Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

domenica, gennaio 31, 2010

A noi! Addis Abeba

Se l'oriente si fa sempre più vicino con il progetto di collegare Catania e Shangai con un volo diretto, dall'altro, qualora gli accordi presi recentemente tra la Sicilia ed il gruppo logistico Hna siano proprio quelli descritti nei comunicati stampa, l'occidente si fa sempre più lontano.

Secondo questi "intendimenti", una nuova pista dovrebbe (purtroppo) sorgere nella piana di Gerbini, al confine tra la provincia di Catania e quella di Enna. Ecco il succo degli accordi come pubblicato dalla stampa (“La Cina sarà più vicina con il futuro aeroporto di Gerbini”, EconomiaSicilia.com 22 gennaio 2010):

In sintesi si realizzerà un terminal per check-in e accoglienza passeggeri e ci sarà anche un free shop. Pista e terminal saranno comunque collegati all’aeroporto etneo di Fontanarossa  che, in base agli accordi presi, gestirà il traffico. La cilindrica torre di controllo dell’aerostazione catanese servirà anche per il movimento aereo della nuova e non ancora esistente pista.


Questa sintesi ci dice che gli accordi si stanno giocando sulla pelle della base militare americana di Sigonella: infatti non si vede come la “cilindrica” torre di controllo dell'aerostazione catanese potrà mai servire anche per l'aeroporto di Gerbini se al momento non serve ad un bel niente, visto che al controllo radar ci pensa proprio Sigonella, impedendo nei fatti lo sviluppo dello scalo etneo.

La torre di Fontanarossa serve solo per il controllo a vista. A causa della distanza di Gerbini non sembra che la stessa funzione possa essere espletata per la nuova pista.

Gli accordi tra Cina e Sicilia suggeriscono quel notevole ridimensionamento della presenza americana nel Mediterraneo i cui segnali si sono già visti da più parti (si veda ad esempio il post "Fuori dai piedi"). Un ridimensionamento che dovrebbe permettere un po' a tutti di tirare un sospiro di sollievo. Perché oggi da Sigonella partono missioni sempre più sospette.

Basti pensare ad esempio alla strana coincidenza tra la brutta fine fatta di recente dal Boeing 737-800 della Ethipian Airlines dopo la partenza dall'aeroporto di Beirut e la presenza nell'area di un velivolo statunitense P-3 Orion di pattugliamento proveniente proprio da Sigonella, come rivelato dallo stesso Dipartimento della Difesa a stelle e strisce (“Navy Assists Ethiopian Airlines Search, Rescue Effort”, 25 gennaio 2010).

Nel Corno d'Africa l'Etiopia è un punto di riferimento per l'occidente contro le milizie islamiche somale appoggiate dal mondo arabo. Solo pochi giorni fa grazie anche al suo appoggio l'ONU è riuscita ad imporre sanzioni contro l'Eritrea, rea di avere finanziato i patrioti somali (quelli che i quotidiani italiani chiamano Jihadisti).

La decisione di Addis Abeba di votare a favore dell'embargo dice però poco e niente, visto che l'Eritrea e l'Etiopia sono in uno stato di guerra latente da sempre. Molto più istruttivo è invece concentrare l'attenzione sulla Somalia, uno dei punti di snodo cruciali per il controllo delle nuove rotte commerciali che dall'Asia conducono al cuore del Mediterraneo (si veda il post “La via della seta”).

Lì il tracollo degli interessi di Washington sembra essere inarrestabile mentre la nazione cade nuovamente nelle mani delle “coorti islamiche”. Il madornale errore tattico dell'invasione irachena viene ora pagato con l'impossibilità di entrare nel conflitto direttamente per la mancanza di mezzi logistici ed economici. Per questo motivo a condurre le operazioni sul campo sono stati gli etiopi guidati dal governo del Presidente Zenawi: grazie alla loro non indifferente forza militare le coorti erano state praticamente annientate,

Poi all'improvviso nel gennaio 2009 l'annuncio di Addis Abeba:

Oggi, alle prime luci dell'alba, (...) i 3000 soldati di Addis Abeba hanno abbandonato la più importante base di Mogadiscio e hanno iniziato a ritirarsi verso nord. L'avvio dell'operazione è stata accolta da manifestazioni di gioia. Centinaia di somali sono scesi per strada tra grida e spari di armi automatiche. La grande base è stata invasa e, ovviamente, saccheggiata.

(“L'Etiopia ritira le sue truppe la Somalia in mano agli islamici”, Repubblica.it 13 gennaio 2009)

Risultato: le coorti, responsabili di immani crimini come ad esempio quello di voler “imporre il velo ad una popolazione femminile tradizionalmente laica” si sono nel giro di un anno riprese il terreno perduto.

Una situazione davvero incresciosa che qualcuno forse vorrebbe raddrizzare. Specialmente ora che Zenawi si prepara a nuove elezioni. L'Economist prevedeva la settimana scorsa, qualche giorno prima dell'incidente aereo, che se queste non saranno trasparenti e democratiche al punto giusto, nuovi problemi potrebbero sorgere. Come “peggiorare le cose nel vicino Sudan, dove la guerra civile minaccia di ritornare. Le terre di confine con il Kenya, dove il furto di bestiame, i cacciatori di frodo e il banditismo è endemico, diventerebbero ancora più pericolose. Nuove tensioni in Etiopia potrebbero essere sfruttata dal suo arci-nemico, l'Eritrea (...) e potrebbe causare un peggioramento in Somalia (...). Fonti di intelligence straniere [straniere di dove?, ndr] hanno a lungo temuto un attacco dei Jihadisti nella capitale etiope, Addis Abeba” (“Jangling nerves”, 21 gennaio 2010).

Tutta una serie di jettature che potrebbero essere usate per convincere il restivo alleato a assecondare certe pretese. Non vorrà certo Zenawi rovinare i successi del suo paese, tra i quali il settimanale inglese (incredibile coincidenza a 4 giorni dal fattaccio) ricorda “una delle più grosse compagnie aeree dell'Africa”.

Dopo l'indicente intanto le autorità libanesi si sono affrettate, senza alcun dato in mano, ad affermare che non si tratta di terrorismo ma di una “severa tempesta di tuoni”. Chiediamo a Capuana, l'assessore alla base USA della Provincia di Catania, di fare il suo mestiere aiutando le indagini: quelli del velivolo partito da Sigonella ed in missione nell'area potrebbe saperne qualcosa, vada ad informarsi. Anche se ora lo stesso velivolo è impegnato nelle operazioni di “ricerca e soccorso” (qualcuno suggerisce del corpo del reato più che dei corpi delle vittime...) aiutato da un “distruttore di missili guidati” (chi è che vuole colpire con un missile i soccorritori?).

Ditemi voi se qui in Sicilia possiamo continuare ad ospitare una base che presti tanto facilmente il fianco a tali sospetti.

Nella foto in alto Meles Zenawi, il Presidente Etiope

[Continua a leggere...]

martedì, gennaio 26, 2010

Il Consiglio 2.0

I pressanti impegni che hanno tenuto fermo il blog nelle ultime settimane hanno anche permesso di riflettere attentamente sugli scopi e sui contenuti dello stesso. Se vogliamo dirla tutta la lontananza dal mondo virtuale della rete, oltre a permettere un più ampio riciclo d'aria nei polmoni, ha scatenato una piccola crisi d'identità nell'“avatar” che questa pagina cura nei ritagli di tempo.

Una “crisi” maturata nell'ambito di una semplice constatazione: la situazione politica ed economica di oggi e le prospettive (positive o negative che siano) che si aprono per la nostra Terra sono profondamente diverse da quelle che suggerirono la nascita de “Il Consiglio” nel 2005.

Cinque anni fa la mancanza di un seppur piccolo spazio “Siciliano” che tentasse di rileggere e stravolgere le truffe ammansite non solo ai siciliani, ma a tutti gli italiani da una stampa completamente piegata agli interessi di precisi e riconoscibili gruppi di potere (sia locali che nazionali e/o internazionali) fu la molla che favorì questa nascita.

In base ad una decisione tattica cosciente, la strategia prescelta non fu quella di attingere commenti e deduzioni dalle cosiddette fonti alternative (qualcuno direbbe cospirazioniste...), bensì quella di mostrare la fallacità delle fonti ufficiali mettendo a confronto i bei quadretti da queste preconfezionati con lo sviluppo reale degli eventi in modo da evidenziare contraddizioni ed incongruenze tanto paradossali da non poter lasciare spiegazione alcuna se non quella dell'incompetenza e della malafede.

Il Consiglio non è stato certamente l'unico o il primo a scegliere questa strada, ma credo si possa dire che esso sia stato (e sia tuttora) uno dei pochi nel panorama nazionale italiano ad avere focalizzato l'obiettivo su una reinterpretazione dei fatti di cronaca giornalieri o dei temi storici più generali in chiave siculo-centrica (permettetemi la sottile auto-ironia...) senza cadere nei facili cliché del piagnisteo e della predestinazione al disastro perenne tipiche dei nostri animi levantini.

Oggi però, come detto, la situazione è cambiata e sicuramente non vi è più bisogno di collegarsi al Consiglio o ad altri siti a tematica “sicilianista” per sentire parlare di certi argomenti.

Oggi per realizzare il sogno di un'auto siciliana, coltivato da almeno due generazioni di nazionalisti, si muovono aziende internazionali grazie a fondi privati provenienti da tutto il Mediterraneo e grazie agli auspici di un imprenditore di Porto Empedocle, Simone Cimino (“Auto elettrica siciliana, ad aprile si comincia con le infrastrutture”, EconomiaSicilia.com 22 gennaio 2010).

Oggi la Regione Siciliana si dichiara nettamente contro la nuclearizzazione dell'isola con una presa di posizione senza precedenti, spingendosi a suggerire la propria contrarietà a simili soluzioni anche per le restanti regioni del sud ed addirittura per l'isola di Malta (“Nucleare in Sicilia? No, grazie
Approvato ordine del giorno del Pd all'Ars
”, SiciliaInformazioni.com 20 gennaio 2010).

Oggi la realizzazione dell'hub logistico Augusta-Catania-Termini Imerese si fa sempre più concreta e le dichiarazioni d'intenti dei cinesi sempre più pressanti (anche se la stramba idea dell'aeroporto di Gerbini, seppur ridimensionata, continua ad incombere sugli aranceti della Piana di Catania, “La Cina sarà più vicina con il futuro aeroporto di Gerbini”, EconomiaSicilia.com 20 gennaio 2010).

Senza contare la decisione della Sharp di utilizzare la Sicilia come centro di produzione per il bacino del Mediterraneo (si veda il post “Il sol dell'avvenire”) e tanti altri avvenimenti che indicano quanto attendibili siano i discorsi che questo ed altri siti hanno condotto in questi ultimi anni.

Continuare e tenere conto dei continui falsi allarmi mafiosi, delle minacce confezionate tra Roma e Milano, delle bugie di stampo massonico che i mezzi di stampa ancora a tratti allineati al decadente potere occidentale credono di poter diffondere impunemente, non farebbe più rimanere queste pagine all'avanguardia. La rilettura dei tragici fatti degli anni 90 o la rinascita della Nazione Siciliana sono ora argomenti concreti. Argomenti che non è più possibile tenere nascosti ma che stanno rompendo gli argini tracimando sulla carta stampata o sugli schermi televisivi.

Nel corso del 2010 il bisogno di collegarsi con Il Consiglio per comprendere cosa stia succedendo in Sicilia diminuirà sensibilmente.

Allora quale futuro (se vi è un futuro) per un blog come questo?

La risposta, il cambiamento di prospettiva, era forse già in atto in modo naturale (si veda ad esempio l'ultimo post, “Fratelli d'Egitto”), ma questa “pausa” ha permesso di affrontare il problema con maggiore precisione.

Se si vuole continuare a guardare lontano ed a prevenire lo svolgersi della storia preparandosi ad affrontarlo, piuttosto che subirlo, si deve allargare il campo uscendo definitivamente dallo stretto abito rinascimentale romano e proiettando la Sicilia (o meglio, il Regno di Sicilia...) nel mondo.

Se vogliamo andare oltre dobbiamo ora essere capaci di capire avvenimenti che avvengono in aree del globo sempre più lontane da noi ed interpretare gli effetti che essi avranno sulla nostra Terra. Dobbiamo cominciare a ri-collocare la Sicilia sul mappamondo osservando le conseguenze di questo ri-affiorare storico.

La Sicilia ed i Siciliani devono ora avere la capacità di ri-posizionarsi di fronte al mondo e di operare in esso. La funzione di Roma come filtro deve definitivamente scomparire dal nostro immaginario. Roma vale tanto quanto Tunisi da oggi in poi, un paese confinante da trattare secondo le norme di buon vicinato con il quale stringere accordi politici ed economici quando ciò possa giovare alla nostra Nazione.

Il Consiglio è pronto ad una nuova sfida.

[Continua a leggere...]

lunedì, gennaio 18, 2010

Fratelli d'Egitto

Uno dei più gustosi strascichi dovuti ai fatti di Rosarno (si veda il post “Forza lavoro”) è stato il feroce attacco sferrato dall'Egitto nei confronti dell'Italia e degli italiani, un attacco che è sembrato viaggiare in parallelo a quello lanciato dall'Osservatore Romano il quale, invece di circoscrivere il problema in quel di Calabria, ha dato del razzista a tutti peritandosi anche di specificare in modo netto il riferimento al “Nord”:

Oltre che disgustosi, gli episodi di razzismo che rimbalzano dalla cronaca ci riportano all'odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato. (...) Non abbiamo mai brillato per apertura, noi italiani dal Nord in giù. ” (“Tammurriata nera”, 11-12 gennaio 2010)

La denuncia egiziana diramata dal ministro degli esteri del paese nordafricano punta anch'essa l'indice all'Italia tutta, o peggio ancora allo stesso stato:

In una nota il Cairo denuncia la "campagna di aggressione e le violenze subite dagli immigrati e le minoranze arabe e musulmane in Italia, chiedendo al governo italiano di prendere le misure necessarie per la protezione degli stranieri". "Facciamo appello alla comunità internazionale perché non si ripeta più" (“Rosarno, Egitto accusa l'Italia”, Tgcom.it 12 gennaio 2010)

A Rosarno la baraonda è scoppiata sulla base del colore della pelle. Ma arabi e musulmani in generale non hanno un colore della pelle tanto diverso dal nostro. Anzi, pare che a Rosarno di arabi non ve ne fossero poi tanti: l'Egitto, al contrario degli italiani e di alcuni settori cattolici dalla coda caprina, sta puntando dritto a Roma. Come mai tanto astio?

Le esagerate celebrazioni dopo la vittoria contro gli azzurri durante la Confederation Cup dello scorso giugno in Sudafrica grazie all'imperioso stacco di testa di Homos, forse non erano solo i postumi di una leale sfida sportiva. In ambito sportivo recentemente vi sono stati degli sviluppi singolari nel basso Meditarraneo.

Lo scorso 14 novembre a Kartoum, in Sudan, si è giocata la sfida finale per le qualificazioni mondiali del gruppo che includeva la squadra egiziana, partita che ha visto i “nostri” estromessi dalla competizione sudafricana a vantaggio degli odiati cugini algerini, che quell'incontro hanno vinto per 1-0.

Qualche tifoso algerino ha notato durante l'incontro un certo astio nei confronti dei sudditi di Cleopatra da parte dell'arbitro che sembrava utilizzare i cartellini in modo per lo meno fazioso [*], ma indubbiamente il motivo per cui le volpi del deserto hanno mostrato una tale imbattibile carica durante l'incontro risiede nella speciale preparazione impiegata in vista dell'incontro:

FIRENZE, 2 novembre 2009 – Da venerdì 6 a mercoledì 11 novembre la nazionale di calcio dell’Algeria sarà in raduno al Centro tecnico di Coverciano per preparare la sfida del 14 con l’Egitto che varrà la qualificazione per i Mondiali in Sudafrica 2010. (FIGC.it, 2 novembre 2010)

I siti italiani si sono premurati di spacciare la strana ospitalità come il risultato di pressioni algerine che hanno trovato sbocco a causa della dipendenza del Belpaese dalle importazioni di gas fornito da Algeri:

Una cortesia che ha anche motivazioni economiche, visto che non sarebbe stato strategicamente corretto mancare di rispetto ad un paese che contribuisce in maniera importante al riscaldamento delle nostre case. ("Italia-Algeria, intrigo politico-sportivo.", Goal.com 21 ottobre 2009)

Motivazione non del tutto esplicativa, altrimenti a Coverciano non ci si allenerebbero più gli “azzurri” ma a turno algerini, nigeriani, libici, russi. Chiaramente tra Algeria ed Italia c'è un qualcosa di più. E quel qualcosa di più si chiama in codice GALSI: Gassodotto ALgeria Sardegna Italia, una “joint venture” tra ENEL, Edison e Sonatrach (la compagnia di stato algerina) per costruire una tubatura che colleghi il nord Italia direttamente alla sorgente attraverso la Sardegna (adesso viene il bello) bypassando la Sicilia.

Se realizzata, questa sarebbe l'unica via di importazione di gas italiano che non dipenderebbe dalla Russia o dal Regno di Sicilia sensu latu (inclusa la Puglia, dunque).

Se realizzata, questa via alternativa farebbe perdere un bel po' di potere “contrattuale” al suddetto Regno di Sicilia, dove tra l'altro ENEL a quanto pare avrebbe ottenuto (il condizionale è ancora d'obbligo...) il via libera alla realizzazione di un rigassificatore a Porto Empedocle destinato al gas nigeriano (si veda il post "Turista per caso"), una autorizzazione rilasciata forse con troppa facilità dal Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo.

E dopo aver dedicato piazze e parchi ai siciliani ed alla terra che ha dato i natali al fondatore de Il Cairo [**], dopo aver persino stabilito collegamenti aerei diretti con Catania, anche in base alla comune amicizia con Mosca, Hosni (Mubarak) non poteva certo esimersi dal darci una mano a liberare la Calabria dall'ingombrante abbraccio “azzurro”.

--------------------------------
[*] Comunicazione personale degli algerini in questione

[**] Strane traduzioni: per qualche misterioso motivo nella wikipedia italiana Jawhar al-Siqilli è indicato come un "generale arabo, di origine siciliana" senza spiegare che al-Siqilli vuol dire "Il siciliano" (anzi, mettendolo addirittura in dubbio, leggere per credere l'irraggiungibile malafede). Invece in quella in lingua inglese egli è descritto come "a Sicilian Mamluk" (un Mamelucco siciliano). La solita storia ammucciata...

[Continua a leggere...]

martedì, gennaio 12, 2010

Forza lavoro

Sembrava una terra senza speranza, la Calabria. Marchiata dalla stampa europea come la nuova frontiera meridionale della mafia (si veda il post “Corso di fotografia”). Un lager aspro e montagnoso dove scaricare rifiuti ed attingere all'occorrenza manodopera specializzata a costi “africani”.

Ed invece all'improvviso tutto è stato rimesso in discussione. Gli arresti di Gioia Tauro, la bomba davanti alla procura di Reggio Calabria ed ora la “rivolta” di Rosarno segnalano che anche dall'altro lato dello Stretto l'asse del potere si sta muovendo.

Rivolta lo abbiamo messo tra virgolette, perchè gli immigrati delle baraccopoli di Rosarno non hanno compiuto alcuna rivolta. Il loro è stato un vero e proprio assalto premeditato e guidato contro la popolazione locale. Una azione bene organizzata alla quale i poveri “disperati” si sono prestati nel miraggio di un miglioramento delle loro condizioni di vita.

La rivolta è stata quella dei calabresi, che hanno reagito in modo forse avventato alla provocazione.

Il meccanismo di causa-effetto strillato dai vari pennini di regime lascia molto a desiderare. Un canovaccio simile a quello già visto a Napoli, anche se meno tragico (“A Rosarno la rivolta degli immigrati”, Corriere.it 7 gennaio 2010):

A fare scoppiare la protesta il ferimento da parte di persone non identificate di due extracomunitari con un'arma ad aria compressa e pallini da caccia.

Nessuno si fa la domanda più importante: chi sono queste “persone non identificate”? Sono veramente abitanti di Rosarno, come lasciato intendere da tutti? A questa “ragazzata” che impallidisce rispetto agli episodi di violenza che si registrano nelle principali città del nord Italia la reazione è stata abnorme:

Centinaia di auto distrutte, cassonetti divelti e svuotati sull'asfalto, ringhiere di abitazioni danneggiate.

La premeditazione è tanto ovvia che non viene neanche taciuta, ma sdoganata come un diritto per chi apparentemente viveva “in condizioni ai limiti del sopportabile”:

la volontà di reagire che probabilmente covava da tempo nella colonia di lavoratori (...) era pronta a esplodere

Il “gruppo” che ha volontà di re-agire si organizza e poi cerca una scusa per passare all'azione.

Il comportamento dello stato, che ha lasciato liberi di compiere violenze da corte marziale gli immigrati ed è poi giunto sul posto a proteggere i delinquenti dalla giusta reazione dei cittadini, chiarisce chi avesse organizzato il tutto.

Le motivazioni che hanno spinto gli eventi nella direzione descritta sono probabilmente di ordine economico. Ma la decisione di fare scattare l'operazione in questi giorni sembra essere stata condizionata dagli eventi politici.

Dichiarazioni avventate da parte di Carneade vari non si sono fatte attendere. Quando Luigi Manconi, un ex-sottosegretario alla giustizia caduto in disgrazia, afferma che “Oggi Rosarno è l'unica città al mondo interamente bianca. Nemmeno il Sud Africa dell'Apartheid aveva ottenuto un tale risultato” dimostra di non capire di cosa si stia parlando.

L'Apartheid o la discriminazione non punta mai ad eliminare il diverso. Punta solo ad opprimerlo in modo da poterlo sfruttare economicamente. In Italia la presenza degli immigrati ha lo stesso scopo, e cioè il loro sfruttamento ai fini produttivi. Gli immigrati sono un risorsa economica. Oggi gli africani e gli asiatici hanno sostituito i meridionali il cui costo è salito enormemente a causa delle leggi europee pensate per favorire le grosse multinazionali ed allo stesso tempo strangolare sia la piccola impresa nord-italiana che l'agricoltura meridionale.

A causa di quelle leggi si è creato un meccanismo perverso secondo il quale un immigrato per rimanere “risorsa economica” deve anche essere immigrato illegalmente, altrimenti il suo valore non è più competitivo. Questa situazione ha fatto si che le forze produttive padane si affidassero a questa vera e propria tratta degli schiavi mentre i loro rappresentanti politici di destra (ed in particolare la Lega Nord) si intestavano una lotta di facciata a difesa dell'italianità.

Nel tempo il punto nevralgico della “tratta” è diventato il centro di prima accoglienza di Lampedusa. Almeno sino ai disordini dello scorso anno, durante i quali si verificò l'esatto opposto di quello che è accaduto a Rosarno e gli isolani si unirono ai maghrebini nella protesta anti-italiana a causa della quale il sindaco della martoriata cittadina (De Rubeis) sta ancora pagando subendo un attacco giudiziario dopo l'altro.

I problemi in Sicilia erano dovuti anche all'azione di Gheddafi che, avendo in mano il traffico tra le due sponde del Mediterraneo, lo usava per destabilizzare il governo romano inviando vere e proprie maree di disperati invece di regolare il flusso.

Grazie alla sua azione Gheddafi intendeva accumulare capitale politico da spendere poi al momento di sedersi al tavolo delle trattative con Berlusconi, culminate nel viaggio a Roma a seguito dei risultati delle europee dello scorso anno (vedi il post “Notizie di striscio”).

I risultati non si sono fatti attendere ed il ministro Maroni ha potuto annunciare lo svuotamento del centro di accoglienza di Lampedusa, tanto che La Sicilia del 29 maggio scorso poteva titolare “I ragazzi del centro di accoglienza cercano un nuovo lavoro”: all'improvviso il flusso è sceso a zero. In altre parole, l'immigrato sta cominciando a diventare una merce rara. Vogliamo sprecarla facendogli raccogliere le arance a Rosarno o i pomodori a Lecce?

Questo ci permette di circoscrivere le motivazioni di ordine economico dietro i fatti di Rosarno: nella presente congiuntura economica italiana era solo questione di tempo prima che la guerra per accaparrarsi le prestazioni degli schiavi cominciasse. Gli africani in fuga sono già stati indirizzati verso nord: Crotone e Bari per cominciare, ma molti sembrano già diretti verso nord. Verso quello che credono l'eldorado (credenza questa che li ha spinti a “collaborare” inscenando la “rivolta”):

Stanotte a centinaia sono stati fatti partire su treni e bus diretti al Nord Italia e ai centri d'accoglienza di Bari e Crotone. (Rosarno, è stata demolita l'ex fabbrica lager Maroni avvisa: "I clandestini saranno espulsi", IlGiornale.it 11 gennaio 2010)

Lo stato si sta anche assicurando di bruciare loro il terreno dietro per evitare che qualche “risorsa” rimanga troppo a sud:

“L'obiettivo del Viminale è portar via tutti gli immigrati da Rosarno entro domenica, per poi dare il via allo smantellamento dei capannoni dove hanno vissuto per anni gli stranieri in condizioni degradate.” (“Rosarno, la fuga degli extracomunitari Nuovi agguati: un uomo ferito a fucilate”, IlGiornale.it 9 gennaio 2010)

Lo stesso Giornale si lascia scappare in un altro articolo ("Calabria: sopravvive coi soldi del Nord ma importa mano d’opera") il nocciolo del problema, e cioè che quelle braccia servono al nord:

È singolare che una regione che la statistica descrive come miserevole possa permettersi di importare mano d’opera come le società opulente.

Vedrete che presto vi saranno problemi anche in Puglia.

Anche la scelta dei tempi la dice lunga, visto che la rimozione della principale forza lavoro a ridosso della campagna di raccolta delle arance provocherà danni notevoli ad una economia debole come quella calabra. Danni che vogliono dire ulteriore destabilizzazione all'interno dei processi che stanno spostando l'asse del potere nelle regioni meridionali in direzione “siciliana”.

A questo aggiungiamo la solita strana coincidenza: mentre a Rosarno i cittadini calabresi venivano assaliti da un'orda di disperati sobillati dalle veline padane, Raffaele Lombardo si apprestava ad un importante incontro con il presidente della Regione Campania Bassolino, al termine del quale i due rilasciavano una intervista congiunta nella quale si parla di un non meglio precisabile “Regno del Sud” con due capitali, Napoli e Palermo:



Dichiarazioni e movimenti, quelli del Presidente della Regione Siciliana, che dopo aver spaccato in due PDL e PD, rischiano di spaccare in due, oltre all'Italia, anche il Vaticano.

L'Osservatore Romano ieri ha portato gli italiani del nord a livello di quelli del sud:

Oltre che disgustosi, gli episodi di razzismo che rimbalzano dalla cronaca ci riportano all'odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato. (...) Non abbiamo mai brillato per apertura, noi italiani dal Nord in giù. ” (“Tammurriata nera”, 11-12 gennaio 2010)

Usando poi due esempi: il primo parla di intolleranza ed è tratto da una novella pirandelliana (Zafferanetta) ambientata però a Roma. Il secondo invece racconta di comprensione nei confronti del diverso. Ma in questo caso l'ambientazione è napoletana.

La CEI non poteva certo starsene zitta e così Monsignor Schettino a creduto di dover correggere leggermente l'organo del Soglio (Rosarno, l'Egitto protesta con l'Italia Bossi: "Da loro i cristiani li fanno fuori", IlGiornale.it, 12 gennaio 2010):

Fermo restando l’ossequio per l’Osservatore Romano, nella mia esperienza razzismo non ne ho trovato troppo, piuttosto alcune forme di xenofobia

Monsignor Schettino è il Vescovo di Capua. Forse per lui il “Regno del Sud” di capitali ne dovrebbe avere una sola.

[Continua a leggere...]

venerdì, gennaio 08, 2010

L'età dell'oro

Dalle infuocate dune del deserto arabico alle fredde notti polari islandesi il passo è molto più breve di quello che potrebbe sembrare.

Il 25 novembre 2009, poco prima della chiusura dei mercati azionari degli Emirati Arabi, di Londra e di New York per una serie di festività, a Dubai si è scritta la storia. Si è detta la parola fine al capitalismo ed alla speculazione finanziaria sistemica. La richiesta di un rinvio nel pagamento di una rata del debito di un conglomerato legato al governo della città-stato ha squarciato l'omertà ed ha rivelato al mondo l'imbroglio (si veda il post “Un tacchino indigesto”).

Malgrado il collega di Abu Dhabi, lo sceicco Khalifa, dopo averla ispirata abbia comunque coperto la falla, il dito puntato lo hanno visto tutti. Ed ora è arrivata la tanto attesa seconda puntata: i primi esploratori ad aver seguito le indicazioni di Khalifa, ancora memori del loro avventuroso passato vichingo, sono gli islandesi.

Il Presidente Olafur Ragnar Grimsson , pochi giorni fa (5 gennaio) si è rifiutato di ratificare una normativa che avrebbe costretto il suo paese a pagare per legge i debiti contratti verso i creditori inglesi ed olandesi da una banca locale coinvolta nelle immense speculazioni degli ultimi anni e per questo fallita.

"Ho deciso di accordare l'ultima parola al popolo islandese con un referendum che e' compatibile con i nostri principi democratici fondamentali" (“Islanda: il presidente difende il veto "democratico" su Icesave”, Il Sole 24 ore Radiocor, 7 gennaio 2010) ha detto il capo di stato dell'isola di ghiaccio e di fuoco, confermando che il motivo della sua decisione risiede nella salvaguardia della sovranità nazionale, il principale nemico della finanza globale.

Il capitalismo si dibatte nella sua fase terminale, mentre i congiurati hanno cominciato a piantare i coltelli. Ne vedremo scendere ancora tante di lame taglienti. Ed è inutile che gli adepti di satana invochino il loro dio promettendo di gettare il mondo intero tra le fiamme del (loro) caro inferno:

(...) questa guerra non finisce. Non fino a quando l’Occidente non prenderà definitivamente coscienza dell’essere in conflitto permanente per il suo modo di essere (...) Allora missili, bombe, arresti, carceri speciali. (...) L’America, l’Europa, l’Occidente di oggi devono usare le armi (...) Bombe, ancora bombe. Non c’è alternativa (...) (“2000-2009: SPECIALE Un decennio di terrore ma è ancora l'anno zero”, IlGiornale.it 30 dicembre 2009)

Un'allucinato delirio, ecco cosa ci promette l'occidente se non ci sottometteremo subito ai loro “body scanner”.

Ma lo loro rabbia non li salverà più mentre ad uno ad uno i popoli spezzeranno le catene. Le convulsioni diventeranno sempre più forti e dolorose ma il venir meno delle forze le renderà sempre meno pericolose.

Al contempo, la magnitudine dei tremori salirà via via di intensità ed ad ogni scossone non sapremo dire se l'edificio della nostra banca riuscirà a resistere. Non potremo più chiudere occhio a causa della paura di svegliarci e di non trovare più i nostri risparmi a portata di bancomat come è successo per chi aveva dato fiducia agli speculatori islandesi o a quelli arabi corrotti da mammona. E questo succederà ogni volta che un popolo eserciterà il proprio diritto di libertà e le banche che da quelle catene traevano linfa andranno in rovina.

Il capitalismo è morto e non potrà più risorgere perchè l'individuo sta perdendo fiducia nella sua struttura di base, quella che tiene in piedi tutta l'impalcatura: la banca.

Perché in ultima analisi siamo noi che diamo cibo al mostro consegnando nelle sue grinfie i nostri beni. Il capitalismo si fonda sul nostro consenso, sulla nostra accettazione del sistema bancario. Un sistema cresciuto a dismisura imponendo numeri di conto ai dodicenni come ai novantenni. Come automi ci rechiamo allo sportello senza renderci conto che per il 90% di noi il conto corrente è assolutamente inutile. Ci rechiamo allo sportello senza capire che è grazie a questa nostra accettazione che il mostro tiene sotto controllo il nostro portafoglio e di conseguenza le nostre vite.

Sino ad oggi ci siamo affidati a lui per la percepita protezione che esso offriva contro i furti nelle case. Spinti dalla disgregazione della famiglia che lasciava i nostri averi sguarniti la maggior parte del tempo. Ma ora che non sappiamo più se domani il nostro bancomat funzionerà, quell'alibi sottile è venuto meno.

E questo non è tutto. Il mondo si sta riavvolgendo, l'economia sta tornando sui suoi passi. Ora che l'energia non si potrà estrarre più da un pozzo a causa dei costi proibitivi richiesti dai nuovi profondissimi giacimenti e che essa verrà prodotta in superficie la poetica “roba” verghiana tornerà a farla da padrone.

Uno stravolgimento che ci riporterà in un'epoca che, seppur avanzata tecnologicamente, vivrà di poca moneta circolante. Dove il capitale verrà immobilizzato in beni immobili quali terreni agricoli o in metalli preziosi, quali l'oro e l'argento. Chi ha ancora qualche nonno in vita, si faccia raccontare da lui. Chi ha la possibilità di viaggiare vada a vedere in India, dove le famiglie spendono tutti i loro risparmi in oro, gioielli e terreni, come questo funzioni.

Il problema della moneta globale diventerà irrilevante perché ogni moneta è controllata da un'autorità centrale. Questo significa che l'unica difesa che l'individuo (o meglio la famiglia...) ha contro questa autorità è la rinuncia al debito (a partire dalle carte di credito) ed alla liquidità, rinuncia che il nuovo sistema economico renderà ovvia.

Il processo è già iniziato da diversi anni, ma ha subito una accelerazione allo scoppio della crisi economica occidentale nel 2008 e si sta rafforzando proprio in questi mesi, tanto che nel 2009 già appare probabile che le cosiddette “Commodities”, e cioè i materiali grezzi quali oro, grano, petrolio possano essere state più lucrative rispetto agli investimenti finanziari (“Commodities Back as Gurus Eschew Financial Assets”, Bloomberg News 4 gennaio 2010).

Questo malgrado i paesi che si accingono a prendere il controllo dell'economia planetaria siano già usciti dalla crisi. O forse proprio per questo.

Come sempre, non c'è banca più sicura della nostra bisola.

-------------------
Bisola” in siciliano vuol dire “mattonella”. Nascondere il denaro sotto la “bisola” (che in senso figurato vuol significare la mancanza di un conto corrente personale) è oggi considerato segno di arretratezza e di grettezza. Presto potrebbe rivelarsi un saggia scelta.

[Continua a leggere...]

lunedì, gennaio 04, 2010

Il sol dell'avvenire

Enel Green Power, Sharp e Stmicroelectronics firmano l'accordo per la più grande fabbrica di pannelli fotovoltaici in italia (Comunicato stampa Enel del 4 gennaio 2010)

Sicuramente in tanti avranno notato lo “strano” assembrarsi di aziende produttrici di pannelli fotovoltaici in Sicilia.

Solo poche settimane fa (21 dicembre) la Moncada aveva inaugurato a Campofranco (Agrigento) quella che allora era la fabbrica più grande d'Italia, ma che oggi è stata superata da quella praticamente pronta (vedi foto a lato) dei tre colossi energetici e tecnologici alle porte di Catania ed ad un tiro di schioppo dall'Aeroporto di Fontanarossa.

E non sono i soli. Abbiamo visto di volta in volta mostrare interesse gli spagnoli della AG-Solar, gli svizzeri della Asp-Aton Sun Power ed anche altri gruppi isolani come la Cappello di Ragusa che ha anch'essa deciso di realizzare una fabbrica nell'area industriale del capoluogo ibleo.

Tanto interesse se da un lato fa capire che genere di sicofanti siano i catastrofisti che continuano a lanciare alti guaiti da Termini Imerese, dall'altro fa sorgere qualche brivido al pensiero del dove costoro vorrebbero installarli questi pannelli. Ci sarà ancora spazio per piantare qualche pomodoro in Sicilia tra qualche anno?

Questa stessa enorme concentrazione produttiva potrebbe sembrare senza senso alcuno anche per chi ancora crede che la Sicilia sia un'area marginale destinata alla desertificazione totale, un'area che giustamente un accorto amministratore come il Marchionne ha pensato bene di lasciare al suo destino.

Fino a quando a scommettere su questa terra senza speranza (come amano definirla i piagnoni) erano i Moncada o i Cappello si poteva ancora prestare qualche neurone ai farfugliamenti del suggeritore dell'Amministratore delegato di FIAT (si veda il post "Il suggeritore"). Fino a quando quelle della AG-Solar o della svizzera Asp-Aton Sun Power apparivano come dichiarazioni di intenti a beneficio politico delle varie amministrazioni, qualche argomento i disfattisti potevano accamparlo.

Ma ora che ci ritroviamo già pronta una fabbrica di calibro mondiale dove si insedierà una joint-venture di tre colossi mondiali quali Sharp, Enel, ed St e che l'annuncio viene dato tramite comunicato officiale delle aziende? Che Marchionne e la FIAT se ne vadano definitivamente al diavolo.

Il suddetto comunicato ufficiale da una spiegazione per la decisione presa che non dovrebbe sorprendere per niente chi segue questo blog:

“La Sicilia è una regione “chiave” nell’area del Mediterraneo per lo sviluppo di campi fotovoltaici, perché fornisce una collocazione unica rispetto a tutte le rotte necessarie a raggiungere i mercati limitrofi.

Ed i mercati limitrofi, sempre secondo il comunicato, sono:

“La produzione della fabbrica catanese sarà destinata a soddisfare la domanda dei più promettenti mercati del solare della regione EMEA (Europa, Medioriente e Africa) con particolare riguardo all’area mediterranea”

Come discusso nei giorni scorsi, la Sicilia è destinata a diventare nel giro di un paio d'anni uno dei maggiori hub mondiali per gli scambi tra l'Asia ed il Mediterraneo, la principale rotta commerciale del prossimo secolo. Il terminale della nuova via della seta (si veda il post “La via della seta”).

Anzi, sembra che questa notizia abbia già percorso la moderna via della seta e sia arrivata subito sino in India ("Sharp, Enel, STMicro to jointly make solar cells", Reuters India 4 gennaio 2010)

Ripubblichiamo la mappa per un veloce ripasso:

(Ingrandimento)

Difatti quei pannelli non verranno installati tutti in Sicilia. La maggior parte di essi è destinata a coprire vaste estensioni del Sahara e del deserto arabico. Già lo scorso ottobre, in occasione della firma di alcuni accordi commerciali tra la Sicilia ed il Marocco, il fotovoltaico fu incluso tra i settori d'interesse per i quali furono stabilite specifiche intese (“Missione in Marocco: siglati accordi per 40 milioni di euro”, EconomiaSicilia.com 6 ottobre 2009).

Con buona pace dei "terroristi" di Al Qaeda.

Sorge il sol dell'avvenire a Catania

[Continua a leggere...]

domenica, gennaio 03, 2010

La via della seta

Dopo Tartaglia e la Maiolo è il turno di Abdulmutallab, il ragazzo con disturbi mentali che avrebbe pianificato ed attuato il complesso attentato su un aereo in volo sull'atlantico imitando un altro deficiente che aveva usato lo stesso tipo di esplosivo, tal Richard Reid autore di una simile performance nel dicembre del 2001 su un volo della American Airlines operante tra Parigi e Miami. Anche in quel caso il folle fu apparentemente fermato dai passeggeri.

Insomma, il mondo sembra essere in mano ad una manica di pazzi criminali.

Abdulmutallab è riuscito con la sua azione degna delle migliori pagine del manuale del perfetto estremista islamico a fare i seguenti favori a certi ambienti di potere USA:

1) Portare l'attenzione sul pericolo islamico nel suo paese d'origine, la Nigeria, dove immediatamente sono ripresi i disordini a sfondo etnico-religioso e dove recentemente sono stati intaccati importanti interessi occidentali, un sentiero che come visto passa anche da casa nostra (si veda il post “Turista per caso”).

2) Tramite la scelta della compagnia aerea su cui viaggiare indisturbato senza passaporto ed armato (la Delta Airlines) richiamare alla mente proprio il petrolio nigeriano, estratto per l'appunto dal delta del fiume Niger.

3) Facilitare l'introduzione forzata negli aeroporti del famigerato “Body scanner” che permetterà ai servizi segreti occidentali di mappare attentamente ogni dettaglio del corpo di ogni passeggero. Anche qui capita casualmente che l'aeroporto di partenza (Amsterdam) sia uno dei pochi al mondo dove uno di questi aggeggi sia funzionante. Ovviamente, non era stato usato in questo caso.

4) Terrorizzare la popolazione della nazione dove il volo era diretto (Stati Uniti) in modo da fare accettare le conseguenti azioni di rappresaglia a scapito di inermi ed ignari civili di un qualche paese straniero.

5) Tramite l'aggancio con questi fantomatici campi d'addestramento “qaedisti” dello Yemen che il ragazzo avrebbe visitato, permettere all'amministrazione americana di agire in quell'area senza risparmio di mezzi e di vite umane (quelle degli inermi civili di cui sopra) e senza avere tra le scatole l'opinione pubblica.

Sappiamo tutti le difficoltà economiche e le divisioni interne che affliggono l'unica [?] superpotenza del pianeta. Purtroppo tali problematiche si riflettono anche nel dispiego di tattiche e sotterfugi.

Nel caso in questione l'enorme falla è stata coperta in modo estremamente maldestro parlando di un padre che “aveva denunciato l'estremismo religioso del figlio [ed] espresso al Dipartimento di Stato le proprie preoccupazioni per le idee radicali e i contatti con gli estremisti del figlio. (Adkronos, 27 dicembre 2009)

Sembra di leggere la storia di un padre che fa la spia sul figlio. Come se domani il vostro vi denunciasse per la foto di Mussolini sul comodino. Secondo un giornalista americano ripreso dal periodico Russia Today (“Detroit jet terrorist attack was staged - journalist”, 29 dicembre) però il padre non aveva denunciato le idee del figlio; ne aveva chiesto la restituzione all'ambasciata USA in Nigeria, dopo aver saputo dove si trovavasse. Esattamente quello che avrebbe fatto qualunque padre preoccupato per le cattive frequentazioni del proprio figlio:

Il padre, un ricco banchiere nigeriano, era andato all'ambasciata degli Stati Uniti il 19 novembre scorso dicendo: «Mio figlio è in Yemen in un campo di terroristi, fate qualcosa»

Qualunque padre proprio no: non tutti padri si sarebbero recati all'ambasciata USA per rintracciare il proprio figlio in un campo di terroristi nello Yemen. Ma un padre che sa come funzionano certe cose, un ricco banchiere nigeriano, forse si. Insomma, tutti sapevano chi fosse e cosa stesse facendo Abdulmutallab, ma nessuno ha fatto qualcosa.

Ma torniamo allo Yemen, dove immediatamente la Casa Bianca, imbeccata dall'imbecille nigeriano, si è detta pronta ad inviare i suoi micidiali caccia.

Il nuovo ordine mondiale (economico e politico) che in questi anni sta vedendo la luce è basato su due poli principali: quello asiatico e quello africano. In Asia sono piazzate quasi tutte le potenze destinate a controllare lo scacchiere globale in questo secolo: Cina, India, Russia, Iran. In Africa si trovano le aree che nei prossimi decenni cresceranno con i ritmi più elevati, dal Nord Africa, oramai prossimo ad un vertiginoso sviluppo, al corno d'Africa tra un decina d'anni circa.

Questo percorso, che potremmo considerare come un moderna via della seta, implica il ritorno delle principali rotte commerciali dall'asse atlantico, che si è imposto a partire dalla scoperta dell'America tagliando fuori il Mediterraneo (ed in particolare il Regno di Sicilia e la Repubblica di Venezia), a quello asiatico-mediterraneo.

La presenza del Canale di Suez eviterà la circumnavigazione del continente nero e farà convergere i flussi commerciali sulle autostrade del mare attraverso alcuni snodi già individuati. I porti di Karachi (attraverso l'Afghanistan ed il Pakistan) e di Burma ad est fungeranno da sbocco per le merci cinesi, mentre Mumbai tornerà ad essere la porta dell'India come ai tempi del Raj britannico.

Ai flussi provenienti da queste tre aree si aggiungeranno quelli del Golfo Persico attraverso l'hub di Dubai e quelli provenienti dal Sud Africa. Essi convergeranno in direzione del Canale di Suez per essere smistati nel Mediterraneo dalla piattaforma logistica siciliana (se i Siciliani saranno capaci di realizzarla) ed in parte risaliranno l'Adriatico verso il Veneto (che potrebbe tornare ad essere la porta dell'Europa verso l'oriente in competizione con le Puglie).

(Ingrandimento)

L'occidente purtroppo è già stato tagliato fuori da tutte queste aree. Ha perso la possibilità di controllare l'India (si veda il post “L'ingresso dell'India”), è stato costretto a programmare il ritiro dall'Afghanistan (si veda il post “Il generale ci va giù duro”), non ha avuto alcun successo nei tentativi di far cadere la dittatura militare in Burma (oggi Myammar). Nel Golfo Persico da un lato lo sceicco di Abu Dhabi ha assestato un duro colpo alle pretese dell'elite finanziaria globale (si veda il post “Un tacchino indigesto”), dall'altro i progressi in Iran si fanno con il contagocce o non si fanno per niente. Il Canale di Suez è in mano agli egiziani che hanno già manifestato la loro posizione aprendo ad Hamas dopo la guerra di Gaza lo scorso anno. Infine nel Mediterraneo i nuovi accordi con la Russia dovrebbero includere la ritirata dalla Sicilia e probabilmente dal Sud Italia (si veda il post “Tutte le scarpe del presidente”).

Rimane un solo punto dove i “folli criminali” possono forzare la mano ad Obama e piantare grane al resto del mondo: il golfo di Aden, il punto in cui tutti quei flussi convergono verso il Canale di Suez, tra la Somalia e lo Yemen, due aree il cui disastro è dovuto più ai tentativi di incursione americani che alle varie teorie lombrosiane dispiegate dai giornalisti italiani.

La tentata invasione USA della Somalia degli anni '90, fallita grazie anche al lavoro clandestino di agenti russi e cinesi (che la propaganda ha poi spacciato per “mercanti d'armi”) era continuata tramite azioni di disturbo volte ad impedire la formazione di uno stato poco favorevole all'intromissione di Washington.

Due anni fa le coorti islamiche (così sono stati ribattezzati in occidente i patrioti somali) erano state quasi annientate dai bombardamenti aerei americani e dall'invasione etiope. A quel punto dal nulla apparvero pirati capaci di assalire petroliere e navi da guerra, il primo (maldestro) esplicito tentativo di controllo delle rotte attraverso lo stretto. La destabilizzazione causata dalla crisi economica ha però ridato fiato alle “coorti” che hanno ricominciato a marciare verso Mogadishu, mentre l'attività piratesca continuava a rilento anche per l'arrivo di navi da guerra dei paesi interessati a bloccare il velleitario tentativo anglosassone (Francia, Russia, Cina, Italia, India). A Washington devono aver capito di non avere più speranze nel corno d'Africa, e stanno ora provando ad intrufolarsi sull'altra sponda. Da notare che Obama preferirebbe il dialogo, ma i suoi nemici interni non ne vogliono sapere.

Dall'Inghilterra Brown è ansioso di buttarsi nella mischia (“Brown convoca un vertice sullo Yemen”, IlSole24Ore.com 1 gennaio 2010):

Il premier britannico Gordon Brown ha convocato il 28 gennaio a Londra un summit con alcuni alleati chiave per definire un fronte di lotta comune contro l'estremismo crescente nello Yemen (...) La riunione è stato indetta a seguito del fallito attacco di Natale sul volo 253.

Il Sole 24 Ore continua tracciando la stessa parabola accennata sopra tra le due sponde del golfo di Aden:

Intanto gli integralisti islamici somali del gruppo al Shabaab hanno dichiarato a Mogadiscio l'intenzione di andare militarmente in aiuto dei gruppi di al Qaida operanti in Yemen, soprattutto in caso di intervento Usa. «Siamo pronti ad attraversare il mare ed a soccorrerli per combattere i nemici di Allah», ha dichiarato oggi a Mogadiscio Sheikh Muktar Rabow Abu Mansur, uno dei loro leader, lanciando un appello analogo a tutti gli arabi perchè si uniscano alla guerra santa. Lo riferiscono numerosi siti somali [?]. Shabaab, che vuol dire gioventù in arabo, è il braccio armato somalo di al Qaida; controlla buona parte della Somalia, e quasi tutta la capitale. In Yemen opera un agguerrito gruppo di terroristi di al Qaida, contro i quali sta combattendo l'esercito regolare, che chiede però aiuti internazionali per sconfiggerli.

L'esercito regolare yemenita non sta combattendo contro alcun terrorista. Nello Yemen è in corso una guerra civile che vede gli sciiti del nord, appoggiati da Iran e forse sottobanco anche da Cina e Russia, opposti al governo centrale appoggiato da americani ed inglesi (esattamente come in Somalia) e nessuno dei ribelli ha mai detto di fare parte di Al Qaeda: più che censurare i blog si dovrebbero censurare certi giornalisti con il patentino.

La risposta cinese all'attentato del folle nigeriano imbarcato sul volo della Delta Airlines proveniente da un imbarco di Amsterdam dove non era installato il body scanner e diretto negli USA dopo un periodo di addestramento nello Yemen non si è fatta attendere:

La Cina ha bisogno di una base navale permanente nel Golfo di Aden per rifornire le proprie unità impegnate nella missione anti-pirateria in Somalia: lo ha affermato uno dei portavoce della marina militare cinese, Yin Zhuo, senza fornire ulteriori dettagli in merito alla localizzazione ma sottolineando come una decisione in merito spetti ai vertici militari. (APCOM – 30 dicembre 2009)

Augusta accoglie le carovane di ritorno dall'oriente

[Continua a leggere...]