Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

martedì, ottobre 30, 2007

Il Manifesto 1.0

Questo post (malgrado il pomposo – ed autoironico – titolo) è solo una proposta, una proposta che ha bisogno di correzioni e di aggiornamenti, di suggerimenti e di critiche, mentre chi scrive non vuole in nessun modo intestarsi la nascita di un qualcosa che sta nascendo spontaneamente. In pratica è solo l'inizio di una discussione e di una serie di interventi che spero coinvolgano, non solo su questo ma anche su tanti altri siti, quanti più navigatori possibile. Questo post vuole essere un piccolo tassello verso la coagulazione delle idee sicilianiste moderne in un unico organismo capace di dare una risposta ai siciliani ancora in cerca di libertà. Questo post vuole essere una piccola spinta ai nostri rappresentanti politici sicilianisti a guidarci tutti uniti alla conquista di questa libertà.

Uno dei problemi principali che si pone chi scrive in rete, sia esso un blogger, un partito politico o un'associazione culturale, è quello di capire quanta eco abbiano le parole pubblicate o quanto rilevante sia il sito nel contesto globale nel quale è inserito.

Non saranno le nostre parole degli isolati messaggi in una bottiglia fluttuanti in un oceano virtuale che solo per una improbabile casualità possano raggiungere i loro destinatari? C'è un qualche ordine in quel marasma che è il world wide web?

Fino a pochi anni fa l'enorme massa di informazioni che vagava sui server di tutto il mondo sembrava una montagna oramai impossibile da scalare per chiunque volesse mettere un pò d'ordine. Poi due ragazzotti di Stanford si accorsero che forse un modo per ovviare a questo problema c'era. Il risultato delle loro ricerche fu Google, il motore di ricerca più potente finora realizzato.

Google non tenta di mettere ordine dall'alto, ma lascia che siano gli utenti stessi della rete a mettere ordine ed a decidere quale pagina sia importante e quale no. Page e Brin (i fondatori) sono diventati miliardari sfruttando le idee di Karl Marx!

In pratica ognuno di noi da “importanza” ad una pagina “linkandola” dal proprio sito. L'algoritmo di Google prende in considerazione tutti i link che conducono a quella pagina per assegnargli un valore che poi verrà usato per ordinare i risultati di una ricerca*.

Il valore (o “rank”) di una pagina è quindi una misura della sua popolarità, della sua pertinenza ed infine dell'autorevolezza della stessa. Tutto il web è indicizzato ed ordinato in maniera gerarchica, ma la gerarchia la decidiamo noi con le nostre preferenze. Il web è così diventato uno strumento di democratizzazione, la struttura portante di una società potenzialmente (teniamo in ogni caso sottolineato il potenzialmente...) rivoluzionaria, in quanto le gerarchie sono decise dal basso e non imposte dall'alto o tramandate lungo linee genetiche.

Il rank dei siti (o pagine) che ci interessano può essere visualizzato con un semplice strumento, la Toolbar di Google, scaricabile qui: installatela scegliendo l'opzione con funzionalità avanzate**. Il rank ha un valore da 1 a 10, ed è dato da numeri interi (in realtà nel rank ufficiale vi sono dei valori dopo la virgola, ma l'azienda non rende pubblici questi decimali). Avere un rank superiore allo 0 è già una grossa conquista, specialmente per un blog (Il Consiglio è orgoglioso del suo rank di 1!) e per ottenerlo in genere ci vuole un discreto periodo di rodaggio.

L'evoluzione degli strumenti disponibili per chi pubblica in rete si è accelerata in maniera esponenziale in brevissimo tempo, e se fino a pochi anni or sono internet era un mezzo per esprimere le proprie idee, ora è anche un mezzo per diffonderle. E questa diffusione può essere valutata.

Il moderno sicilianismo è strettamente connesso con tutto questo. La maggior parte delle nuove leve è entrata in contatto con questo mondo tramite la rete. Non avendo spazio sugli altri media, completamente controllati dal regime, i partiti sicilianisti (ed i sicilianisti in genere) hanno cominciato a sperimentare precocemente con questo mezzo. Ed hanno imparato a destreggiarsi al suo interno.

Dall'altro lato però le “nuove leve” stanno contribuendo a modernizzare ed a coagulare l'universo sicilianista (ne è un esempio un post pubblicato recentemente su L'ora del Vespro e relativi commenti) portandolo verso tematiche più moderne ed anche incominciando a fornirgli quella “base”*** che forse è mancata negli ultimi decenni. Lo strumento che più di ogni altro potrebbe dare un accelerata alla formazione di questa base (ed al successivo diffondersi delle idee in questione) è il blog, ed il protagonista di questa azione è il blogger.

Lungi dal voler fornire una qualche aura di santità al blogger, queste parole vogliono invece servire a responsabilizzarlo, di modo che ogni singolo componente del movimento che si sta aggregando intorno a questo “media” si renda conto delle potenzialità dei mezzi di cui si serve.

La rete sta quindi diventando un mezzo di aggregazione, di sviluppo e di diffusione delle idee sicilianiste, una specie di vivaio della rinascita del Popolo Siciliano. E l'obbiettivo di chi opera su questo mezzo deve essere sia quello del confronto con le altre componenti (politiche, istituzionali, culturali) presenti, sia quello della diffusione delle proprie idee (o meglio, delle idee del Popolo Siciliano).

Anzi, passando ad un ambito decisamente “cospirativo”, l'obiettivo primario diventa quello del reclutamento alle idee sicilianiste. Per fare ciò la prima fase dovrebbe essere una fase di espansione e di creazione di una rete di siti (blogs, giornali online, video, podcast) che acquistino visibilità sul web tramite l'inserimento nella pagina principale di una lista di collegamenti. I siti presenti da più tempo ed aventi un rank più alto aiuteranno così quelli più nuovi ad emergere. Non solo: i rischi di “infiltrazioni” diventano ridotti al minimo poiché sarà la collettività stessa a decidere se cancellare un link o no, tramite decisioni individuali e personali che poi sommate tra loro decreteranno la scomparsa dell'intruso.

Proprio per questo motivo è anche importante che ogni sito ed ogni blog mantengano la propria individualità, la propria indipendenza e la propria differenza di vedute sulle problematiche discusse, di modo che il risultato finale sia veramente la somma di tante decisioni individuali.

In pratica l'azione dovrà svolgersi su due livelli: uno specificatamente tecnico, tenendosi aggiornati sulle novità che circolano (nuovi software, nuovi strumenti, nuove tecniche per migliorare la visibilità) condividendo le proprie scoperte con gli altri utenti, ed uno propagandistico, partecipando non solo alle discussioni che si svolgono sugli altri siti del “movimento”, ma anche su tutti gli altri siti dove si pensa che le nostre idee possano avere una buona visibilità. Ed il campo sul quale agire è vastissimo: dai blog dei politici (ad esempio il nuovo sito del Presidente dell'ARS Miccichè) sino a network importanti come YouTube (ogni video offre la possibilità di lasciare dei commenti)****.

Ma come entrare a far parte del “movimento”? Per come esso si sta sviluppando, non vi sono regole (e probabilmente mai ve ne saranno) o singoli individui che possano accettare o rifiutare una adesione. Si fa parte di esso solo perchè singolarmente si è deciso di farne parte. Il movimento ha bisogno di tutti e di tutte le capacità di cui ognuno di noi dispone. Sono così tante le cose che si possono fare, gli argomenti da trattare, gli eventi da coprire che non ci sono limiti a ciò che potrebbe essere utile alla causa: da blog monotematici, a traduzioni di articoli e post altrui in lingue diverse, dalla creazione di materiale video su YouTube o siti similari, alla pubblicazione di podcast o di notiziari riguardanti una comunità di Siciliani in un qualche paesino della Germania o dell'Australia. Gli spazi sono immensi e tutti possono portare il loro piccolo contributo alla futura storia della Sicilia.

Da oggi dobbiamo anche avere una visione, tutti i Siciliani devono una volta per tutte puntare in alto. Credere che sia possibile raggiungere una massa critica di modo che questa piccola base, diventata a poco a poco un'onda, possa tracimare fuori dal web, sulle strade e sulle piazze della Sicilia per quella che sarà la prima rivoluzione della storia iniziata sul web letteralmente senza muoversi dalla propria camera.

Da ultimo c'è da considerare il lato politico dell'azione dei blogger: i partiti che possono raccogliere e far fruttare tutto ciò ci sono, e chi ha la stoffa del leader non tarderà a venir fuori. Non si può pensare al blogger come ad un qualcosa di avulso dal contesto di riferimento reale, come una personalità esclusivamente virtuale. Il blogger fuori dalla rete sarà possibilmente impegnato in politica, senza che questo debba necessariamente influenzare la sua attività di propaganda sicilianista online: è naturale che le organizzazioni politiche di riferimento, che tanto hanno investito sulla rete, possano poi trovare nella rete stessa quel materiale umano di cui la politica Siciliana ha bisogno per assicurare un futuro ai nostri figli.

Al lavoro dunque, la Sicilia ci chiama.


* Quello descritto non è in verità l'unico parametro usato dal motore di ricerca. Ve ne sono altri, non tutti resi pubblici dall'azienda. Una trattazione più completa esula dallo scopo del post. Per chi volesse saperne di più, il sito html.it offre parecchie risorse alla voce ...

**Scegliendo questa opzione, google sarà in grado di monitorare i siti che visitate, anche se in forma anonima. Per questo motivo uso due browser: quello in cui ho installato la toolbar lo consulto solo per monitorare i rank.

***Il termine è stato usato in questo contesto per la prima volta proprio dal blogger de L'Ora del Vespro (L'ingegnere Volante) nei commenti allo stesso post citato.

****Per chi vuole mantenere l'anonimato, vi ricordo che in molti di questi siti lasciare commenti anonimi è praticamente impossibile, in quanto i webmaster controllano e registrano l'indirizzo IP di coloro che postano un commento.


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sabato, ottobre 27, 2007

Giuseppe Tornatore: Un Sogno Fatto in Sicilia

Un documento d'eccezione su un Siciliano d'eccezione: da Nuovo Cinema Paradiso, alla tragedia dell'emigrazione verso il nord svelata intimamente da Stanno Tutti Bene. Dal pianista che mai scenderà dalla sua nave-isola, alla "matria" che prostituisce se stessa all'imbroglione romano credendo di poter così salvare i suoi figli de L'Uomo delle Stelle

Personaggi leggendari appaiono in queste immagini: da Guttuso a Buttitta. Mettete l'immagine a tutto schermo e assaporate la Sicilia nascosta nelle parole di Tornatore.

E per chi ha viaggiato, ascoltate la sua esperienza di Siciliano a Roma nel mondo del cinema.


Parte 1


Parte 2


Parte 3


Parte 4


Parte 5


Parte 6


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mercoledì, ottobre 24, 2007

Perle ai porci

L'abate, che era venuto a salutarci ier sera, si è presentato stamane per tempo e ci ha condotti a palazzo Biscari, edificio ad un sol piano sopra un basamento elevato; e qui abbiam visitato il museo, che raccoglie statue di marmo e di bronzo, vasi e simili antichità d'ogni specie. (J.W. Goethe – Catania, 4 maggio 1787)

Nel 1787 la Sicilia ebbe un visitatore d'eccezione, lo scrittore tedesco J.W. Goethe. Ogni luogo da lui visitato più di 200 anni fa è oggi divenuto un simbolo, un 'landmark' come direbbero gli inglesi, entrato a far parte dell'immaginario collettivo dei Siciliani. Dall'albero dell'orto botanico di Palermo, alla villa del principe di Palagonia, sino all'ascesa sull'Etna, conclusasi ai Monti Rossi ed oggi ricordata da uno svogliato monumento che potrebbe essere meglio valorizzato.

Eppoi non dimentichiamo neanche la visita al Palazzo Biscari di Catania. Bellissimo il palazzo Biscari di Catania, un monumento che dovrebbe essere famoso in tutto il mondo, non solo agli specialisti. Ed invece non solo fuori dalla Sicilia lo conoscono in pochi, per giunta neanche Goethe si sofferma più di tanto sul palazzo. Goethe voleva visitare qualcosa di più prezioso, che si trovava all'interno del palazzo, ed alla quale lo stesso Principe di Biscari (morto da pochi mesi) teneva immensamente.

Le collezioni d'arte nell'Europa del '700 erano l'orgoglio di ogni nobile casata. Ognuna di esse aveva la propria galleria privata da fare visitare agli ospiti, per effettiva passione o per puro sfoggio. Tutti, dal re all'ultimo dei baroni, misuravano la loro importanza con le opere racchiuse nelle loro stanze e nei loro palazzi.

Ma per l'appunto quelle erano collezioni private, e non tutti erano ammessi a godere della bellezza che esse custodivano. La storia ci tramanda che il primo museo ad aprire al pubblico fu il Louvre nel 1793. Sarà. Però la VERA storia, ci dice anche che Goethe era andato a palazzo Biscari a visitare un museo pubblico. Era il 1787, ed in Sicilia, con qualche anno di anticipo rispetto alla grandeur d'oltralpe, esisteva già un museo aperto al pubblico.

I nostri sussidiari cosa dicono in proposito? Ed il grande portale di Italia.it? Stendiamo un velo pietoso!
E però non prendiamocela solo con gli altri! Andiamo a cercare nelle nostre guide, nelle nostre città, chiediamo in giro, magari ai catanesi: forse ne sapranno di più! Scomparso, volatilizzato... come fa un museo a scomparire? Magie da ascaro, lasciatemelo dire.

La collezione di quel museo è oggi il nucleo principale del museo civico del Castello Ursino, il possente maniero Normanno che prima dell'eruzione del 1669 sovrastava il Golfo di Catania. Ma chi l'ha mai vista questa collezione, che a quanto pare annoverava almeno un migliaio di soli vasi greco-siculi? I discendenti del Principe la donarono al comune di Catania tra il 1927 ed il 1930, e fu accomodata all'interno del Castello dove il museo civico aprí nel 1934.

Fu poi chiusa al pubblico negli anni 60, forse per celebrare la decadenza che dal dopoguerra scese sulla Sicilia, vendetta italica per le insubordinazioni indipendentiste.

Da allora il buio. Abbiamo paura anche solo ad immaginare cosa avranno passato quei reperti in questi anni. Abbiamo paura ad immaginare dove saranno andati a finire alcuni di quei reperti: una lenta Baghdad, uno stillicidio lungo mezzo secolo.

Fino a quando ai nostri giorni qualcosa in Sicilia ha cominciato a risvegliarsi e qualcuno ha deciso di andare a riaprire questo vecchio armadio. E cosa vi sta trovando, che scheletri vi saranno nascosti, se addirittura il nuovo assessore alla cultura di Catania, Silvana Grasso, dichiara di essere stata minacciata per la sua volontà di aprire finalmente ai catanesi (ed a tutti i siciliani) le porte della loro storia. La solita “sharada” politica? Non lo sappiamo, ma sinceramente crediamo che quello lanciato dalla Grasso sia un grido di disperazione ed anche di coraggio:

“Nel castello Ursino ci sono 17 mila tesori del nostro patrimonio culturale mai esposti al pubblico. Entro un anno voglio allestire il primo e secondo piano del museo. Se qualcuno me lo impedirà chiamerò i cittadini a esprimersi con un voto. Se non mi fanno aprire, mi darò fuoco”


Prendiamo nota e facciamo un nodo al fazzoletto (non per ricordargli la promessa di darsi fuoco - altri sono i figuri che dovrebbero finire così - ma per vedere se veramente l'assessore lotterà come dice), sperando che la nostra nel frattempo non si lasci intimidire. Dalla sua ha tutti i Siciliani, ma il coraggio e la dignità in questa Sicilia di oggi deve trovarlo da sola. E sperando anche che lei e noi tutti, palestinesi d'occidente segregati dietro un muro di gomma, non saremmo mai costretti ad attuare certe minacce.


La triste storia delle perle di Catania: raccolte da un principe, ereditate dai porci

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lunedì, ottobre 22, 2007

Demoscopica

Oggi in tutto l'Occidente classifiche e statistiche vanno di gran moda. Non c'è decisione politica, fatto di cronaca o di costume che non venga sottoposto al vaglio della piazza. Non c'è parametro ambientale, economico o criminale che non venga tramutato in numero ed aggregato sino a stilare delle classifiche dal dubbio valore scientifico, ma che all'occasione possono ben servire gli obiettivi di quel regime o di quella multinazionale.

La cosa più fastidiosa per noi in tutto questo gioco di percentuali e di posizioni è che nessuno si azzarda a preparare o a proporre (o forse solo a divulgare?) rilementi per problematiche specificatamente siciliane. Per esempio (tanto per rigirare il dito nella piaga...), visto che si fa un gran parlare di esercito in Sicilia, come mai non si è chiesto direttamente ai Siciliani cosa ne pensassero? Peggio, quando questi rilevamenti si fanno, si fanno di proposito in maniera approssimativa, di modo che tutti possano poi contestarne il risultato qualora non convenga al proponente. Si veda l'esempio del sondaggio internet promosso dalla Presidenza della Regione Siciliana per la questione del ponte: si poteva votare quante volte si voleva.

Nemmeno ci convince tanto l'ultima trovata della premiata ditta Ciancio in collaborazione con tal Istituto Demopolis e qualunquisticamente denominata “L'opinione dei Siciliani”, quasi che i Siciliani non abbiano altra opinione al di fuori di quella certificata da La Sicilia.

Il primo dei sondaggi effettuati su internet tramite questo sito è stato presentato sul sito LaSicilia.it con il programmatico titolo “Cresce l'insicurezza nelle città dell'isola” (programmatico alla campagna di richiesta dell'esercito che tanto il nostro ha appoggiato). Già dal metodo di raccolta dei dati (non realmente spiegato negli articoli pubblicati) ci si rende conto dell'attendibilità degli stessi. Si può partecipare semplicemente registrandosi online sul sito predisposto. Il campione non è quindi scelto in modo tale da essere rappresentativo dell'ambito sociale che si vuole esaminare.

Se poi si vanno a leggere i risultati direttamente sul sito, si scopre che hanno partecipato alla ricerca 282 navigatori. Il 67% (188) si è detto insicuro nella città in cui vive. Quindi 188 navigatori del sito de La Sicilia si sono dichiarati insicuri. Come mai nell'articolo si parla di “due terzi dei siciliani”? 282 navigatori del suddetto sito sono rappresentativi del contesto sociale dell'isola? Ho dei forti dubbi.

Come se non bastasse, il titolo dell'articolo parla di crescita. Ma rispetto a quale dato? La domanda posta ai 282 siciliani era “Quanto si sente sicuro nella città in cui vive?”. Perchè non chiedere direttamente se la percezione di sicurezza era aumentata o peggiorata? Al solito, strane distorsioni.

A fare questa domanda però ci ha pensato qualcun altro. Ed i risultati sono stati alquanto interessanti.

Proprio in questi giorni è stato pubblicato il resoconto di una indagine condotta da Confcommercio-Gfk Eurisko dal titolo “La mappa della criminalità ragione per regione”. Gli articoli dei quotidiani italiani (tutti uguali su tutti i giornali della penisola!) oltre a fornire il dato medio nazionale, riportano i dati delle regioni del sud (definiti allarmanti) ed i dati delle regioni dove l'incidenza delle estorsioni è minore (Sardegna, Marche, Umbria, Trentino, Friuli). Un resoconto che non possiamo dire completo.

Allora il rapporto andiamo a esaminarcelo da soli. Tanto per curiosità. Ed iniziamo proprio dalla domanda sulla percezione del livello di sicurezza. Le regioni dove si avverte maggiormente un abbassamento del livello di sicurezza sono tutte al nord o al centro: Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche. Nelle regioni del sud viene però percepito un aumento delle estorsioni in Campania, Calabria e Basilicata. NON IN SICILIA! In Sicilia sembra aumentata la paura dell'usura, cosa questa che non dovrebbe sorprendere nessuno, vista la situazione economica. Un altro dato importante riguarda la percentuale di persone che crede il livello di sicurezza sia aumentato: quella più alta si ha in Puglia ed in Sicilia. Al nord le percentuali oscillano spesso tra l'1 ed il 2%. Praticamente nessuno crede vi sia maggiore sicurezza rispetto al passato! In base a questi dati, direi che l'esercito farebbero meglio a tenerselo stretto lì sopra.

E veniamo a quello che è il cardine sul quale si basa la pretesa di militarizzare la sola Sicilia: il fenomeno delle estorsioni. Subito i dati mostrano che quelle percentuali sbandierate dagli anti-mafiosi non sono state rilevate da questo studio: in Sicilia solo il 15% dichiara di aver ricevuto minacce per finalità estorsive, meno della Puglia e circa la metà rispetto alla Campania.

Ed al nord si ha una sorpresa: il racket delle estorsioni esiste anche lì! Ed anche abbastanza diffuso, se in Veneto siamo addirittura al 7%!

Ovviamente ciò può essere dovuto al modo in cui è posta la domanda, infatti se io pago il pizzo, non è detto che abbia mai ricevuto minacce. E questa (l'omertà dei meridionali) è la solita minestra scaduta che ci continua a propinare il regime. Non abbiamo effettivamente una risposta (tranne il buon senso che ci fa sorridere di fronte a tali accuse), ma possiamo indagare meglio.

Le domande del questionario riguardano sia le estorsioni ricevute personalmente, sia quelle ricevute da un conoscente dell'intervistato. Questo sdoppiamento è significativo, e crediamo serva a venire incontro alla possibile riluttanza ad esporsi in prima persona.

Se tutti rispondessero sinceramente ed il campione fosse rappresentativo, ci dovremmo aspettare una prevalenza di risposte affermative nel caso delle estorsioni ricevute in prima persona (chi è che si mette a dire in giro di aver ricevuto un'estorsione?), o al massimo un valore approssimativamente uguale. Questo infatti è quello che avviene nel sud (ad esclusione della Calabria). Al nord invece quasi nessuno ha ricevuto minacce, ma molti conoscono qualcuno che le ha ricevute. In Liguria il rapporto è addirittura di 1 a 3!

I conti non tornano. Mi sembra di avvertire puzza di reticenza, anche in considerazione di quanto detto alla fine del rapporto:

è ragionevole ipotizzare che il fenomeno di autoselezione (e conseguente possibile sovrastima dei dati) sia più marcato nelle aree dove il tasso di risposta risulta più basso della media (nella logica che meno sono le persone che hanno partecipato all’indagine in una determinata zona, più ci si può aspettare che queste rappresentino un segmento particolarmente sensibile ai temi affrontati).

E dato che il tasso di risposta più basso si è avuto in Sicilia, in Sicilia si ha la maggiore SOVRAESTIMAZIONE del rapporto per quanto riguarda il fenomeno estorsivo.

Ultime due considerazioni, anch'esse significative: prima di tutto il rapporto certifica come nessuno creda all'efficacia delle associazioni antiracket, il che la dice lunga su quanto queste siano percepite dalla gente più che altro come delle “distrazioni” di fondi pubblici.

Inoltre dalla domanda sul genere di misure cautelative prese per difendersi dalle estorsioni, risulta che le più alte percentuali di denunce le troviamo nelle regioni del sud (da 2 a 3 volte di più che al nord).

Il concetto mi sembra abbastanza chiaro.

Annotiamo anche un'altra stranezza. In tempo di pace sia il sito che la versione cartacea de La Sicilia, sono pieni di buoni propositi: questi soldi stanno arrivando qui, questo finanziamento lì e tutti i problemi della Sicilia potrebbero anche essere risolti nel giro di pochi anni. Ora che il terreno scotta, e la campagna per portare l'esercito in vacanza qui sotto è all'apice, sul sito non c'è una sola notizia che non riguardi stupri, minacce, ferimenti, incidenti di vario tipo etc etc., come a voler insinuare appunto insicurezza in chi legge.

La campagna per il ponte si è conclusa in un nonnulla. Quella per l'esercito si concluderà presto allo stesso modo. Nessuno poi crede ai quei sondaggi taroccati. Pare a me che si stiano perdendo un po' troppi colpi.
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venerdì, ottobre 19, 2007

Ed ora zittiteci tutti?

Sulla blogsfera oggi sembra essersi scatenato l'inferno, tra i commenti allarmati su questo stesso blog e addirittura un post sul blog del presidente dell'ARS Gianfranco Miccichè.

Il governo si appresta infatti a varare le nuove regole per l'editoria, e qualcosa sembra non quadrare. Ecco gli articoli incriminati:

Per prodotto editoriale si intende qualsiasi prodotto contraddistinto da
finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento,
che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale
esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso (Art.2, comma 1)


Per attività editoriale si intende ogni attività diretta alla realizzazione e
distribuzione di prodotti editoriali, nonché alla relativa raccolta
pubblicitaria. L’esercizio dell’attività editoriale può essere svolto anche in
forma non imprenditoriale per finalità non lucrative (Art. 5)


L’iscrizione al Registro degli operatori di comunicazione dei soggetti che
svolgono attività editoriale su internet rileva anche ai fini dell’applicazione
delle norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa (Art. 7, comma 1)


Per le attività editoriali svolte su internet dai soggetti pubblici si considera
responsabile colui che ha il compito di autorizzare la pubblicazione delle
informazioni (Art. 7, comma 2)


Dovranno i blog essere iscritti al ROC (Registro Operatori di Comunicazione) in quanto, come da Art. 5, anche le attività non lucrative diffuse tramite internet dovranno attenersi alla normativa generale che regola le attività di editoria?

Secondo me assolutamente no, visto che il nuovo decreto non prevede una modifica della definizione di prodotto editoriale. Ed infatti all'Art. 6, comma 2 leggiamo:

L’iscrizione al Registro degli operatori di comunicazione è condizione per
l’inizio delle pubblicazioni dei quotidiani e dei periodici, e sostituisce a
tutti gli effetti la registrazione presso il Tribunale, di cui all’articolo 5 della
legge 8 febbraio 1948, n. 47. Sono fatti salvi i diritti già acquisiti da parte
dei soggetti tenuti a tale registrazione in base alla predetta normativa


Secondo la definizione vigente, per essere considerato un prodotto editoriale la pubblicazione deve essere periodica, ed ai blog difficilmente potrà essere appiccicata l'"accusa" di periodicità. E' proprio per questo motivo che in fondo a quasi tutti i blog si trova quel famoso disclaimer.

Che il governo italiano stia provando a mettere il bavaglio alla rete lo sappiamo, ma non crediate che in Europa ed in Occidente in generale le cose possano essere fatte in modo così spudorato. Basterebbe un ricorso alla corte europea per far crollare tutto.

In ogni caso è bene stare all'erta. Anche nei confronti di chi cerca di fare capitale politico a basso costo. Caro Presidente Miccichè, ma chi vuole che ci creda che una legge così illiberale possa passare senza il beneplacito dell'opposizione? Su un'altra cosa sono però d'accordo con il Presidente: siamo peggio che in Cina. Ma per molte altre cose, ed anche molto più gravi di questa.
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Ancora sull'Indipendentismo a Messina





La mostra sull'indipendentismo a Messina chiuderà domani (non il 23 come detto nel video). Rinnoviamo l'invito a tutti quanti ne abbiano la possibilità a recarsi nella città dello stretto a visitare l'evento, importantissimo dal punto di vista storico in quanto ha il merito di rompere finalmente una censura pressochè totale sugli eventi trattati.

Riportiamo alcune ulteriori impressioni raccolte durante le numerose visite e gentilmente inviateci da Rino Baeli di www.messinacity.com:

"Oggi alla mostra c'erano due scolaresche, quando nel video sono apparsi i
titoli della strage di Palermo del 19 ottobre 1944 con 81 morti... sotto i
colpi di fucile dell'Esercito Italiano... i ragazzi sono ammutoliti, non
avevano mai sentito una cosa simile....
Giovanni Millimaggi e Finocchiaro Aprile, Antonio Canepa e Francesco
Restuccia, dalle foto appese ai muri ci sorridono, ci sfidano... aspettano
da noi un gesto di vitalità e di coraggio....
Molti visitatori sono ben oltre i 60 anni, cercano nelle foto i volti degli
amici di un tempo.
Un capitano della marina italiana ci dice che era in quella foto sotto i
bombardamenti, poi dopo le bombe scese in mare per cercare sacchi di farina
dentro una nave arenata nel porto....il giorno dopo le sue piccole navi
furono affondate dai bombardieri....

L'Istituto Salvemini di Messina, "Istituto di Alta Cultura" riconosciuto e
finanziato dal Parlamento Siciliano insieme a "Istituto Gramsci di Palermo"
e "Istituto Luigi Sturzo di Caltagirone" sono i tre enti che si occupano di
studi politici con biblioteche annesse e pubblicazione di libri e
realizzazione di mostre ed eventi culturali a carattere storico-politico.

Quello di Messina è di area storica socialista come lo era Salvemini, ancora
oggi il direttore è un professore dell'Università di Messina ex segretario
di sezione del partito socialista cittadino (rimasto illeso dal caso Craxi).

La mostra ha una presentazione spartana, ridotta ai documenti d'epoca, che
sono circa 200, con puntuali didascalie ma prive di ogni riferimento al
contenuto e al collegamento temporale dei fatti generali in cui si evolvono.

I I giornali esposti sono numerosi (spesso fogli unici/manifesto), gli
articoli fotografano i fatti, descrivono gli eventi, riportano parola per
parola gli interventi pubblici dei vari relatori per diffondere al meglio le
idee e le ipotesi di attività più adatte al momento politico in continuo
mutamento.

La difesa di un compagno indipendentista dell'avvocato Giovanni Millimaggi
(comunista indipendentista messinese) nelle aule del Tribunale di Messina
diventa un atto di accusa contro il governo italiano (Bonomi) privo di ogni
diritto di rappresentanza e quindi di potere giudiziario.....
L'accusa era relativa alla diffusione di volantini..... tutti potevano avere
i giornali di partito ma gli indipendentisti erano processati per
distribuzione di volantini ....l'imputato fu assolto.

I comunisti unitaristi denunciano Millimaggi con un telegramma (esposto
nella mostra in fotocopia) inviato al governo italiano di Roma per aver
usato le aule del Tribunale per offendere il governo.....

Larga esposizione di schede elettorali dei comuni del messinese dove si
potevano segnare sino a 20 preferenze in proporzione ai seggi
disponibili.... sino a 12 per 15 seggi, sino a 16 per 20 seggi.....a Messina
città sino a 3 preferenze per 50 seggi, ma si poteva anche votare in
negativo, cancellando il candidato.

Esposti gli elenchi degli iscritti nei vari gruppi e partiti, molti avvocati
nella lista di Messina degli indipendentisti, poi liste di autonomisti
democristiani, indipendentisti monarchici , separatisti giovanili e
unitaristi di ogni partito italiano."
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giovedì, ottobre 18, 2007

Sdrammatizziamo...

In questi ultime settimane la carica sui blog e sui siti sicilianisti sta subendo una escalation emotiva incessante.
Stasera concediamoci un qualcosa di più rilassante, prima di tornare alla carica domani...




Ma senza fari a jangati o stadiu...

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mercoledì, ottobre 17, 2007

Ospitalità Siciliana


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sabato, ottobre 13, 2007

Un'elemosina fatta in Sicilia

Una decina di anni orsono (nel 1995 per essere precisi), mentre girovagavo in un qualche aeroporto europeo, la copertina di un magazine anglosassone colpì il mio occhio: incorniciata dalla classica striscia gialla che ancora caratterizza il National Geographic americano, faceva bella mostra di sé il primo piano di una elegante signora in abito nero. La scritta esplicativa mi fece correre alla cassa con una copia: “Italy apart: Sicily”. Nella foga non associai il titolo (più o meno traducibile con “Italia a pezzi: Sicilia”, ed ancora oggi non so se anche in questo vi fosse un qualche macabro doppio senso...) o la foto (la donna era chiaramente vestita a lutto) con niente in particolare, forse ingenuamente ed inconsciamente malconsigliato anche da quel morboso rapporto che noi siciliani intessiamo con la morte. Ma non appena cominciai a sfogliare l'articolo tutto divenne più chiaro.

Il testo dell'articolo ripeteva la solita litania della mafia ovunque, con corredo di teste di capretto mozzate e gente che non vuole parlare. In mezzo a tanto piattume, mi colpirono però le foto: belle e delinquenziali. Nel senso che da esse traspariva chiaramente la voglia delinquenziale di buttare fango addosso a qualcuno, il popolo siciliano per l'appunto. Con eleganza certo, ma anche con delinquenziale precisione (da notare che questo rimane ancora l'ultimo articolo dedicato dal prestigioso magazine all'isola).

Poi trovai una foto che a tutt'oggi rimane fortemente impressa nella mia testa: la foto di una scorta che proteggeva lui, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando. E lì la mia mente fece clic. Nel senso che all'improvviso certi pezzi si incastrarono e correndo avanti nel tempo, arrivai a concludere, sicuramente con malizia, che in fondo in fondo al nostro Orlando Coraggioso non sarebbe convenuto poi tanto debellare veramente la mafia. Che mestiere avrebbe fatto poi lui?

Mi resi conto, con quella semplice foto, che Orlando non faceva il sindaco come mestiere. Forse per arrotondare o forse come supporto alla sua occupazione principale, che era (ed è?) quella dell'antimafioso di professione.

Andandomi a documentare, capii anche che la mia non era una grande scoperta, visto che Sciascia aveva definito il concetto già qualche anno addietro, e smisi di preoccuparmene.

Nel tempo però i fatti si accumulano, gli eventi si associano e certe sequenze, quando viste dall'alto dei decenni, rendono gli uomini e le loro azioni più trasparenti. Nel tempo dunque i ranghi dell'albo dei professionisti dell'antimafia si sono ingrossati a dismisura, così che oramai per farsi sentire c'è bisogno di urlare. Tra le tante galline che si azzuffano per niente, solo le più pervicaci riusciranno a sentire la calorosa voce del padrone che le addita alla nazione, catapultando le loro infide parole su tutti i media di cui lo spettacolo neo-coloniale dispone.

E tutto questo chiasso fa però tornare alla mente coloro i quali denunciavano la mafia circa un decennio prima. Tutti coloro i quali ricevevano minacce quotidiane che venivano regolarmente ignorate da quegli stessi media. Tutti colori i quali, senza tanti proclami, ci hanno lasciato le penne (per restare in tema). Ecco, questa categoria di eroi, di VERI nemici della mafia, sembra essersi estinta con la morte di Falcone e Borsellino, che dopo aver lottato in silenzio per la Sicilia, in silenzio avrebbero voluto continuare a vegliare su di essa dopo la loro dipartita, forse senza bisogno di roboanti intestazioni (visto che se ne è parlato tanto in questi giorni...).

Da quei giorni, tutto è cambiato e mentre prima si lavorava cercando di non dare troppo nell'occhio, oggi si offre il petto gonfio di ardore antimafioso al nemico. Solo che nessuno sembra più volerlo accettare questo petto! Ne fosse caduto uno di questi eroi moderni! Ma contro chi stanno combattendo? Certo non contro lo stesso nemico con cui intrapresero una lotta impari i loro silenti predecessori.

Ma in mezzo a tanti giornalisti e professoroni pronti ad urlare mafia non appena qualcuno in mezzo alla folla gli pesta l'alluce incarnito, forse qualcuno di quegli eroi silenti si trova ancora. E scovarlo sarebbe letale per i professionisti di cui sopra, perchè scioglierebbe come neve al sole il loro preteso coraggio.

E tanto hanno urlato e tanto si sono lacerati le vesti, che nella foga non si sono accorti di averlo trovato loro stessi l'eroe silenzioso e senza pensarci due volte lo hanno sbattuto in prima pagina mondiale, facendo un clamoroso autogoal.

Andrea Vecchio, imprenditore catanese, è l'eroe silenzioso che con le sue parole nel giro di pochi minuti ha scardinato tutto. Dopo anni di silenziosa resistenza ai ricatti ed ai soprusi dei violenti oggi dice:

"Non solo mafia: il 70% del mancato sviluppo della nostra società è da addebitare alla mala burocrazia e alla mala politica"


Ed ora come faranno i professionisti dell'antimafia? Secondo uno dei loro simboli, colui il quale credevano li avrebbe aiutati per decenni ancora a speculare sui nostri dolori, la mafia non è il primo nemico della Sicilia e dei Siciliani!

"avrei potuto soddisfare le esigenze dei miei estorsori con 15-20 mila euro"


Altra mazzata! Sarebbero queste le somme che dovrebbero mettere in ginocchio l'economia dell'isola? L'azienda di Vecchio fattura milioni di euro!

"Quando aspetti dalla Regione siciliana - ha continuato Vecchio - un decreto per autorizzare un deposito di carburante provvisorio in un cantiere (che nel resto d'Italia si realizza senza autorizzazioni) e ti occorrono quattro anni ed una spesa di cinquemila euro, allora è più semplice pagare il pizzo e l'ammiccamento"


Tutto è andato in frantumi... tanto certosino lavoro per procurarsi questa bella patente da antimafioso, ed ecco che tutto va in fumo nel giro di poche righe! Ed ora cosa farete? Accuserete Vecchio di contiguità come fate con chiunque metta in dubbio il vostro sacro verbo? Cercherete di tappargli la bocca come ha cercato di fare lo stato dopo gli attentati (ma Vecchio ha parlato lo stesso...).

Ve lo dico io cosa farete: nella Sicilia libera che sta per venire potrete andare a chiedere le elemosina all'angolo della strada. E siccome i Siciliani nelle loro vendette sono raffinati, state sicuri che tutti verseranno qualcosa, quale contrappasso per quei trenta denari che per ora vi arrivano con tanta caritatevole puntualità.



Colluso con il Popolo Siciliano

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venerdì, ottobre 12, 2007

Mafiopoli redux

Nei bui anni '80, il giornalismo catanese si distingueva per una peculiarità sinistra: la negazione assoluta del fenomeno mafioso, o meglio la negazione della evidente presenza in città di un controllo pressoché totale della vita di civile ed economica da parte della criminalità organizzata.

Leggendari sono rimasti gli scontri tra giornalisti come Pippo Fava che si muovevano fuori dal “mainstream” (in quei tempi era comunque ancora possibile...) e l'ufficialità, già allora rappresentata (manco a voler essere ripetitivi...) dalle pagine de La Sicilia.

E sono rimasti famosi alcuni episodi di scandalosa censura, come quella (pare) effettuata proprio dalla redazione etnea sull'annuncio mortuario di una delle innumerevoli vittime di quegli anni, il commissario di polizia Beppe Montana.

Lasciando per un attimo questo argomento e tornando ai giorni nostri, lo stato, non ancora rassegnatosi alla perdita del controllo sulla Sicilia, tenta nel frattempo di consolidare gli artigli dell'oppressione sui nostri fratelli calabresi.

La strage di Duisburg, l'estate scorsa, poneva alcuni interrogativi riguardo alle nuove strategie del regime (vedi post). Dagli ultimi articoli apparsi sulla stampa tosco-padana si vede chiaramente l'ombra della minaccia verso l'Europa intera rea forse di volere mettere un piede ben fermo nel Mediterraneo centrale. Additando la Calabria a minaccia per il continente, con sottile stile mafioso, si vuole anche far intravedere ai malfidati coinquilini di Bruxelles a quali conseguenze andrebbero incontro continuando a ficcare il naso dove non dovrebbero.

D'altronde anche nella stessa Sicilia si sta tentando di alzare il tiro con tutta la farsa della guerra di mafia, della presunta richiesta di aiuto da parte dei siciliani, e della dichiarata intenzione di mandare l'esercito in Sicilia per reprimere gli isolani che oramai camminano per la strada a testa alta, anche se non ancora padroni in casa propria e con le tasche decisamente vuote.

Proprio la strana differenza nel tipo di attenzioni destinate ai due popoli, quello siciliano e quello calabrese, rende palesi gli obiettivi degli invasori: se tutto quello che ci viene propinato sui media ufficiali fosse vero, da uno stato attento ai bisogni dei sudditi che si dice disposto a qualunque spesa per il loro benessere (muovere un esercito non è cosa da niente...) ci si dovrebbe aspettare l'uso delle forze armate innanzitutto per risolvere l'emergenza in Calabria o in Campania piuttosto che in Sicilia dove l'unico segnale di presenza criminale sono stati 3 attentati ad una ditta catanese (caso peraltro già risolto!).

Invece, mentre da un lato si sostiene l'immensa pericolosità della 'ndrangheta (che bel nome evocativo... complimenti!) con seminari, articoli, film, ma non si fa assolutamente niente per estirpare la malacarne da quella terra martoriata, dall'altro, malgrado il procuratore antimafia Grasso ridicolizzi gli allarmi dei politicanti, si parla già di sorvegliare gli obiettivi sensibili con i mitra spianati!

La realtà è chiaramente diversa. In Calabria si cerca ancora di agire con i metodi classici del controllo mass-mediatico. In Sicilia questa tattica non è più tanto efficace, per cui si passa oltre. Non vogliono mollare la presa, e vorrebbero mostrare al mondo di essere disposti a tutto per mantenerla. Sarà vero?

Appena oltre il faro nel frattempo in questi giorni è stato presentato un nuovo tassello dello spettacolo neo-coloniale. Un film con manifesto tipo notte dei morti viventi, immagini di spari e silenzi... la solita porcata insomma. Solo che girando per il sito si scopre qualcosa di interessate. Alla pagina dei siti amici (chissà che vorrà dire “amici”...) compare una nostra conoscenza: l'Innominato! Ma che bella inversione ad U rispetto agli anni 80! Quando c'era non la vedeva, ora che non c'è (almeno nei termini che si vorrebbero far passare) la vede dappertutto, in Sicilia come in Calabria!

L'interessantissimo articolo di Litrico che vi abbiamo riproposto di recente, apre enormi squarci sull'oppressione mass-mediatica settentrionale (siamo nel 1975) e permette di capire come il ben oliato meccanismo venga fatto funzionare. Leggendolo si ha la netta sensazione che il regime “si sia fermato a Lamezia Terme”, tanto i fatti e le tecniche (nonché i luoghi...) si dimostrano ripetitivi.

E poi questi ragazzotti della sedicente La Santa film... Ma come, venite qui ad insegnarci la civiltà, ad accusarci di omertà, e lo fate sotto la protezione dell'Innominato?
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mercoledì, ottobre 10, 2007

Indipendentismo a Messina

In questi giorni a Messina ha aperto una mostra dal titolo "Il fenomeno dell'Indipendentismo a Messina".

Rino Baeli (Messinacity.com) ha visitato la mostra, trovandovi alcune incongruenze, di seguito elencate:

1) La foto del manifesto della mostra con un soldato americano è fuori luogo.
Allude alla indipendenza all'americana e con l'aiuto della mafia.
2) Il titolo allude ad un "FENOMENO" ed a una "PARABOLA" indipendentista.
Non tiene conto di secoli di regno indipendente di Sicilia.
3) Giuliano confuso con Canepa, in mezzo all'opuscolo "LA SICILIA AI SICILIANI"
grave confusione di figure e di idee.
4) I giornali autonomisti ed i giornali indipendentisti confusi nella
esposizione.
5) Molte foto, molti documenti, poche didascalie. Non si capisce molto di
quello che è il contenuto dei documenti ed il motivo della loro esposizione
6) Il bel catalogo fatto con i soldi degli sponsors è in vendita a 15 euro
questo riduce enormemente la diffusione presso il pubblico.

La sua proposta é quella di andare insieme all'evento per raccogliere i commenti di tutti e preparare una lettera di risposta.

Chi volesse contattare Baeli puó farlo ai seguenti numeri:
Cell: 333 7477702
FAX: 090 9432048

Si consiglia comunque a quante piú persone possibile di visitare l'evento, anche per mostrare quanto interesse raccoglie l'argomento nei siciliani.
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lunedì, ottobre 08, 2007

Mafiopoli

L'articolo che segue, pubblicato per la prima volta nel 1975, è tratto dal blog di Meridio Siculo, una vera miniera di gemme preziose per tutti i sicilianisti, e non solo. Il pezzo mostra tutta la lordura di questo regime che ancora ci opprime e ci deprime. Fosse stato pubblicato ieri, nessuno si sarebbe accorto che risaliva a 3 decenni fa, tanto giriamo a vuoto oppressi dalle catene dell'ultimo regime segregazionista al mondo. Trent'anni che i governi nazionali lanciano lotte alla mafia di ogni tipo, trent'anni che gli ascari locali promettono svolte vicine mai raggiunte. Potrebbero letteralmente pubblicare domani mattina le notizie di 50 anni fa, nessuno noterebbe niente. E non è detto che ogni tanto non lo facciano...

MAFIA E DOPPIOPESISMO MEDIATICO

(tratto da "INVIATI TROPPO SPECIALI"
di Giuseppe Litrico (1975)


In principio era la mafia siciliana. Anzi sol­tanto dell'Occidente siculo. Un autorevole roto­calco, anni fa, pubblicò persino una geografia della mafia i cui confini correvano netti da Nord a Sud nel cuore dell'Isola. Nessuno a quel tempo avrebbe immaginato il suo travalicare dai secolari confini e poi lo sbarco in Calabria e quindi via via la travolgente risalita della Penisola.

A tanti cronisti del Nord non parve vero. O meglio, non si chiesero nemmeno fino a che punto fosse vero tanto dilagare mafioso. A loro bastava che qua e là fosse segnalato qualche epi­sodio criminale che implicasse una presenza mafiosa o semplicemente la facesse sospettare. A in­gigantire, a travisare ci avrebbero pensato loro.

Nel frattempo anche la dialettica politica si appropriava del termine facendone un aggettivo per bollare le prevaricazioni, vere o presunte, de­gli avversari; un aggettivo truce ed evocatore di malefica, insondabile potenza.

Per la stampa del Nord che ha spesso trattato gli avvenimenti meridionali con una superficiali­tà pari soltanto alla iattanza di certi suoi croni­sti, queste metamorfosi mafiose, vere o presunte, rappresentano altrettanti motivi per dimostrare che al Nord la criminalità cresce perché la mafia tira le fila dalla lontana Palermo; la mai abba­stanza vituperata Palermo che al Nord viene im­maginata come un'immensa mafiopoli a organiz­zazione piramidale: al vertice i Don Calo' di tur­no chiamati a presiedere il governo dei padrini; alla base un vero e proprio esercito clandestino, agguerrito e spietato. Ogni tanto le spaccature verticali, come per le correnti dei partiti: scontri di fazioni, di gruppi, di interessi ed ecco la dia­lettica della lupara.

Settembre 1975: la stampa settentrionale scopre la "ndrangheta", cioè la mafia calabrese. L'episodio scatenante della nuova ondata di inchieste giornalistiche è il sequestro e l'assassi­nio di Cristina Mazzotti organizzato dalla mafia calabrese con la complicità di criminali del Nord. I rotocalchi, soprattutto, spillano mafia e violen­za da ogni anfratto della terra calabra, integran­do i loro servizi con le consulenze di esperti mafiologhi che sanno sceverare fra i misteriosi sim­bolismi della "ndrangheta" e tracciare paralleli e confronti con la mafia siciliana.

L' "Europeo" guarda al nuovo fenomeno mafioso con severo distacco intellettualistico for­mulando dotte derivazioni e puntigliose analisi socio-economiche.

Ma è lo stesso "Europeo", il 26 settembre 1975, a pubblicare una inquietante intervista con i poliziotti svizzeri che catturarono il ticinese Ballinari le cui rivelazioni permisero di risalire ai responsabili diretti del fatto criminoso.

Salvo un colpo di fortuna eccezionale — af­ferma un funzionario della polizia di Chiasso — non arriveremo mai a chi tiene le fila di questa attività. Teniamo presente che, tra qui e l'Italia, abbiamo messo in carcere una ventina di perso­ne: la gang al completo, si dice. Eppure abbiamo trovato soltanto cento milioni del riscatto paga­to dai Mazzotti. Manca un miliardo tondo. Quei cento milioni sono le paghe dei manovali, il re­sto, più o meno, è ciò che è andato alla "men­te", al vero capo. E questo miliardo sarà diffici­le recuperarlo, perché occorrerebbe dare un nome e un volto a chi ne è in possesso. Noi siamo sicu­ri che un capo, potente e insospettabile, esiste, così come siamo sicuri che se ne sta nel Nord Ita­lia, e non in Calabria. "Voi non potete nemmeno immaginare chi c'è dietro questa storia", ha det­to Ballinari in un interrogatorio, ma non è anda­to più oltre. E' probabile che non ne sappia di più, come gli altri. Non è gente da miliardi, quel­la che abbiamo preso, non è gente che da ordini. Sono esecutori. Tra loro ci può essere un capo, ma è come in un’impresa di costruzione, il geo­metra o il capo operaio. L'ingegnere, l'imprendi­tore, quelli clic firmano i piani, se ne stanno al sicuro, nessuno li ha mai visti, l: godono di pro­tezioni, di attenzioni; è gente che non si può "di­sturbare" nemmeno se ci sono di mezzo dei mi­liardi, e dei morti ammazzati. E' duro ammetter­lo, ma questa è la nostra sensazione.

Manovalanza meridionale, "azionisti" setten­trionali. La storia si ripete: è quella di sempre. Del resto se le industrie del Nord si giovano della manovalanza meridionale, perché non dovrebbe fare altrettanto la fiorentissima industria del se­questro?

Sarebbe quasi divertente — se non si trattas­se di un fatto tragico — il notare come in taluni articoli di stampa si è parlato di Libero Ballinari, o meglio come ne hanno parlato le persone che lo conoscevano: un balordo, si, un contrab­bandiere, certo, ma uno che ha fatto quel che ha fatto perché si spaventava della "ndrangheta". Povero ragazzo, rovinato dai calabresi cattivi. Che strazio!

Ma intanto la stampa del Nord si guarda be­ne dall'applicare altrettanto massiccio zelo inqui­sitorio nel mondo dei contrabbandieri che agi­scono ai confini con la Svizzera e che la crisi del­la loro abituale attività ha costretto a cercare un nuovo "lavoro", (gente un tempo abituata ad avere il denaro facile e che oggi è in difficoltà. Sono sempre i poliziotti svizzeri di cui sopra che parlano.

Manco a farlo apposta, mentre la solita stam­pa si occupava della Calabria, fa la sua apparizio­ne nel Sud la salmonellosi. I grandi inviati non si lasciano sfuggire l'occasione: risalgono, a grandi passi, la penisola per convergere rapidamente su Avellino e ricominciare la tiritera sui mali del profondo Sud.

Microbi, fogne all'aperto, basse manovre dei notabili, coppole, malcostume politico, agricoltu­ra in crisi: un potentissimo intruglio in dose urto di profondo Sud del quale, come al solito, si parla come se si trattasse di un altro pianeta distante da Roma e dal Governo migliaia di chilometri: un pianeta dove gli inviati atterrano come astronau­ti solitari alla ricerca di organismi sconosciuti.

L'"Europeo", ovviamente, intellettualizza le sue cronache affidandole a Enzo Magri (un gior­nalista siciliano che a giudicare dal tono dei suoi articoli, appare ormai gravemente contagiato dal­la spocchia meneghina), che dedica spazio oltre­ ché alle salmonelle anche a Guido Dorso. Ad Avellino infatti l'insigne sociologo nacque, e, in barba alle salmonelle di quel tempo, sopravvisse.

Dalle salmonelle al trasformismo politico meridionale il passo è obbligato per un cronista settentrionale. Scandalizzato, Magri, rivela che un tizio di quei paraggi — monarchico — ha fatto il salto della quaglia passando dalla monarchia al PCI; che un ex missino è approdato al PSI; che un democristiano è scappato dalla DC per andare nel PLI, ma poi ci ha ripensato ed è tornato alla DC.

Peccato che Guido Dorso morì troppo presto per potersi occupare anche del trasformismo set­tentrionale e vedere per esempio come tanti fer­venti fascisti avrebbero scoperto l'antifascismo e il prezioso bene della democrazia nonché l'amore sviscerato per il popolo lavoratore. E co­munque non era questo il trasformismo stigma­tizzato dall'illustre meridionalista, o, perlomeno, non solo questo. Si aggiunga anche che il Dorso non attribuì l'arretratezza meridionale esclusiva­mente alle classi dirigenti del Sud e al loro tra­sformismo, ma soprattutto alla cosiddetta con­quista piemontese da lui definita grigia, fredda uniforme che a mano a mano che progrediva la­sciò insoluti tutti i dati ideali della rivoluzione. Scrisse anche che il problema meridionale non è una questione tecnica o un coacervo di questio­ni tecniche ma un problema politico, anzi istitu­zionale e quel trasformismo ha permesso (e per­mette) lo sfruttamento del Mezzogiorno a favore delle minoranze antiliberali e cleptocratiche del Nord. Ed è sempre Guido Dorso — che tanto pia­ce a l'"Europeo" — a scrivere che l'Italia settentrionale per ottantacinque anni non ha fatto al­tro che lavorare per tenerci, più o meno forzata­mente, nella posizione di mercato di consumo.

Ed è sempre Guido Dorso a dire: Sostanzial­mente noi siamo soggetti ad una doppia tirannide: dello Stato su tutta la vita pubblica meridio­nale e della vecchia classe dirigente sul popolo meridionale.

E ancora:Con l'emigrazione il contadino me­ridionale non è riuscito che a porre le basi di una altra truffa storica: l'impossessamento da parte dello Stato, attraverso i prestiti di Stato, i rispar­mi postali e le sonde bancarie, di tutte le rimesse per irrobustire le industrie parassitarie del Nord e finanziare la politica di megalomania naziona­le.

Concetti attualissimi ancora oggi ma la stam­pa del Nord si volge al Sud soltanto per denun­ciare carenze "endemiche" o parlare delle salmonelle trasformiste di Avellino; trasformiste al punto che ai primi esami riuscirono a far credere di appartenere ad altro schieramento microbico, ingannando le autorità sanitarie.

Più capacità trasformistiche seppero esprime­re tuttavia le salmonelle di Latina, se è vero — co­me scrive il "Borghese" — che avevano fatto ca­polino già un anno prima nella città laziale.

Sono pochi a sapere — afferma infatti il "Bor­ghese" (12 ottobre 1975) — che la salmonellosi non è esplosa ad Avellino, ma che casi di neonati colpiti da questa malattia si sono verificati nel nostro Paese sin dall'anno scorso. Nel luglio del settantaquattro infatti, a Latina, due bambini morirono per la salmonellosi ed altri quattordici ne furono contagiati. Sarebbe stato logico — con­tinua il "Borghese" — che si fosse lanciato un allarme sanitario a livello nazionale, che si fossero prese tutte quelle misure atte a circoscrivere il fenomeno.

L'inviato del "Borghese" pone al medico provinciale di Latina un pesante quesito: Dotto­re, oggi si fa un gran parlare dell'epidemia di salmonella scoppiata ad Avellino eppure già un anno fa a Latina si moriva per questa malattia senza che l'opinione pubblica ne fosse informata. Come lo spiega?

il sanitario non sa spiegarlo. E ciò lascia aper­to il campo alle ipotesi e agli interrogativi a cate­na. Perché la stampa nazionale non si è avventata su Latina, sviscerandone le vergogne e le "proble­matiche" come ha fatto per Avellino? Forse per­ché Latina è al di sopra del Garigliano e più vici­na a Roma? Non fanno notizia i microbi di Lati­na? E quelli di Roma? E quelli di Brunico? La verità è che alle vergogne del Centro-Nord un certo giornalismo guarda senza lenti colorate e quando si prova a denunciarle lo fa con la nor­male, scarna metodica cronistica, senza derivazio­ni folkloristiche, scandagli sociologici, considera­zioni gratuite;in poche parole,senza quel contor­no, più o meno velatamente razzista,che trasforma in un fenomeno da baraccone qualunque episodio di una certa gravità che viene segnalato dal Sud.

Come dicevamo, 1'"Europeo" si è abbondan­temente occupato della salmonellosi di Avellino e della "ndrangheta" calabrese. Per l'occasione Lamezia Terme si è vista così ribattezzare, con un titolone ad effetto, "'La capitale dei sequestri'".

Ora anche a voler concedere un buon margi­ne alla esigenza giornalistica del titolo stuzzican­te, la forzatura è eccessiva per non dire mostruo­sa anche tenendo nel dovuto conto la situazione obiettiva della zona, relativamente ai crimini mafiosi e a certi legami con alcuni sequestri av­venuti al Nord: un fenomeno, quello dei seque­stri, ancora tutto da definire e i cui vaghi contor­ni se non altro dovrebbero consigliare una certa prudenza nel trarre conclusioni e giudizi che pe­sano come un marchio di infamia su intere popo­lazioni.

Il resto era scontato. L'elencazione di caren­ze, il solito rosario di problematiche, la solita fo­tografia della strada principale con i giovani che fanno lo "struscio": ed ecco il "servizio" bello e pronto, in confezione intellettualizzata. Non è mancato anche in questo caso il rilievo su l'ec­cessivo numero di negozi, in rapporto al livello economico generale della zona, quasi una impli­cita allusione a un ipotetico, vorticoso giro di de­naro sporco (ben riciclato però) che starebbe po­nendo le premesse per un decollo economico del Sud più di quanto non abbiano fatto le politiche meridionalistiche e la "Cassa".

Ma sentiamo ancor meglio perché l'"Europeo" (19 settembre 1975) si è occupato di Lamezia. L'articolo contiene e sintetizza tutti i "perché" dell'inchiesta, in un prologo vagamente archeologico:

Ora che abbiamo sepolto Cristina andiamo a dissotterrare 'sta Lamezia Terme.

Sia pure un frammento d'un qualcosa lo tro­veremo per capire i perché.

Una cosa è certa a questo punto: sia pure in­consciamente, l'autore dell'articolo rivela incli­nazioni da tombarolo. Avrebbe potuto realiz­zarsi meglio (come si dice oggi) nella terra che fu degli Etruschi; invece no: eccolo a Lamezia a dis­sotterrare cocci e "perché".

E continua: Perché qui, proprio qui, c'è la centrale dalla quale sono partiti gli ordini di un sequestro di persona che, proditoriamente o ca­sualmente, si è trasformato nel più abominevole crimine che si sia mai verificato in Italia. Perché qui, proprio qui, hanno ammazzato un avvocato generale dello Stato.

Perché qui, proprio qui, c'è un tragico sospet­to sulla morte di un magistrato che faceva il suo dovere.

Perché qui, proprio qui, la mafia in versione calabra, detta pure "ndrangheta", vive alligna e comanda. Solo che una volta spaccata la crosta — continua l'articolista, nel suo raptus archeologico — e si superi la sedimentazione di trent'anni di stra­potere democristiano, di vent'anni di impostime fascista e il deposito millenario dell'abbandono, bisogna pur fermarsi un tantino di più in questa stazione di cambio delle locomotive per esami­nare i reperti.

Perfetto. Ma se il Sud avesse una stampa po­tente e diffusa non potrebbe benissimo dissot­terrare anche al Nord "reperti" d'ogni genere? E il medesimo inviato non potrebbe benissimo esor­dire alla medesima maniera se si occupasse di rompere le croste (si fa per dire) delle sedimenta­zioni del Nord? Certo che lo potrebbe. E ne ver­rebbero fuori filastrocche ancor più lunghe e ancor più dense di delitti e di "perché".

Per esempio. Siamo venuti a Genova, perché qui, proprio qui, hanno proditoriamente (e non casualmente) assassinato Milena Sutter, una ra­gazzina di tredici anni; sequestrata, strangolata e buttata a mare. Un crimine abominevole, il più abominevole che si sia verificato in Italia.

Perché qui, proprio qui, è stato perpetrato il primo clamoroso caso di sequestro di persona a sfondo politico: il sequestro Gadolla.

Perché qui, proprio qui, hanno ammazzato un povero fattorino di banca in una rapina del medesimo stampo.

Perché qui, proprio qui, hanno rapito e quasi ammazzato il giudice Sossi.

Perché qui, proprio qui, alcuni industriali fi­nanziavano un tentativo di "golpe" fascista.

Perché se cominciassimo dal Settentrione, da lì, proprio da lì. a rompere le croste di tante sedimentazioni non finiremmo più di cercare e di trovare reperti.

E tutto ciò senza nemmeno scavare troppo.
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giovedì, ottobre 04, 2007

Rita Borsellino, boooohh!!!

C'era una volta il giuramento di sangue, rito che segnava l'accettazione indissolubile del legame mafioso. E' arrivato poi il bacio in bocca, altro ributtante rituale mafioso nel quale pare venne coinvolto anche un noto politico italiano. Si è poi scesi a più miti consigli, con la bibbia usata come chiave di un codice cifrato.

Insomma, di minchiate ce ne hanno dette tante. Così ridicole che, a parte qualche ingenuo, solo chi ci voleva già credere poteva prestarvi orecchio.

Ma l'ultima di queste minchiate è così insulsa da risultare comica. Ora si è arrivati allo “scambio delle fedi” tra due boss mafiosi, uno della Sicilia occidentale ed uno della Sicilia orientale. Tutta l'isola coinvolta! Che paura! Santapaola e Bagarella uniti da questo rito ancestrale. I mostri che stanno di nuovo per invadere la terra.... sembra quasi di veder già volare il Grande Mazinga sopra la cupola del duomo di Catania, pronto a combattere questa nuova minaccia.

Ecco: così Prodi avrà ripetutamente sognato se stesso in questi ultimi mesi. Il mondo intero (insieme a qualche ascaro siciliano) che lo invoca a protezione dalla minaccia interplanetaria (la Sicilia) e lui che indossati i panni del grande guerriero a cartone animato arriva sotto l'Etna (tanto per ambientazione, uno scenario simile a quello della madre patria del famoso robot) a difendere i suoi sudditi.

E giù con le analisi psico-sociologiche di quart'ordine per spiegare l'arcano gesto. Giù con le dettagliatissime ricostruzioni dei nuovi accordi che coinvolgerebbero le diverse cosche (ma se sapete già tutto, che ci aspettate? Prendeteli così la facciamo finita con questi quattro mafiosetti...). Giù con gli articoli in prima pagina su tutti i giornali siciliani che guarda caso appartengono tutti ad una sola persona.

Ad esempio, da La Sicilia del 31 agosto 2007 ci ammonisce la colonna portante del giornalismo siciliano, il grande Tony Zermo che sentenzia che

“(quelli che pagano il pizzo) diventano complici morali degli attentati (contro chi non lo paga)”

ripristinando l'assioma secondo cui l'unico siciliano buono è quello morto, ucciso dalla criminalità. Se è ancora vivo, è mafioso. (Ma chi cala la testa e scrive gli articoli sotto dettatura, pena minaccia di chiusura della carriera, come viene classificato?)

E poi con un linguaggio da fare invidia solo ai bambini di terza elementare si ricollega ai tremendi fatti avvenuti nelle celle dove sono rinchiusi i peggiori nemici dell'umanità (nonché migliori amici dei padani...), i mafiosi:

“'La pace è finita' può essere verosimilmente un messaggio allo Stato per dire che la mafia potrebbe tornare ad alzare il tiro etc etc.”

Basta! Fermi! Bloccatelo! E' andato fuori di testa! Non si è accorto cosa sta scritto pochi centimetri più in là? Neanche su queste pagine si possono bloccare tutte le notizie. E' quindi se il Procuratore Antimafia, l'agrigentino Piero Grasso, dice qualcosa, lo spazio bisogna comunque darlo. Ed ecco il suo commento sullo stesso giornale:

“Guerre? Alleanze? Solo fantasie”

Mi sta cominciando a girare la testa.... Ma che minchia viene a dire tutto questo? E poi:

“Lo scambio degli anelli non stà ne in cielo ne in terra.”

Piero Grasso. Colui che ha arrestato Provenzano dopo che durante il regno del toscanaccio Vigna (praticamente aperto sostenitore delle tesi razziste lombrosiane) nemmeno un picciotto di sesto livello era più finito in prigione. La persona più informata sui fatti di mafia siciliana al mondo..

Ma allora di cosa hanno parlato (e parlano...) i giornali di mezzo mondo negli ultimi mesi? Ma come? Si parla di mandare l'esercito in Sicilia basandosi su una fandonia e su tre (dico 3) attentati contro un imprenditore catanese? (al quale lo Stato ha incredibilmente tolto la parola e la libertà di rilasciare dichiarazioni...).

E oggi, a più di un mese dalle parole di Grasso si continua ancora. E incredibilmente ad invocare il Prodi-Mazinga c'è Mandrake. Che nessuno poteva immaginare fosse una donna che oramai ha indossato a tempo pieno la maschera dell'Ascaro di professione: Annarita Borsellino!!!

Che vergogna le sue parole, basate sui fatti smentiti da Grasso:

“è come se quelle cartoline arrivate all'indirizzo di Riina e Provenzano con su scritto 'La pace è finita', avessero dato il via libera alle cosche di alzare il tiro, di rompere il silenzio per difendere i propri interessi sul territorio“

E così a fronte di questa minaccia contro l'umanità basata sul nulla, Rita Borsellino-Mandrake (Booohh!!!) chiede in una lettera a Prodi-Mazinga:

“Vi chiedo di non sottovalutare la situazione e di prevedere un piano di sicurezza per la Sicilia, che riveda le forze in campo e che, se può essere utile, impieghi anche l'esercito per la sorveglianza di obiettivi a rischio".

Ora però la frase della Borsellino è strana. Che significa “obiettivi a rischio”? L'esercito dovrebbe presidiare tutti i negozi siciliani uno per uno? Le autostrade prima che si ripetano gli attentati degli anni '90? I cantieri edili? Le case chiuse?

Oppure aeroporti, stazioni televisive, i palazzi comunali etc etc...
Ma questi non sono obiettivi mafiosi. Da quando c'è la mafia in Sicilia (secondo loro da sempre, secondo noi da quasi 150 anni) non si è mai registrato un solo attacco contro un obiettivo appartenente allo stato o ad aziende statali tipo ENI, ENEL, ALITALIA (ma che strana coincidenza...).

Questi sono obbiettivi di un altro tipo.... Non lo diciamo ad alta voce... Nascondiamoci dietro lo spauracchio mafioso....

Ma potremmo sbagliarci. Ad esempio, Grasso potrebbe aver detto in quel modo solo per cautela, per non fare capire ai nemici dell'umanità che si stava già indagando (mente fina, il procuratore...). Ma allora, se la procura vuole tenere tutto segreto per non compromettere le indagini, la Borsellino da dove le ha prese queste notizie circa la necessità di proteggere gli obiettivi a rischio? Bisognerebbe indagare. La DIGOS dovrebbe prelevare la signora ed interrogarla per bene. E se si dimostrasse reticente, si spinga pure un po' sull'acceleratore, visto che oramai la superiore civiltà occidentale sta mostrando il suo vero volto ed è arrivata a giustificare l'uso della tortura.

E se si venissero a scoprire strane connivenze bene. Altrimenti meglio ancora: i siciliani non potranno fare altro che urlare ancora più forte: “Rita Borsellino, boooohh!!!”

Devo fare un'aggiunta al post: non avevo notato prima quest'altro articolo. Bagarella smentisce l'episodio delle fedi. Ovviamente non vogliamo dare credibilità ad un delinquente quale il Bagarella (anche se in Italia molti danno credibilità a questa gentaglia...), ma lo fa in modo particolare:

"Voglio smentire una notizia data dall'Ansa di Palermo e ripresa dalle emittenti siciliane e italiane che dice che mi sono scambiato la fede di nozze con un tale Santapaola che non conosco"

Bagarella sostiene di non conoscere Santapaola. Ci sarebbe molto da speculare su questo. Ma per ora lasciamo perdere. Invece andiamo alla fine dell'articolo:

"Non si illuda Bagarella - aggiunge Bellavia (segretario dell'Assostampa, ndr) - nè i suoi scagnozzi, nè i suoi riferimenti ai piani alti del sistema, che questo avverrà mai. C'è da chiedersi, poi, di quale circuito informativo disponga un detenuto al 41 bis per ricostruire la genesi di una notizia, a partire dal giornalista che l'ha lanciata e dall'agenzia che l'ha battuta. Occorre che chi ha il compito di indagare vada a fondo su come Bagarella sia venuto in possesso di queste informazioni".

Su questo dovremmo indagare? Io invece dico che sarebbe più intereassante indagare su come Santapaola e Bagarella avrebbero saputo dello scambio delle celle, 41 bis o non 41 bis, fatto di cui ancora si parla nel processo, malgrado la smentita di Grasso. Ripeto: se il fatto delle fedi è vero, come sono i due venuti a sapere dello scambio di cella? Non sprechiamo i soldi pubblici, indaghiamo su fatti seri, per favore...

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martedì, ottobre 02, 2007

Provate a censurare questo...


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lunedì, ottobre 01, 2007

Arrampicata Sportiva

Abate Vella, hai notato che i tg delle ore 19.00 non hanno nemmeno accennato agli incidenti dello stadio di Torino?
Viene solo da vomitare...

Abate Vella, hai notato che i tg delle ore 20.00 non hanno parlato, come hanno fatto per il Catania, degli incidenti dello stadio di Torino (solo un piccolissimo accenno di appena 20 secondi)?
Forse perchè Torino non è in Sicilia.
La pressione arteriosa sale a 300...
Come ho chiesto ad altri amici...
Ma che ci stiamo a fare ancora in questa italia da pattume?

Solo un piccolissimo accenno di appena 20 secondi e, per di più, alla fine del telegiornale.


I commenti di un nostro lettore, riportati sopra, sollevano il coperchio su una delle tante pentolacce in cui ribolle l'appiccicosa retorica del regime segregazionista italiano.

Al solito, il costante riferimento al calcio anche su questo blog può sembrare frivolo. Ma lo stadio la domenica riflette veramente lo stato sociale dell'Italia di oggi, sia a livello popolare che a livello politico-economico. Il paragone può dare il voltastomaco, ma mentre i potenti di una volta si trastullavano con le scuole poetiche e gli artisti di ogni tipo, i potenti di oggi, in un epoca senza valori e senza cultura, in un epoca di decadenza che, con le dovute proporzioni, ricorda quella dell'alto impero romano, sono tornati al colosseo dove intrattengono il popolino con la versione moderna dei gladiatori di allora.

Le considerazioni riportate sopra mostrano il fianco di una delle grandi vergogne dell'Italia unita, che poi è anche una grande vergogna dell'occidente intero: in Sicilia non c'è alcuna libertà di stampa. Certo non è che l'Italia in generale brilli granchè in questo campo (basta scorrere la graduatorie mondiali a proposito, e non credete a chi dice che è colpa solo di Berlusconi...), ma in Sicilia la censura ed il controllo sono praticamente totali investendo qualunque argomento e lasciando trapelare solo quello che basta per dare un minimo di soddisfazione a chi legge, che altrimenti mangerebbe la foglia.

Per esporre il problema possiamo quindi partire proprio dalle redazioni sportive (o presunte tali) dei vari media locali che tutto fanno nelle loro trasmissioni tranne che giornalismo sportivo. Giornalismo sportivo non è solo il dare conto del risultato delle partite e stilare le pagelle dei giocatori. Intanto TUTTE le trasmissioni sportive siciliane fanno per il 90% del loro tempo solo questo. Nel restante 10% fanno ascarismo della più bassa levatura.

Tanto per spiegare meglio il concetto, possiamo portare l'esempio dei recenti casi di spionaggio della formula 1. Chi vuole aggiornarsi, senza pensarci due volte, si dirige verso il sito della Gazzetta dello Sport, sfoglia un giornale rapidamente sino alle pagine sportive o magari compra un magazine specializzato in motori. Il giornalista sportivo quindi non fornisce al lettore solo l'ordine d'arrivo della gara, ma lo ragguaglia sui retroscena anche quando questi potrebbero tranquillamente interessare altre sfere del mondo dell'informazione come quella economica, nel caso di spionaggio industriale menzionato sopra.

Lo stesso vale per il ciclismo, dove i discorsi sul doping vanno oltre il fatto sportivo interessando anche il campo medico e tecnologico. Ma sono sempre trattati in dettaglio sulle pagine sportive. E di esempi se ne potrebbero fare a decine.

Arrivati in Sicilia tutto questo scompare. In quel dieci per cento indicato prima, l'unica cosa che ci sentiamo dire è che non ci sono complotti, che si devono rispettare le decisioni dell'arbitro, che loro (i giornalisti sportivi) hanno il dovere di stemperare gli animi. Tutto questo, oltre che falso (e ci sono le prove) non fa altro che travisare la realtà a danno dei siciliani, che addirittura si vedono insultati e accusati di provincialismo, piagnoneria, o verbalmente bastonati qualora l'arbitro commetta un errore a favore nostro.

Innanzitutto il dovere di stemperare gli animi. A parte che non rientra tra i compiti di alcun giornalista quello di stemperare gli animi (e nemmeno quello di aizzarli... tanto per completezza!), sotto questa elegante dicitura non sentiamo altro che puzza di censura della peggior specie: quella che non solo impone di tacere, ma anche di travisare la realtà.

Le prove del “complotto” (parola inesatta, perchè non di complotto si tratta ma di sistema vero e proprio!) sono sotto gli occhi di tutti ed il nostro lettore le ha evidenziate chiaramente. Discutere i fatti di violenza accaduti nel resto d'Italia fa parte del DOVERE di tutti i giornalisti sportivi che si occupano di calcio, soprattutto quando vi è una evidente disparità di trattamento a livello nazionale rispetto a quello che succede in Sicilia. Ancora di più quando la disparità di trattamento si riflette anche nelle decisioni dei giudici sportivi, che lo scorso hanno squalificato lo Stadio Massimino per fatti avvenuti fuori dallo stadio, ma non riservano lo stesso trattamento a nessuna altra squadra.

Come mai i nostri giornalisti sportivi non parlano del fatto che ancora non si sa che cosa sia successo quel giorno a Catania? La pretesa di “voler dimenticare” è troppo pelosa: il mestiere del giornalista non è quello di far dimenticare, ma al contrario quello di esporre la realtà e di farla ricordare. Diametralmente l'opposto.

I nostri giornalisti, in questi tempi di successi sportivi siciliani (non solo nel calcio...) si sono trasformati in perfetti accessori del regime.

Ma la cosa più vergognosa alla quale assistiamo è la pervicacia con la quale questi nuovi ascari rampanti cercano di propagandare quei sentimenti campanilistici che poi alla prossima occasione provocheranno gli scontri tra le tifoserie. Se da un lato parlano di stemperare gli animi riguardo alla chiara disparità di trattamento subita dagli atleti siciliani in ogni campo (potrei citare ad esempio il fatto che gli atleti siciliani hanno di solito bisogno delle raccomandazioni dei ministri per andare alle olimpiadi, malgrado le loro prestazioni siano di gran lunga superiori a quelle dei loro colleghi settentrionali...), dall'altro dopo il pareggio del Catania a Milano nessuno ha posto in evidenza il fatto che il Milan era stato surclassato da ambedue le squadre siciliane in due partite consecutive. Anzi sulle emittenti catanesi si continuava incredibilmente a brandire come immeritata la vittoria del Palermo, quasi a voler creare risentimento tra i tifosi rosanero istigando al contempo quelli etnei.

Accettiamo magari qualche attenuante: essendo TUTTI i media siciliani praticamente in mano ad una sola persona (direttamente o indirettamente), capiamo che per lavorare il giornalista si veda costretto a “calare le corna”. Ma qualcuno un po' più smaliziato lo si intravede chiaramente. La scalata delle nuove leve dell'ascarismo prosegue indisturbata per il momento. Ma una volta in quota attenti alle vertigini....
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