L'identificazione con Berlusconi è lampante, visto il cognome (Calvini, rifermento a Calvi) e il nome ed il logo del partito: Futuro Italiano, cioè FI. I carabinieri depisteranno le indagini incolpando quelle Brigate Rosse che tanto rosse non sono mai state.


Le piazze di Milano grondano sangue (vedi minuto 1:00)

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venerdì, dicembre 11, 2009

I puffi

Qualcuno sostiene che i siciliani non possano non dirsi europei.

In Europa occidentale non sono poche le nazioni che, finita l'euforia dei fondi comunitari e la spinta speculativa della finanza internazionale, si trovano ora in disastrose condizioni economiche e politiche. Con Grecia ed Islanda ad un passo dal fallimento, l'Inghilterra affossata dal sistema da lei stessa creato, Irlanda e Spagna in profonda recessione e l'Italia, terra di confine, dilaniata dall'acuirsi del conflitto tra oriente ed occidente, gli unici punti di riferimento politico ancora credibili rimangono Francia e Germania.

La crisi economica esplosa lo scorso anno indebolendo i centri di potere anglosassone ha ridato ai governi dei due giganti europei la possibilità di tornare a muoversi liberamente in ambito internazionale.

Mentre la Germania ha potuto continuare tra alti e bassi il suo avvicinamento a Mosca (vedi l'accordo tra Opel e Magna, saltato probabilmente più per le beghe interne russe tra Putin e Medvededv che per l'opposizione della UE), Sarkozy ha siglato diversi accordi bilaterali per le forniture nucleari (tra i quali quello con gli Emirati Arabi) cercando persino di infilarsi tra i piani degli ayatollah iraniani.

Nel frattempo a Bruxelles, tramite le truffe dei referendum ripetuti all'infinito (Irlanda) ed a qualche altro sotterfugio indegno, si è finalmente riusciti a ratificare trionfalmente un oramai svergognato Trattato di Lisbona e si potuti procedere all'elezione del temutissimo presidente della commissione, posto sino a poco tempo fa incomprensibilmente prenotato da Tony Blair, politico sì di primo piano ma di uno stato che non ha neanche adottato la moneta unica.

Sarà pure una casualità, ma Bruxelles oltre ad essere la sede del parlamento europeo è anche la capitale di uno stato in via di totale disfacimento.

Il Belgio è una nazione formata dall'unione di due regioni principali, una francofona ed una fiamminga, governato in forma federale tramite un pool di ministri selezionati all'interno di un complesso sistema di quote teoricamente mirato ad assicurare un'equa rappresentanza alle diverse comunità, ma che in effetti ne ha bloccato completamente la vita politica sclerotizzandola in due muri contrapposti che si fronteggiano oramai da anni senza una via d'uscita diversa da quella dello smembramento. All'apice dell'ultima crisi, tra il 2007 ed il 2008, il posto di primo ministro è rimasto addirittura vacante per circa sei mesi.

Immaginate allora che brividi lungo la schiena si saranno diffusi attraverso l'impero quando si è saputo il nome del prescelto per ricoprire questa importantissima carica di Presidente della Commissione (dei banchieri europei): Herman Van Rompuy!

Il “Chi era costui?” deve essersi udito alto nei primi istanti, ma uno sguardo allo striminzito curriculum ha potuto confermare i peggiori sospetti: Mr Van Rompuy è uno sconosciutissimo primo ministro belga che tutto quello che può vantare in carriera è proprio il premierato belga dal 30 dicembre 2008 al 25 novembre 2009.

Chi ha giocato il brutto scherzo simbolico ai “fratelli” della BCE?

Secondo l'Economist, “il suo nome è stato spinto dalla Francia e dalle Germania come un modesto conservatore da una piccola nazione che presiederebbe i meeting dell'Unione senza oscurarli” ("We are all Belgians now”, 28 novembre 2008).

Ancora più ridicola ed allo stesso tempo significativa è stata poi la scelta del “ministro degli esteri”, l'inglese Lady Catherine Ashton, un altro Carneade. Un burocrate mai eletto, caratteristica quest'ultima che ben svela la truffa ai danni dei cittadini europei pianificata tra la City di Londra e Wall Street.

City di Londra che dal canto suo grida al tradimento proprio da parte di Francia e Germania tramite il solito Financial Times (“I leader voltano le spalle alla visone di Giscard's”, 21 novembre 2009), chiedendosi se queste nomine non rappresentino la “morte delle ambizioni europee”.

E qui si fa una confusione certamente volontaria. Le due minuscole nomine molto probabilmente non saranno la morte delle ambizioni europee, ben rappresentate proprio da quelle nazioni che hanno affossato l'immagine politica della commissione sul palcoscenico politico internazionale. Ma quasi certamente lo saranno per le ambizioni globalizzanti dei poteri finanziari anglosassoni che avrebbero voluto Blair seduto sul trono fatto di carta straccia stampata dalla BCE.

I fotogenici Herman e Catherine al prossimo summit internazionale dovranno usare tutta la loro inestimabile esperienza politica per farsi notare da Gargamella Hu Jintao, Presidente della Repubblica Popolare cinese. Chissà a quali furbizie dovranno ricorrere per riuscire a spuntarla nelle serrate negoziazioni.

Ecco perché presto forse potremo non dirci europei.


La statura dei rappresentanti (a sinistra, la moneta di riferimento)

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giovedì, dicembre 10, 2009

Il fantasma dello stadio (terza parte)

3 - L'avvertimento

La domenica sportiva catanese ha sempre flirtato con la violenza. Partecipare ad un qualche tafferuglio con la polizia in occasione di un derby esercita un'attrazione irresistibile anche per il giovanotto di “buona famiglia” annoiato ed incapace altrimenti di sentirsi “popolo”.

Ogni tanto la ragazzata provoca però conseguenze di una certa serietà. Come quando negli anni '80 un guardiano esasperato sparò in aria da sotto la curva uccidendo alcuni spettatori. O come quando sempre in quegli anni, e con il Catania in serie A, durante la partita casalinga con il Milan l'aggressione all'arbitro costò alla squadra diverse giornate di squalifica del campo.

Un tale ambiente si presta perfettamente a strumentalizzazioni e stimoli esterni. Ad infiltrazioni ed all'innesco di scoppi di violenza in momenti di particolare tensione.

Bisogna peraltro ammettere che la morte dell'ispettore Raciti in quel 2 febbraio 2007 non stona assolutamente con un ambiente degradato socialmente e moralmente come quello raccolto intorno allo stadio etneo, dove la rabbia repressa acuita dalle precarie condizione economiche si mescola al bisogno di un qualche sfogo collettivo. Non vi sono dubbi che “il morto” a Catania ci sarebbe potuto scappare in ogni momento senza chiamare in causa complotti o cospirazioni.

Allora il fatto che la stampa nazionale ponesse giustamente l'accento sui comportamenti della “tifoseria” etnea, da solo, non può essere considerato indice di pianificazione.

Alcuni elementi di una certa importanza suggeriscono tuttavia che i tragici fatti del 2 febbraio 2007 si siano sviluppati intorno ad un qualche canovaccio attentamente predisposto.

Nella stagione agonistica 2006-2007 in serie A sono presenti 3 squadre siciliane: Palermo, Catania e Messina. Sin dalle prime giornate, inaspettatamente, il Catania riesce a seguire il Palermo nei piani alti della classifica oscillando sempre tra il quarto ed il quinto posto.

In questo quadro calcistico sicuramente anomalo, il 28 ottobre 2006 il Financial Times pubblica un articolo sulla situazione della serie A che avrà una larga eco anche sui giornali italiani: “Sorry state of Italian football boosts Sicily” (“Lo stato pietoso del calcio italiano permette il decollo della Sicilia”):

“Il calcio isolano non è mai stato così forte. Sarebbe bello dire che questo simboleggia una nuova Sicilia, ma non è così. Il sorgere della Sicilia simboleggia il malanno presente in Italia, la terra dei campioni del mondo”

Si sta veramente parlando solo di calcio o c'è dell'altro? La laconica chiusura del pezzo è ancora più incisiva:

“Quando la Sicilia può competere, allora sai che il sistema italiano è andato in frantumi”.

E' difficile non dare risvolti politici alla frase, anche dopo averla riletta inserita nel suo giusto contesto. Se la Sicilia vivesse veramente di assistenzialismo ed il sistema andasse in frantumi sarebbe proprio l'isola a soffrirne di più. Altro che decollo! Un dettaglio che non può certo sfuggire al Financial Times, che in fatto di economia la sa lunga.

Ma non è questo il brano che da più da pensare.

Malgrado l'elevato tasso di violenza esistente tra gli spalti degli stadi siciliani, non era solo qui che si erano registrati episodi tanto gravi. A partire dal 22 marzo 1982, quando Andrea Vitone, milanista, fu ucciso da una coltellata durante Milan-Cremonese, i morti non sono mancati su e giù per lo stivale. Arrivando a tempi più recenti si può ricordare Claudio Spagnolo, ucciso nel 1995 a Genova prima della partita con il Milan. Oppure Fabio Di Mare, morto per infarto durante gli scontri a seguito della partita Traviso-Cagliari. O ancora Alessandro Spoletini, precipitato dagli spalti del Dall'Ara (Bologna) l'11 febbraio 2001. Tutti fatti che coinvolgono squadre di primissimo piano.

Eppure il giornalista inglese, Simon Kuper, fa profeticamente di tutto per mettere in evidenza l'estrema violenza di cui sarebbe intrisa la cultura siciliana. Per spiegare gli eventi (e giustificarli, verrebbe da pensare a posteriori) chiama in causa persino il criminologo:

“Come dice il criminologo Nigel Walker: «L'usanza della vendetta è seguita non solo dai contadini siciliani, ma anche dalle squadre di calcio, dalle università, dai politici, da chi recensisce i libri e dai personaggi pubblici.»”

Il 7 marzo del 2000 un tifoso inglese viene accoltellato prima della partita di Coppa Uefa Roma-Leeds. Il 22 aprile dello stesso anno è il turno di un tifoso dell'Arsenal prima dell'incontro con la Lazio. Ma Simon, invece di avere il dente avvelenato contro i romanacci, insiste sempre con la Sicilia:

“Così nel 2001 gli hooligans del Catania festeggiarono quando lanciarono un razzo verso la tribuna dei tifosi del Messina. Un ventiquattrenne fu ucciso.”

Il tutto prende una piega sfacciatamente razziale quando, ricordando le magliette del West Ham con la scritta “Hammer vs The Mafia” o l'articolo della stampa ceca dedicato al Palermo ed intitolato “Kosa Nostra”, si farfuglia che “I siciliani se la prendono quando qualcuno da fuori cita la loro tradizione di violenza

In Italia siamo abituati a questo genere di invettive a mezzo stampa. Toni di questo livello si ritrovano spesso sulla stampa nazionale rivolti in senso generalizzato agli italiani del sud o del nord, oppure solo agli abitanti della città rivale. Ma che c'entra il Financial Times con le beghe da parrocchia nostrane? Che motivo ha Simon Kuper di prendersela con i siciliani in questo modo? Il tono suggerisce nuovamente astio politico dovuto a motivi molto più vasti che non la semplice e forse anche fortunosa permanenza di due squadre di calcio nei quartieri alti del campionato.

Vi sono altri due particolari che contribuiscono a rendere il quadro ancora più sospetto.

Il primo è il riferimento alla cattura di Provenzano, un passo che potremmo anche tentare di tradurre con un “avete vinto una battaglia ma non la guerra”:

“Le glorie calcistiche siciliane coincidono con la recente cattura in una casa di campagna isolata di Bernardo Provenzano, capo dei capi della mafia siciliana (...) Si sarebbe tentati di dire che questi eventi puntino verso una più generale rinascita locale. In realtà non è così. L'isola rimane disperata.”

Il secondo è il campanello che tuttora continua a risuonare a più di tre anni di distanza:

“Questo articolo si rifiuta di denigrare la Sicilia con vecchi stereotipi, ed in ogni caso sarebbe da sciocchi irritare gente che può fare offerte che non puoi rifiutare.”

A parte la stupida provocazione, la seconda parte di questa frase mal costruita ha un suono sinistro. Il riferimento al Padrino, il film di Coppola, sembra solo un altro insulto, ma potrebbe essere letto anche in forma generalizzata: “E' da sciocchi irritare gente che può fare offerte che non puoi rifiutare”. In fondo è una norma sempre valida.

Il pezzo di Kuper ha avuto larga eco sui giornali italiani, da Repubblica (Financial Times contro il calcio italiano "Sicilia in testa simbolo del declino", 29 ottobre) al Corriere della Sera (“Dal «Financial Times» pallonate al calcio italiano: «Brutto segno se vince la Sicilia»", 29 ottobre), dove è stato tradotto e riproposto fedelmente anche nei dettagli di quest'ultimo fraterno suggerimento. Particolare interessante, il Corriere fa una piccola aggiunta di propria iniziativa, dei puntini di sospensione che fungono anche da sottolineatura:

«sarebbe sciocco irritare persone capaci di fare offerte che non si possono rifiutare...»

L'articolo del Financial Times era un avvertimento per qualcuno in Sicilia? Forse. Sicuramente se fossi il presidente di una delle squadre coinvolte mi chiederei il perchè di un attacco mediatico da Londra. Zamparini (Palermo), Franza (Messina) e Pulvirenti (Catania) si saranno pur fatti qualche domanda. I giornalisti italiani stranamente non hanno creduto opportuno farsi alcuna domanda.

Ma le sole parole senza un “fatto” sarebbero certamente rimaste un avvertimento poco convincente. La mafia non ti fa saltare direttamente il negozio. L'obiettivo è quello di addomesticarti, di sottometterti e di costringerti a pagare il pizzo. Non quello di farti chiudere bottega. La bomba o la pallottola sono rimedi estremi.

Se i fili del 2 febbraio sono stati tirati veramente da Londra e quel pezzo è un avvertimento, prima di accendere la miccia che avrebbe dovuto fare chiudere definitivamente la bottega ci sarebbe dovuta essere una qualche dimostrazione di forza. Un chiaro esempio di quello che sarebbe potuto succedere.

Ebbene, quella “dimostrazione” ci fu ed ebbe luogo circa un mese prima della pubblicazione dell'avvertimento. Il 23 settembre 2006, durante il derby Catania-Messina, vi furono alcuni scontri tra sedicenti “tifosi” del Catania e le forze dell'ordine:

Da segnalare che prima della fine del primo tempo due agenti di polizia che prestavano servizio all'interno dello stadio sono rimasti feriti. I due sono stati colpiti nella zona della curva nord mentre tentavano di soccorrere un tifoso colto da malore. Sono stati medicati in ospedale, le loro condizioni non sarebbero gravi. (“Reti, espulsioni e colpi di scena, alla fine è pari tra Catania e Messina” Repubblica.it 23 settembre 2006)

I poliziotti caddero in un'imboscata appositamente pianificata: il tifoso colto da malore si rivelò poi uno degli assalitori e le condizioni per almeno uno dei poliziotti furono in realtà piuttosto gravi, tanto che si vide costretto sulla sedia a rotelle per diverso tempo. In seguito a questi scontri il Catania fu condannato a giocare due partite casalinghe in campo neutro ed a porte chiuse.

Scontri con le forze dell'ordine durante un derby al Massimino, agguato ad un poliziotto che viene ridotto in fin di vita, squalifica del campo per diverse giornate: le prove generali di quello che sarebbe successo pochi mesi dopo. L'offerta che non si sarebbe dovuta rifiutare.

Capitoli precedenti
1 – L'introduzione
2 - L'antefatto

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lunedì, dicembre 07, 2009

Italiuzza

Gaspare Spatuzza fa il suo ingresso nella maxiaula 1 del Palazzo di Giustizia di Torino mentre pubblico e giornalisti, numerosi, attendono in silenzio che il Presidente della II sezione penale della Corte d'Appello di Palermo, Claudio Dall'Acqua, lo inviti a rispondere alle domande del Procuratore Generale.

(Dal Blog di Antonio Di Pietro: "Parla Spatuzza" 5 dicembre 2009)

Doveva finire così come era cominciata: a farsa. Dalla pseudo-spedizione dei mille, in realtà coperta dai cannoni e dai forzieri di Sua Maestà Britannica, alla ignobile pantomima dei plebisciti esposta al pubblico ludibrio ne Il Gattopardo, tanto nella originale versione cartacea, quanto nella trasposizione filmica di Visconti.

Ed oggi, a conclusione della vicenda unitaria, ci ritroviamo Spatuzza. Un finale insignificante non poteva essere meglio rappresentato che da quel cognome posto lì come suggello a suggerire piccolezza, pusillanimità. Pochezza.

La farsa era stata rivelata in tutta la sua grottesca inconsistenza da Berlusconi stesso qualche giorno prima della messa in onda (L'Unità, 28 novembre):

"Se trovo chi va in giro a fare nove serie sulla 'Piovra' e a scrivere libri" che trattano della mafia, "e a farci fare una così bella figura, giuro che lo strozzo"

La nuova versione della “Piovra” era pronta. Ed è stata puntualmente messa in onda il 4 dicembre a reti unificate da tutti, dal Blog di Antonio Di Pietro come dal Corriere.

Spatuzza ha fatto i nomi ventilati da tempo. Ha detto quello che già tutti sapevano avrebbe detto. Un film la cui trama sapevamo tutti. Anche il presidente del Consiglio, che ha comunicato in anticipo la predisposizione della diretta. Una rivelazione che trasforma tutto in una gigantesca comica, che nei fatti distrugge quella poca credibilità che ancora la mafia possedeva. Vediamo chi è ancora capace di negare che i mafiosi non fossero altro che burattini le cui fila venivano tirate ad ovest.

Finita la diretta poi, da Arcore non poteva che arrivare il giusto seguito alle dichiarazioni sulla “bella figura” del 28 novembre: “Così si sputtana il Paese”. L'Italia è sputtanata. Finita.

L'unico pentito vero in tutta questa storia è proprio Berlusconi, che dopo avere sguazzato nel sistema per tutta la vita, ora lo “denuncia”.

In molti in Italia oggi si stanno accorgendo di aver passato gli ultimi vent'anni ad attaccare la persona sbagliata. L'unico che abbia veramente tentato di tenere la “nazione” (se così la vogliamo chiamare...) unita. Una passeggiata sulla lama del rasoio con poche speranze, passata a tentare equilibrismi prima tra le due sponde dell'Atlantico e poi tra oriente ed occidente, tra Mosca e Washington. Per cercare di ritagliare uno spazio di autonomia a quella sua italietta piduista con tanto di appendice coloniale centro-mediterranea.

Ma al momento della verità, quello della seconda discesa in campo con la fusione di AN e Forza Italia nel PDL (Si veda il post "Ci siamo"), il gigante dai piedi di argilla si è sgretolato. Il comandante si è trovato solo, tradito (come sempre nella storia) dai suoi luogotenenti siciliani, Gianfranco Miccichè e Raffaele Lombardo. Che oggi non lo stanno difendendo per niente. Anzi, cercano inciuci a sinistra quando potrebbero tranquillamente salvare il loro capo putativo stringendosi intorno ai “lealisti” del PDL ed all'UDC

Non si vuole però essere ipocriti. Le accuse lanciate contro Berlusconi sono sì completamente false. Ma noi in Sicilia abbiamo tutto da guadagnarci. Berlusconi è l'unico lembo di sistema che ancora ci trattiene legati a Roma. Presto i nodi verranno al pettine ed il futuro della Sicilia diverrà presente, nel bene o nel male.

Gli schieramenti sono quasi pronti. Gli ultimi accordi in Sicilia finiranno di isolare le residue velleità unitarie targate UDC e PDL lealista. Da sinistra nell'isola non hanno altra scelta se non quella di appoggiare l'attuale compagine governativa. Dopo si potrà andare alle elezioni.

Sicilia verso oriente, nord Italia stabilmente ancorato all'Europa centrale, dove Francia e Germania si stanno dividendo le spoglie di una UE arrivata al suo precoce capolinea. L'incognita vera è la posizione del Sud Italia. Ma solo nel breve termine.

Ci sono possibilità che qualcosa non vada per il verso giusto e che la Sicilia rimanga tra le grinfie europee? Tutto dipenderà da quanto Lombardo e Miccichè diventeranno ostaggio di certi ambienti del PD siciliano, vedi Lupo e Mattarella. Ma anche qui, il pegno di scambio potrebbe risiedere più nel Sud Italia che a Palermo: l'Europa potrebbe chiedere che si mantengano certe posizioni oltre faro in cambio di un lasciapassare per gli infidi siciliani.

Il programma di destabilizzazione dello stato italiano è entrato nelle sue fasi finali. Fino a quando Berlusconi ha accettato di svolgere la sua funzione di tramite per l'ingresso dell'oriente nel Mediterraneo ha goduto di qualche libertà. Ma tentando di conquistare un qualche potere vero alle scorse europee ha firmato la sua condanna.

Da parte nostra, non potremo che concedergli l'onore delle armi.

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domenica, novembre 29, 2009

Il generale ci va giù duro

Nel precedente articolo (“Un tacchino indigesto”) era stato citato un pezzo apparso sull'Economist del 21 novembre 2009 (“A regional cockpit”) che riportava la notizia di un incontro segreto tra i due maggiori rappresentanti del contingente di occupazione americano (il generale Raymond Odierno e l'ambasciatore Christopher Hill) ed il generale iraniano Qassem Suleimani, incontro smentito dai due protagonisti a stelle e strisce.

Chi vada a controllare oggi sul sito del settimanale inglese lo stesso articolo, troverà in cima un'avvertenza:

Editor's note: This is an abbreviated version of the story we published in the print edition of November 21st. For the background to the changes, see the article published in the issue of November 28th.

(Trad., Nota editoriale: Questa è una versione abbreviata della storia da noi pubblicata nell'edizione cartacea del 21 novembre. Per i retroscena dei cambiamenti, vedere l'articolo pubblicato nell'edizione del 28 novembre)

L'articolo del 28 novembre in questione (“Ci eravamo sbagliati?” - da notare il punto interrogativo...) spiega che “Il generale David Petraeus, al Comando Centrale americano, ha negato che l'incontro abbia avuto luogo in termini così energici ed inequivocabili” che la redazione ha “liberamente” deciso di rimuovere dal pezzo pubblicato in rete tutti i riferimenti al suddetto incontro.

Una “auto”-censura del genere spiattellata in modo tanto plateale al mondo intero, condita da quel punto interrogativo e da ulteriori dettagli che danno forza alla versione pre-censura (“Al nostro corrispondente a Baghdad è stato riferito di questo meeting, che si dice abbia avuto luogo all'inizio di settembre, prima da un politico iraqeno di primo piano con stretti legami con gli iraniani. Tutto questo è stato confermato da un ufficiale americano di alto livello [“senior”] nella posizione di sapere se un meeting di questo tipo avesse avuto luogo”) danneggia ancora di più l'immagine dell'amministrazione americana in Iraq.

Questa settimana alla redazione dell'Economist hanno poi deciso di rincarare la dose e sono andati in edicola usando armi più sottili:



La copertina illustrata sopra non poteva essere più dissacrante: essa mostra un Obama sconsolato in procinto di uscire a testa bassa dal Medio Oriente e dall'Asia centrale, dove la sua presenza è oramai solo un'ombra. Certo, l'insulto alla nuova amministrazione iraqena non manca: dal famoso lancio di scarpe anti-Bush abbiamo imparato che il mostrare una suola di scarpe è un grave insulto in quei paesi. Ecco perchè ora vediamo il piede di Obama piantato sopra lo stesso Iraq.

Qualche pagina più in là viene poi pubblicata la solita vignetta satirica (Originale qui):



Il primo soldato chiede “Perchè il presidente Obama prende così tanto tempo per annunciare il suo piano per l'Afghanistan?”. Dalla cima dell'Hummer l'altro risponde: “Forse perché la sua strategia di uscita doveva essere tradotta dall'originale Russo

Altra rivelazione? A prestare fede al vignettista gli USA starebbero per ritirarsi anche da li. Rimane da vedere se quell'“originale russo” sia da riferirsi solo all'epilogo della guerra lasciata a metà dai sovietici, o anche a qualche accordo di oggi con la Russia di Mevdev e Putin.

Questa voglia di “vuotare il sacco” dell'Economist suona strana, soprattutto se messa a confronto con la testarda insistenza del Financial Times a rimanere su posizioni oramai perse (vedi il titolo apparso sulla versione cartacea del 27 novembre scorso e sempre citato nel post “Un tacchino indigesto”: "L'emirato pagherà caro per un lungo tempo a venire", indirizzato agli arabi ribelli degli EAU).

Il ritiro americano dalla scena internazionale sta andando più o meno come si era anticipato in questo blog (si veda ad esempio il post “Pericolo di crollo”). A suo tempo, si era anche parlato di un possibile epilogo violento sul modello sovietico (si veda anche il post “Cime tempestose”). Queste “divergenze di vedute” manifestate “in termini così energici ed inequivocabili” continuano a spingere in quella direzione.


Una delle sezioni censurate dall'articolo incriminato. Nel riquadro, le richieste apparentemente fatte dagli americani agli iraniani (si veda il post "Un tacchino indigesto")

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venerdì, novembre 27, 2009

Un tacchino indigesto

Il 25 novembre 2009 sarà ricordato come una data storica nei nostri libri di storia. A termine di un discorso riguardante la situazione economica generale, il governo di Dubai ha annunciato che ritarderà il pagamento di una rata del debito di una delle principali aziende pubbliche dell'emirato, Dubai World.

La bomba è stata sganciata alla vigilia di una importante festività musulmana, motivo per cui le borse del medio-oriente sarebbero rimaste chiuse sino alla prossima settimama. Nel frattempo anche a New York le contrattazioni si sono interrotte per il giorno del ringraziamento (26 novembre). In altre parole, il tacchino a Wall Street quest'anno andrà di traverso a tutti.

E le ricorrenze non si fermano qui, perchè tra un altro paio di giorni negli Emirati Arabi sarà l'anniversario della fondazione della nazione (3 dicembre). Ma al contrario di come strillano i giornali da noi, che parlano di un collasso dello staterello, non è detto che i datteri vadano di traverso ai pii musulmani.
Qualche interessante particolare è stato aggiunto oggi:

Un ufficiale finanziario di Dubai di alto livello ha detto che l'emirato si aspettava pienamente la ricaduta a causa dei suoi problemi di debito ed ha assicurato i creditori stranieri che la richiesta di Dubai World di posporre il pagamento su una parte dei 60 miliardi di dollari è stata “attentamente pianificata” (Associated Press, 27 novembre 2009)

Un piano ben preciso quello di darsi la zappa sui piedi a pochi giorni da una ricorrenza tanto importante?

Nessuno si aspettava una tale svolta tra i grattacieli del DIFC (il centro finanziario di Dubai) o tra quelli delle borse di New York, Londra o Tokyo. Si era sempre stati sicuri che i ricchissimi vicini di Abu Dhabi avrebbero turato tutte le falle aperte dalle cicale della famiglia Al Maktoum (i regnanti di Dubai). Fino a l'altro ieri.

Il Financial Times, pieno di rancore, oggi se ne è venuto fuori con titoli minacciosi (“L'emirato pagherà caro per un lungo tempo a venire” il titolo sulla carta stampata per questo articolo, 27 novembre) ed ammettendo tra le righe si essere stato fatto fesso:

Che sia forse questo il modo di Abu Dhabi di vendicarsi di Dubai per gli eccessi degli anni del boom? Ne dubito. La rivalità tra i due emirati è meno importante delle implicazioni della caduta di Dubai. Il costo per assicurare il debito di Abu Dhabi è aumentato a seguito dell'annuncio di Dubai.

Il che vuol dire che proprio lo sceicco di Abu Dhabi, malgrado avesse con sè i soldi per pagare, deve aver favorito la decisione secondo una precisa strategia ed al culmine di un cammino che lo ha portato ad allontanarsi sempre di più dall'occidente, dopo secoli di oppressione inglese (gli EAU erano un protettorato inglese sino agli anni 70).

La vendita delle azioni della Barclays Bank, la banca dei Rockfeller, che ha quasi messo sul lastrico la potente istituzione finanziaria, il rifiuto ad accettare una moneta unica sul modello europeo imposta dagli anglosassoni a tutta la penisola arabica (se ne era già uscito l'Oman, si veda il post “Alla conquista della sovranitá”), l'accordo nucleare con i francesi ed il viaggio dello sceicco di Dubai a Mosca nell'aprile scorso, non possono lasciare spazio a fraintendimenti politici.

Ora la ribellione ha toccato l'apice, e gli arabi si rifiutano di pagare un debito loro imposto con la forza dalle elite finanziarie occidentali. Una minaccia che altri avevano ventilato, dall'Islanda, alla Grecia, all'Ungheria, ma che ad Abu Dhabi sono i primi ad attuare.

I contorni politici della vicenda sono ancora più eclatanti. Se decido di non pagare il mio estortore, vuol dire che me lo posso permettere, che ho la forza per fronteggiare le sue ritorsioni. In altre parole, l'impero è crollato e la grande ritirata è iniziata. Non è solo Dubai che non pagherà il suo debito. Presto tutti gli altri verranno a ruota a calpestare il cadavere puzzolente del mostro ed a spezzare le catene. Siamo liberi.

Le pezze messe a nascondere quello che oramai è sempre più evidente non bastano più. Gli Usa sono in piena ritirata dall'Iraq e presto lo saranno anche dall'Afghanistan.

L'Economist riferisce di un incontro segreto, smentito dalle autorità americane, tra le due più alte cariche statunitensi in Iraq (il generale Raymond Odierno e l'ambasciatore Christopher Hill) ed il generale iraniano Qassem Suleimani, il responsabile di tutte le azioni di contrasto alle aggressioni militari USA contro la repubblica islamica.

L'argomento di discussione, sempre secondo quanto riferito dal settimanale inglese, è clamoroso (“A regional cockpit”, 21 novembre 2009):

“Gli americano vogliono un un'uscita sicura, senza razzi di provenieza iraniana o bombe ai ai lati delle strade ad aiutarli a fare prima”

In pratica, gli americani avrebbero chiesto di non essere umiliati nella ritirata.

Anche la dissolvenza della minaccia infinita Bin laden e la sua rimaterializzazione nel reo confesso già in mano americana e prossimo al processo KSM (Khaled Sheik Mohammad) di cui abbiamo già discusso (si veda il post “Corso di fotografia”), sembra usare lo stesso linguaggio.

L'amministrazione di Washington deve giustificare all'elettore americano la ritirata dichiarando vittoria nella “guerra al terrore”. Processato il responsabile di tutti i mali, non vi è alcun motivo di continuare a spendere soldi (e vite umane) in Asia Centrale.

Il Mediterraneo dovrebbe seguire a ruota. Le increspature della decisione presa ad Abu Dhabi sembrano averci già raggiunto:

È stata revocata dall'amministrazione comunale di Niscemi, nel Nisseno, l'autorizzazione all'installazione del sistema di un'antenna per la telecomunicazione satellitare della marina militare americana al servizio della base di contrada Ulmo che sarebbe dovuta sorgere alla periferia del centro abitato.

Ansa di oggi, 27 novembre 2009.

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giovedì, novembre 26, 2009

Scienza esatta

Dopo aver avallato truffe quali il buco dell'ozono, la genetica (si veda il post “Ritorno a Camico”), l'estinzione dei dinosauri a causa di un meteorite, ed il riscaldamento globale, la fiducia nei confronti della scienza come soluzione dei problemi materiali e persino morali dell'uomo è entrata in una fase calante che potrebbe non vedere più alcuna risalita.

Tramite la statistica oggi lo scienziato può dimostrare di tutto. La statistica permette di piegare la realtà alle nostre voglie demiurgiche nascoste. Permette di creare una verità artificiale capace di accodarsi ai gusti del momento: se voglio dimostrare che i siciliani sono fessi, ne prendo cinque a caso e se tre hanno un quoziente intellettivo inferiore alla media il gioco è fatto.

E' su questa falsa riga che alcuni ricercatori delle università di Catania, Palermo e Messina, analizzando lo sviluppo di tumori tiroidei nella popolazione dell'isola , dopo aver creduto di constatare una maggiore incidenza nella città di Catania basandosi su rilevamenti fatti in un brevissimo e poco rappresentativo arco di tempo (2002 – 2004), hanno cercato di suggerire che la cosa sia da associare alla presenza del vulcano.

“I residenti della provincia di Catania con la sua regione vulcanica sembra avere una più alta incidenza di cancro tiroideo papillare che altre aree della Sicilia”: queste le allusive conclusioni del gruppo di stipendiati pubblici che senza prova alcuna mettono sul piatto nuovi allarmismi da aggiungere a quelli sui terremoti o sull'inesistente pericolo della febbre suina ampiamente usati dai media per seminare il panico tra la popolazione.

L'articolo è stato pubblicato dal Giornale del National Cancer Istitute (JNCI) di Oxford con il titolo “Papillary Thyroid Cancer Incidence in the Volcanic Area of Sicily” ed è stato subito ripreso dalla stampa internazionale con titoli che “opportunamente” esaltano la presunta connessione vulcanica: “Thyroid cancer may be more common near volcanoes” (Trad.: “Il cancro tiroideo potrebbe essere più comune vicino ai vulcani”, Reuters, 9 novembre 2009)

Ma sono gli stessi ricercatori ad ammettere che le conclusioni da loro stessi indicate non hanno alcuna evidenza scientifica: «Altre spiegazioni non possono essere escluse» ha detto Vigneri, uno del gruppo, aggiungendo anche che “Altri studi sono necessari per determinare quali siano i contaminanti dell'acqua potabile, se ve ne sono, che potrebbero essere coinvolti del aumento del rischio di candro tiroideo”.

L'unico dato che riescono a produrre a favore della loro spiegazione è che “In molti campioni di acqua potabile provenienti dall'area vulcanica abbiamo trovato che 4 metalli il composto naturale radioattivo radon 222 erano superiori alla massima concentrazione accettabile

Un po' pochino per poter lanciare allarmi di questo tipo e papparsi impunemente lo stipendio pubblico. Anche perché ci sono dei particolari forniti dalla stessa ricerca e che conducono in altre direzioni.

Ad esempio, l'incidenza di cancro alla tiroide appare in aumento. Malgrado il breve lasso di tempo considerato, l'articolo cerca di attribuire la cosa ad una migliore qualità dei controlli, ma l'impalcatura traballa lo stesso: l'Etna non è sbucata dal nulla in questi ultimi anni, e se le cause fossero davvero quelle suggerite, avremmo dovuto osservare invece un'incidenza stabile.

Il collegamento all'acqua potabile rende poi la cosa ancora più grottesca. A partire dagli anni 80 il consumo di acque locali è sicuramente diminuito a favore delle acque minerali imbottigliate provenienti dal nord Italia. Se il problema risiede negli elementi disciolti negli acquiferi vulcanici, pur nella maggiore media rispetto alle aree limitrofe, si sarebbe dovuta rilevare una diminuzione dell'incidenza: l'opposto di quanto osservato dagli “scienziati”.

Lo studio, che ha tra l'altro permesso ad uno dei più importanti periodici di divulgazioni scientifica (Scientific American) di titolare “La maledizione siciliana”, rivela anche una maggiore incidenza in città rispetto alle campagne. E questa è un altra stranezza: se la causa è il vulcano, che differenza c'è tra Catania ed il più minuscolo dei paesini etnei? E che differenza ci sarebbe tra Catania, le isole Eolie, Pantelleria o l'area iblea a cavallo tra Catania e Siracusa dove si trovano numerosissimi vulcani oramai estinti?

Se, come rilevato dal team, l'inquinamento industriale è da escludere, viene da chiedersi perchè non si sia proposto ad esempio il cambiamento delle abitudini alimentari avvenuto negli ultimi 10 – 15 anni, più marcato a Catania dove la Grande Distribuzione Organizzata è molto più diffusa che nel resto della Sicilia.

Ma la statistica in Sicilia non se la prende solo con i vivi. Anche i morti devono essere difesi.

Dopo aver “statisticamente” accertato che i Siciliani discendono dai fenici (si veda il post “Figli di”) , ora ci vogliono dire che i nostri antenati sicelioti adoravano il sole.

Un certo Alun M. Salt, in base alla constatazione che i templi ellenici della Sicilia al contrario di tutti gli altri tendono “statisticamente” ad essere orientati preferenzialmente verso est, ha concluso che questo sia stato un omaggio al sorgere dell'astro.

A dire il vero le premesse dello studio (“The Astronomical Orientation of Ancient Greek Temples”) sono interessanti, poiché sembrano indicare una qualche differenziazione tra sicelioti e greci: “Quindi ne concludo che le differenze tra gli allineamenti tra la Sicilia e la Grecia riflettono pressioni differenti nell'espressione dell'identità etnica

L'autore sembrerebbe affermare che culti precedenti in Sicilia abbiano potuto influenzare tale situazione. Ma come sappiamo, qualunque cenno ad una civiltà siciliana preesistente all'arrivo dei coloni greci deve essere bandita dai libri di storia occidentali. E così nel testo dell'articolo la spiegazione della frase diventa paradossale, tanto che il nostro dimostra una totale ignoranza del soggetto studiato:

L'auto-identificazione dei greci di Sicilia come greci che vivevano all'estero potrebbe aver provocato una aderenza agli ideali greci come imperativo per assicurare sia se stessi che i visitatori dalla madrepatria che il fatto che fossero lontani non li faceva meno greci.

I fatti dicono che invece i sicelioti (o greci di Sicilia) tendevano ad evidenziare il più possibile le loro differenze culturali con i greci veri. Basta ricordare la famosa frase pronunciata da Ermocrate, stretega siracusano, durante la guerra del Peloponneso nel 424 a.c. : “Ne ioni, ne dori, ma siciliani”. Quel voler “assicurare” se stessi ed i visitatori della loro grecità, sa tanto dei moderni colonizzati siciliani che sventolano le loro vuote bandiere tricolori negli stadi. Un'immagine che poco si addice ai Siciliani di allora che sconfissero Atene.

Questa dunque sarebbe la causa dell'allineamento solare: “Se vivi in Grecia, non hai bisogno di provare la tua identità greca e la tua religione” ha detto il dottor Salt, “Se vivi all'estero, potresti sentirti meno sicuro della tua identità greca e potresti sentire il bisogno di fare le cose seguendo ancora di più le tradizioni.” (“Ancient Greek worshippers showed inclination towards the Sun”, TimesonLine, 19 novembre 2009)

Anche a voler accettare la teoria del siciliano più greco del greco, a mister Salt l'idea che l'orientamento potrebbe essere quello perchè è ad oriente che si trova la madrepatria, più che il sole, non viene in mente.

No. Mr. Salt, in base alla sua legge statistica crede di poter dire quello che gli pare malgrado, come lui stesso ammette, altri propongano teorie molto meno traballanti ma che avrebbero implicazioni esplosive per i nostri libri di storia:

I templi greci in Sicilia sono chiaramente greci nello stile, ma erano usati in maniera greca o per caso i siciliani usavano l'architettura greca per costruire templi per culti locali come fecero i romani?

Questa è la domanda che altri studiosi si pongono (vedi pubblicazioni 13 e 14 nei riferimenti bibliografici della pubblicazione, disponibile anche in pdf). O in altre parole, forse esisteva già una civiltà in Sicilia che subì l'influsso ellenico ma che lo plasmò per adattarlo alle proprie credenza: i templi “greci” di Sicilia, furono costruiti dai greci o dai.... Siciliani? Il pensiero corre ai templi di Selinunte e di Segesta, piazzati in un territorio storicamente molto poco Greco.

I ricercatori delle università di Catania, Palermo e Messina ci potranno poi dire se anche quei siciliani che costruivano i finti templi greci soffrivano di cancro alla tiroide oppure no.

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