Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

lunedì, ottobre 08, 2007

Mafiopoli

L'articolo che segue, pubblicato per la prima volta nel 1975, è tratto dal blog di Meridio Siculo, una vera miniera di gemme preziose per tutti i sicilianisti, e non solo. Il pezzo mostra tutta la lordura di questo regime che ancora ci opprime e ci deprime. Fosse stato pubblicato ieri, nessuno si sarebbe accorto che risaliva a 3 decenni fa, tanto giriamo a vuoto oppressi dalle catene dell'ultimo regime segregazionista al mondo. Trent'anni che i governi nazionali lanciano lotte alla mafia di ogni tipo, trent'anni che gli ascari locali promettono svolte vicine mai raggiunte. Potrebbero letteralmente pubblicare domani mattina le notizie di 50 anni fa, nessuno noterebbe niente. E non è detto che ogni tanto non lo facciano...

MAFIA E DOPPIOPESISMO MEDIATICO

(tratto da "INVIATI TROPPO SPECIALI"
di Giuseppe Litrico (1975)


In principio era la mafia siciliana. Anzi sol­tanto dell'Occidente siculo. Un autorevole roto­calco, anni fa, pubblicò persino una geografia della mafia i cui confini correvano netti da Nord a Sud nel cuore dell'Isola. Nessuno a quel tempo avrebbe immaginato il suo travalicare dai secolari confini e poi lo sbarco in Calabria e quindi via via la travolgente risalita della Penisola.

A tanti cronisti del Nord non parve vero. O meglio, non si chiesero nemmeno fino a che punto fosse vero tanto dilagare mafioso. A loro bastava che qua e là fosse segnalato qualche epi­sodio criminale che implicasse una presenza mafiosa o semplicemente la facesse sospettare. A in­gigantire, a travisare ci avrebbero pensato loro.

Nel frattempo anche la dialettica politica si appropriava del termine facendone un aggettivo per bollare le prevaricazioni, vere o presunte, de­gli avversari; un aggettivo truce ed evocatore di malefica, insondabile potenza.

Per la stampa del Nord che ha spesso trattato gli avvenimenti meridionali con una superficiali­tà pari soltanto alla iattanza di certi suoi croni­sti, queste metamorfosi mafiose, vere o presunte, rappresentano altrettanti motivi per dimostrare che al Nord la criminalità cresce perché la mafia tira le fila dalla lontana Palermo; la mai abba­stanza vituperata Palermo che al Nord viene im­maginata come un'immensa mafiopoli a organiz­zazione piramidale: al vertice i Don Calo' di tur­no chiamati a presiedere il governo dei padrini; alla base un vero e proprio esercito clandestino, agguerrito e spietato. Ogni tanto le spaccature verticali, come per le correnti dei partiti: scontri di fazioni, di gruppi, di interessi ed ecco la dia­lettica della lupara.

Settembre 1975: la stampa settentrionale scopre la "ndrangheta", cioè la mafia calabrese. L'episodio scatenante della nuova ondata di inchieste giornalistiche è il sequestro e l'assassi­nio di Cristina Mazzotti organizzato dalla mafia calabrese con la complicità di criminali del Nord. I rotocalchi, soprattutto, spillano mafia e violen­za da ogni anfratto della terra calabra, integran­do i loro servizi con le consulenze di esperti mafiologhi che sanno sceverare fra i misteriosi sim­bolismi della "ndrangheta" e tracciare paralleli e confronti con la mafia siciliana.

L' "Europeo" guarda al nuovo fenomeno mafioso con severo distacco intellettualistico for­mulando dotte derivazioni e puntigliose analisi socio-economiche.

Ma è lo stesso "Europeo", il 26 settembre 1975, a pubblicare una inquietante intervista con i poliziotti svizzeri che catturarono il ticinese Ballinari le cui rivelazioni permisero di risalire ai responsabili diretti del fatto criminoso.

Salvo un colpo di fortuna eccezionale — af­ferma un funzionario della polizia di Chiasso — non arriveremo mai a chi tiene le fila di questa attività. Teniamo presente che, tra qui e l'Italia, abbiamo messo in carcere una ventina di perso­ne: la gang al completo, si dice. Eppure abbiamo trovato soltanto cento milioni del riscatto paga­to dai Mazzotti. Manca un miliardo tondo. Quei cento milioni sono le paghe dei manovali, il re­sto, più o meno, è ciò che è andato alla "men­te", al vero capo. E questo miliardo sarà diffici­le recuperarlo, perché occorrerebbe dare un nome e un volto a chi ne è in possesso. Noi siamo sicu­ri che un capo, potente e insospettabile, esiste, così come siamo sicuri che se ne sta nel Nord Ita­lia, e non in Calabria. "Voi non potete nemmeno immaginare chi c'è dietro questa storia", ha det­to Ballinari in un interrogatorio, ma non è anda­to più oltre. E' probabile che non ne sappia di più, come gli altri. Non è gente da miliardi, quel­la che abbiamo preso, non è gente che da ordini. Sono esecutori. Tra loro ci può essere un capo, ma è come in un’impresa di costruzione, il geo­metra o il capo operaio. L'ingegnere, l'imprendi­tore, quelli clic firmano i piani, se ne stanno al sicuro, nessuno li ha mai visti, l: godono di pro­tezioni, di attenzioni; è gente che non si può "di­sturbare" nemmeno se ci sono di mezzo dei mi­liardi, e dei morti ammazzati. E' duro ammetter­lo, ma questa è la nostra sensazione.

Manovalanza meridionale, "azionisti" setten­trionali. La storia si ripete: è quella di sempre. Del resto se le industrie del Nord si giovano della manovalanza meridionale, perché non dovrebbe fare altrettanto la fiorentissima industria del se­questro?

Sarebbe quasi divertente — se non si trattas­se di un fatto tragico — il notare come in taluni articoli di stampa si è parlato di Libero Ballinari, o meglio come ne hanno parlato le persone che lo conoscevano: un balordo, si, un contrab­bandiere, certo, ma uno che ha fatto quel che ha fatto perché si spaventava della "ndrangheta". Povero ragazzo, rovinato dai calabresi cattivi. Che strazio!

Ma intanto la stampa del Nord si guarda be­ne dall'applicare altrettanto massiccio zelo inqui­sitorio nel mondo dei contrabbandieri che agi­scono ai confini con la Svizzera e che la crisi del­la loro abituale attività ha costretto a cercare un nuovo "lavoro", (gente un tempo abituata ad avere il denaro facile e che oggi è in difficoltà. Sono sempre i poliziotti svizzeri di cui sopra che parlano.

Manco a farlo apposta, mentre la solita stam­pa si occupava della Calabria, fa la sua apparizio­ne nel Sud la salmonellosi. I grandi inviati non si lasciano sfuggire l'occasione: risalgono, a grandi passi, la penisola per convergere rapidamente su Avellino e ricominciare la tiritera sui mali del profondo Sud.

Microbi, fogne all'aperto, basse manovre dei notabili, coppole, malcostume politico, agricoltu­ra in crisi: un potentissimo intruglio in dose urto di profondo Sud del quale, come al solito, si parla come se si trattasse di un altro pianeta distante da Roma e dal Governo migliaia di chilometri: un pianeta dove gli inviati atterrano come astronau­ti solitari alla ricerca di organismi sconosciuti.

L'"Europeo", ovviamente, intellettualizza le sue cronache affidandole a Enzo Magri (un gior­nalista siciliano che a giudicare dal tono dei suoi articoli, appare ormai gravemente contagiato dal­la spocchia meneghina), che dedica spazio oltre­ ché alle salmonelle anche a Guido Dorso. Ad Avellino infatti l'insigne sociologo nacque, e, in barba alle salmonelle di quel tempo, sopravvisse.

Dalle salmonelle al trasformismo politico meridionale il passo è obbligato per un cronista settentrionale. Scandalizzato, Magri, rivela che un tizio di quei paraggi — monarchico — ha fatto il salto della quaglia passando dalla monarchia al PCI; che un ex missino è approdato al PSI; che un democristiano è scappato dalla DC per andare nel PLI, ma poi ci ha ripensato ed è tornato alla DC.

Peccato che Guido Dorso morì troppo presto per potersi occupare anche del trasformismo set­tentrionale e vedere per esempio come tanti fer­venti fascisti avrebbero scoperto l'antifascismo e il prezioso bene della democrazia nonché l'amore sviscerato per il popolo lavoratore. E co­munque non era questo il trasformismo stigma­tizzato dall'illustre meridionalista, o, perlomeno, non solo questo. Si aggiunga anche che il Dorso non attribuì l'arretratezza meridionale esclusiva­mente alle classi dirigenti del Sud e al loro tra­sformismo, ma soprattutto alla cosiddetta con­quista piemontese da lui definita grigia, fredda uniforme che a mano a mano che progrediva la­sciò insoluti tutti i dati ideali della rivoluzione. Scrisse anche che il problema meridionale non è una questione tecnica o un coacervo di questio­ni tecniche ma un problema politico, anzi istitu­zionale e quel trasformismo ha permesso (e per­mette) lo sfruttamento del Mezzogiorno a favore delle minoranze antiliberali e cleptocratiche del Nord. Ed è sempre Guido Dorso — che tanto pia­ce a l'"Europeo" — a scrivere che l'Italia settentrionale per ottantacinque anni non ha fatto al­tro che lavorare per tenerci, più o meno forzata­mente, nella posizione di mercato di consumo.

Ed è sempre Guido Dorso a dire: Sostanzial­mente noi siamo soggetti ad una doppia tirannide: dello Stato su tutta la vita pubblica meridio­nale e della vecchia classe dirigente sul popolo meridionale.

E ancora:Con l'emigrazione il contadino me­ridionale non è riuscito che a porre le basi di una altra truffa storica: l'impossessamento da parte dello Stato, attraverso i prestiti di Stato, i rispar­mi postali e le sonde bancarie, di tutte le rimesse per irrobustire le industrie parassitarie del Nord e finanziare la politica di megalomania naziona­le.

Concetti attualissimi ancora oggi ma la stam­pa del Nord si volge al Sud soltanto per denun­ciare carenze "endemiche" o parlare delle salmonelle trasformiste di Avellino; trasformiste al punto che ai primi esami riuscirono a far credere di appartenere ad altro schieramento microbico, ingannando le autorità sanitarie.

Più capacità trasformistiche seppero esprime­re tuttavia le salmonelle di Latina, se è vero — co­me scrive il "Borghese" — che avevano fatto ca­polino già un anno prima nella città laziale.

Sono pochi a sapere — afferma infatti il "Bor­ghese" (12 ottobre 1975) — che la salmonellosi non è esplosa ad Avellino, ma che casi di neonati colpiti da questa malattia si sono verificati nel nostro Paese sin dall'anno scorso. Nel luglio del settantaquattro infatti, a Latina, due bambini morirono per la salmonellosi ed altri quattordici ne furono contagiati. Sarebbe stato logico — con­tinua il "Borghese" — che si fosse lanciato un allarme sanitario a livello nazionale, che si fossero prese tutte quelle misure atte a circoscrivere il fenomeno.

L'inviato del "Borghese" pone al medico provinciale di Latina un pesante quesito: Dotto­re, oggi si fa un gran parlare dell'epidemia di salmonella scoppiata ad Avellino eppure già un anno fa a Latina si moriva per questa malattia senza che l'opinione pubblica ne fosse informata. Come lo spiega?

il sanitario non sa spiegarlo. E ciò lascia aper­to il campo alle ipotesi e agli interrogativi a cate­na. Perché la stampa nazionale non si è avventata su Latina, sviscerandone le vergogne e le "proble­matiche" come ha fatto per Avellino? Forse per­ché Latina è al di sopra del Garigliano e più vici­na a Roma? Non fanno notizia i microbi di Lati­na? E quelli di Roma? E quelli di Brunico? La verità è che alle vergogne del Centro-Nord un certo giornalismo guarda senza lenti colorate e quando si prova a denunciarle lo fa con la nor­male, scarna metodica cronistica, senza derivazio­ni folkloristiche, scandagli sociologici, considera­zioni gratuite;in poche parole,senza quel contor­no, più o meno velatamente razzista,che trasforma in un fenomeno da baraccone qualunque episodio di una certa gravità che viene segnalato dal Sud.

Come dicevamo, 1'"Europeo" si è abbondan­temente occupato della salmonellosi di Avellino e della "ndrangheta" calabrese. Per l'occasione Lamezia Terme si è vista così ribattezzare, con un titolone ad effetto, "'La capitale dei sequestri'".

Ora anche a voler concedere un buon margi­ne alla esigenza giornalistica del titolo stuzzican­te, la forzatura è eccessiva per non dire mostruo­sa anche tenendo nel dovuto conto la situazione obiettiva della zona, relativamente ai crimini mafiosi e a certi legami con alcuni sequestri av­venuti al Nord: un fenomeno, quello dei seque­stri, ancora tutto da definire e i cui vaghi contor­ni se non altro dovrebbero consigliare una certa prudenza nel trarre conclusioni e giudizi che pe­sano come un marchio di infamia su intere popo­lazioni.

Il resto era scontato. L'elencazione di caren­ze, il solito rosario di problematiche, la solita fo­tografia della strada principale con i giovani che fanno lo "struscio": ed ecco il "servizio" bello e pronto, in confezione intellettualizzata. Non è mancato anche in questo caso il rilievo su l'ec­cessivo numero di negozi, in rapporto al livello economico generale della zona, quasi una impli­cita allusione a un ipotetico, vorticoso giro di de­naro sporco (ben riciclato però) che starebbe po­nendo le premesse per un decollo economico del Sud più di quanto non abbiano fatto le politiche meridionalistiche e la "Cassa".

Ma sentiamo ancor meglio perché l'"Europeo" (19 settembre 1975) si è occupato di Lamezia. L'articolo contiene e sintetizza tutti i "perché" dell'inchiesta, in un prologo vagamente archeologico:

Ora che abbiamo sepolto Cristina andiamo a dissotterrare 'sta Lamezia Terme.

Sia pure un frammento d'un qualcosa lo tro­veremo per capire i perché.

Una cosa è certa a questo punto: sia pure in­consciamente, l'autore dell'articolo rivela incli­nazioni da tombarolo. Avrebbe potuto realiz­zarsi meglio (come si dice oggi) nella terra che fu degli Etruschi; invece no: eccolo a Lamezia a dis­sotterrare cocci e "perché".

E continua: Perché qui, proprio qui, c'è la centrale dalla quale sono partiti gli ordini di un sequestro di persona che, proditoriamente o ca­sualmente, si è trasformato nel più abominevole crimine che si sia mai verificato in Italia. Perché qui, proprio qui, hanno ammazzato un avvocato generale dello Stato.

Perché qui, proprio qui, c'è un tragico sospet­to sulla morte di un magistrato che faceva il suo dovere.

Perché qui, proprio qui, la mafia in versione calabra, detta pure "ndrangheta", vive alligna e comanda. Solo che una volta spaccata la crosta — continua l'articolista, nel suo raptus archeologico — e si superi la sedimentazione di trent'anni di stra­potere democristiano, di vent'anni di impostime fascista e il deposito millenario dell'abbandono, bisogna pur fermarsi un tantino di più in questa stazione di cambio delle locomotive per esami­nare i reperti.

Perfetto. Ma se il Sud avesse una stampa po­tente e diffusa non potrebbe benissimo dissot­terrare anche al Nord "reperti" d'ogni genere? E il medesimo inviato non potrebbe benissimo esor­dire alla medesima maniera se si occupasse di rompere le croste (si fa per dire) delle sedimenta­zioni del Nord? Certo che lo potrebbe. E ne ver­rebbero fuori filastrocche ancor più lunghe e ancor più dense di delitti e di "perché".

Per esempio. Siamo venuti a Genova, perché qui, proprio qui, hanno proditoriamente (e non casualmente) assassinato Milena Sutter, una ra­gazzina di tredici anni; sequestrata, strangolata e buttata a mare. Un crimine abominevole, il più abominevole che si sia verificato in Italia.

Perché qui, proprio qui, è stato perpetrato il primo clamoroso caso di sequestro di persona a sfondo politico: il sequestro Gadolla.

Perché qui, proprio qui, hanno ammazzato un povero fattorino di banca in una rapina del medesimo stampo.

Perché qui, proprio qui, hanno rapito e quasi ammazzato il giudice Sossi.

Perché qui, proprio qui, alcuni industriali fi­nanziavano un tentativo di "golpe" fascista.

Perché se cominciassimo dal Settentrione, da lì, proprio da lì. a rompere le croste di tante sedimentazioni non finiremmo più di cercare e di trovare reperti.

E tutto ciò senza nemmeno scavare troppo.

3 commenti:

L'Ingegnere Volante ha detto...

Magnifico questo articolo. Un grazie di cuore a Meridio Siculo e all'Abate Vella per averci donato questa perla di conoscenza.

Lotterò con tutta l'anima per smascherare la stampa di regime.

Cari amici, restiamo uniti e facciamo più rete possibile. Creiamo una rete che fornisca ai nostri fratelli siciliani un punto di riferimento fatto di documentazione sulla nostra storia. Attraverso la conoscenza possiamo ribaltare la situazione. Sappiamo che il cammino è lungo ma alla lunga vinceremo. Facciamolo per la nostra Amata Patria. La Sicilia non deve morire. La Sicilia non può morire.

ANTUDO!

Anonimo ha detto...

Ciao ragazzi, ma se la vera mafia è al nord secondo voi qual'è il vero scopo di inviare l'esercito in Sicilia?
Eppure la Sicilia,mafiosamente parlando, sembra molto più tranquilla delle altre regioni del Sud, è stato arrestato pure Provenzano...

Secondo me l'invio dell'esercito in Sicilia è un vero e proprio atto di forza(se no avrebbero mandato i fiorai) nei confronti del governo regionale, come se questo si volesse "emancipare"...

Sono programmati parecchi investimenti in Sicilia per la costruzione delle infrastrutture che adeguino la nostra regione al nuovo assetto strategico-economico dell'area euro-mediterranea.
Chi sta seguendo questa politica è il centrodestra siciliano(guidato da Berlusconi) mentre il centrosinistra sta in tutti i modi cercando di impedirlo perchè vuole mantenere la supremazia del nord(in rapido declino) nei confronti del Sud.
Sanno tutti bene che tra non molto chi controllerà la Sicilia controllerà il comparto logistico euro-mediterraneo.

Presto vi dimostrerò che tutti gli appalti per la costruzione di queste infrastrutture siciliane sono in mano ad imprese vicine a Berlusconi.

Ragazzi, si è spezzata la storica alleanza massoneria-mafia, è un occasione imperdibile per ottenere l'indipendenza politica da Roma.

Se il centrosinstra dovesse tirare troppo la corda con la scusa dell'esercito e della Salerno-Reggio non è escluso che presto cada il governo nazionale.

Anonimo ha detto...

ben venga questa indipendenza!!!!!!!!