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martedì, maggio 15, 2007

Beata ignoranza

L'Osservatorio per la tutela dell'immagine della Sicilia ha recentemente posto l'accento su un altro scempio della storia e della cultura siciliane perpetrato dallo stato con i nostri soldi.

L'ennesima inutile fiction RAI girata in Sicilia (forse ci chiederanno anche di ringraziarli per i posti di lavoro elargiti localmente e per i turisti che verranno a verificare di persona le stronzate viste sul piccolo schermo) questa volta è dedicata alla Baronessa di Carini che come hanno già anticipato sulla stampa nazionale verrà teletrasportata all'800 e salvata dal più famoso ladro di cavalli della storia (Giuseppe Garibaldi).

Anche volendo ammettere la licenza poetica per tutto il garibaldume risorgimentale che cercano di farci ingoiare a forza, vi è un altro elemento che non può essere giustificato neanche ammettendo la necessità di creare dei miti nazionali (come appunto il Garibaldi) ad uso e consumo degli insegnanti di storia patria. E questo è proprio l'apparizione dei Beati Paoli nella vicenda, impegnati nella creazione di quella società 'segreta' che diventerà poi la mafia.

Ma chi sono veramente (o meglio, chi erano) i Beati Paoli? Qual'è la loro storia? Di cosa parla il romanzo a loro dedicato da Luigi Natoli? Sì, perché sembra che di questi Beati Paoli tutti ne parlino, dai professoroni dell'antimafia sino al pescivendolo sotto casa nostra, ma pochi sappiano veramente fornire date e luoghi.





L'immagine riportata è tratta dalla fiancata di un carretto siciliano dei primi decenni del 900 e ritrae uno dei protagonisti del romanzo di Natoli (Blasco da Castiglione). Questo ci può dare una idea di quanta diffusione ebbe il romanzo in tutti gli strati sociali del popolo siciliano. Un romanzo però non è la realtà, e quindi sarebbe interessante capire le basi storiche usate dal Natoli per la descrizione della famosissima setta.

Tali basi storiche non sono altro che una striminzita nota lascitaci dal Villabianca nei suoi 'Opuscoli palermitani', nota che raccoglie semplicemente alcune tradizioni orali popolari. Non esiste quindi alcuna testimonianza storica dell'esistenza della setta. In più pare che anche il nome non sia altro, secondo il Pitrè, che una derivazione del nome del santo S. Francesco di Paola, santo estremamente venerato in Sicilia. I Beati Paoli non è quindi un nome proprio, ma una specie di aggettivo popolare, con il quale si descrive una certa categoria di persone.

Non ci sono dunque base storiche certe o indizi di alcun tipo che possano assicurarci che tale setta sia esistita. Stranamente però, mentre la nostra storia è stata fatta scomparire dalle pagine di questa pseudo-nazione italiana, il romanzo di Natoli è diventato di per se stesso storia, così da fornire le basi sociali, storiche e genetiche per accusare il popolo siciliano di inferiorità razziale e giustificare il segregazionismo al quale è sottoposto.

Possiamo dire che la leggenda dei Beati Paoli (che potrebbero o no essere esistiti, non lo possiamo stabilire con certezza) non è altro che la pietra filosofale o il magico unicorno dei professoroni dell'antimafia; una leggenda che è servita a tenere in vita una classe di ciarlatani ed imbonitori che vivono sulle spalle degli altri.

Ma torniamo al romanzo e vediamo che cosa sia effettivamente e di cosa tratti il racconto del Natoli. Partiamo dal sottotitolo:

'Grande romanzo storico siciliano'

I Beati Paoli, secondo lo stesso autore, è un romanzo storico. Un racconto che, come la più famosa opera manzoniana, intreccia dei fatti immaginari su uno sfondo storico e culturale ben delineato ed attento al susseguirsi di eventi reali che interferiscono in continuazione con le vicende dei protagonisti.

Il Natoli pone però anche l'appellativo di siciliano, ad indicare lo spazio culturale entro cui la sua creatura letteraria cresce e si nutre. I protagonisti del romanzo non sono allora i Beati Paoli, ma i siciliani e la loro storia che negli anni in cui la vicenda si svolge, a cavallo dei primi del settecento, videro la loro patria attraversata da una corrente di sommovimenti di portata epocale: dalla controversia liparitana, al breve ed inviso interregno sabaudo, alla proclamazione di Carlo VI a re di Sicilia.

Un susseguirsi di eventi che viene proposto in verità dal punto di vista forse cinico, ma sicuramente disincantato, dei siciliani come una specie di “business as usual” testimoniato dalla immagini della nobiltà e del popolo che insieme vanno ad osservare l'assalto ad un forte o ad un castello durante la guerra con la stessa noncuranza con cui passano da una incoronazione all'altra, ma sempre trepidanti nell'attesa che quella possa essere l'incoronazione che possa riportare il Regno di Sicilia alla grandezza che gli compete, con una corte che sieda nei palazzi reali di Palermo e non in qualche penisola lontana (spagnola o italiana che sia).

Per questo motivo ritengo lecito pensare che l'apposizione 'siciliano' usata dal Natoli sia, anche nelle sue intenzioni, una forma breve per 'popolo siciliano'. E questo può facilmente essere 'sentito' da chiunque legga l'opera. Beh, da alcuni sentito con ardore, da altri con sommo fastidio. Riducendo i Beati Paoli ad un racconto di mafia, praticamente si riduce a mafia la storia del Popolo Siciliano, la quale, leggendo le scorrevoli pagine del libro appare in tutta la sua incredibile complessità e magnificenza.

Gli indizi che ci indicano come il Natoli si rivolga al Popolo Siciliano sono disseminati ovunque: dalla scelta di calcare la mano sull'incapacità a governare dei Savoia, all'astio del popolo nei loro confronti, alla scena in cui Blasco senza difficoltà sconfigge in duello 3 ufficiali piemontesi contemporaneamente, all'appellativo di 'compatriota' riservato ad una ragazza siciliana incontrata a Tunisi dal protagonista, solo poche righe dopo aver definito come 'straniera' una nave veneziana.

E veniamo ai Beati Paoli. Anche ammettendo che le cose siano andate proprio come descrive il Natoli, può nelle sue pagine essere rintracciato qualche spunto che ci riconduca a quella che i falsari peninsulari descrivono come una “realtà siciliana”, e cioè la mafia? Ecco un brano che può dirci qualcosa in proposito:

'I Beati Paoli avevano le simpatie di quel popolo incline ad ammirare tutto ciò che aveva del meraviglioso o che era un segno di ribellione alle autorità, delle quali esso non conosceva che i rigori e le violenze. Agli occhi suoi, la setta esercitava un ufficio di giustizia vendicatrice a favore dei deboli, ed era quindi la sua naturale e legittima difesa.'

Più che spiegare come la mafia avesse radici profonde in Sicilia (cosa che non ha), semmai il libro spiega come mai tra gli anni 70 ed 80 del '900 alcune 'aree' della società isolana abbiano frainteso la mafia come un qualcosa di avverso all'autorità di uno stato (tutt'oggi) rigoroso e violento. Tale fraintendimento, sul quale hanno a sua volta avuto gioco facile i finti fraintendimenti di storici e sociologi di ogni risma, è però durato il tempo di accorgersi che più che un avversario del regime, la mafia era un suo forte alleato: un lampo che fulminò tutti noi nel momento stesso in cui fu assassinato Lima.

Anche è da prendere in considerazione che le 'società segrete' insieme al mito dell'eroe che difende la povera gente dai soprusi degli aristocratici hanno sempre affascinato i popoli attraverso romanzi e leggende. Ricordiamo Robin Hood o D'Artagnan. Lo stesso dicasi per il topos dei 'sotterranei' (ad esempio I misteri di Parigi, ma anche un qualsiasi fumetto di Dylan Dog). Quello che non si capisce è come mai se il popolo francese legge I Misteri di Parigi, ne conseguono (dicono i pedanti) le eroiche barricate del '48, mentre se i siciliani leggono I Beati Paoli, sono mafiosi.

Ed infine, che la mafia sia una società segreta non ci sono indizi a dimostrarlo, visto che tutti sapevamo chi comandava e dove. Per chi ha vissuto gli anni 80 in Sicilia, non vi è mai stata società meno segreta della mafia.

Ma veniamo all'epilogo: cosa ha fatto sì che I Beati Paoli diventasse un romanzo di mafia? Rispondiamo brevemente: l'ignoranza. L'edizione della Flaccovio del racconto del 1986 riporta una introduzione di Umberto Eco che all'inizio recita così:

'(...)leggerlo (...) per la non poca luce che getta su episodi storici ignorati ai più (e a quanto pare non del tutto estranei alla realtà contemporanea dell'isola).'

e più in là aggiunge:

'Che “I Beati Paoli” siano o no il racconto degli antecedenti storici della Mafia, etc. etc.'

Ignoranza ingiustificabile quindi dei più, che sconoscono elementi fondamentali della storia d'Italia e d'Europa, e del pedante che ha scritto questo finto saggio senza neanche sapere di cosa stava parlando, visto che la setta dei Beati Paoli è l'unico elemento del romanzo la cui storia è interamente inventata dall'autore.

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