Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

lunedì, gennaio 08, 2007

Fontanarossa: il ponte aereo dei siciliani. Ma guardiamoci bene le spalle.

La nuova aerostazione di Fontanarossa è pronta: l'opera sulla quale basare il nostro futuro, la pietra angolare sulla quale impostare il nuovo sistema Sicilia e la rinascita dei siciliani. Molto più di un ponte che vuole a tutti costi unirci al passato tenendoci appiedati ai capricci ed alle bugie di uno stato oramai allo sbando. Molto di più di un'Europa ancora senza identità: noi l'identità l'abbiamo ed il Mediterraneo anche, e non possiamo stare a perdere tempo con chi non ha il coraggio di guardare in faccia la realtà.

Oggi il futuro non corre più sui binari della "Freccia del sud" o del "Peloritano" o sulle strette corsie dell'Autosole. Oggi il futuro lo si raggiunge volando: e volando lo si può anche riportare a casa. Oggi il futuro lo si raggiunge volando: e volare costa poco, più o meno quanto prendere l'autobus.

Fontanarossa è la prima pietra di quel sistema costituito dai porti di Augusta e di Termini Imerese, dalle ferrovie ad alta velocità tra Augusta, Catania, Messina, Termini Imerese, Palermo e Trapani, dall'aeroporto di Comiso. Quel sistema cioè che consegnerà la truffa dei plebisciti ottocenteschi all'immondezzaio della storia.

Però bisogna lottare e vigilare, chè ascari e sabotatori di ogni sorta sono dietro l'angolo, pronti a sgambettarci ad ogni bivio ed a metterci sotto con i loro dati falsificati, con le loro sciatte indagini degne solo delle becere fiction con le quali continuano ad insultarci tutte le sere.

Ecco perchè credo sia giusto ora essere lieti per un importante obbiettivo raggiunto (il completamento dell'aerostazione ed il riassetto della SAC), ma anche rimanere calmi e passare subito all'azione. E tra queste righe passeremo all'azione con delle semplici considerazioni:


  1. La torre degli uffici di Fontanarossa: la progettazione di un aeroporto non è una cosa semplice. I controlli sull'operato di progettisti e ditte esecutrici sono molteplici. Eppure qualcosa in questo caso è andato storto, e nessuno si è accorto che la torre degli uffici superava in altezza la torre di controllo ostruendone di fatto il campo visivo. Non siamo più negli anni 80. Il progettista non era il cognato di qualche noto politico locale. Qui si parla di ditte internazionali con decenni di esperienza. Non si stava realizzando un modellino per aggeggi telecomandati. Qui si tratta di uno scalo internazionale, il terzo polo aereo d'Italia. Smettiamola di nasconderci dietro un dito: questo è sabotaggio. Punto. I mandanti non saprei. I motivi sono ovvi: Fontanarossa fa paura a Roma come a Milano, e questa paura innestata sulle beghe politiche locali ha fatto il resto.

  2. Il finto problema della cenere vulcanica: qualcuno vuole ancora farci credere che un'aeroporto vicino ad un vulcano non può stare. Siciliani, date uno sguardo al mondo invece di viaggiare ad occhi chiusi. Siete mai stati in Messico? In Giappone? Alle Filippine? Gli hub aerei in zone vulcaniche sono la norma, come sono la norma le piogge di cenere in concomitanza di eruzioni ed esplosioni. Eventi tali da traformare gli sfoghi dell'Etna in poco più di un folkloristico sbuffo. Il problema è così sentito e conosciuto che L'Organizzazione Internazionale per l'Aviazione Civile ha preparato un documento di circa 150 pagine (Doc 9691) a tal proposito. Leggendolo ci si rende conto di come la chiusura dell'aeroporto non sia quasi mai contemplata, se non in situazioni catastrofiche. Nel documento si raccomanda più che altro il monitoraggio atmosferico: la cenere infatti cammina con i venti e non 'a come gli gira quella sera'. Ed ovviamente la scusa della vicinanza del vulcano può valere per Catania, ma non per un aeroporto situato in Calabria, chiuso per giunta a tempo indeterminato: la cenere viaggia alla velocità del vento, non a quella della luce. Ah... un'ultima cosa: il promesso radar per la cenere non esiste. Si sta sperimentando un'apparecchiatura del genere in Messico, ma quanto questa sia efficace nessuno ancora lo sa.

  3. L'asta per la gestione di Comiso: la SAC per alcuni ritardi non sarebbe in grado di partecipare all'asta per Comiso. Si annuncia ricorso. Da Ragusa rispondono che essendo Comiso una aerostazione privata non si può fare ricorso. Ma allora, se è privata, perchè istituire un bando così rigoroso e non cercare di entrare direttamente in sinergia con Fontanarossa? Dalle dichiarazioni lette sui giornali sembra trapelare il sospetto che Comiso sia stato completato in così poco tempo proprio per dare fastidio a Fontanarossa. Non sarebbe una sorpresa clamorosa: lo straniero ci invade anche grazie agli ascari locali.

  4. Il prolungamento della pista di Fontanarossa: un nuovo scalo al centro della piana serve solo a distruggere gli aranceti. La pista può essere allungata facilmente con molti meno soldi interrando ferrovia, asse attrezzato e, se serve, la tangenziale. In larghezza parte della decadente area industriale sarebbe meglio se fosse sepolta sotto l'asfalto di una seconda pista.


Forse ora sarebbe il caso di chiudere l'aeroporto...

Certo per ognuno di questo punti ci sarebbe parecchio altro da scrivere. Ma iniziamo a riflettere da qui. E soprattutto teniamo gli occhi aperti.


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giovedì, gennaio 04, 2007

La diaspora siciliana e la globalizzazione

Quest'anno a rappresentare l'Italia agli Oscar sarà una poesia più che una pellicola che ha anche un'altra particolarità che la rende forse unica nella storia del cinema italiano agli Oscar: il film non è recitato in italiano, ma in siciliano, tanto che da noi è stato distribuito con i sottotitoli (persino in Sicilia... sic!). Si tratta di Nuovomondo di Emanuele Crialese.

Da quando ho visto il film ogni tanto la sera mi soffermo su di un baule da viaggio di fine ottocento che tengo ai piedi del letto. Su di esso sono ancora incise con un punteruolo le iniziali della mia trisavola che, dopo essere emigrata negli Stati Uniti con la famiglia, decise di ritornare in Sicilia. Acquistò il baule, lo riempì e lo affidò ai facchini. Come esso sia arrivato sino a me, tra due guerre mondiali e la sistematica distruzione di tutto ciò che sapeva di siciliano e di popolare tra gli anni '50 e '70 del novecento, non saprei dire.

La diaspora siciliana, iniziata verso la fine dell'ottocento e di cui per breve tempo fece parte anche la mia trisavola, ha portato i nostri fratelli in giro per il mondo, come semi trasportati dal vento e scaraventati ai quattro angoli del globo. E dove questi semi hanno trovato terreno fertile, sono germogliati, ed i loro germogli hanno dato frutti.

E' per questo che, per esempio, oggi il presidente di una multinazionale come la Mobil (ora Exxon-Mobil) può chiamarsi Lucio Noto, o l'allenatore della nazionale argentina di calcio Alfio Basile.

I siciliani non sono però l'unico popolo ad aver subito il dramma dell'emigrazione. In tempi più recenti abbiamo visto il popolo indiano esplodere su tutti i continenti a poco a poco salendo la scala sociale dai lavori più umili sino alla stanza dei bottoni di molte multinazionali.

Gli indiani, al contrario dei siciliani, hanno capito l'importanza della ragnatela creata da tutti quei figli della "Madre India" dispersi in ogni angolo del pianeta. E stanno richiamando indietro i loro emigranti tramutando in oro quella che a prima vista poteva sembrare una sconfitta oramai la certa: la perdita cioè del loro DNA più sano.

In tempi di globalizzazione, o meglio di ritorno ad un mondo globalizzato quale quello esistente ai primi del novecento, i flussi migratori diventano reversibili. L'economia moderna, basata più sulle idee che sugli ingenti capitali una volta necessari per intraprendere nuove attività industriali, rende l'emigrato che ha girato il mondo raccogliendo esperienze e magari qualche titolo di studio, una specie di mina vagante capace di sconvolgere i normali flussi di ricchezza sclerotizzati del novecento, riportandosi indietro il benessere nel frattempo prodotto e per giunta con gli interessi.

Sotto questo punto di vista per l'Italia l'emigrato meridionale sta passando da fonte di moneta pregiata (Roma ha lucrato e speculato non poco sulle rimesse dei meridionali all'estero, lucro poi ovviamente dirottato al nord...) a potenziale forza rivoluzionaria capace di scardinare i classici rapporti coloniali tra nord e sud instauratisi all'indomani della cosidetta "unità".

In più l'emigrante (o i discendenti dell'emigrante meridionale dei secoli passati) non sono controllabili dai partiti e dai politici corrotti che hanno permesso il soggiogamento alle nordiche bramosie del popolo siciliano (e meridionale in generale) e sono immuni dalla coercizione culturale alla quale tutti noi siamo sottoposti giorno per giorno attraverso i media convenzionali.

Ritornando all'India, secondo dati forniti da The Economist, il 68% dei manager indiani che vivono attualmente negli Stati uniti stanno assiduamente cercando un'opportunità per tornare a casa. Non si hanno dati riguardanti i siciliani, visto che da noi la classe politica dirigente non ha alcun interesse alla cosa, ma possiamo immaginare che non sarebbero molto diversi da quelli indiani. Il problema è che non si fa niente per attirare imprenditori siciliani indietro dall'estero.

A questo punto la soluzione può essere un'altra: agire dal basso e spingere i figli della diaspora siciliana ad organizzarsi non solo come hanno fatto sino ad ora (e cioè per scopi culturali) ma anche con obbiettivi... rivoluzionari (mi sia consentito il termine, perchè quando ci vuole ci vuole!): la creazione di gruppi di pressione nelle nazioni di residenza affinchè la verità su quello che succede in Sicilia esca fuori dagli angusti circoli culturali, protestando per la mancata approvazione dello statuto regionale, per la continua messa in onda di film spazzatura italiani che continuano a diffondere l'idea di Sicilia quale terra di mafia (La Piovra viene ancora appositamente venduto dalla RAI in giro per il mondo), organizzando dimostrazioni di fronte alle ambasciate italiane, creando quei mass media siciliani che noi qui non abbiamo il permesso di avere (radio, sito internet, TV satellitari).

La rinanscita della nostra nazione deve passare attraverso la totalità dei suoi figli, e solo così potrà avvenire. Ed avverrà. Ovviamente senza capovolgere tutto scordandosi poi di quei figli che sono rimasti in Sicilia: se Crialese nelle interviste parla del coraggio di chi è partito, bisogna anche riconoscere che se la Sicilia è ancora una nazione con i piedi ben piantati sulla sua terra questo lo si deve soprattutto a coloro i quali hanno avuto il coraggio di restare (o di tornare).

Nuovomondo permetterà a tutti i siciliani nel mondo di chiudere il cerchio del loro peregrinare evocando ed esorcizzando il dramma che più di ogni altro ha segnato (anche inconsapevolmente) la loro storia: quella di un siciliano in Sicilia che può toccare il passato attraverso un oggetto testimone di quegli uomini e di quei fatti, quella di un siciliano di fuori che, figlio di emigrati, è idealmente tornato nel grembo della sua Madre Terra con un film capace di collegare da solo l'anima di Trinacria a quella di tutti i suoi figli.
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venerdì, dicembre 29, 2006

Un passato che ritorna...

Per festeggiare il nuovo anno non c'è di meglio che onorare il passato...

http://www.youtube.com/watch?v=_KdfoRrUpo8


Grazie a Nicheja di www.siciliaindipendente.org per averci fatto rivedere il grande Finocchiaro Aprile...
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Trattato sulla storia della Sicilia vista attraverso i suoi rapporti con la penisola italiana

Ma questo trattato esiste? Chi lo ha scritto? Dove lo si può trovare? Un titolo stuzzicante vista la conflittualità che tale rapporto ha generato nei millenni, una conflittualità completamente stravolta, quando non cancellata, nei significati storici e culturali dalla storiografia ufficiale italiana. Un argomento di non facile approccio che solo storici preparati (e non condizionati politicamente) si sentirebbero di affrontare.

Eppure un primo tentativo in questo senso pare sia già stato fatto. Un tentativo di dare un senso storico a questo rapporto e di analizzarlo nella sua interezza. Un tentativo recentissimo che molti siciliani si sono sicuramente trovati sotto l'albero per questo Natale 2006, nascosto in un opera di dimensioni molto più ampie.

Alla pagina 14 dell'ultima fatica di Andrea Camilleri, l'ennesima puntata della oramai celebre saga del commissario Montalbano (Le ali della sfinge, Sellerio) troviamo scritto:

"Il Salsetto, al tempo dei greci, era stato un fiume, pò era addivintato un torrente al tempo dei romani, appresso un rivo al tempo dell'unità d'Italia, appresso ancora, al tempo del fascismo, un rigagnolo fituso e infine, con la democrazia, 'na discarrica abusiva."

Immagine dall'ironia tagliente, ma al tempo stesso profonda: un fiume, elemento geografico intorno al quale di solito si coagulano le civiltà, diventa parafrasi di un declino senza poesia, oggi misurato in numeri grazie alle statistiche ISTAT ed ai nati malformi di Gela e Priolo.

E possiamo anche comprendere e non storcere troppo il naso quando a pagina 206 dello stesso libro l'ispettore Fazio apostrofa l'indiziato osservando che "forse s'impressionò perchè lei parlò in dialetto": il fiume è oramai secco ed a tutti può venire sete. Ed anche il Commissario Montalbano/Camilleri ogni tanto sarà stato costretto ad accettare qualche sorso dalla fontana altrui. Ed in cambio, qui e lì, rileggendo certe frasi, avrà fatto finta... di niente.

Buon 2007. E che il nuovo anno ci porti più Consiglio
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venerdì, dicembre 15, 2006

La nascita di una nuova Europa?

Cosa succede all'Europa? La bocciatura della carta costituzionale europea sembra aver aperto la strada ad una rivoluzione che, seppur serpeggiante, sembrava aver timore di metter fuori la testa per il pericolo di essere schiacciata dai burocrati di Bruxelles al soldo dei potentati finanziari.

Ed invece il pollice verso posto dal popolo in quei paesi che hanno avuto la decenza di lasciare qualche parvenza di democrazia intatta permettendo alla gente di esprimersi (tra questi ovviamente non rientra il moribondo regime tosco-padano) ha acceso i riflettori su di un processo che al momento sembra ancora dimenarsi tra le pastoie dell'ancien regime ma che potrebbe subire una rapida accelerazione in qualunque momento provocando il crollo di quella metà del muro di Berlino che ancora rimane intatto e che separa i popoli europei d'occidente dalla loro libertà.

Cosa ha spinto la televisione di stato belga un paio di giorni fa ad inscenare la separazione tra le due inconciliabili metà dello stato, quella fiamminga e quella francofona? I cittadini sono stati in apprensione per qualche ora all notizia della fine dello stato padrone che tutti conoscevano, una tensione che sarebbe sfociata in giubilo o in disperazione (non è dato sapere...) ma che indica come più che probabile una situazione come quella anticipata dai media.

Il Belgio si è trasformato in uno stato federale nel 1995, in fondo cedendo alle istanze delle sue due anime principali e permettendo al popolo di assaggiare un piccolo sorso di quella libertà a loro negata per lungo tempo da un tipico rappresentante di quegli stati-padrone venutisi a formare con la rivoluzione industriale dell'ottocento e rafforzatisi nel corso del novecento.

In forza di quel sorso di libertà le regioni hanno avuto il potere di decidere sull'educazione, sull'agricoltura, sulla ricerca, sulla sanità ed altro. Ed ovviamente ora il popolo vuole andare avanti.

E' quello che sta succedendo in Scozia (vedi post), in Catalogna, nella Regione Basca, in Sicilia, in Montenegro, regioni che hanno sempre posto l'accento sulla loro identità e che hanno dovuto subire pesanti repressioni in tutto il secolo scorso. E senza scordare la Corsica, la Sardegna, il Galles, il Tirolo che sembrano ancora intorpidite ma che (mai dome) non tarderanno anche loro a sbattere i pugni sul tavolo.

E non è un caso se le regioni o gli stati che effettivamente rappresentano un unico popolo e che sono riusciti ad ottenere il loro spazio di libertà sono oggi in Europa quelle che corrono di più: Irlanda, la stessa Catalogna, la Finlandia, l'Estonia (l'unico tra gli stati baltici ad essere riusciti a contenere l'arrivo di coloni russi durante l'era sovietica).

Il processo di trasferimento di poteri dagli stati nazionali a Bruxelles sta erodendo la forza dei governi, che non riescono a resistere agli attacchi portati loro dal basso dalla voglia di libertà dei popoli ad essi sottomessi. Il processo non ha però ancora subito quella accelerazione che possa portarlo verso la soglia del non ritorno.

E' il momento di spingere più forte, ed anche noi siciliani dobbiamo fare la nostra parte per creare una vera Europa, quella dei popoli, ed abbattere il cancro che altrimenti sta già degenerando a Bruxelles e che tenta di non fare altro che sostituire gli stati nazionali con un loro surrogato ancora più distante ed ostile a tutti noi.
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sabato, dicembre 09, 2006

Scotland Blues

"Alcuni dicono che gli irlandesi siano l'immondizia d'Europa. Cazzate. Sono gli Scozzesi. Gli irlandesi hanno avuto il fegato di riprendersi la loro nazione, o almeno buona parte di essa"
Queste le parole che lo scrittore scozzese Irvine Welsh mette in bocca al suo antieroe ed alter-ego, Renton, nel suo libro "Trainspotting" (il film di successo tratto dal libro evita di riproporle...).

Parole che indicano un sentimento alquanto diffuso tra i pub e le taverne di Edimburgo e tra i pensieri degli scozzesi, si può dire da sempre: secoli e secoli di guerre per tenersi lontani dagli odiati anglosassoni, insurrezioni, persecuzioni, punizioni atroci, imbrogli e tradimenti culminati culminati nel "trattato" d'unione del 1707, versione londinese degli italici "plebisciti".

La storia scozzese non è però tanto "ammucciata" quanto la nostra: basta girovagare tra gli scaffali di Waterstones a Glasgow, ad Aberdeen, ad Inverness e nella stessa Edimburgo per trovare accostati libri di storia con due versioni differenti: quella scritta a sud del muro di Adriano e quella scritta a nord. E basta sfogliarle per notare delle differenze sostanziali.

Gli scozzesi però, dopo un sonno molto più lungo del nostro, negli ultimi anni del novecento hanno trovato la forza di farsi avanti, e di superare lo stato di tossicodipendenza da Londra di cui il libro di Welsh sembra rappresentare una parafrasi e finalmente nel 1999 ad Holyrood hanno riaperto le porte del parlamento scozzese.

La cosa non è piaciuta troppo "al di là del muro", così i mezzi d'informazione si sono scatenati cercando in tutti i modi di screditare la giovane istituzione dipingendola come un centro di corruzione e di clientelismo politico (no, non siamo tornati "al di là del faro": questa è ancora la Gran Bretagna!).

Tra un'accusa e l'altra (e tra un barile di petrolio e l'altro, come vedremo tra poco...) ora però a Londra cominciano a spaventarsi per davvero. Gli scozzesi infatti sono andati avanti malgrado i tentativi di sabotaggio, e così l'anno prossimo se da un lato gli Ascari festeggieranno i 300 anni di "unione" (Ahi! Come ritornano certe parole...) con una moneta commemorativa da 2 sterline in versione inglese e scozzese (Già: la Scozia batte addirittura moneta propria da qualche anno!), dall'altro due giorni dopo (il 3 maggio) si terranno le elezioni per il parlamento scozzese.

Un posizionamento strategico, così vicino ad un evento che forse secondo Westminster dovrebbe far rivivere nei "barbari" del nord qualche barlume di "orgoglio britannico" in vista del voto, ma che potrebbe anche avere uno spiacevole effetto collaterale, e riaprire vecchie ferite incancrenite nel fiero popolo scozzese.

Anche l'Economist suona l'allarme con un articolo sul numero del 2 dicembre scorso in cui si cerca (come al solito) di ribaltare maldestramente la realtà delle cose. La situazione è in qualche modo simile a quella già sperimentata da noi, a latitudini più basse. Gli scozzesi hanno infatti quello che potrebbe considerarsi un "loro" partito a Londra: si tratta del Labour di Tony Blair, che ha propio negli scozzesi il suo zoccolo duro di votanti (Gordon Brown, prossimo primo ministro in pectore è scozzese) e che non ha esitato a giocare con il fuoco concedendo ai suoi elettori un bel parlamento pur di mantenere il potere pensando poi di poterne intasare il funzionamento infiltrandolo di ascari e seguendo l'esempio dei tosco-padani (A qualcuno è tornato in mente qualcosa di un recente passato in Italia?).

Il giochetto pare non sia riuscito a perfezione, ed ora più del 50% degli scozzesi vuole la piena indipendenza, e circa il 60% degli inglesi è pronta a concedergliela. E visto che i nazionalisti (SNP: Scottish Nationalist Party) hanno buone possibilità di controllare il prossimo esecutivo scozzese, la prospettiva del referendum sull'indipendenza promesso dall'SNP prende sempre più corpo.



La vignetta dell'Economist a corredo dell'articolo: nel circo della politica le acrobazie degli ascari non sono solo uno spettacolo nostrano.

Per difesa Blair e Brown hanno agitato un bastone per aria, suggerendo la fine di certe sovvenzioni che da Londra fluirebbero verso nord (e che in fondo sono la stessa fonte di sopravvivenza di Blair e Brown), un sitema di assistenzialismo simile a quello che ha massacrato Sicilia e Siciliani nel secondo dopoguerra.

Cosa rispondono da Edimburgo? Che i sussidi in fondo se li potrebbero anche tenere: gli scozzesi vogliono le tasse sul petrolio del Mare del Nord, che seppur in via di esurimento è ancora una grande risorsa che per la maggior parte si ritrova nelle loro acque territoriali.

E potremmo terminare con un altro pensiero di Renton-alias- Irvine Welsh da Trainspotting, e scusate la scurrilità: "Gli inglesi sono solo dei segaioli. Siamo stati colonizzati da dei segaioli. Non siamo neanche capaci di seglierci una civiltà decente, vibrante, piena di salute, da cui farci colonizzare". Questo lo trovate anche nel film.


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giovedì, dicembre 07, 2006

Gas: interesse privato in atto pubblico?

Le grandi manovre sul gas in Italia sono già iniziate da qualche tempo, ma ultimamente hanno subito un'inpennata: raddoppiamento della rete di collegamento nord-sud, il via al progetto del GALSI (Gasdotto Algeria-Sardegna-Italia), nuovo gasdotto Taranto-Bologna (preludio al collegamento Puglia-Grecia), nuovi depositi di stoccaggio del gas e ben 6 rigassificatori, mentre in tutta Europa la domanda complessiva di metano diminuisce.

L'Italia consuma 85 mld di metri cubi di gas, di cui 73 importati. Con il completamento delle infrastrutture previste potremo raddoppiare (o anche quadruplicare, visto che è di recente la notizia di una nuova tecnologia per comprimere il gas lungo le tubature esistenti fino al doppio del valore attuale) la quantità di metano che in ogni dato momento attraversa il paese, per proiezioni di consumi anche 3 o 4 volte quelli attuali. A questo possiamo anche aggiungere che l'Italia ha la più alta percentuale di energia sul totale consumato prodotta attraverso il metano (44%), e stiamo costruendo anche centrali a carbone. Dove vogliamo arrivare? Davvero tutti questi investimenti servono solo ad assicurarsi il gas necessario al nostro sviluppo per i prossimi 20-25 anni?

Non c'è poi bisogno di fare molta strada per capire che la verità è leggermente diversa: lo spettro di una Italia senza energia viene infatti agitato a comando solo per "fare" opinione pubblica contro coloro i quali non "calano le corna" immediatamente quando i satrapi delle grosse aziende produttrici di energia decidono di condannare il futuro loro e dei loro figli.
In realtà più e più volte si è (tra le righe) ribadito, da parte dell'ENI come da parte dell'Autorità per l'Energia, che l'obiettivo è fare dell'Italia l'hub del gas per l'Europa.

Il progetto ha in sè un senso economico notevole: Italia hub del gas significa una fonte di valuta pregiata immensa, con la quale (ad esempio) un Moratti qualunque potrebbe coccolarsi con altre 3 o 4 squadre come l'Inter. E chiaramente tutta l'economia Italiana ne potrebbe giovare (ne potrebbe...).

E' però tutto da vedere quanto questo sia realizzabile.

Per concretizzare la cosa i Tosco-Padani dovranno mettercela tutta. Dovrebbero in pratica fare una vera e propria magia per riuscire a fare della regione padana, una delle regioni più merginali al mondo, separata dal centro dell'Europa dalle Alpi, lontana dal centro del Mediterraneo, lontanissima dai paesi produttori a sud (Libia, Algeria, Nigeria) e ad est (Turchia, Medio-oriente, Russia), un hub.

Dovrebbero non solo riuscire a mantenere intatto l'attuale regime segregazionista nel Sud della penisola e specialmente in Sicilia (e recenti indizi indicano come tutt'altro che certa la cosa), ma addirittura riuscire ad estenderlo a parte del Balcani (per impedire la costruzione di un gasdotto che giunga dalla Grecia al centro dell'Europa attraverso di essi, molto più economico del passaggio in Puglia) ed intercettare i flussi russi (cosa in pratica già fallita poichè i tedeschi si stanno costruendo un gasdotto allo scopo sotto il Baltico).

Certo hanno la carta dei rigassificatori e del contratto per il gas nigeriano, ma anche lì la cosa non è molto convincente, poichè un paio delle suddette strutture nella penisola Iberica ridimensionerebbero il tutto rendendo il trasporto di gran lunga più economico.

Se in più ci mettiamo il fatto che gli altri paesi europei non hanno sicuramente questa gran voglia di dipendere da una nazione instabile e corrotta come l'Italia, ci possiamo rendere conto di come il progetto sia tutt'altro che sicuro di avere il successo sperato.

E poi c'è da fare una ulteriore considerazione: visto che in fondo tutta l'economia italiana ne POTREBBE giovare, perchè cercare di nascondere la realtà? Non si potrebbe semplicemente spiegare ai cittadini i benefici che ne deriverebbero per tutti?

E già, per tutti... In effetti un sospetto viene: ENI ed ENEL (le società che dovrebbero costruire e gestire la gran parte di queste strutture) non sono più aziende statali (pubbliche), essendo state da tempo privatizzate. Ciò significa che gli introiti sono solo in parte pubblici (diciamo tra il 30 ed il 40%, ma nel prossimo futuro potrebbe essere molto meno), il resto va ad investitori privati. Per le opere invece pagheranno tutti gli italiani (e solo gli italiani) tramite le bollette.

Ora, se queste opere venissero usate per portare gas alle imprese italiane è un conto, ma se invece vengono poi utilizzate per rivendere il gas in Europa ed ottenere un profitto prevalentemente privato (se non esclusivamente: si sa, siamo in Italia...), beh! Forse neanche gli stessi tosco-padani sarebbero tanto contenti di vedersi confiscato il terreno (e l'aria) per questa malintesa "pubblica utilità"...
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giovedì, novembre 30, 2006

Marchiature a fuoco

I nemici della Sicilia, quelli veri, dove stanno? Al di qua o al di là del faro? Difficile dirlo con precisione, anche se gli indizi che puntano verso la Sicilia stessa sono molteplici. E se ne trovano di nuovi in continuazione.

La situazione è tale per cui spesso ci trasformiamo in nemici senza neanche accorgercene, presi come siamo tra le spire di di un assalto "totale" capace di colonizzare anche quelli che si credono impermeabili alle malìe delle stupidate filopadane.

E così può anche capitare che una vittima del sistema segregazionista italiano, quale Tano Grasso, presidente onorario delle Associazioni Antiracket, proponga qualcosa di veramente sinistro, capace solo di favorire sempre di più l'immagine della Sicilia quale terra di mafia e di aiutare i nostri aguzzini.

L'idea è strabiliante: trasformare l'associazione antiraket in agenzia di servizi. E cosa dovrebbe fare questa agenzia di servizi? "L'associazione aiuterà (l'impresa che vuole investire tra i terroni) nella scelta evitando che incontri soggetti legati alla malavita. Insomma possiamo dare quelle notizie che non svela nemmeno il certificato antimafia"

In pratica i siciliani, oltre a doversi sottoporre alla vergogna del certificato antimafia (nè più nè meno che una marchiatura a fuoco da schiavi, visto che è necessaria solo in base alla razza di appartenenza dei soggetti in causa) dovranno anche pagare Tano Grasso per riuscire ad ottenere un ulteriore bollino di qualità.

E poi, scusi l'ardire, Lei come fa a saperne più del certificato antimafia? Non dovrebbe riferire queste cose all'autorità giudiziaria invece di fornire a pagamento le informazioni a terzi?

Scusi ancora, ma i Suoi avvisi all'imprenditore che "potrebbe essere avvicinato dagli estortori o da chi vuole imporre forniture, servizi o assunzioni. Anche in questa fase possiamo essergli vicini..." potrebbero essere fraintesi. Non Le sembra il caso di riformulare meglio i suoi pensieri?
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mercoledì, novembre 29, 2006

I mafiusi della Vicaria

Nei giorni scorsi a Catania si è potuta rivedere la rappresentazione di una simpatica opera teatrale ottocentesca, I mafiusi della Vicaria di Giuseppe Rizzotto, che sarebbe probabilmente rimasta confinata agli studi etnografici se non fosse per il fatto che grazie ad essa nel 1863 (annotate l'anno...) la parola mafia risuonò in tutta Italia. "Da allora molti", spiega il volantino pubblicitario di circa 150 anni dopo, "hanno provato a dare un significato a questo termine. Ma che cosa significhi mafia nessuno è riuscito a spiegare, forse è un pò come la fede, forse è come il diavolo o forse non esiste. E se fosse uno stato dell'anima?".

Parole che suonano bene, sicuramente. Anche un pò troppo intellettuali, volendo. Ma che danno una giusta idea della confusione e dei punti interrogativi che circondano l'argomento.

Era in occasioni come questa che al tempo dei nostri antenati sicelioti (o Greci di Sicilia che dir si voglia) saltava sulla scena il deus ex machina. Ed è così che ora ci appare lo spettro di Sciascia, nel suo Candido alter-ego, a sussurarci che "Le cose sono quasi sempre semplici" lasciandoci, al risveglio da questo sogno fatto in Sicilia, con una pulce che fastidiosamente saltella tra le righe appena scritte.

Ed allora per capire cosa significhi mafia proviamo a fare nel modo più semplice possibile: apriamo cioè il vocabolario. Non però uno Zingarelli qualunque, bensì un vocabolario più vicino ai fatti (o mis-fatti che dir si voglia), e cioè il vocabolario Siciliano-Italiano di Antonino Traina, stampato intorno al 1868.

Ecco cosa annota il Traina alla suddetta voce:

Mafia. s.f. Neologismo per indicare azione, parole
o altro di chi vuol fare il bravo.
Sicurtà d'animo, apparente ardire.
e poi ancora:
Insolenza, tracotanza, arroganza, alterigia, fasto, spocchia
ed infine:
Nome collettivo di tutti i mafiusi
e per quanto riguarda l'etimologia:
Smaferi si chiaman in Toscana gli sgherri;
e maffia dicon alla miseria, e miseria vera è
il credersi grand'uomo per la sola forza bruta!

All'indomani della (finta) Unità la parola era ancora considerata un neologismo, (e che pena vedere oggi tutti quei siciliani che fanno a gara a darsi del cornuto invocando una fantomatica origine araba) e non aveva niente a che vedere con alcuna società segreta o addirittura con la criminalità. Per indicare la criminalità organizzata anche in Sicilia era usato il napoletano "camorra", come suggerisce la stessa commedia di Rizzotto.

Il primo ad uscire fuori la storia dell'associazione malandrinesca pare sia stato l'allora prefetto di Palermo F.A. Gualtiero nel 1865.

In più il Traina avvalora la tesi della provenienza da nord (Toscana)... ed a questo punto non sarebbe troppo fantasioso ipotizzare una discesa in Sicilia tramite un altra commedia. Non quella del Rizzotto Giuseppe, ma quella appena di qualche anno più vecchia del Garibaldi, sempre Giuseppe.

PS: certe fonti sono capaci di svelarci passato e presente meglio di qualunque storico di professione. Ecco come il Traina spiega (nel 1868) la voce Autonomista:

Chi parteggia per l'Autonomia; oggi si mascherano di questo nome anco quelli che vorrebbero disunita la Sicilia dall'Italia e soggetta ad un Borbone a Napoli.

Più nitido di una fotografia. Ma chi c'è più cornuto e bastonato di noi siciliani?
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martedì, novembre 21, 2006

Ribelliamoci a chi vuole darci perline e vetri colorati in cambio di oro

Attenzione al nuovo tentativo di stupro ai danni della nostra Madre Terra, perpetrato come sempre da invasori appoggiati da ascari locali.

I rigassificatori sono un'opera di alta ingegneria: dotarsi di un rigassificatore significa armarsi per le prossime sfide energetiche assumendo una posizione di primo piano nel panorama energetico del Mediterraneo.

Ci sono però degli importantissimi SE, che devono essere soddisfatti per poter accettare la loro presenza sul territorio siciliano:

SE vi sono le dovute garanzie ambientali, rispettando l'ambiente e la salute delle popolazioni che si troveranno costrette a vivere in prossimità dell'opera.

SE il territorio (l'isola di Sicilia) ne riceve un vantaggio in termini economici.

Nessuna di queste due condizioni verrà soddisfatta se le cose procederanno sui binari tracciati dal governo regionale e (stranamente) neanche lontanamente criticati dalle solite buffonate politico-ambientaliste.

La Regione ha infatti concesso il nulla osta sulla fattibilità del rigassificatore di Porto Empedocle con un documento di DUE pagine nel giro di poche settimane, un documento che nel resto d'Italia richiede mesi e mesi di attesa per ottenersi e che dovrebbe includere le prescrizioni per i rischi dovuti all'opera. Sembra che l'opera di alta ingengeria, più che il rigassificatore sia da ricercare proprio nell'essere riusciti a ficcare tutte queste prescrizioni per una tale opera in due pagine.

Per quanto riguarda il secondo SE, non se ne sa nulla.

E' preciso dovere di TUTTI i siciliani ribellarsi a tale situazione, anche se solo firmando la petizione degli amici di www.norigassificatori.net

Ecco le parole di Gianfilippo Mancini, responsabile dell'energi management dell'ENEL:
"Porto Empedocle è nel centro del Meditterraneo e quindi le navi gasiere avranno un periodo di navigazione più breve. Due giorni in meno rispetto a Liguria o Veneto riducono molto la spesa dei noli e consentono una frequenza maggiore di viaggi di andata e ritorno"
(da Il Sole 24 Ore del 9 novembre 2006)

Avete capito? I rigassificatori in Sicilia servono a loro infinatamente di più che a noi!!!! Non facciamoci prendere per il naso con quattro perline e qualche pezzetto di vetro colorato!!! (Oltre a chissà che cosa per gli Ascari...)
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