Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

mercoledì, novembre 15, 2006

Da dove viene la mafia (Seconda Parte)

Certo a considerare l'enorme mole di libri ed articoli, servizi giornalistici, film e sceneggiati che la riguardano, sembra che qui l'unico problema sia la mafia. Eppure sappiamo che non è così: ci sono i neonati malformi di Gela ed Augusta, ci sono le aziende che magari non hanno mai pagato una lira di pizzo ma sono strangolate dalla burocrazia, ci sono migliaia e migliaia di famiglie che vivono in baraccopoli che sembrano essere la periferia di una qualunque città africana. Insomma ci sono tutti i problemi di un pezzo di terzo (se non quarto) mondo. Però si parla solo di mafia, citando connessioni e trame degne di un film di James Bond, così simili ai film di Scorsese da far venire il dubbio su chi avesse copiato: Scorsese dalla realtà per i suoi copioni, o i saputelli nostrani da Scorsese?

Spulciando su internet si può leggere di connessioni con Gorbaciov, con Osama Bin Laden, con il traffico di Plutonio, con il Vaticano. Abbiamo addirittura trovato uno che diceva che la Sicilia sarebbe dovuta essere parte del famoso "Axis of Evil" di George Bush (Te li immagini gli americani a bombardare se stessi?).

Per chi vorrebbe una immagine migliore della sua Sicilia non mancano le occasioni per scoraggiarsi, riprendere le valige e tornare a masticare il pane amaro dell'emigrazione.

Eppure ogni tanto qualche spunto degno di nota lo si può anche trovare. Sul domenicale del 12 novembre de Il Sole 24 Ore Diego Gambetta, professore di sociologia ad Oxford, traccia un interessante parallelo tra la Russia post-sovietica e la Sicilia di metà ottocento.

L'articolo in realtà ci sembra forzatamente confuso, poichè associa un evento instantaneo ed epocale come il crollo del comunismo, ad una poco chiara "caduta del feudalesimo" nella prima metà dell'ottocento in Sicilia. In una terra dove rapporti di tipo feudale sono sopravvissuti sino almeno alla seconda guerra mondiale, parlare di "caduta" del feudalesimo limitata al periodo 1800-1850 mi sembra un poco forzoso(*). Semmai si potrebbe parlare di un lento declino. (**)

Piega poi il ragionamento ai propri bisogni confondendo il pre ed il post collocandoli ambedue oltre l'evento nel caso della Russia, ed ambedue prima dell'evento nel caso della Sicilia, cioè prima del tramonto definitivo del feudalesimo.

Correggendo queste distorsioni temporali si può trovare una soluzione. Partiamo dalla Russia.

Non vi è dubbio che l'esplosione del fenomeno mafioso sia da collocare oltre la caduta del regime comunista, ma visto che di regimi ne cadono continuamente nel mondo e non sempre come conseguenza ci si ritrova tale fenomeno, i pressupposti devono essere collocati prima della caduta, nei rapporti corrotti instauratisi all'interno di una macchina burocratica che non premiava le capacità dei singoli. I "boss" infatti sono spesso provenienti dagli apparati burocratici sovietici.

Sistemata la parte russa, passiamo a quella siciliana. Se il feudalesimo originava da qualche parte corruzione, questa doveva essere nell'amministrazione dei feudi, affidati ad avidi signorotti locali da una classe nobiliare sempre lontana ed impegnata nei complicati riti sociali delle città. Il disgregarsi di questo sistema, ha liberato tali signorotti dall'asservimento ai baroni e li ha proiettati verso il potere, aiutati da una conoscenza del territorio "palmo a palmo" e da campieri privi di scrupoli.

Quello che ci manca è l'evento che ha fatto crollare definitivamente il sistema. Tra ottocento e novecento l'unico evento in Sicilia assimilabile al crollo del muro è la caduta dei Borbone, con i nuovi padroni che per assicurarsi fedeltà mettono al potere i Sedara (quante verità ci ha detto Tomasi di Lampedusa...), avidi di denaro e senza scrupoli e quindi facilmente ricattabili.

Come sapevano, i tosco-padani, di potersi fidare di tale classe? Forse ne avevano avuto esperienza diretta in situazioni simili. Gambetta ci dice che "sul mercato non furono solo la terra ed i suoi prodotti, ma gli stessi bravi (tra virgolette, ndr), che un tempo agivano sotto il controllo monopolistico dei baroni". Anche qui un errore: i "bravi" sarebbero da identificare con i campieri, al servizio del "Don Rodrigo" di turno (il signorotto), e non con il signorotto stesso.

Ma allora... vuoi vedere che la soluzione l'abbiamo avuta tutti sotto i nostri occhi, sui banchi di scuola, e non ce ne siamo nemmeno accorti?


Post Scriptum: l'autore dell'articolo contenente la frase circa la pertinenza dell'inserimento della Sicilia nell' "asse del male" si chiama Diego Gambetta e l'articolo è pubblicato sul Boston Review. E' lo stesso Gambetta o un omonimo? Certo se fosse lo stesso ci sarebbe da ridere: il Professor Gambetta ha infatti ricevuto nel 2003 il premio "Paolo Borsellino", assegnatogli dall'Accademia di Studi Mediterranei di Agrigento. Complimenti.

(*) Il feudalesimo effettivamente fu formalmente abolito nel 1812 dai Borbone, ma basterebbe fare la fatica di andare a leggere qualche testo a riguardo per capire come l'abolizione fu, per l'appunto, solo formale. Anzi, paradossalmente si potrebbe sostenere che fu il feudalesimo nel 1861 ad abolire i Borbone: cosa fecero i baroni siciliani per difendere Napoli dai 4 straccivendoli garibaldini?
(**) L'articolo contiene altri spunti interessanti: pone innanzitutto un orizzonte temporale congruente alla messa in posa delle radici del fenomeno mafioso, senza più richiamare fantomatiche radici arabe. Esclude poi l'elemento genetico associando il popolo russo a quello siciliano. Invoca cioè le condizioni ambientali come prevalenti su quelle culturali, sconfessando praticamente il 90% della pubblicistica anti-meridionale tosco-padana.
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martedì, novembre 14, 2006

Da dove viene la mafia (Prima Parte)

Ci siamo ritrovati, negli ultimi giorni, ad una recrudescenza dell'arma mediatica che lo stato italiano usa per giustificare agli occhi del mondo l'oppressione delle regioni del sud.

Credere infatti che le campagne denigradive contro siciliani, calabresi, napoletani etc abbiano un origine per così dire "spontanea" è da ingenui ed anche un pò da fessi. Come l'Italia esporta nel mondo le imagini delle campagne toscane, dei vicoli veneziani, del colosseo romano, investendo sul ritorno di immagine, così ha esportato una certa idea di meridionale, investendo in un ritorno di immagine che le ha permesso di avere mano libera prima nel genocidio dei meridionali, poi nella loro schiavizzazione, ed ora nella loro totale emarginazione economica.

Ovviamente il meccanismo deve essere oliato, così come di tanto in tanto ci fanno rivedere il bel barbone di Osama Bin Laden, come ogni tanto ricominciano a parlare dei Ceceni (che a seconda dei rapporti con Putin diventano terroristi o vittime) o dei Curdi turchi (idem che i ceceni), ogni tanto all'opinione pubblica internazionale deve essere raccontata qualche bella storiella sulla mafia per fare spaventare i bambini prima di addormentarsi.

Il massimo della goduria per il regime è poi quando all'estero prendono la palla al balzo e approfittano della situazione per scaricare nello stesso piatto su cui (dopo averci mangiato)sputano i tosco-padani le loro immondizie. Ed allora: levata di scudi generale, censura assoluta, teste che rotolano quando da qualche parte sibila la notizia che l'ETA si sarebbe trasferita in Nord-Italia, spettacolarizzazione e scuola di ricamo sulle immense stronzate scritte riguardo al traffico di droga in Spagna (iniziato dai fuoriusciti corleonesi scappati dalla Sicilia) o a quello di armi in Germania (gestito dai calabresi).

Su queste ed altre ridicole campagne promozionali ci siamo soffermati altre volte, e non credo si debba ora andare a scavare sotto tanto per confutarle.

Possiamo solo riproporre agli autori ed a coloro che qui da noi ancora credono che tutto quello che viene da nord sia oro colato (inclusi i giornalisti dei giornali locali che riprendono le notizie appoggiandole) il consiglio già dato da Pulvirenti, noto imprenditore catanese: "Cambiate Spacciatore".
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lunedì, novembre 13, 2006

L'isola da quarto mondo della UE

Lo scorso giovedì forse l'unico quotidiano nazionale a dare un risalto adeguato alle notizie sull'inquinamento del petrolchimico di Gela è stato Avvenire. Riportiamo alcuni stralci dei tre articoli a firma Laura Malandrino apparsi a pagina 9:

A Gela il doppio dei tumori. Petrolchimico nel mirino

<<... I dati parlano chiaro: il rischio di tumori e malformazioni a Gela è il doppio della media nazionale. (...) Dati in linea con la ricerca condotta dai consulenti della Procura della Repubblica di Gela da cui era emerso che tra il 1990 e il 2002 nella cittadina industriale furono registrati 398 casi (su 10.000) di persone con anomalie al sistema nervoso, cardiovascolare, urinario e digerente e ai tegumenti: circa il doppio rispetto a quelli registrati a livello nazionale (205 su 10.000). E da meno non sono certo le anomalie cromosomiche: 50 e 60% in più risptto al resto della Sicilia e del paese. E per questo che a Gela intere famiglie si stanno mobilitando, medici ed amministratori chiedono misure di emrgenza contro l'inquinamento ambientale. (...) Dati allarmanti che hanno indotto Crocetta (il sindaco, ndr) ad annunciare la costituzione di parte civile del Comune ai processi per inquinamento e danno biologico. (...) Da parte nostra non c'è nessuna criminalizzazione del Petrolchimico - dice Enrico Vella, assessore all'Ambiente - quell'industria è la principale fonte di occupazione per la nostra gente. >>

Ed ora le mamme sono pronte a scendere in piazza

<< "Ho visto il mare di casa mia cambiare colore. Fino agli anni sessanta era azzurro, color pavone come lo descrive Tomasi di Lampedusa. Una delle coste più belle della Sicilia sud orientale. Poi, pian piano, l'ho visto diventare del colore caffellatte". A parlare è don Palmiro Priscutto, da 28 anni sacerdote e da 14 assegnato alla parrocchia san Nicola nella frazione Brucoli di Augusta. (...) Negli anni 80 la situazione precipitò. A partire da quel momento la morìa di pesci diventò una costante e nel reparto di pediatria dell'ospedale Muscatello di Augusta le mamme cominciarono a partorire bambini malformati. "Nelle nostre case è entrata la sofferenza - continua il sacerdote - . Eppure la gente non ha saputo reagire a quello che stava succedendo. Facile capirne la ragione: la paura di perdere il posto di lavoro". Oggi la sistuazione però è cambiata. (...) E pensare che ad Augusta passa più del 50% del petrolio italiano, per un valore di 18 miliardi di euro ogni anno; e che il 100% del carburante con cui vola la flotta aerea del nostro paese viene dalle raffinerie siciliane. Come spiega Giacinto Franco, dal 1969 primario del reparto pediatria dell'ospedale di Augusta, ancora oggi il problema più grave è il "ricatto" occupazionale. "Basta pensare a quello che una volta ho sentito con le mie orecchie dalla bocca di un malato terminale nel reparto di oncologia - racconta -. dopo tre mesi di sofferenze atroci per un tumore ai polmoni per cause professionali, mi ha sussurrato: " preferisco morire di tumore lasciando la mia famiglia con la pancia piena, pittosto che morire zappando la terra lasciando i miei cari con la pancia vuota" >>

Pochi commenti a queste parole, se non l'impressione che l'assesore di Gela all'ambiente non abbia alcuna intenzione di porre termine al "ricatto occupazionale", sul quale peraltro generazioni di amministratori locali si sino ingrassate.

All'inizio abbiamo detto che gli articoli erano tre. Il terzo titola L'Eni: "Emissioni entro la norma" e non credo che a nessuno interessi sapere cosa dice. D'altronde se per 60 anni non abbiamo avuto alcun diritto di parola, non vedo perchè ora dovrebbero averlo loro.

Riguardo al nostro titolo (L'isola da quarto mondo della UE) è la parafrasi di un famoso articolo de "The Economist" (L'isola da terzo mondo della UE) riferito alla Sicilia e pieno della solita spazzatura e disinformazione pilotata. C'è da dire che comunque l'isola di Sicilia non può essere inserita nel terzo mondo perchè lì vi sono paesi che si sono già affrancati del giogo coloniale. La Sicilia si trova ancora sotto il tacco dell'ultimo regime colonial-segregazionista al mondo (altro che Corea del Nord...) e non può essere degna di essere inserita nel terzo mondo, insieme a popoli che hanno sofferto e lottato per la loro libertà.

Per chi vuole avere più informazioni su padre Priscutto e la vergogna dei petrolchimici in Sicilia (vedete come grondano sangue le mani dei nostri aguzzini...) può visitare il sito www.terremotodeisilenzi.it
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mercoledì, novembre 08, 2006

Non è ancora troppo tardi

Cuffaro alza il tiro e minaccia la chiusura delle raffinerie siciliane se la finanziaria non verrà cambiata.

Una presa di posizione che sicuramente non avrà conseguenze pratiche (verrei vedere come farà a chiuderle se prima non si decide ad applicare lo statuto siciliano che lo renderebbe capo della polizia... a meno che non decida di incatenarsi ai cancelli!) ma che credo si debba giudicare positivamente perchè se non altro rende esplicito, almeno dal punto di vista politico, un fatto: le raffinerie a noi praticamente non servono, mentre sono di importanza vitale per lo stato italiano. Anche se questo lo sappiamo già, ora anche il Presidente della Regione accetta ufficialmente questa versione dei fatti.

La cosa strana è però un'altra, e cioè la dichiarazione di Miccichè che dovrebbe andare accoppiata a quella di Cuffaro. L'esponente di Forza Italia ha infatti minacciato una uscita della Regione da Capitalia.
Attenzione: associare questa minaccia alla prima le da una luce alquanto sinistra. La Regione è infatti entrata nel patto di sindacato della Banca Romana come scambio per le azioni che deteneva nel Banco di Sicilia, un'oerazione finanziaria che in fin dei conti avrebbe potuto portare grossi vantaggi alle imprese siciliane.
Ora Miccichè ci "suggerisce" che tale operazione non è servita alla Sicilia, bensì ad interessi esterni. Ciò in pratica viene a dire che l'operazione è stata conclusa contro i nostri interessi con l'avallo dei nostri deputati. E non stiamo parlando degli anni '50...

Presidente, a che gioco giochiamo? Anzi... a che gioco abbiamo giocato? A quali condizioni siamo entrati nel patto di sindacato? Non è che per caso abbiamo messo i soldi dei siciliani in cambio di una manciata di voti dovuti all'elemosina di quattro posti di lavoro?

Comunque appoggiamo le dichiarazioni dei nostri rappresentanti: non è ancora troppo tardi per cambiare registro.

Non è ancora troppo tardi. Ma fino a quando?
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martedì, novembre 07, 2006

Immigrazione nella terra di santi e sciacalli

La trasmissione "Le Iene" andata in onda martedì della settimana passata (31 ottobre), non ha certo suscitato il clamore delle settimane passate, anche se conteneva un importante servizio (coraggioso ed ingenuo allo stesso tempo) sull'utilizzo di immigrati clandestini nelle campagne del Nord Italia. Come mai (si chiedevano i nostri) stampa e televisioni danno ampio spazio ai casi di sfruttamento solo quando questi avvengono nelle regioni del meridione d'Italia? (Nel servizio si dimostrava come questi casi erano comunissimi anche al nord). Non lo sanno le ingenue Iene che per capire e spiegare "come mai" bisognerebbe allargare di molto l'orizzonte, sino ad includere quelle vere, di iene: a Lampedusa, al terrorismo, al declino demografico italiano, al tracollo economico del Lombardo-Veneto.

Torniamo indietro di qualche mese, ad un editoriale estivo di Busetta su "La Sicilia" nel quale si puntualizzava qualcosa sui fatti di Lampedusa, e cioè che non proprio di sbarchi sull'isola si sarebbe dovuto parlare, perchè a Lampedusa i barconi ci venivano portati dalle navi italiane.
Andiamo ancora più indietro nel tempo, alla fine dell'ottocento, grazie alle immagini di Nuovomondo (il film di Crialese) o agli anni '60 del novecento, con un famoso articolo di Fava sul suo libro "I Siciliani": ambedue facce della medaglia a due conii (quello di latta per noi, quello d'oro per Roma) della diaspora siciliana, continuata ininterrotta per almeno un secolo e gestita ad arte per ricavarne valuta pregiata.

Abbiamo quindi un regime (quello Tosco-Padano) già scaltro nel commercio di carne umana e nel lucrare sulle rimesse degli emigranti, a gestirli nelle loro fabbriche costruite sul dramma di milioni di terroni. Abbiamo poi un'isoletta posta al centro del Mediterraneo, lontana da occhi indiscreti e che comunque già provocava un certo fastidio (invidia, forse è meglio aggiungere) per le sue acque cristalline e spiagge immacolate (ricordiamo che il New York Times qualche anno fa la pose tra le dieci isole dal mare più bello del mondo). Abbiamo infine il declino economico del Lombardo-Veneto, per giunta accoppiato ad un declino demografico generalizzato in Europa che promette di far saltare completamente il sistema delle pensioni.

In pratica ci sono i presupposti per mettere tutti d'accordo (su al nord): a destra come a sinistra, la chiesa ed i massoni, i servizi segreti di mezza Europa. E così possiamo costruire un bel romanzo, che noi ovviamente considereremo solo immaginario.

Tutte le nazioni europee si stanno prodigando nel favorire un'immigrazione per quanto possibile selezionata al fine di ottenere la crescita demografica necessaria al ricambio generazionale. Questo vale ancora di più per l'Italia, il paese che in Europa sta invechiando più velocemente.
Il problema come detto è chiaro a tutti, solo che politicamente spinoso per almeno una parte politica. All'inizio tutto avviene in modo molto caotico: vi sono sbarchi ovunque in Spagna e nel Sud Italia (ricordate che un tempo anche la Calabria e buona parte delle coste Siciliane ne erano affette?) Gli attacchi dell'11 settembre negli Stati Uniti, e la scoperta di cellule terroristiche islamiche (una volta dette semplicemente spie) portano però a più miti consigli: il flusso deve essere controllato.

Si erano già istituiti i centri di accoglienza, quindi si inventarono delle false leggi anti-immigrazione come la Bossi-Fini (abilmente sfruttata dal centro-sinistra ma assolutamente innocua), si fa anche qualche finto accordo con Gheddafi e si mandano indietro un paio di aerei carichi di disperati per "fare la parte". Alla fine la grande idea: deviare tutto il flusso verso un'unica porta d'ingresso, per rendere tutto più facile e per schedare tutti. L'Europa è d'accordo, anche perchè la Sicilia (grazie alla sua posizione) può facilmente diventare l'hub della disperazione mondiale. Viene deciso di convogliare tutti verso Lampedusa (tra i tripudi degli amici di Rimini). Che questa sia una chiara decisione strategica non vi sono dubbi, tanto è vero che l'estate scorsa si è deciso di raddoppiare la capienza del centro di accolgienza dell'isola: evidentemente ne vogliamo ancora di più.

Si scatena nel frattempo una cascata mediatica orchestrata ad arte che ha lo scopo principale di ammansire i Siciliani con una serie infinita di servizi mandati in onda da quel covo che è la sede di Palermo di Rai3. Giornalmente ci fanno credere che la notizia principale per noi sia l'arrivo di un barcone di disperati e non sapere cosa sta succedendo a Palermo (dove gli ascari, presidente incluso, appoggiano il gioco parlando dei "doveri di accoglienza verso chi soffre"). E non dimentiachiamoci uno degli scopi secondari: distruggere il turismo di Lampedusa, per il quale nessuno a Palermo alza un filo di voce.

Ma sorge un piccolo problema logistico: gli immigrati infatti servono alle fabbriche del nord, e non si può rischiare che rimangano al sud dove il clima è più piacevole, a lavorare per i terroni. Allora via con la nuova campagna mediatica anti-meridionale: il caporalato di Foggia, quello di Cassibile, le irregolarità nelle imprese edili siciliane e così via. Ed intanto i numeri dicono qualcos'altro, e cioè che tra il 2004 ed il 2006 le irregolarità sul lavoro degli extracomunitari rilevate dalla guardia di finanza sono circa 2000 l'anno per la Lombardia, 1000 per il Veneto, 500 per il Friuli. Ed a sud? Un centinaio per la Sicilia, circa 150 per la Puglia, 300 per la Campania.

E così abbiamo chiuso il cerchio arrivando, nella terra degli sciacalli, sino al servizio delle Iene.

Ma ovviamente tutto questo è solo immaginazione.
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lunedì, ottobre 30, 2006

La stampa inglese avverte l'Europa

Leggendo il famosissimo libro di Tomasi di Lampedusa, chiunque abbia un minimo di curiosità storica non può non chiedersi, sulla scena della visita inglese alla casa del principe, cosa mai ci facesse la marina di Sua Maestà alla rada nel porto di Palermo durante lo svolgersi delle vicende garibaldine.

Ovviamente potremmo anche dare credito a Sergio Romano, in altre occasioni certo un più coraggioso storico, quando sostiene che "era stata mandata dall'ammiragliato per proteggere i grandi stabilimenti vinicoli inglesi di Marsala", ma sinceramente tutto questo dispiegamento per proteggere quattro cantine in un mondo in continua ebollizione ci sembra un poco troppo.

Gli interessi che le navi britenniche erano andati a proteggere erano sì quelli di Sua Maestà, ma in riferimento non proprio al vino, ma a due altri obbiettivi: lo zolfo siciliano e la creazione di un forte stato mediterraneo in funzione anche anti-papalina.

L'asservimento della Sicilia all'Italia, a sua volta asservita alle voglie dell'imperialista di turno, sin da allora è uno dei perni principali sui quali si fonda lo scacchiere geopolitico occidentale, e gli inglesi possono giustamente arrogarsi i meriti di aver capito e creato un tale sistema di potere, anche se nel secondo dopoguerra ne hanno perso il controllo in favore dei cugini americani.

Gli inglesi, così attaccati al formalismo, forse vedono come un nemico chiunque voglia disfare ciò che essi con grande lungimiranza hanno creato, e così qualunque forza volta a intaccare l'attuale equilibrio mediterraneo viene da loro istintivamente combattuta.

Entro tale ottica possono facilmente essere capiti gli innumerevoli attacchi che negli ultimi dieci anni la stampa inglese ha perpetrato ai danni dell'immagine della Sicilia e dei siciliani, evidententemente per nulla rassegnati a continuare ad essere la colonia di un paio di milanesi corrotti e di qualche anglosassone con il mal di pancia (ricordiamo tra tutti il famoso "L'isola da terzo mondo della UE" dell'autorevole settimanale The Economist).

Attacchi di questo tipo da un lato indicano il nervosismo di certi ambienti verso i recenti (seppur ancora timidi) tentativi di ribellione dei siciliani, ma dall'altro ci impongono di tenere la guardia alta e di non sottovalutarne gli effetti: basta guardare il filo sottile che separa la verità e la menzogna in casi come il Kurdistan turco e la Cecenia in Russia. Realtà che a seconda delle convenienze dell'enstablishment occidentale vengono presentati in una luce piuttosto che in altra. Chi infatti dall'esterno può effettivamente sapere come vanno le cose in quelle enclavi?

Sisntomatico è poi l'ultimo di questa serie di articoli, apparso sul Fiancial Times. Ne vogliamo riportare un piccolo tratto, forse non notato dalla stampa nostrana:

"The clubs on Italy's mainland are mostly out of cash, and Zamparini points to another change: after the bribery scandal, referees stopped cheating for the big clubs. When Sicily can compete, you know the Italian system has broken down."
("I club italiani sono per la maggior parte senza soldi, e Zamparini indica un altro cambiamento: dopo lo scandalo della corruzione, gli arbitri hanno smesso di imbrogliare a favore dei grossi club. Quando la Sicilia può competere, sai che il sistema italiano è andato in pezzi")

Cosa vuol dire? Leggendo tutto l'articolo si capisce come la stampa italiana ne abbia completamente distorto il senso. L'articolo infatti, pur essendo pieno di stupidi luoghi comuni, non dice affatto che il Palermo è in testa alla classifica grazie alla mafia, bensì che , come anche evidenziato dalla frase sopra riportata, se il Palermo è in testa alla classifica vuol dire che il calcio italiano (e non solo il calcio) è allo sfascio.
Ed ancora: il calcio (leggi sistema) italiano è allo sfascio non perchè una scadente squadra siciliana è in testa al campionato (che sarebbe come dire che lo stesso calcio inglese è allo sfascio, visto che anche loro hanno perso con il Palermo), ma perchè si è permesso ai siciliani di farsi una squadra così forte.

Sotto questo aspetto l'articolo ha un significato diverso da quello propinatoci dai giornali italiani (e siciliani, al servizio dello stato oppressore), prendendo le sembianze di un avvertimento a tutta l'Europa: guardate che l'Italia è allo sfascio e sta per perdere il controllo della Sicilia.
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giovedì, ottobre 26, 2006

Marginalità: una parola che dovrebbe scomparire dal nostro vocabolario.

Nemmeno il tempo di scrivere un post citando (indirettamente) la lungimiranza del presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello (vedi post precedente), che sullo stesso quotidiano di ieri (Sole 24 Ore) poco più in là trovo un'intervista allo stesso con una dichiarazione che mi lascia a dir poco perplesso:

"Il rilancio dell'economia siciliana passa attraverso un serio intervento infrastrutturale. Un tema centrale per lo sviluppo industriale dell'isola che si trova in una condizione di marginalità geografica rispetto ai mercati"

Al solito, aggiungiamo alcune considerazioni:

1) L'isola, dal 1950 ad oggi, non si trova affatto lontana dai mercati, bensì è un mercato. Ecco cos'è stata la Sicilia (e tutto il Sud Italia) per l'Italia degli ultimi 60 anni: un mercato di sbocco per le proprie merci invendibili sui mercati esteri. Anche a questo è servita la sistematica distruzione dell'imprenditoria e del sistema bancario locali, nonchè (più recentemente) la facilità con la quale si ottiene qui il credito al consumo alla quale corrisponde la quasi totale impossibilità di ottenere finanziamenti per l'attività imprenditoriale.

2) Le aziende siciliane devono innanzitutto conquistare il mercato interno scippandolo CON QUALUNQUE MEZZO (soprattutto con coraggio) alle aziende del nord. Questa sarà la base per qualunque sviluppo imprenditoriale dell'isola. Senza la base costituita dalla domanda interna ci sono poche speranze di andare oltre.

3) La supposta condizione di marginalità rispetto ad altri mercati in un mondo globalizzato come quello in cui ci ritroviamo è un concetto che non esiste. Ed in ogni caso i mercati di un futuro oramai molto prossimo si trovano anche a sud, oltre che a nord. L'isola è quindi è in una posizione tale di CENTRALITA' rispetto ai mercati che quasi nessuno al mondo può vantare

4) La frase di LoBello indica il perdurare di uno stato di colonizzazione mentale che non ha eguali nella storia coloniale di molte altre nazioni. Insistere su parole come "marginalità" indica quasi una sorta di scarsa autostima, una catena che ci portiamo al piede e che ci fa vedere un orizzonte sempre scuro e tempestoso. E come si sa l'umore ha una forte influenza sui mercati e sull'economia in generale.
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mercoledì, ottobre 25, 2006

La Sicilia hub portuale del Mediterraneo

Mentre si consuma il dramma populistico dello "scippo del ponte", torna prioritario il discorso sulle infrastrutture di cui la Sicilia dovrebbe dotarsi per affrontare la sfida globale del prossimo millennio.

Se da un lato in Italia si combattono i mulini a vento sulla debacle di Alitalia (e su quella ancora strisciante, ma evidente di Trenitalia) e si invocano i più inverosimili argomenti per l'inesistente dualismo Malpensa-Fiumicino (inesistente perchè nessuno dei due sarà mai un hub intercontinentale, indipendentemente dai soldi che si scialacqueranno su di essi), dall'altro in Sicilia non sappiamo se ridere o piangere guardando alla torre di controllo del nuovo aeroporto di Fontanarossa (più bassa della torre degli uffici!!) o alla tabella di marcia dei treni sulla tratta Catania-Palermo o peggio sulla Palermo-Trapani.

I settori produttivi ed imprenditoriali siciliani sono sicuri su quale dovrebbe essere la rotta da tracciare. Come al solito è però la parte politica a lasciare a desiderare ed a perdere tempo dietro progetti che erano già datati negli anni 60 (quando cioè un'opera di alta ingegneria come il ponte avrebbe veramente avuto una ricaduta turistica. Oggi purtroppo i turisti cercano aria pulita e templi greci).

Tale rotta, più volte invocata sui mezzi di informazione locale, indica nell'interconnessione Sicilia Orientale - Sicilia Occidentale il perno sul quale far ruotare lo sviluppo infrastrutturale. In particolare i due (inter-) porti di Augusta e di Termini Imerese dovrebbero essere collegati in un sistema di scambio per Trans-shipment che includa anche gli aeroporti di Punta Raisi e Trapani, l'hub aereo di Fontanarossa, ed i porti ed i cantieri navali di Catania, Messina e Palermo.

Il Trans-shipment non è altro che lo smistamento dei container da una nave di più grossa stazza a più navi di dimensioni minori che da un hub smistano poi la merce verso gli altri porti di dimensione regionale. Il porto di Gioia Tauro è un porto appunto di Trans-shipment, e non ha bisogno di TAV, in quanto i container arrivano via mare e ripartono via mare. Il porto di Gioia Tauro è il primo porto del Mediterraneo.

Ed invece guardate la cartina pubblicata oggi dal Sole 24 ore (i numeri indicano il traffico in container):




Noi non esistiamo al momento, mentre Gioia Tauro è destinata a soccombere ad Algeciras (in questo momento numero due, ma in forte crescita). Guardate ancora meglio e osservate quali sono i punti di forza di Algeciras e Gioia: la prima si trova lungo le rotte intercontinentali est-ovest, ma è in posizione defilata rispetto al baricentro del Mediterraneo. La seconda è più vicina al baricentro, ma in posizione defilata rispetto alle rotte commerciali (anche mezza giornata in meno di navigazione su queste rotte corrisponde a notevoli risparmi).
Tutti gli altri porti nella cartina non possegono queste caratteristiche.

Ancora però non ne esiste uno che le racchiuda entrambi. Sempre osservando la cartina, dove lo piazzereste voi?


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lunedì, ottobre 16, 2006

In nota alla proposta dei politici siciliani per l'autofinanziamento del ponte

Questo blog ha espresso un giudizio poco favorevole alla realizzazione del Ponte sullo Stretto (vedi articolo), posizione questa non pregiudiziale o ideologica ma basata su diversi indirizzi di sviluppo e comunque all'interno (almeno idealmente) di un dibattito aperto e franco che coinvolga l'intero Popolo Siciliano, per lo meno nelle sue componenti di rappresentanza (politica, civile, imprenditoriale), dibattito che dovrebbe produrre una maggioranza democratica.

Per onestà intellettuale devo però aggiungere che il beneficio del ponte ai trasporti ferroviari sarebbe innegabile, tanto da poter ritenere il collegamento ferroviario come l'obbiettivo principale dell'infrastruttura, in quanto l'unico capace di trainare lo sviluppo del territorio grazie all'apporto logistico dato allo smistamento delle merci ed all'intercettazione di un traffico passeggeri che preferirebbe la comodità del treno allo stress del volo aereo moderno.

Detto questo, credo però si debba riflettere su due punti:

1) I benefici dovuti allo sviluppo di tale collegamento sarebbero sicuramente considerevoli per la Sicilia (meno per la Calabria, che vedrebbe sminuita l'importanza di Gioia Tauro), ma si estenderebbero all'Italia ed all'Europa intera, che potrebbero contare su di una logistica più efficiente ed economica. Ecco perchè esiste il corridoio Berlino-Palermo: per cercare di compensare la posizione marginale dell'Europa continentale rispetto alla Centralità Mediterranea della Sicilia, e non viceversa!!! (e comunque è importante rilevare che questo corridoio esisterà con o senza ponte)

2) Significativamente, il progetto attuale non è accompagnato dai complementari progetti per collegare le reti ferroviare sulle due sponde. In questo modo il ponte servirebbe veramente a poco. Il suo scopo sarebbe quello di "far lavorare" alcune imprese settentrionali con limitate ricadute locali durante la costruzione e quasi niente dopo, visto che poi dovremo comunque implorare Roma di portare la TAV a Reggio Calabria.

Alla luce di queste due considerazioni, inviterei innanzitutto la classe dirigente siciliana a riflettere sull'opportunità di mettere i soldi dei siciliani in QUEL progetto di ponte, così com'è praticamente inutile allo sviluppo della Sicilia.

Dopodichè vorrei capire perchè i Siciliani dovrebbero farsi le opere "pubbliche" con i loro soldi metre al nord utilizzano i nostri soldi per fare le loro, inutili per noi. Per di più un'opera pubblica di interesse europeo, e non solo locale.

L'affermazione di Di Pietro, riguardo la disponibilità del governo ad accettare un autofinanziamento dei siciliani, oltre che furba, è di una gravità senza eguali, in quanto pone un pericoloso precedente rendendo esplicito e legalizzando l'immenso travaso (forse furto sarebbe più appropriato) di risorse che ogni anno fluisce da sud verso nord.

Se la Sicilia deve finanziarsi da sola le opere "pubbliche", al contrario delle altre regioni italiane, ne risulta di conseguenza che la Sicilia non è parte dello stato italiano.

La verità è che oramai l'unione della Sicilia all'Italia è un fatto puramente ideologico e non sostanziato da efficienti "economie di scala" o da chiari intendimenti culturali (quelli storici non sono mai esistiti). In pratica siamo indecentemente caduti in un paradosso secondo cui la Sicilia fa parte dell'Italia solo perchè ci ricordiamo di averlo letto sul nostro sussidiario.

L'unica speranza per la classe politica siciliana è di prendere atto con coraggio (e riconosco che per certe cose di coraggio ce ne vuole) della situazione e di alzare il livello dello scontro. Altrimento il suo irreversibile destino sarà quello di essere scavalcata e spazzata via dall'onda del divenire della geopolitica attuale, che non è più quella che detta classe politica, ancorata ad una superata visione democristiana (in senso politico) del mondo, crede che sia.
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giovedì, ottobre 12, 2006

Energia: come i terroni sovvenzionano le industrie del nord


Abbiamo già visto come la base dello sviluppo economico di un territorio risieda nella disponibilità di energia (vedi articolo): senza un piano energetico è inutile programmare tutto il resto.

L'Europa centrale, ed in particolare la zona alpina, a questo riguardo si trova in una posizione piuttosto scomoda, lontana allo stesso modo da tutte le possibili zone di produzione: il Nord Africa, il Mare del Nord, la Russia. Ma i Tosco-Padani sono stati furbi ed hanno rivoltato la realtà come un guanto facendo scontare a noi la loro marginalità.

Tutte le strade portano a Roma, ma devono prima passare da Palermo

Il prezzo delle risorse energetiche per l'utente finale, e segnatamente quello degli idrocarburi (gas e petrolio), non dipende solo dal prezzo sul mercato (il prezzo al barile, per intenderci) ma anche dalla distanza attraverso cui, una volta acquistata, la risorsa dovrà viaggiare, nonchè dal tipo di infrastrutture necessarie acchè ciò avvenga. Questo è ancor più vero per il gas, che ha bisogno di infrastrutture rigide e costose, come tubature e terminali di liquefazione/rigassificazione.

In base a questo discorso se si dovesse veramente applicare l'economia di mercato, come pretendono di fare i quaquaraqua di Bruxelles, il prezzo del gas per l'utenza finale dovrebbe aumentare in base alla distanza dalla sorgente anche all'interno di una stessa nazione, poichè la spesa per le infrastrutture sarebbe proporzionalmente più alta. In soldoni: risalendo lo stivale il prezzo del gas dovrebbe salire progressivamente, e poichè in Italia la regione più vicina ad una zona di produzione è la Sicilia, qui il costo del gas (e di conseguenza quello dell'energia elettrica, ma questa è un altra storia...) dovrebbe essere inferiore che altrove. E questo senza considerare la produzione locale che, seppur irrisoria nei confronti del fabbisogno nazionale, diventa importante rispetto ai consumi locali.

Tutto ciò ovviamente non accade: il prezzo del gas da noi non è minimamente legato al costo delle infrastrutture, con il risultato che il popolo siciliano sovvenziona l'energia per tutto il resto d'Italia, ed in misura maggiore man mano che ci spostiamo verso nord: un flusso di denaro rubato e succhiato costantemente verso le regioni padane.

A tale flusso vanno aggiunti i fondi europei che invece di essere spesi per lo sviluppo locale vengono dirottati verso ENEL e SNAM per la metanizzazione (al nord viene fatta con fondi pubblici), rendendo ancora più capillare il borseggio e facendo in modo che i fondi della comunità europea attivamente sovvenzionino l'energia per il nord del paese.

Tale distorsione del mercato potrebbe essere in parte bialanciata da altre misure, ma questo non avviene: l'energia scippata ci ritorna indietro in forma di merci pronte al consumo con un sovrapprezzo abusivo dovuto al trasporto da nord a sud, trasporto che continua ad avvenire con benzina sovvenzionata dai terroni!!!!

Ed il carico sui siciliani è destinato ad aumentare: dovremo infatti sovvenzionare un'altra opera per noi del tutto inutile. Il governo ha aperto le porte al GALSI, il metanodotto Algeria-Sardegna-Italia, un'opera costosissima a causa dei lunghi tratti in mare ed a cui lo stesso governo si è già affrettato ad assicurare i soldi dei contribuenti. A che serve il GALSI? Secondo noi a bypassare l'infida Sicilia. Non che ci dispiaccia, ma non capiamo perchè dobbiamo pagare anche noi.

Direttamente dove serve



Tutto questo meccanismo da solo sicuramente potrebbe spiegare buona parte della differenza in tenore di vita tra nord e sud: proprio in questi giorni l'ISTAT ha rilasciato i dati sulla povertà nel nostro paese. In Sicilia il 30% delle famiglie sembra essere sotto la soglia della povertà, un fatto gravissimo, con alcuni quotidiani che titolano "Sono diminuite le famiglie povere" (al nord, ovviamente).

Sembra ovvio come tale sistema crei una enorme distorsione nel mercato, ma la comunità europea fa finta di non capire. La famigerata Tassa del Tubo, proposta dalla regione qualche anno fa, in quest'ottica avrebbe sicuramente iniziato a correggere queste storture, ma a Bruxelles è stata bocciata, chiaramente per motivi politici.

Caro Cuffaro, Caro Lombardo, Cara Borsellino, Cari miriadi di gruppi autonomisti ed indipendentisti che vi sono in Sicilia, che ne dite di smetterla di parlare e passare ai fatti?

Cari Siciliani, le vogliamo uscire le palle una volta per tutte?


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