Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

venerdì, maggio 25, 2007

Storia: da dove vengono i Siciliani?

Il confine tra storia e preistoria più che una linea retta è una curva irregolare che segna l'orizzonte che i popoli attraversano quando incominciano a lasciare una testimonianza scritta degli eventi che si succedono all'interno delle loro comunità.

Questo 'attraversare' non è stato temporalmente omogeneo per tutte le civiltà, ma sfasato a tal punto che ancora nel XXI secolo esistono gruppi umani che non lo hanno ancora varcato, nell'Amazzonia come nel Papua. Da qui l'irregolarità di questo confine.

Gli accadimenti della preistoria non sono stati fino ad oggi ricostruibili tramite fonti dirette, i lasciti cioè delle stesse comunità preistoriche, ma attraverso i racconti di popoli più avanzati (nel senso di possedimento di un alfabeto) che furono testimoni degli aventi o che raccolsero tradizioni orali di fatti più lontani nel tempo.

E' questo il caso delle popolazioni italiche e sicule che abitarono i nostri suoli in età preistorica: la loro storia è stata ricostruita tramite gli scritti di genti alfabetizzate provenienti da oriente, siano esse micenee, fenice o quelle comunemente indicate come 'greche'.

Prendiamo allora il caso delle civiltà più rappresentative di questa Italia/Sicilia preistorica: gli etruschi ed i siculi. Per la verità gli etruschi possedevano un alfabeto, ma la mancanza di documentazione in quella lingua ci costringe a tornare ad usare le fonti greco-latine.
Gli storici greci ci raccontano l'origine di ambedue: i Siculi (insieme ai Sicani ed agli Elimi) sarebbero popolazioni provenienti dalla penisola migrate a sud in tempi diversi. Gli Etruschi sono invece da identificare con i Tirreni e proverrebbero dal medio-oriente.

Ovviamente gli autori classici potrebbero non essere precisi, per cui un attento studio sulle fonti (anche archeologiche) deve essere compiuto prima di accettarne la correttezza. La storiografia ufficiale moderna ha infatti ritoccato queste teorie, ma in modo strano: mentre nel caso dei siculi ha dato per scontata l'origine extra-insulare ed è andata a cercarsi da dove tali popolazioni potessero essere giunte (Iberia, Liguria, e chi più ne ha, più ne metta), nel caso degli Etruschi ha prima messo in dubbio l'identificazione con i Tirreni (finché ha potuto) e ha poi dibattuto circa l'origine medio-orientale degli stessi andandosi a cercare una strana 'generazione spontanea' sull'italico suolo.

La moderna archeologia ha oggi raggiunto un grado di dettaglio e di precisione impensabile fino a pochi decenni fa. La mole di dati accumulati permette di effettuare analisi e creare modelli comparativi capaci di ricostruire movimenti e mutamenti che coinvolgono aree anche abbastanza vaste, così da aiutare lo storico a riscrivere o correggere quelle fonti che mancano o perché appunto non furono mai scritte o perché non sono riuscite a superare l'ostacolo del tempo che ci separa da esse.

Rosa Maria Albanese Procelli, una ricercatrice originaria di Piazza Armerina, si è occupata di raccogliere una incredibile montagna di dati per lo più archeologici che riguardano le popolazioni siciliane preistoriche in un libro divulgativo (Sicani, Siculi, Elimi. Forme di identità, modi di contatto e processi di trasformazione, Longanesi, 2003) arrivando a delle conclusioni veramente sbalorditive.

Secondo la studiosa infatti Siculi, Sicani ed Elimi... non sono mai esistiti! Ma attenzione, non sono mai esistiti nel senso 'greco' del termine. In pratica, le testimonianze archeologiche oggi ci direbbero due cose fondamentali (il condizionale è dovuto, secondo l'autrice, al fatto che i dati per quanto importanti, non possono ancora dirsi conclusivi):

1) Non vi è alcuna discontinuità nei dati archeologici sin dalle più antiche testimonianze di presenza umana in Sicilia. In parole povere, se migrazioni vi furono, non coinvolsero intere popolazioni, ma al massimo gruppi familiari. Quando i greci arrivarono in Sicilia, gli indigeni si trovavano lì già da millenni (da sempre, potremmo dire). I motivi che condussero a propagandare una migrazione recente dall'esterno potrebbero essere stati 'politici', volti cioè a giustificare l'occupazione di determinati territori (niente di nuovo sotto il sole...).

2) Stando sempre ai ritrovamenti archeologici, non risulta alcuna differenza 'etnica' sostanziale tra le popolazioni di area Elima, Sicula o Sicana: anche qui la classificazione greca sembra più riferirsi ai contatti con l'esterno, che a reali differenze anche culturali. I Siculi sarebbero quindi i siciliani alleati dei greci, gli Elimi quelli alleati con i Punici (Elimo sarebbe un termine dispregiativo in greco) ed i Sicani quelli ancora da 'acculturare'.

Anche l'idea di 'colonizzazione greca' deve essere presa con le pinze. Il nostro humus culturale moderno, quando sentiamo la parola 'colonizzazione' ci porta subito alla mente le Americhe. Duemila anni fa la situazione era alquanto diversa poiché tra Greci e Siciliani non vi era una sostanziale differenza dal punto di vista tecnico, ma solo culturale. I due gruppi di mescolarono senza che si verificasse una vera sopraffazione: non sono rari i casi di città sicule all'interno delle quali risiedevano poche famiglie greche perfettamente integrate nel tessuto sociale indigeno.

Certo l'elemento più forte era quello Egeo, per cui si arrivò ad una ellenizzazione della Sicilia. Sicuramente anche con scontri (vedi il desiderio di autonomia impersonato da Ducezio), ma senza le apocalittiche vicende d'oltre oceano. Per usare le parole dell'autrice: “l'acculturazione produce una sorta di livellamento progressivo dei caratteri distintivi delle culture locali, fino ad instaurare una sorta di koinè culturale che non è ne greca né indigena, ma ha nuovi caratteri”.

Quando finalmente si decideranno a fare un'analisi genetica dei siciliani, scopriranno che i geni dei primi abitanti della Sicilia sono ancora dentro di noi, che siamo il prodotto di un mescolamento di civiltà senza eguali e non i figli bastardi di qualche invasore venuto da lontano, come dice la storia italiana.

Ma avevamo parlato anche degli Etruschi: i tosco-laziali hanno tanto rotto le scatole con questa storia del mistero che avvolgerebbe l'origine dei loro antenati, che l'analisi genetica gliel'hanno fatta veramente. Risultato, gli Etruschi con tanto di capre e cavoli (hanno analizzato anche il dna delle loro mucche, tanto per non sbagliare, ed i risultati sono stati identici) provengono dal Medio-oriente. Proprio come dicevano i greci. Non per niente in Toscana è nata anche la legge del contrappasso.
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giovedì, maggio 24, 2007

Elezioni 2007 (2): ...ed uno che tenta di tornare al potere.

Il sistema di potere che ha governato l'Italia dal secondo dopoguerra ad oggi si è sciolto come neve al sole non appena le prime falle cominciarono ad aprirsi nel muro di Berlino: l'Italia repubblicana infatti non è altro che una creazione posticcia della guerra fredda, quando Stalin si oppose alla fondazione di una Repubblica Siciliana al centro del Mediterraneo, repubblica fortemente voluta dai siciliani stessi ed inizialmente appoggiata dagli americani.

Per tenere unita questa nazione inesistente si inventò la democrazia Cristiana. La Democrazia (quella vera, maiuscolo) in realtà non resse che per breve tempo. A poco a poco si misero tutti d'accordo “all'italiana” sino alla formazione del pentapartito che in pratica veniva a dire una oligarchia senza opposizione.

Poi massoni e comunisti credettero di riuscire ad accaparrarsi tutta la torta alla caduta del muro di Berlino distruggendo la DC, ma un guastafeste bloccò tutto. Nessuno dei due blocchi è però riuscito ad imporre un nuovo sistema di potere, per cui da allora l'Italia continua a scivolare verso l'anarchia, prima lentamente ora sempre più velocemente. Questa situazione precaria di anarchia si sente maggiormente nelle zone dove già il potere dello stato democristiano era labile, mantenuto tramite un sistema di corruzione e violenza volgarmente conosciuto come 'mafia', e cioè in Sicilia.

Questo preambolo è necessario per capire bene quello che è successo in queste elezioni siciliane. L'MPA ha finalmente rotto gli indugi e dichiarato il suo obbiettivo: quello di riformare un partito nazionale di centro ad ispirazione cattolica e ruotante intorno all'alleanza atlantica: praticamente una nuova DC.

All'indomani del voto infatti l'On. Pistorio, il più fidato vassallo dell'On. Lombardo, dichiarava in diretta a Telecolor rivolgendosi ad un esponente dell'UDC che 'noi dell'MPA non abbiamo mai ripudiato le nostre origini ideologiche (cioè democristiane, ndr)' e che le alleanze con l'UDC sono da considerarsi naturali ed ovvie, visto che si sta lottando per gli stessi valori. L'unica cosa che l'MPA vuole portare in dote è l'autonomia decisionale dai centri romani. L'obbiettivo dell'MPA è quindi quello di creare una nuova DC, apparentemente con la testa in Sicilia.

Il resoconto di questo discorso è stato ripreso ed approfondito da Andrea Lodato, giornalista estremamente esperto dei fatti della politica catanese e siciliana, sulle pagine de La Sicilia il giorno dopo (16 maggio): significativamente l'articolo positivamente dedicato sin dal titolo all'autonomia politica di cui parla Lombardo ('cominciate le prove tecniche di grande centro autonomista') non è incluso nella rassegna stampa pubblicata nella colonne di destra della pagina principale del sito dell'MPA.

I risultati sembrano dare ragione a Lombardo, visto che il centro ha raggiunto un incredibile 35% e già all'interno di UDEUR e Margherita qualcuno incomincia a prendere nota (vedi i soliti Latteri e Piscitello). L'MPA al momento però si trova in una situazione scomoda, diciamo con il piede in due staffe: quella del sicilianismo e quella democristiana. I risultati elettorali, ed in particolare la debacle a Caltagirone, ad Agrigento ed a Gela in un pur positivo risultato complessivo, devono aver fatto capire al politico di Grammichele che la staffa sicilianista era stata spremuta al massimo e senza azione non si poteva rischiare di più.

Certo è ancora presto per abbandonarla del tutto: la rifondazione della DC si presenta irta di ostacoli (i nemici sono ovunque: a Bruxelles come in Confindustria) e potrebbe rendersi necessaria una ritirata nei territori più sicuri e consolidati del rivendicazionismo isolano. Le elezioni in penisola potrebbero darci delle indicazioni da subito.

Ma alla fine, in soldoni, cosa viene a dire tutto questo per la Sicilia?

  • L'MPA non è un partito sicilianista, ma democristiano, seppur con la 'testa' in Sicilia. Questo significa che il Movimento per l'Autonomia non porterà niente di nuovo in politica, bensì continuerà a governare come faceva la DC e soprattutto non si farà mai carico di lottare per l'applicazione dello Statuto.
  • La formazione di una struttura politica nazionale con il comando nelle salde mani dei siciliani potrebbe non essere del tutto negativa. Le passate esperienze portano però a temere per il peggio.
  • L'unico modo per fare uscire la Sicilia dal tunnel è la crescita di un vero partito sicilianista, che non sia necessariamente di maggioranza ma che possa attestarsi almeno su un 5 – 10% di consensi nell'isola. Questo consentirà un ricambio alla funzione di 'guardia' dell'Autonomia che tale partito dovrebbe avere. Un partito nazionale manterrà la sua testa in Sicilia solo fin tanto che i suoi vertici non cambieranno. Poi torneremo punto e a capo con il vecchio sistema di asservimento agli 'interessi nazionali'.
  • In teoria le forze in campo per creare questo partito sicilianista ci sono già. Purtroppo però non si vede all'orizzonte una reale capacità aggregativa di queste forze, a causa di interessi personali e gelosie ideologiche. La scesa in campo de L'Altra Sicilia potrebbe essere un catalizzatore. I voti (secondo alcuni pochi) racimolati a Palermo non dovrebbero essere fonte di scoraggiamento: anzi. I (circa) 1000 voti raggiunti senza mezzi economici debbono essere di sprone per costruire qualcosa che abbia delle basi più solide e non crolli al primo sgambetto.

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mercoledì, maggio 23, 2007

Elezioni 2007 (1): Tra un sistema che sta per crollare...

Questo mese di maggio è stato caratterizzato da importanti tornate elettorali di portata europea in tre tra i maggiori stati della comunità (Francia, Gran Bretagna ed Italia). Per la verità la tornata italiana non è ancora terminata, ma le amministrative “al di là del faro” serviranno al massimo da banco di prova per quello che è successo in Sicilia, per cui se ve ne sarà bisogno ne parleremo a tempo debito.

Le elezioni francesi non hanno portato niente di nuovo sul panorama politico: la bocciatura della costituzione non ha favorito il coagulo dell'area euroscettica intorno a Le Pen, anche se la destra vince assorbendo alcune delle istanze del leader di destra. L'importanza per lo più locale dei risultati delle prossime votazioni nel resto d'Italia rispetto alla ribollente situazione siciliane sembra fare eco alla altrettanto pochezza di contenuti politici delle parallele elezioni amministrative inglesi rispetto agli epocali risultati scozzesi e gallesi.

La Gran Bretagna, per la sua stessa struttura costitutiva, è forse il principale laboratorio politico dove osservare i vagiti di quello che sarò il nuovo ordine continentale che nascerà dal “falò delle nazioni” acceso involontariamente dal processo di svuotamento di poteri degli stati ottocenteschi a favore di Bruxelles. Dall'altra parte la storia ci insegna che certi “movimenti” continentali hanno sempre avuto dei precursori al centro del Mediterraneo, in quella Sicilia dove i moti del 1848 ebbero la loro più efficace espressione e di cui già 25 anni prima si erano avuti i sentori.

Non sarebbe azzardato assegnare alla guerra secessionista siciliana degli anni '40 del '900, ed ancor più all'indipendenza irlandese del 1916, un carattere di forte avanguardia rispetto a quello che ora sembra un processo irreversibile. Per questo credo che ciò che avviene alle nostre latitudini ed a quelle d'oltremanica debba essere osservato con attenzione.

Vediamo prima di trattare i fatti britannici.

Nel Regno Unito si è andati alle urne il 3 maggio. In Inghilterra per le amministrative, in Scozia e nel Galles anche per eleggere i nuovi deputati al parlamento (nella prima) ed all'assemblea (per il secondo).

La stampa britannica, ed un po' anche quella internazionale, hanno presentato i risultati come una sconfitta per i laburisti. Se ciò può anche essere vero in Inghilterra, altrove più correttamente si sarebbe dovuto parlare di vittoria dei nazionalisti, i quali per la prima volta nella storia sono diventati il primo partito in Scozia , mentre nel Galles il partito nazionalista (Plaid Cymru) è avanzato di circa 7 punti percentuali, ottenendo 15 posti nell'assemblea (25%).

La cavalcata dello Scottish Nationalist Party (SNP) è stata impressionante, specialmente negli ultimi 15 anni, quando prima è riuscito ad ottenere da Londra un parlamento per la Scozia, poi ha incalzato pesantemente i laburisti (da sempre primo partito a nord del muro di Adriano) in diverse tornate elettorali, ed ora li ha scavalcati con una proposta secca che ha lasciato poco spazio a fraintendimenti: indipendenza totale.

Mister Salmond, leader dell'SNP, è il nuovo primo ministro ad Holyrod ed anche se non riuscirà a governare da solo, ha già mandato un brivido freddo lungo la schiena dei liberal-massoni e delle multinazionali che ingolfano lo sviluppo della Comunità Europea e che credevano di avere la strada aperta verso un semplice scioglimento dei vecchi stati nella nuova realtà continentale: in campagna elettorale l'SNP ha avuto il sostegno delle aziende a dimensione prevalentemente locale, mentre i laburisti ottenevano sponsorizzazioni da aziende mediamente più grandi, le quali non riuscirebbero mai a competere con le prime in un mondo in cui i gusti della gente fossero legati a linee per così dire “etniche”.

L'indebolimento degli apparati centralizzatori ottocenteschi ha invece favorito il ritorno sulla scena delle identità dei popoli che sempre hanno lottato per la loro autonomia e che erano stati momentaneamente sconfitti all'insorgere della rivoluzione industriale.

In Galles le increspature provenienti da nord stanno cominciando a sentirsi. Per i nazionalisti gallesi basteranno come campagna elettorale per i prossimi anni i successi dell'SNP. Se Salmond dovesse riuscire ad ottenere veramente i campionati di Euro 2012 tutti per la Scozia, si potrà dire addio all'Act of Union da subito. Altrimenti ci sarà da aspettare le prossime elezioni. Ma non dubitate: la strada è segnata.

Cosa risponderanno in Europa? Napolitano, quasi abbia visto minaccioso il fantasma di Crispi, continua ad abbaiare alla luna proponendo di approvare la costituzione europea senza referendum, in barba alle regole democratiche. Per il resto il colpo assestato sembra aver annebbiato tutti.

Nel frattempo all'altro estremo del continente, al centro del Mediterraneo, si continua a sentire il ribollire di un altro popolo ferito ma ancora non interamente domo.

Sitografia (in inglese):
Sottish national Party (SNP)
Plaid Cymru (Partito Nazionalista Gallese)
Pagina della BBC dedicata alla Scozia
Pagina della BBC dedicata al Galles
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giovedì, maggio 17, 2007

Ma che ci andiamo a fare ad Empoli?

Vi ricordate il post di qualche mese fa, "Una serie A con 20 squadre siciliane"?

Molti di quelli che lo hanno letto hanno pensato che fosse solo una provocazione, le persone con le quali ho parlato quasi scoppiavano a ridere.

Comunque, il succo era che visto che lo sport professionistico è un fattore più che altro economico, e visto che oggi non vi è alcun ritorno economico o di immagine per Palermo o Catania andando a giocare ad Empoli o in quel paesetto di provincia che è Parma, mentre conta avere una o due squadre in Europa, basta fare un campionato siciliano per ottenere il risultato desiderato.

Ecco il pensiero del Presidente del Napoli, De Laurentis, a tal proposito, tratto dal sito di gazzetta.it:

De Laurentiis ha poi rilanciato il suo progetto di un campionato europeo, sul modello della Nba. "Dovremmo fare un campionato dove nessuno sale e nessuno scende - sostiene -, siamo gli Stati Uniti d’Europa. Nell’Nba i migliori giocatori vanno anche all'ultima in classifica: il Napoli deve poter giocare con il Paris SG, la Dinamo Kiev e il Real Madrid. Il basso profilo che noi viviamo in Italia non mi va giù. A noi deve interessare la Champions League, non lo scudetto".

Ma allora una serie A con 20 squadre siciliane (diciamo che ne basterebbero 10...) non è poi un'idea così tanto campata in aria...
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mercoledì, maggio 16, 2007

Il falò delle nazioni

Prima ancora di fare un consuntivo dettagliato della recente tornata elettorale amministrativa, lasciamo che i fatti si sedimentino a poco a poco sul fondo del marasma che ogni campagna pre e post-elettorale per forza di cose crea e vediamo di fare un giro di ricognizione dall'alto della situazione generale della nostra isola-nazione.

Dopo i fatti orchestrati a Catania il 2 febbraio, diverse testate nazionali si sono sbizzarrite ad accusare i siciliani di arretratezza, a loro dire essendo gli scontri frutto di istinti atavici. A tutto lo sbraitare di quei giorni rispondeva però con ironica calma, prima dalle pagine de Il Foglio, poi durante il teatrino serale di Giuliano Ferrara, lo scrittore catanese Ottavio Cappellani (Sicilian Tragedi il suo ultimo libro).

Egli sosteneva in modo assolutamente convincente che non di arretratezza si trattava, bensì di un precorrere i tempi: la Sicilia si troverebbe in una situazione di degenerazione avanzata di un sistema che oramai sistema non è più. Una posizione verso la quale tenderebbe tutta l'Italia e l'Europa, ma che a nord del faro non si realizzerà che tra qualche decennio. Cioè quando (aggiungiamo noi) a sud del faro un altro sistema non si sarà già consolidato.

Il sistema di terrore mafioso-politico che ha tenuto sotto controllo l'isola dal secondo dopoguerra sino agli anni '90 del secolo scorso è crollato, almeno nella sua componente più violenta, conseguentemente al crollo del muro di Berlino ed all'operazione di 'mani pulite'. Oggi assistiamo come ebeti a resoconti di operazioni di polizia nei quali si arrestano boss mafiosi a decine, dove si parla di pizzini di carta che reggerebbero le sorti di milioni di persone, di capi dei capi che si scambiano il testimone ad ogni cambio di brezza.

Insomma, assistiamo come ebeti ad un mucchio di balle senza capo ne coda mentre poi dalle dichiarazioni dei redditi risulta che Napoli è tra le città più ricche d'Italia (intorno alla 30ma posizione) e Rimini tra le più povere (100ma!).

Il sistema quindi sembra veramente impazzito, ed altri indizi venuti fuori da queste elezioni c'è lo confermano ancora di più.

Si parte dalle folli e furiose parole di Orlando, candidato di sinistra che addirittura chiede la polizia nei seggi in stile diremmo garibaldino-plebiscitario, o più prosaicamente fascista (non fraintendetemi: sono sicuro che i brogli elettorali siano oramai pane quotidiano in Italia, da una parte e dall'altra). Si continua con un voto oramai impazzito, con percentuali di disgiunzione prossime al 10% nei comuni più importanti che evidenziano come i candidati vincenti siano dei non-candidati, cioè delle belle facce messe sullo schermo mentre dietro gli amichetti si dividono la torta.

Si passa poi attraverso il numero incredibile di candidati con liste che raggiungono percentuali risibili ma che poi in totale fanno numeri importanti. Sino alla totale schizofrenia di un comune (Lampedusa) che elegge a vicesindaco una leghista e per giunta (aggiungiamo senza ironia) con merito.

Nel frattempo ne approfittano i "gruppetti di potere", come quelli che reggono le sorti del centrodestra, mentre dall'altra parte le sinistre, non riuscendo ad opporre niente di concreto, fanno di tutto per perdere con il maggior danno collaterale per il nemico (vedi accuse di mafia).

Una società malata in preda alle metastasi, alcune delle quali raggiungono l'assurdo come ad esempio quelle di http://www.autonomiasiciliana.it/ che, annoverando anche alcuni nomi conosciuti, vogliono legalizzare l'eutanasia uccidendo un malato (l'Autonomia siciliana) perché sinora non sono stati capaci di curarlo a causa della loro stessa incompetenza e non sopportano più di vedere davanti ai loro occhi la prova della loro inettitudine.

Ma la storia va avanti e non sarà di certo fermata dagli sciacalli. Sul nulla in cui ora navighiamo nascerà un nuovo ordine, sul quale dobbiamo intervenire se vogliamo in qualche modo contribuire a plasmarlo da siciliani. E dobbiamo riuscirci prima che in questo nulla ci raggiunga il resto della penisola, fabbrichette del nord comprese: il suo destino è oramai segnato.

Certo sarebbe importante capire se questo vuoto è dovuto ad una crisi locale, del sistema-Italia cioè, o è veramente lo stadio avanzato di un falò che presto brucerà in tutta l'Europa e l'occidente. Vedremo.
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martedì, maggio 15, 2007

Beata ignoranza

L'Osservatorio per la tutela dell'immagine della Sicilia ha recentemente posto l'accento su un altro scempio della storia e della cultura siciliane perpetrato dallo stato con i nostri soldi.

L'ennesima inutile fiction RAI girata in Sicilia (forse ci chiederanno anche di ringraziarli per i posti di lavoro elargiti localmente e per i turisti che verranno a verificare di persona le stronzate viste sul piccolo schermo) questa volta è dedicata alla Baronessa di Carini che come hanno già anticipato sulla stampa nazionale verrà teletrasportata all'800 e salvata dal più famoso ladro di cavalli della storia (Giuseppe Garibaldi).

Anche volendo ammettere la licenza poetica per tutto il garibaldume risorgimentale che cercano di farci ingoiare a forza, vi è un altro elemento che non può essere giustificato neanche ammettendo la necessità di creare dei miti nazionali (come appunto il Garibaldi) ad uso e consumo degli insegnanti di storia patria. E questo è proprio l'apparizione dei Beati Paoli nella vicenda, impegnati nella creazione di quella società 'segreta' che diventerà poi la mafia.

Ma chi sono veramente (o meglio, chi erano) i Beati Paoli? Qual'è la loro storia? Di cosa parla il romanzo a loro dedicato da Luigi Natoli? Sì, perché sembra che di questi Beati Paoli tutti ne parlino, dai professoroni dell'antimafia sino al pescivendolo sotto casa nostra, ma pochi sappiano veramente fornire date e luoghi.





L'immagine riportata è tratta dalla fiancata di un carretto siciliano dei primi decenni del 900 e ritrae uno dei protagonisti del romanzo di Natoli (Blasco da Castiglione). Questo ci può dare una idea di quanta diffusione ebbe il romanzo in tutti gli strati sociali del popolo siciliano. Un romanzo però non è la realtà, e quindi sarebbe interessante capire le basi storiche usate dal Natoli per la descrizione della famosissima setta.

Tali basi storiche non sono altro che una striminzita nota lascitaci dal Villabianca nei suoi 'Opuscoli palermitani', nota che raccoglie semplicemente alcune tradizioni orali popolari. Non esiste quindi alcuna testimonianza storica dell'esistenza della setta. In più pare che anche il nome non sia altro, secondo il Pitrè, che una derivazione del nome del santo S. Francesco di Paola, santo estremamente venerato in Sicilia. I Beati Paoli non è quindi un nome proprio, ma una specie di aggettivo popolare, con il quale si descrive una certa categoria di persone.

Non ci sono dunque base storiche certe o indizi di alcun tipo che possano assicurarci che tale setta sia esistita. Stranamente però, mentre la nostra storia è stata fatta scomparire dalle pagine di questa pseudo-nazione italiana, il romanzo di Natoli è diventato di per se stesso storia, così da fornire le basi sociali, storiche e genetiche per accusare il popolo siciliano di inferiorità razziale e giustificare il segregazionismo al quale è sottoposto.

Possiamo dire che la leggenda dei Beati Paoli (che potrebbero o no essere esistiti, non lo possiamo stabilire con certezza) non è altro che la pietra filosofale o il magico unicorno dei professoroni dell'antimafia; una leggenda che è servita a tenere in vita una classe di ciarlatani ed imbonitori che vivono sulle spalle degli altri.

Ma torniamo al romanzo e vediamo che cosa sia effettivamente e di cosa tratti il racconto del Natoli. Partiamo dal sottotitolo:

'Grande romanzo storico siciliano'

I Beati Paoli, secondo lo stesso autore, è un romanzo storico. Un racconto che, come la più famosa opera manzoniana, intreccia dei fatti immaginari su uno sfondo storico e culturale ben delineato ed attento al susseguirsi di eventi reali che interferiscono in continuazione con le vicende dei protagonisti.

Il Natoli pone però anche l'appellativo di siciliano, ad indicare lo spazio culturale entro cui la sua creatura letteraria cresce e si nutre. I protagonisti del romanzo non sono allora i Beati Paoli, ma i siciliani e la loro storia che negli anni in cui la vicenda si svolge, a cavallo dei primi del settecento, videro la loro patria attraversata da una corrente di sommovimenti di portata epocale: dalla controversia liparitana, al breve ed inviso interregno sabaudo, alla proclamazione di Carlo VI a re di Sicilia.

Un susseguirsi di eventi che viene proposto in verità dal punto di vista forse cinico, ma sicuramente disincantato, dei siciliani come una specie di “business as usual” testimoniato dalla immagini della nobiltà e del popolo che insieme vanno ad osservare l'assalto ad un forte o ad un castello durante la guerra con la stessa noncuranza con cui passano da una incoronazione all'altra, ma sempre trepidanti nell'attesa che quella possa essere l'incoronazione che possa riportare il Regno di Sicilia alla grandezza che gli compete, con una corte che sieda nei palazzi reali di Palermo e non in qualche penisola lontana (spagnola o italiana che sia).

Per questo motivo ritengo lecito pensare che l'apposizione 'siciliano' usata dal Natoli sia, anche nelle sue intenzioni, una forma breve per 'popolo siciliano'. E questo può facilmente essere 'sentito' da chiunque legga l'opera. Beh, da alcuni sentito con ardore, da altri con sommo fastidio. Riducendo i Beati Paoli ad un racconto di mafia, praticamente si riduce a mafia la storia del Popolo Siciliano, la quale, leggendo le scorrevoli pagine del libro appare in tutta la sua incredibile complessità e magnificenza.

Gli indizi che ci indicano come il Natoli si rivolga al Popolo Siciliano sono disseminati ovunque: dalla scelta di calcare la mano sull'incapacità a governare dei Savoia, all'astio del popolo nei loro confronti, alla scena in cui Blasco senza difficoltà sconfigge in duello 3 ufficiali piemontesi contemporaneamente, all'appellativo di 'compatriota' riservato ad una ragazza siciliana incontrata a Tunisi dal protagonista, solo poche righe dopo aver definito come 'straniera' una nave veneziana.

E veniamo ai Beati Paoli. Anche ammettendo che le cose siano andate proprio come descrive il Natoli, può nelle sue pagine essere rintracciato qualche spunto che ci riconduca a quella che i falsari peninsulari descrivono come una “realtà siciliana”, e cioè la mafia? Ecco un brano che può dirci qualcosa in proposito:

'I Beati Paoli avevano le simpatie di quel popolo incline ad ammirare tutto ciò che aveva del meraviglioso o che era un segno di ribellione alle autorità, delle quali esso non conosceva che i rigori e le violenze. Agli occhi suoi, la setta esercitava un ufficio di giustizia vendicatrice a favore dei deboli, ed era quindi la sua naturale e legittima difesa.'

Più che spiegare come la mafia avesse radici profonde in Sicilia (cosa che non ha), semmai il libro spiega come mai tra gli anni 70 ed 80 del '900 alcune 'aree' della società isolana abbiano frainteso la mafia come un qualcosa di avverso all'autorità di uno stato (tutt'oggi) rigoroso e violento. Tale fraintendimento, sul quale hanno a sua volta avuto gioco facile i finti fraintendimenti di storici e sociologi di ogni risma, è però durato il tempo di accorgersi che più che un avversario del regime, la mafia era un suo forte alleato: un lampo che fulminò tutti noi nel momento stesso in cui fu assassinato Lima.

Anche è da prendere in considerazione che le 'società segrete' insieme al mito dell'eroe che difende la povera gente dai soprusi degli aristocratici hanno sempre affascinato i popoli attraverso romanzi e leggende. Ricordiamo Robin Hood o D'Artagnan. Lo stesso dicasi per il topos dei 'sotterranei' (ad esempio I misteri di Parigi, ma anche un qualsiasi fumetto di Dylan Dog). Quello che non si capisce è come mai se il popolo francese legge I Misteri di Parigi, ne conseguono (dicono i pedanti) le eroiche barricate del '48, mentre se i siciliani leggono I Beati Paoli, sono mafiosi.

Ed infine, che la mafia sia una società segreta non ci sono indizi a dimostrarlo, visto che tutti sapevamo chi comandava e dove. Per chi ha vissuto gli anni 80 in Sicilia, non vi è mai stata società meno segreta della mafia.

Ma veniamo all'epilogo: cosa ha fatto sì che I Beati Paoli diventasse un romanzo di mafia? Rispondiamo brevemente: l'ignoranza. L'edizione della Flaccovio del racconto del 1986 riporta una introduzione di Umberto Eco che all'inizio recita così:

'(...)leggerlo (...) per la non poca luce che getta su episodi storici ignorati ai più (e a quanto pare non del tutto estranei alla realtà contemporanea dell'isola).'

e più in là aggiunge:

'Che “I Beati Paoli” siano o no il racconto degli antecedenti storici della Mafia, etc. etc.'

Ignoranza ingiustificabile quindi dei più, che sconoscono elementi fondamentali della storia d'Italia e d'Europa, e del pedante che ha scritto questo finto saggio senza neanche sapere di cosa stava parlando, visto che la setta dei Beati Paoli è l'unico elemento del romanzo la cui storia è interamente inventata dall'autore.
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venerdì, maggio 11, 2007

Partita facile

Leggete questo articolo apparso oggi sul sito de La Sicilia, soffermandovi sulla seguente frase:

'(...) curva nord, la stessa in cui è morto Filippo Raciti (...)'

Non suona un po' strana? Certo non è neanche lontanamente possibile pensare che il giornalista non sappia che quello che sta scrivendo è falso. E non è possibile credere che un giornalista scriva coscientemente il falso per sua libera iniziativa.

Intanto questo incredibile 'lapsus' ci dice tutto. Come sono andare le cose veramente quel 2 febbraio. Come AS debba a tutti costi rimanere dentro altrimenti la labile connessione tra causa (delinquenza di una città intera) ed effetto (squalifica dello stadio e distruzione dell'immagine della città) viene meno.

Guardate ora quest'altro articolo e riflettete su questa frase:

'(...) Ucciso (...) durante gli scontri tra i tifosi della squadra etnea e del Palermo (...)'

Un'altro falso: ora anche i tifosi del Palermo sono tirati dentro. In questo modo si crede di portare tutta l'isola alla gogna. Che furbizia questi signori...

E sì: il derby tra Palermo e Catania era diventato la partita più importante del campionato italiano, trasmessa in diretta in tutto il pianeta. E se il Catania dovesse rimanere in serie A, per scongiurare il pericolo che questo si ripeta hanno fatto una leggina particolare, secondo la quale gli scontri più a rischio si potranno giocare a porte chiuse preventivamente. E visto che non si ritiene necessario giocare a porte chiuse partite quali Roma-Lazio o Roma-Milan o nessun altra partita della Serie A, come dimostrato durante quest'ultimo girone di ritorno, provate ad immaginare quando verrà usata per la prima volta questa leggina...

Hanno avuto gioco facile ad approfittarsi del dolore delle persone, a scatenare zizzania servendosi del dolore della vedova Raciti, della vedova D'Arrigo o della sorella del giudice Borsellino. Ma chi li sta ascoltando? A chi credono di impressionare con l'intitolazione della sala del senato a Filippo Raciti, la cui memoria continuano a denigrare giornalmente? Come si dice dalle nostre parti: iddi sa cantanu e iddi sa sonanu.

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giovedì, maggio 10, 2007

Sotto i migliori auspici

Sembra che recentemente vi siano state tre giornate nel corso delle quali sia cambiata la politica italiana. Così hanno detto autorevoli commentatori. Sarà. Ma sinceramente noi non ci siamo accorti di nulla.

Abbiamo a stento attenzionato il fatto che prossimamente potremo ritrovarci una nuova sigla sulla scheda elettorale, accompagnata da un nome roboante (Partito Democratico) che non capiamo a cosa si riferisca. Forse al fatto che sino a questo momento la democrazia in Italia c'è la siamo sognata ed ora questi signori vogliono colmare il vuoto?

Abbiamo però fatto in tempo a notare come il ministro di alto lignaggio siciliano Rutelli (Ricordiamo il nonno, lo scultore Mario Rutelli, nato a Palermo il 4 aprile 1859) sia salito sul palco circondato da due importanti citazioni, una di Paolo Borsellino, l'altra di Don Luigi Sturzo.

La due citazioni, oltre ad indicare l'immenso contributo dato alla CIVILTÀ' dalla nostra isola, rendono anche un idea delle violenze subite ogni anno dai nostri più illustri conterranei, la cui memoria viene piegata e oltraggiata in continuazione in questa penisola del disonore.

Di Borsellino questo blog si è occupato di recente, facendo riferimento alla esperienza politica della sorella che ha permesso la grande operazione della trasformazione del fratello da paladino della giustizia in Sicilia ad ambasciatore della mafia nel mondo.

Per quanto riguarda Sturzo, il cui nome era già ampiamente stato usurpato durante la 'prima' repubblica dalla DC (Sturzo è stato il fondatore del Partito Popolare, non della DC: l'unica cosa in comune che hanno avuto questi due partiti sta nel fatto che volevano catalizzare l'impegno politico dei cattolici, anche se con metodi alquanto diversi), il suo nume viene richiamato con la seguente frase: "Ho sentito la vita politica come dovere, ed il dovere mi dice speranza".

E' lecito richiamare questo personaggio e queste parole per un partito nazionale italiano?

Nel 1958 Saragat, quel caro presidente che insieme al ladro di banche Ciampi tanto ha fatto per la Sicilia, sentenziava (o babbiava?): "Da secoli nel mezzogiorno non esiste alcuna seria iniziativa industriale".

Sturzo gli rispondeva il 15 luglio dello stesso anno con un articolo sul 'Giornale d'Italia', di cui riportiamo una parte fondamentale:

"La verità storica è un'altra: di tutte le contrade italiane, proprio il mezzogiorno continentale e la Sicilia prima della unificazione nazionale erano fra le più prospere ed avevano industrie locali adatte ai tempi. Pochi sapranno delle sete meridionali; ma tutti sanno dei grandi impianti di Marsala, che fin da allora facevano concorrenza ai vini pregiati della Spagna. Le iniziative di Florio, non solo pel Marsala e le ceramiche, ma per la flotta mercantile ebbero sviluppo eccezionale; quest'ultima si associò con la Rubattino di Genova e poi fu assorbita perdendo nome e carattere siciliani. Lo stesso sta accadendo al Marsala Florio, rilevato dalla Cinzano di Torino; è naturale che nell'America del Nord da allora in poi si aumenta la vendita di Vermouth e diminuisce quella del Marsala; anche perché l'impianto, danneggiato dalla guerra, non ha avuto uno Stato sostenitore come l'hanno avuto, e non sufficientemente, le Cotonerie Meridionali.

Continuando con i vecchi ricordi, noto la ricerca e lo sfruttamento dello zolfo siciliano, i cantieri navali, le tonnare ed altre iniziative pescherecce, le conserve alimentari, le essenze di agrumi e fiori. Tali iniziative di qua e di là dal Faro dell'epoca pre e post unitaria, non furono merito di Governi; e quel che sparì fu demerito di tutti perché l'unificazione italiana, mentre ci diede la libertà politica, ci tolse per lungo tempo le possibilità economiche, sia perché il tesoro del Regno di Napoli e di Sicilia servì a colmare i deficit del nascente stato italiano (e ciò era naturale); sia perché gli uomini di stato e tecnici, nel curare una politica di intervento statale (protezioni doganali, concorsi, lavori pubblici) a favore dello sviluppo economico del Nord, non solo dimenticarono il Sud, ma con una continua ostilità, dal 1861 al 1943, crearono due Italie: la prospera e la depressa. "

Letto questo, ognuno potrà nel tempo giudicare sotto quali auspici la nuova formazione politica sia nata: quelli del recupero di una sino ad ora malintesa identità nazionale italiana, o quelli del proseguimento dello spettacolo neocoloniale e del segregazionismo di stato.
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mercoledì, maggio 09, 2007

I Pagliacci

La famosa opera del musicista napoletano Ruggero Leoncavallo tratta di una rappresentazione teatrale alla quale degli spettatori assistono ignari che quella che vedono non è una finzione scenica, ma fatti reali, vero sangue e vero dolore.

I siciliani nelle scorse settimane hanno potuto assistere ad una nuova versione dell'opera lirica nella quale gli spettatori, i siciliani appunto, vedevano svolgersi dei fatti reali ignari che quello che vedevano era in realtà frutto di una finzione scenica.

Lo scorso 30 aprile veniva inaugurato in pompa magna il nuovo aeroporto di Comiso, intitolato a Pio la Torre (per la gioia di pacifisti e professoroni dell'antimafia), con un volo proveniente da Roma carico di pezzi grossi venuti a fare la passerella in vista delle elezioni.

D'Alema, il finto calabrese Bianchi, l'ascaro D'Antoni, tutti ad indossare i clowneschi abiti tipici delle occasioni come queste, le occasioni cioè delle finte inaugurazioni in vista di una tornata elettorale.

A Comiso infatti non c'è niente, se non una lama d'asfalto stesa per l'occasione, tanto e vero che la dizione ufficiale dell'evento è “inaugurazione della pista”, e non dell'aeroporto! I primi VERI passeggeri non potranno dire di essere atterrati al Pio La Torre per almeno altri 10 mesi. Dieci mesi secondo programma, perché, statene certi, subito dopo le elezioni cominceranno i sabotaggi.

Pochi giorni dopo negli stessi territori del barocco, ma poco più a nord, la pagliacciata aveva un risultato opposto: a poche ore dall'inaugurazione la Provincia di Siracusa ed i Comuni interessati scoprivano infatti che il tratto di autostrada Siracusa – Rosolini non sarebbe stato inaugurato per almeno altri 10 mesi. Il motivo: manca l'illuminazione negli svincoli, in puro stile da sabotatore professionale.

E così si va avanti al cinque maggio, giorno in cui teoricamente si è inaugurato ufficialmente il nuovo aeroporto di Catania Vincenzo Bellini (stranamente però nei giorni seguenti sugli aerei l'aeroporto era ancora chiamato Fontanarossa, visto che l'iter di intitolazione non si è ancora completato). Ed è qui che l'opera ha raggiunto il suo culmine, con i soliti noti che, dopo avere fatto di tutto per bloccarne la realizzazione, sbarcano da Roma con il loro codazzo di di portaborse, novella orda di garibaldini, in una surreale atmosfera di latitanza (preannunciata) delle autorità locali (provincia e regione), le quali hanno poi fatto marcia indietro e si sono presentate compatte con il dono di un carretto siciliano per il ministro pseudo-calabrese Bianchi.

L'ironica protesta non può che essere salutata con simpatia da tutti noi. Rimane però da vedere se anch'essa non faccia parte della pagliacciata, visto che sia Cuffaro che il leader dell'MPA sono dei grandissimi oratori, ma sino ad ora di lottare seriamente per l'applicazione dello Statuto non ne hanno voluto sapere.

E per quanto riguarda i siciliani, non si è neanche certi se siano stati veramente illusi da questa rappresentazione e dai suoi contorni (come la donchisciottesca protesta sull'intitolazione a Bellini inscenata dall'indegna vedova di Angelo D'Arrigo e da uno schizofrenico ex-ministro) visto che sono avvezzi da almeno 50 anni a questi festival di fuochi d'artificio senza sostanza. Valga da esempio l'indimenticabile inaugurazione dell'autostrada Palermo – Messina di qualche anno fa: cambiano gli attori ma l'esito della commedia, fini conoscitori dell'opera lirica, lo abbiamo oramai imparato a memoria.
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mercoledì, maggio 02, 2007

Operazione Borsellino

L'ultimo numero del quindicinale La Voce dell'Isola (28 aprile 2007, disponibile on-line), alla pagina 3 presenta un interessante articolo a firma di Franco Altamore dal titolo "L'isola nelle mani di due ex giovani DC", titolo riferito ovviamente al duopolio Cuffaro-Lombardo.

Malgrado l'interessante analisi, il giornalista, costretto dai limiti di una autocensura necessaria a chi scrive sulla carta stampata, pecca forse di ingenuità e, visto che la Sicilia è terra di estremi, dove è aborrita la normalità e si celebra la pazzia, invece di equilibrare la situazione mi permetterò di scrivere un post che al contrario pecchi un pò di malizia e che faccia da complemento a quanto scritto su "La Voce".

Partiamo dal nostro Presidente e dalle accuse di mafia che con cadenza elettorale gli vengono rivolte. Altamore sembra sicuro che "l'accusato alla fine sarà riconosciuto non colpevole", pur aggiungendo un "come ci auguriamo" che stona con la certezza espressa dalla locuzione precedente.

Su questo blog, non costretti dai limiti della natura 'immanente' della carta stampata, possiamo cancellare l'augurio e rincarare la dose: Cuffaro sarà assolto, e non perché chissà chi lo protegga, ma perché l'accusa è inconsistente oltre che risibile, e lo sanno persino i suoi stessi accusatori.

Se si fosse veramente voluto processare Cuffaro (ripetiamo, un ex-DC) per qualcosa, si sarebbero forse potuto cercare in tante altre pentole, ma questo non era possibile per almeno due ordini di motivi: i crimini di Cuffaro (se ci sono) sono gli stessi di qualunque altro politico italiano da Berlusconi giù giù sino a Vladimir Luxuria. Processare Cuffaro per quei crimini significherebbe processare l'intera classe politica italiana, dando il via ad una nuova tangentopoli.

Il secondo motivo, quello principale, è che con un semplice processo per corruzione, abuso o voto di scambio, in una nazione avvezza alle più sordide scorrettezze ed ad inenarrabili abusi politici, non si sarebbe ottenuto l'effetto cercato, quello cioè di distruggere politicamente l'avversario (che in prigione siamo certi non ci finirà mai, a meno di una nuova tangentopoli) e di colpire l'immagine del Popolo Siciliano.

E qui entra in gioco la Borsellino.

Perché ad osservare bene la situazione, i due ex-DC non stanno facendo altro che interpretare a pieno il loro ruolo di democristiani, spartendosi per bene l'isola ma anche lottandosi aspramente sottobanco cercando di guadagnare terreno a spese dell'altro.

Ambedue potrebbero fare molto per la Sicilia, come anche il giornalista ammette, ma finora non si sono discostati minimamente dalla loro matrice ideologica (valga per Lombardo l'esempio dell'appoggio a Cammarata, che ha lasciato sconcertato anche buona parte dello stesso MPA). Insomma, Cuffaro e Lombardo sono afflitti da un male che conosciamo benissimo e che difficilmente potrà confondere i siciliani del nuovo millennio.

Il nostro vero nemico, sibilante e viscido, velenoso e biforcuto si chiama invece Annarita Borsellino.

Quanti siciliani avevano gridato pieni di speranza nel momento in cui la sua candidatura fu proposta? Quanti elettori di centrodestra erano andati a votare alle primarie dell'Ulivo per sostenere quella che vedevano quasi come un messia incuranti degli schieramenti politici? Tanti, tantissimi. Ma subito dopo quelle primarie la pietosa realtà apparì in tutta la sua volgarità.

Una lista debole, compilata appositamente per favorire la vittoria di Cuffaro. Una campagna elettorale strabica, mirata ad allontanare l'elettore siciliano svelavano l'inganno omerico, il cavallo di troia costruito con scientifica perizia dall'invasore.

Una nuova opera dei pupi in cui gli elettori siciliani furono posti sul palcoscenico mondiale a decidere tra la mafia (Cuffaro) e l'onestà (Borsellino) usurpando il nome dell'eroe siciliano, ammazzandolo nuovamente e trasformandolo in ambasciatore della mafia.

Ed invece, tradendo il copione, i siciliani imbucarono una valanga di voti disgiunti, bocciando il mostro Borsellino e rifiutandosi di appoggiare pienamente Cuffaro. A Roma digrignarono i denti, anche se agli organi di stampa fu ovviamente impedito di leggere correttamente quel risultato. Facendo finta che la loro "Operazione Borsellino" avesse raggiunto l'obbiettivo prefissato, e cioè dimostrare al mondo intero che TUTTI i siciliani sono mafiosi.

Proprio come pretendette di fare il solito Giorgio Bocca che (ci ricorda Altamore) dopo il voto si dichiarò convinto che la mafiosità sia una nostra caratteristica antropologica. Ma Giorgio Bocca aveva veramente bisogno di quelle elezioni per convincersi dell'inferiorità razziale dei siciliani?
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