Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

giovedì, febbraio 25, 2010

Intesa segreta

La fine del cadaverico Banco di Sicilia, decretata con uno schiocco di dita dai vertici di Unicredit, non ha sdegnato più di tanto i Siciliani che, mettendo da parte le acute fitte nostalgiche, hanno addirittura salutato con favore la fine di questa lacrimevole telenovela coloniale.

Il voltafaccia di Passera avrebbe invece dovuto fare sobbalzare tutti dalla sedia. Ci siamo già scordati delle sponsorizzazioni degli eventi sull'indipendentismo siciliano (si veda il post “Il rastrello di Montalbano”)? Ci siamo già scordati della triangolazione tra il colosso bancario, Raffaele Lombardo ed il Catania Calcio (si veda il post “Vino dell'Etna”)? E del salvataggio di Gheddafi quando la finanza massonica ha tentato di sgretolare l'ultimo baluardo della finanza cattolico-padana?

La verità è che i mass-media sono riusciti a fare passare sotto il naso agli italiani tutti un fondamentale tassello del nuovo assetto geopolitico volto a ridisegnare il panorama finanziario non solo siciliano o padano, ma di tutta l'Europa.

Il gioco di prestigio è stato effettuato separando tra di loro due notizie che sarebbero dovute andare insieme e che invece, in tempo di federalismo spinto, sono state “regionalizzate” e diramate nei soli territori di presunta competenza.

La prima, destinata a deprimere i terroni, è questa:

Lo stesso giorno in cui i siciliani apprendono che il Banco di Sicilia abbassa le saracinesche e di esso rimarranno solo i fregi agli ingressi delle agenzie regionali per la fusione con Unicredit, arriva di rimbalzo un’anteprima sulle volontà di un altro gruppo bancario, la Banca Intesa San Paolo, di uno shopping nell’Isola per raddoppiare i 200 sportelli e fare nascere un nuovo istituto di credito, Intesa Sicilia, diretta filiazione di Intesa San Paolo. (SiciliaInformazioni.com 21 febbraio 2010).

La seconda, data in pasto ai polenta, invece è questa:

Intesa San Paolo cederà ad Agricole una rete di filiali compresa con 150-200 sportelli entro il 30 giugno. (IlSole24Ore.com 18 febbraio 2010).

E' venuto il momento di rimetterle insieme per cercare di capire cosa stia succedendo nei maggiori gruppi bancari italiani.

Come è facile notare al netto delle due operazioni le dimensioni di Intesa San Paolo rimangono immutate. Ma se i circa 200 sportelli in entrata si aggiungerebbero in Sicilia, per quelli in uscita il Sole 24 Ore suggerisce una “rete di filiali operanti prevalentemente in ambiti territoriali limitrofi a quelli di attuale insediamento di Credit Agricole, già presente nel Paese con CariParma” (“Intesa cede ad Agricole 150-200 sportelli”, IlSole24Ore.com, 18 febbraio 2010)

Nelle nostre città tra le tante sigle padane non ricordiamo di aver mai visto quello della cassa parmense, ed infatti CariParma, se si escludono le filiali di Napoli, è completamente assente dal Sud Italia e dalla Sicilia.

Passera, pressato sull'argomento, non si sbottona ancora (“Ha spiegato che per ora non ancora possibile dire quali saranno gli sportelli che verranno ceduti, nulla è ancora stato definito per cui non è ancora possibile fornire delle notizie certe in merito alla vicenda”, Corrado Passera parla della cessione sportelli a Credit Agricole , PiazzaAffari.info 22 febbraio 2010), ma se la previsione del Sole è corretta, quello di Intesa non è altro che un riposizionamento geografico che, nei ricordati tempi di federalismo spinto, diventa anche un riposizionamento geopolitico.

Che la politica sia uno dei motori principali dell'accordo lo suggerisce anche un'altra consequenziale doppia operazione: 1) Credit Agricole si è impegnata a sgonfiare il suo pacchetto di proprietà in Intesa sino al 2% (al momento la quota è al 5.8%), pacchetto che oggi conferisce il controllo ai francesi (“Intesa San Paolo, ok Antitrust”, IlSole24Ore.com 18 febbraio 2010), e 2) Generali e Credit Agricole hanno sciolto il patto di consultazione nell'azionariato di Intesa siglato appena 6 mesi fa grazie al quale francesi e austro-ungarici prendevano insieme tutte le decisioni che contavano senza bisogno di consultare gli altri azionisti.

Le motivazioni fornite da Passera o dai francesi per queste operazioni le lasciamo a quelli che ancora credono che nell'alta finanza vi siano delle regole da rispettare.

A prima vista la posizione dei francesi in Italia sembrerebbe rafforzata dall'acquisizione delle 200 filiali, ma non bisogna scordare che Agricole è destinata a perdere il controllo di Intesa ed a vedersi tagliata definitivamente fuori dal Sud Italia: una ulteriore barriera alle aspirazioni mediterranee di Sarkozy che si aggiunge a quella schierata dall'ARS contro le grinfie atomiche di Areva (si veda il post “C'est la vie”).

Dall'altra parte Unicredit rappresenta l'ultimo bastione della finanza padana: la decisione di Profumo di arroccarsi al nord sa tanto di “va dove ti porta il cuore” ed è forse l'ultima carta che l'economia padana può giocarsi, una volta persa la Sicilia, per non cadere in mani straniere.

Un articolo di Repubblica (“Profumo comincia da Trieste Alleanza a guida Unicredit per farne la porta d'Europa”, La Repubblica 22 febbraio 2010) delinea chiaramente un progetto post-unitario di ampie vedute. Profumo parla di “un grande progetto per Genova, per Trieste e per il Paese" (...) le due porte naturali del nostro Paese: Genova e Trieste”.

Il piano ha però un punto debole. Esso è infatti troppo sbilanciato sull'area triestina (“l' operazione su Trieste (...) è più matura rispetto a quella gemella su Genova”).

Venezia e Trieste hanno avuto un ruolo di piattaforma logistica continentale in passato quale porta dell'Europa sull'oriente:

Claudio Boniciolli, presidente dell' Autorità portuale di Trieste sostiene che «la ratio di base del progetto è largamente condivisibile, poiché non si tratta che di risvegliare lo storico ruolo di Trieste quale porto privilegiato dei mercati centrali e orientali d' Europa»

La logistica moderna però non è più quella del medio-evo ed un collegamento ferroviario decente tra Taranto e Napoli basterebbe a mettere fuori gioco l'alto Adriatico.

Sempre se è veramente la “Padania libera” il mandante. Questo sbilanciamento a nord-est del progetto è un po troppo targato “Generali”, un lembo di un passato imperiale non tanto remoto: la padella francese potrebbe trasformarsi in una brace mitteleuropea.

La definizione di Parlagreco (SiciliaInformazioni.com) è lapidaria:

Una porta del nord est che risponda ai bisogni di Austria, Ungheria, Baviera e Cekia” (“Bds chiude, Intesa Sicilia arriva”, 23 febbraio 2010)

In Sicilia nel frattempo a piangere non sono certo i vari Lombardo (la Regione detiene una bella fetta di Unicredit e senza il suo avallo politico le cose non sarebbero state così semplici) o i vari Miccichè (il fratello Gaetano è direttore generale di Intesa San Paolo). A piangere saranno al solito i piccoli imprenditori che rischiano di vedersi restringere ulteriormente i cordoni del già limitatissimo credito che riuscivano ad ottenere da quel poco di siciliano che rimaneva nel Banco di Sicilia.

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mercoledì, febbraio 24, 2010

Cineserie

Si è fatto un così gran parlare dello sbarco dei cinesi in Sicilia, tra nuovi aeroporti e rinnovate infrastrutture, che in molti hanno pensato bene di prepararsi per tempo all'evento studiandone la lingua o adottandone gli adagi.

Tra gli adagi, questo popolo di scansafatiche (almeno stando alla vulgata italiota) non poteva che fare proprio il suggerimento di appostarsi sopra un ponte ad oziare aspettando di vedere passare il cadavere del nemico trasportato dalle acque del fiume sottostante.

Ed aspetta oggi, aspetta domani ecco che i cadaveri cominciano a passare. Dapprima uno alla volta, isolati quali avanguardie di un cauto esercito. Poi in gruppetti sempre più consistenti sino a configurare vere e proprie cosche. Da ultimo vedremo passare il folto del plotone: un intero sistema trascinato a valle come irriducibile liquame.

Su quel ponte L'Altra Sicilia si è seduta dopo le ultime elezioni parlamentari italiane quando a pochi giorni dal voto un certo Nicola Di Girolamo fu presentato al Presidente dell'Associazione avente sede a Bruxelles da un tal Sig. Ferretti con il neologico titolo di “Futuro senatore”.

Ecco le parole di Francesco Paolo Catania tratte da una “caustica” intervista:

“Mentre discutevamo con il Console Sorrentino, al pianoterra del consolato davanti al suo ufficio, dalla porta dell’ufficio anagrafe, con mia grande sorpresa, mi  sono trovato davanti al sig. Ferretti, accompagnato da un’altra persona che in quel momento non sapevo chi fosse e che dallo stesso Ferretti mi venne presentato come il futuro senatore del PDL.” (“Francesco Paolo Catania racconta il suo incontro con Nicola Di Girolamo nel consolato di Bruxelles”, ItaliaChiamaItalia.net, 16 maggio 2008)

Allora questo blog commentò osservando che “mai esternazione fu più democratica” (si veda il post “Il pecoraio ha versato il latte”) anche perchè nel giro di poche settimane le denunce per truffa elettorale all'indirizzo dell'oramai “eletto” senatore cominciarono a fioccare.

Gli intrallazzi di Bruxelles, iniziati già due anni prima quando un video di Striscia la Notizia subito ritirato dal sito della nota trasmissione denunciò in maniera chiara ed inequivocabile l'enormità dei brogli, rappresentavano una pericolosa falla nel “sistema” di ricatti e ripicche che teneva (ed ancora tiene) artificialmente in vita questa vile Italia:

Come mai una tale imperizia da parte del PDL che manda in fretta e furia un candidato illegale a coprire un pericolosa falla del sistema? Per la seconda volta nel giro di due anni vi sono prove concrete di brogli elettorali proprio a Bruxelles, dove i Siciliani stanno combattendo per la loro terra.

(…) Dal quartier generale di Arcore si sono dovuti muovere in fretta perchè il pericolo era serio. E se questa piccola svista avrà delle conseguenze in sede giudiziaria, ora che in parlamento la tregua con la magistratura è finita, qualche lacrima di coccodrillo sul latte versato la vedremo scendere sicuramente.
(“Il pecoraio ha versato il latte”, Il Consiglio Blog 22 giugno 2008)

Ebbene, ieri le lacrime sono cominciate a calare copiose ed il cadavere del nostro Nicola di Girolamo è stato avvistato a poca distanza dal ponte dove siedono i Siciliani: per lui è stato chiesto l'arresto non più per sola truffa elettorale, ma anche per l'aggravante mafiosa (“Tlc e 'ndrangheta, riciclaggio da 2 mld. Il gip: «La più colossale frode di sempre»”, Corriere.it 23 febbraio 2010):

Il gip tira in ballo veri e propri metodi mafiosi per descrivere l'associazione per delinquere: «Unisce - scrive il gip - all'inusitata disponibilità diretta di enormi capitali e di strutture societarie apparentemente lecite l'eccezionale capacità intimidatoria tipica degli appartenenti ad organizzazioni legate da vincoli omertosi, la cui violazione è notoriamente sanzionata da intimidazioni e violenze che, spesso, giungono a cagionare l'uccisione sia di quanti si oppongano ai progetti delittuosi che degli stessi appartenenti al sodalizio criminale ritenuti non più affidabili».

Quest'ultima aggiunta pone ulteriori interrogativi: ma la mafia, non era a favore dell'indipendentismo siciliano? Ma come, hanno già a portata di mano L'Altra Sicilia senza rischiare niente, e gli presentano contro Di Girolamo? Che giornalisti, magistrati, massoni e quant'altro si mettano d'accordo una volta per tutte: la mafia è a favore o contro l'indipendenza della Sicilia?

Ma andiamo avanti che mentre la corrente del fiume porta il cadavere ancora più vicino, possiamo notare un foglio di carta stretto tra le mani del morto. Si tratta di una denuncia depositata dal democraticamente eletto senatore alla procura di Roma, denuncia a carico del Presidente de L'Altra Sicilia a causa delle dichiarazioni dello stesso contenute in un articolo apparso su L'Isola, il periodico de L'Altra Sicilia ("Sono gli italiani all'estero rappresentati da imbroglioni?", 14 maggio 2009), e giudicate diffamatorie.

La procura di Roma ha avuto la spiritosa idea di farla arrivare a destinazione a Bruxelles solo pochi giorni fa malgrado fosse stata presentata nel maggio dello scorso anno: c'è da credere che la coincidenza con lo scoppio dello “scandalo” politico non sia casuale.

Voi direte: ma Il Consiglio come le sa tutte queste cose?

Devo confessarvi che raggranellare queste informazioni non è stato così semplice come potrebbe sembrare. Sin da quelle fatidiche elezioni, Francesco Paolo Catania, pur non vivendo in Cina ma a Bruxelles, non ha più connessione ad internet: tra una scusa e l'altra l'azienda belga dopo un guasto in rete non è più riuscita a fornire i servizi richiesti al Presidente de L'Altra Sicilia.

L'inchiesta che ha coinvolto il Di Girolamo ruota attorno a diverse aziende operanti nel campo delle telecomunicazioni (Fastweb, Telecom Italia, Sparkle): ulteriori coincidenze che ci fanno ammirare sempre di più la chiarezza d'intenti del governo cinese.

Continueremo ad aspettare su quel ponte, anche perché oltre ai cadaveri della guarnigione belga potrebbero presto passare quelli della guarnigione svizzera occupata da Casini, dove alcuni candidati sembra abbiano tentato di conquistarsi la poltrona grazie all'assegnazione di schede palesemente nulle.

La calma e la pazienza sono le virtù dei forti. E dei cinesi.

Siciliani con gli occhi a mandorla


Leggi anche: "Su Di Girolamo botta e risposta fra Francesco Paolo Catania e GianLuigi Ferretti", ItaliaChiamaItalia.net 16 giugno 2008
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giovedì, febbraio 18, 2010

La venere dei fannulloni

Tradotta in inglese la funzione di assessore viene spesso resa con l'espressione “Ministro Regionale” (Regional Minister), una promozione linguistica più che politica visto che nei fatti nessuno di questi “ministri regionali” può muoversi senza essere tenuto al guinzaglio corto dai ministeri nazionali.

Non hanno fatto eccezione a questa regola del “guinzaglio corto” neanche i “ministri” siciliani, in teoria dotati grazie allo Statuto Autonomistico di poteri quasi simili a quelli delle loro controparti romane, ma nella pratica resi ancora più susseguenti dalla ascarizzazione acuta in cui è rimasto impantanata sin da subito l'Assemblea Regionale.

Quando nel maggio del 2007 al Getty Museum di Los Angeles si sono discusse le origini e la provenienza del “Venere di Morgantina”, il banco della trattativa era tenuto dal Ministro per la cultura italiano, mentre del Ministero “regionale” siciliano si notava appena appena la presenza:

Questa statua è probabilmente la più importante dal punto di vista artistico-storico delle antichità della collezione del J. Paul Getty Museum sulle quali siano state avanzate delle pretese dal Ministro della Cultura italiano. (...) Tra gli altri partecipanti troviamo i rappresentanti del Ministero Regionale della Cultura e dell'eredità ambientale.

(“International experts convene at the getty villa to study cult statue of a goddess”, The Getty, agenzia di stampa 10 maggio 2007)

La conclusione della serie di conferenze dedicate allo studio delle origini della statua, per una volta sa di favola. Quello che già tutti sapevano è stato finalmente ufficializzato: la statua era stata illegalmente trafugata a Morgantina, tagliata a pezzi per il godimento dei sadici museali e trasportata quale bottino coloniale oltreoceano.

Il ministero italiano però nel frattempo si prese al sua bella tangente: la statua dovrebbe in teoria rimanere in ostaggio a Roma per qualche tempo, tanto per metterci il dito nell'occhio.

Nel frattempo però i contatti tra Palermo e Los Angeles non devono essersi fermati, se ieri improvvisamente Armao dirama gongolante notizia di nuovi e precisi accordi con il Getty per lo scambio di tecnologie e professionalità tra la Sicilia e gli USA sulla base della conservazione del patrimonio culturale siciliano.

Ecco come le agenzie USA hanno descritto l'evento:

The J. Paul Getty Museum in Los Angeles and the Sicilian cultural ministry will collaborate to conserve art objects, stage exhibitions and do scholarly research. (“Getty, Sicilian officials launch art collaboration”, Associated Press 18 febbraio 2010)

Traduzione: Il J. Paul Getty Museum di Los Angeles ed il Ministero per la Cultura Siciliano collaboreranno per la conservazione di oggetti d'arte, per l'allestimento di mostre e nella ricerca.

Il “regionale” è scomparso dall'agenzia insieme ad ogni riferimento al corrispondente ministero italiano.

I quotidiani non hanno ritenuto necessario correggere la “svista”. Ad esempio il Los Angeles Times conferma che “Il Getty ha detto che lavorerà con il Ministero Siciliano della Cultura e dell'Identità

Questi sfaticati di siciliani: loro scialacquano e gli altri faticano per convincerli ad applicare lo Statuto. Fiato sprecato?

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lunedì, febbraio 15, 2010

Fiato sospeso

Tra un commento e l'altro si è forse arrivati a capire cosa abbia irritato Napolitano tanto da costringerlo ad accartocciarsi sul “separatismo non indipendentista” (si veda il post “I contorsionisti”).

A Siracusa ha avuto luogo l'altro ieri (13 febbraio) un convegno organizzato dall'Onorevole Fabio Granata, finiano vicepresidente della Commissione Parlamentare Antimafia nonché sostenitore di Raffaele Lombardo a Palermo.

“Verso gli Stati Generali della Nuova Autonomia” è un titolo che a quanto pare ha fatto tremare in tanti, sia tra gli anti-autonomisti a Roma che tra i “celoduristi” dell'Autonomia Siciliana che inorridiscono ogni qual volta quel breve attributo (“Nuova”) viene messo di fronte alla parola “Autonomia” a significare una qualche modifica dello Statuto.

Le parole pronunciate dello stesso Granata in apertura dei lavori puntualizzano i contorni dell'iniziativa:

“L’appuntamento di oggi segna l’ufficializzazione di un appello diffuso al Presidente della Regione On. Lombardo affinché convochi immediatamente gli Stati Generali dell’Autonomia in Sicilia in modo che la straordinaria esperienza politica di questo Governo si doti di un raccordo programmatico ed ideale che il fallimento dei partiti fino ad oggi non ha consentito di elaborare”.

E' chiaro che questa convocazione ci sarà, vista l'insistenza con cui viene richiesta e vista la partecipazione di uno dei più fidi scudieri di Lombardo, Giovanni Pistorio. L'appello è formale e necessario a giustificare politicamente l'evento prossimo futuro.

Cosa farà Lombardo in quel fatidico giorno? Questa è la greve domanda che ci poniamo.

Sembra di essere a Cuba subito dopo la fuga di Batista: Castro doveva ancora ufficializzare la sua reale posizione politica (USA o URSS?) mentre tutti a Washington e sull'isola erano in religioso silenzio aspettando di sapere di che morte sarebbero morti. A Mosca chiaramente ne sapevano più di tutti.

Oggi gli italiani tutti (dal Napolitano a Lampedusa) sono in un poco silenzioso e molto nervoso stato d'attesa mentre a Mosca....

Malgrado tutto non possiamo fare altro che attendere, perchè nessuno ancora può prevedere come verrà tradotto nella pratica l'incipit del nuovo corso politico (e storico) della Sicilia. Lo stesso Granata probabilmente non ne è del tutto al corrente.

Ed è inutile mettersi a formare nuovi partiti, strillare al tradimento o lanciare proclami. Da qualunque lato si voglia guardare la cosa, da questi “Stati Generali dell'Autonomia” che nessuno può più fermare uscirà il nostro futuro: il destino della Sicilia centro-mediterranea sarà condizionato da questo evento con ricadute decennali se non secolari, positive o negative che siano.

Il blog dell'esponente del PDL Sicilia riprende alcune delle dichiarazioni degli intervenuti come quelle di Gianbattista Buffardeci, Assessore all'agricoltura e delfino di Miccichè, che apre il campo con la principale delle nostre preoccupazioni:

“Oggi c’è necessità di disegnare una nuova autonomia perchè l’autonomia statutaria è fallita, ed il fallimento ha come primi responsabili proprio i siciliani”.

Ogni volta che abbiamo sentito parlare di progetti di modifica dello Statuto abbiamo udito proposte aberranti. Cosa accadrà questa volta?

Le parole di Pistorio (MPA) sono più rassicuranti:

“L’autonomia, cosi come concepita in Sicilia dallo Statuto,  è fallita perché è fallito il patto tra la società siciliana e lo Stato. Oggi Lombardo vuole ribaltare la subalternità del territorio alla politica nazionale e per questo ha concepito la scelta di una nuova autonomia”

Il riferimento alla natura pattizia dello Statuto ed al suo fallimento indica un punto importante; in questo momento il patto non vi è più, si riparte da zero con la Sicilia che deve scegliere la sua strada. Avrà veramente il coraggio di farlo?

Dore Misuraca, parlamentare nazionale del PDL, parla di “recarci [ancora, ndr] a Roma”, cosa di cui siamo stanchi. Ma perlomeno richiama il nume protettivo di Piersanti Mattarella (che per voler fare qualcosa ci lasciò le penne...).

Infine era presente anche Mario Centorrino, Assessore Regionale alla Formazione, tecnico di area PD, il quale rilascia una dichiarazione che solo lui, Ordinario di Politica Economica all'Università di Messina e non politico di professione, avrebbe potuto rilasciare:

“La questione del futuro dello stabilimento Fiat di Termini Imerese, ad esempio, oggi la sta trattando il presidente Lombardo, nel senso di livello istituzionale territoriale. Pensate che grande differenza rispetto a dieci anni fa, quando una simile vicenda l'avrebbe trattata un ministro del governo nazionale. Ciò significa che si sta sostituendo una rappresentanza territoriale a una rappresentanza politica con la quale abbiamo perso contatti e che non ci dice più niente”.

A sentirlo, con Roma abbiamo già chiuso. Sempre per quel detto secondo il quale la meglio parola è quella non detta, Granata taglia questa frase dal resoconto dell'intervento inserito nel suo blog. A noi è arrivata attraverso il sito de La Sicilia ("Sciascia e Camilleri portano sfiga", 13 febbraio 2010).

Le decisioni (forse già prese) che ci verranno comunicate in occasione di questi Stati Generali avranno contraccolpi sull'assetto generale del Mediterraneo. Viceversa gli avvenimenti siciliani, essendo costantemente legati a più ampie modifiche geopolitiche globali, devono tenere conto di altri assetti più vasti.

Nel tentare di capire quando la nuova Costituzione potrebbe essere varata, l'attenzione deve concentrarsi sulla politica estera. L'altro ieri la Germania ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di aiutare la Grecia a coprire il debito pubblico, una posizione che potrebbe segnare la fine della moneta unica e della stessa UE con tutto il suo Trattato Massonico di Lisbona:

Angela Merkel, cancelliere tedesco, ha resistito le insistenze francesi per arrivare un pacchetto di salvataggio esplicito (...) L'insistenza della Merkel sulla necessità di maggiori sforzi da parte greca per tagliare il deficit del bilancio hanno quasi pregiudicato il raggiungimento di un accordo al summit (...) La decisa presa di posizione della Merkel ha in Germania uno strabordante supporto politico e popolare. (“Greece turns on EU critics”, Financial Times 13 febbraio 2010)

Ancora più esplicito è stato il quotidiano teutonico Allgemeine Zeitung, citato ancora l'altro ieri dal Fiancial Times (“German press calls for tough line on Greece”):

“Non ci sarà alcun aiuto per il governo greco all'inizio. Non ci saranno negoziati per possibile strumenti finanziari.”

La chiusura appare totale. Se la Grecia non onora il debito, addio euro. Ed addio dominio atlantico sull'Europa e soprattutto sulla Germania. I tedeschi si lasceranno scappare un'occasione del genere per liberarsi definitivamente del protettorato atlantico di USA e Gran Bretagna?

Non c'è alcun motivo di forzare la mano. Lombardo è uno specialista dell'attesa. Il nuovo “Statuto” verrà probabilmente varato in parallelo agli sviluppi del caso Grecia: da quando questo è apparso minaccioso all'orizzonte la moneta unica (e falsa) ha perso inesorabilmente terreno cedendo in un paio di mesi buona parte di quello che aveva guadagnato in un anno sul dollaro. E più l'euro si svaluta, meno saranno le resistenze che Palermo incontrerà.

Questi sfaticati di Siciliani: volendo, potrebbero ottenere l'indipendenza senza neanche muovere un dito.

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sabato, febbraio 13, 2010

I contorsionisti

Le contorsioni finali del paese stanno diventando roba da circo. Prendiamo ad esempio questa dichiarazione del caro Napolitano (Napolitano: «No a giudizi sommari e volgari sull'Unità d'Italia», Corriere.it 12 febbraio 2010):

«Inimmaginabili nell'Europa e nel mondo di oggi prospettive separatiste non indipendentiste»

Cosa sarebbero queste “prospettive separatiste non indipendentiste”? Se le prospettive sono indipendentiste (come ad esempio quella leghista) vanno bene? Non è che per caso la differenza stia solo nella dichiarazione d'intenti...

L'unica prospettiva “separatista non indipendentista” che possa saltare in mente è quella dell'Autonomia Siciliana: Napolitano sta forse accusando l'autonomismo di essere un indipendentismo sotto mentite spoglie?

Se così fosse, sarebbe grossa notizia per il campo sicilianista dove alcuni da tempo sostengono che una volta applicato integralmente lo Statuto Autonomistico la Sicilia sarebbe di fatto indipendente dal continente: pieni poteri in materia di energia ed ordine pubblico, la capacità di elevare tributi, il divieto all'esercito italiano di stazionare sull'isola sono solo alcuni dei piccoli cadeaux lasciati in eredità dalla lotta indipendentista ai siciliani che ne volessero fare uso.

Il pronunciamento allarmista del Colle, condito da una serie di articoli usciti in questi giorni sui quotidiani in cui si adombra una possibile prossima separazione dell'Italia, non lasciano dubbi sul fatto che oggi il pericolo sia concreto.

Nei giorni scorsi è stato presentato al pubblico il nuovo libro dello scrittore catanese Giuseppe Perrotta dal titolo Giubileo 2050, un fanta-thriller che si dipana in un'Italia divisa in quattro (nord, Vaticano, Sud, Sicilia) e che ha inusitatamente trovato larga eco sul territorio nazionale.

Ne dà notizia tra gli altri Il Messaggero di Roma in un fondo di pagina dal titolo indicativo (“Attento, Silvio ti guarda: piccoli segnali dai grandi significati”, 12 febbraio 2010):

C'è un gustoso thriller, intitolato «Giubileo 2050», in cui s'immagina la dissoluzione della Penisola in quattro diversi Stati: la Repubblica Cisalpina, il Regnum Christi (il cui sovrano, il Papa, è stato rapito dalla camorra), la Repubblica delle regioni meridionali e la Repubblica della Trinacria, cioè la Sicilia sola con se stessa e con Cosa Nostra. Fantapolitica?

A parte l'aggiunta di Cosa Nostra, a cui l'autore non fa cenno nella presentazione del libro (non ho una copia tra le mani per controllare...), il monito ricalca le tematiche discusse da questo blog: finito Berlusconi, finito il collante che ancora tiene uniti questi quattro brandelli (si veda il post “Mi arrendo”):

Senza più il collante dell'avversione all'Orco di Arcore, ci sarà a sinistra il tana liberatutti e il tutti contro tutti, peggio di quanto accade adesso. Magari questa è fantapolitica, ma fantapolitica per fantapolitica, oltre all'eclissi della sinistra già abbondantemente ecclissatasi, il rischio è che fra un po' neanche più l'Italia ci sarà più.

Ma non è da noi fermarsi davanti all'ultimo passo. Napolitano sta per caso accusando l'MPA ed il suo leader, Raffaele Lombardo, di pianificare quella “separazione non indipendentista”? La continuazione del discorso presidenziale è anch'essa quanto mai arzigogolata:

«(...) e più semplicemente ipotesi di sviluppo autosufficiente di una parte soltanto, forse anche la più avanzata economicamente, dell'Italia unita».

Sembra si stia riferendo alla Lega Nord. Sarà un refuso di stampa, ma se si stesse parlando del Nord Italia più che un forse, il discorso avrebbe dovuto contenere un fosse:

«fosse anche la più avanzata economicamente, dell'Italia unita».

Quel forse indica una possibilità futura più che un fatto acquisito ed echeggia un articolo uscito a suo tempo su Limes, la rivista italiana di geopolitica del gruppo L'Espresso dal titolo “Sicilia Nazione” (si veda il post “La nazione infetta”).

Rinviando tutti anche al post “La via della seta”, si evita qui di argomentare ulteriormente. Ma la sin troppo decisa chiusura del governo siciliano alla possibile riconversione dell'area di Termini Imerese abbandonata dalla FIAT ad usi diversi dalla produzione di autovetture sa di spalle sin troppo coperte: i ventilati interessamenti internazionali ad una produzione centro-mediterranea potrebbero non essere solo una sbruffonata politica.

Ieri abbiamo anche assistito all'ennesima presentazione del progetto del Ponte di Messina (di massima? Definitivo? Esecutivo?... siamo confusi.), con i proponenti che sembravano barricati e decisi a morire con la loro opera (“Protesta della rete no Ponte”, SiciliaInformazioni.com 12 febbraio 2010):

“Una cosa è chiara: non ci sarà niente e nessuno che bloccherà la realizzazione del ponte che nel gennaio del 2017 sarà pronto”

L'ostentazione di tutta questa sicurezza da parte del Ministro Matteoli puzza di bluff lontano quanto l'intera fantascientifica campata.

Raffaele Lombardo è stato invece quotato da altri in solitario, come ad esempio nel caso di Libero:

“Il ponte può rappresentare il vero simbolo per l'unita' del Paese mentre ci si appresta a celebrare il 150esimo anniversario dell'Unita' d'Italia”.

A parte l'utilizzo del “può rappresentare” invece di un bel “rappresenterà” che lo avrebbe posto più in linea con la sicumera del ministro, il parallelo espresso mentre tutti in Italia parlano di fine di quell'unità, è per lo meno spinoso: stante il paragone, dovesse crollare l'unità il progetto del ponte non potrebbe fare altro che seguirne i destini.

Come si dice dalle nostre parti, la meglio parola è quella non detta, nel senso che ciò che si tace è più significativo per capire certi umori. Ed allora includiamo nel conto anche la mancata citazione della summenzionata esternazione del leader autonomo-forse-separatista da parte de La Sicilia, quotidiano catanese notoriamente favorevole alla costruzione della mega-sbruffonata sulla Stretto. Sul pezzo relativo pubblicato dal sito della testata giornalistica (“Ponte, la squadra d'azione”) si sono “dimenticati” di citare persino la presenza fisica di Raffaele Lombardo all'evento.

La possibile capriola di Raffaele sulle rive dello stretto, comunque la si voglia inquadrare, non avrebbe niente di straordinario: a Palermo lui comanda ancora grazie all'appoggio della sinistra. Non credo che Lupo e compagni ci tengano tanto a perdere quel piccolo gruzzolo di voti che ancora si ritrovano dopo le dolorose contorsioni politiche che li hanno portati al governo.

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giovedì, febbraio 11, 2010

Un calcio alla storia

Per capire quanto miserrimi siamo oggi e quanto lontana sia ancora la ricomposizione delle enormi lacerazioni che il periodo risorgimentale, iniziato in Sicilia nel 1816 con la cancellazione del Regno da parte dei Borbone, continuato con l'Unità d'Italia e durato almeno sino al 1946, ha lasciato nella nostra società basta leggere il codazzo di commenti causato dalla pubblicazione di un interessante articolo di Giuseppe Di Bella sulla vicenda garibaldina: “Garibaldi ad Alcamo: un equivoco Decreto inganna i siciliani” (SiciliaInformazioni.com, 8 febbraio 2010), l'ennesimo di una serie che ha avuto il grandissimo merito di aprire ad un più vasto pubblico un dibattito che sino a pochi anni or sono era confinato a certi “scalcinati” circoli sicilianisti o neo-borbonici.

Le conclusioni dell'articolo non fanno altro che confermare finalmente per via documentale quello che tutti sappiamo (i “sicilianisti”, per lo meno...):

I siciliani vennero tratti in inganno proprio dal formale ripristino della sovranità del Regno, surrettiziamente ostentata da Garibaldi, da una serie di provvedimenti demagogici, e soprattutto del fatto che l’apparentemente redivivo Regno di Sicilia, avrebbe potuto “patteggiare” da pari a pari, le condizioni del suo ingresso nell’Italia di Vittorio Emanuele.

Ma se una critica si può fare all'autore, è quella di mancare di “buon senso” nel discutere legalità e legittimità di determinate iniziative, buon senso ripristinato dal commento di Massimo Costa:

Il punto è che col tempo il fatto diventa diritto, ci piaccia o no. Quando è accettato da tutti, da tutta la comunità internazionale come legittimo, persino dalle stesse vittime... Altrimenti sarebbe facile dimostrare come non esista alcun ordinamento legittimo, giacché ogni ordinamento nasce da una rottura con quello precedente.

La semplice constatazione del Costa se da un lato ha l'immenso merito di “smontare” e smascherare la teatralità del concetto di legittimità/legalità quale supporto necessario al corretto svolgersi del processo storico e di trasformare quel concetto in mera pretesa (quello che in effetti è), dall'altro permette di fare alcune riflessioni sulle vicende degli anni che vanno dal 1816 al 1860 e su quelle della lotta indipendentista del secondo dopoguerra del secolo scorso. Riflessioni che lo stesso accenno alla dimensione (finalmente) “internazionale” dell'articolo del Di Bella suggerisce.

Il richiamo al Congresso di Vienna del 1815 quale sede decisionale per i destini della Corona di Sicilia (sensu strictu) è troppo spesso sottovalutato. Esso è in realtà fondamentale nella ricostruzione delle dinamiche siciliane ottocentesche e persino novecentesche.

La corona dei Normanni era da secoli vista in Europa come una presenza scomoda da eliminare, mentre in quel momento storico il trono di Napoli è oramai diventato l'agnello sacrificale dello scontro tra l'ancient regime ed il vento di modernità emanato dal secolo dei lumi, vento che dopo gli eccessi della rivoluzione francese era diventato una vera e propria tempesta.

Palermo era entrata in profonda crisi allo scoccare del '500 e quale ultimo relitto o vestigia della sempre più flebile presenza mediterranea dell'oriente andava eliminata per consacrare il trionfo perenne dell'Atlantico.

In questo modo l'Ancien Régime occidentale (cattolico), certo di una riscossa nei secoli avvenire (quella che stiamo vivendo ora...), pensò di avere eliminato definitivamente il nemico d'oriente (ortodosso) dalla scena.

Il discorso è complesso e non lo affronteremo in questa sede. Il punto che mi preme fare riguarda la la posizione dei Borbone nella faccenda. I Borbone non rappresentavano il “potere decisionale” ma il “potere esecutore”. La distinzione non è meramente formale: la nostra casa regnante era letteralmente tra l'incudine ed il martello. E fu costretta dagli “alleati” a fare quello che neanche l'onnipotente Carlo V ebbe il coraggio di fare per non aprire insanabili crisi costituzionali (Carlo V probabilmente aveva studiato per bene la lezione dei Vespri).

Le mire degli inglesi al centro del Mediterraneo in vista dell'apertura di Suez erano certamente note a tutti. La loro potenza marittima rendeva l'opporsi direttamente ai loro disegni un vero e proprio suicidio politico. In altre parole, il trono dei Borbone dopo la già ricordata rivoluzione francese, era un trono ad orologeria: nessuno sarebbe accorso in suo soccorso nel momento del bisogno.

Fu così che nel 1816 nacque il Regno delle Due Sicilie, un vicolo cieco in cui gli stessi alleati misero Ferdinando II assegnandogli il “lavoro sporco”.

Prova di questo ne sia la totale solitudine nella quale Napoli dovette fronteggiare le prevedibilissime (e sacrosante...) rivolte siciliane sin dal 1820, ben prima della guerra di Crimea che segnò il vero punto di non ritorno. La continua intromissione inglese negli affari interni del Regno di Sicilia non convinse nessuno ad intervenire.

Senza contare il tragico disinteresse nel quale il nuovo Regno affogò ingloriosamente tra i marosi della storia al termine dell'epopea garibaldina.

Considerare le rivolte siciliane del 1820, 1836, del 1847 e del 1860 come rivolte contro i Borboni è ingiusto e riduttivo per ambedue le parti. Quelle rivolte vanno inquadrate come ribellione alle decisioni prese dal Congresso di Vienna, ribellione che Napoli non ebbe il coraggio di compiere da sé.

La portata storica di quelle ribellioni non sarà mai esaltata abbastanza. Esse impedirono, per riprendere il commento di Massimo Costa, che il fatto diventasse diritto e seminarono poi quei germogli che nel 1946 diedero vita all'Autonomia Siciliana e, di conseguenza, alla rinascita della Nazione Siciliana. Fatto quest'ultimo che, malgrado la surrettizia cancellazione dell'Alta Corte, è sì diventato diritto.

Quelle rivoluzioni oggi hanno permesso il ritorno dell'oriente ortodosso e musulmano nel Mediterraneo a scapito dell'Ancien Regime europeo e del selvaggio liberalismo anglosassone.

Sembrano avvenimenti lontani nel tempo e poco correlati alla nostra vita quotidiana. Eppure domenica scorsa il Catania, pericolante in classifica, ha vinto la sua partita grazie ad un giocatore fornito a Pulvirenti all'ultimo momento dall'FK di Mosca: un bel calcio nel sedere al Congresso di Vienna.


Con le spalle coperte

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domenica, febbraio 07, 2010

Giù la maschera

Nel corso del documentario “Maradona”, il Pibe de oro discute con il regista serbo (Emir Kusturica) i motivi del ritardato intervento occidentale per fermare la disastrosa guerra che distrusse negli anni '90 la oramai ex Yugoslavia: il menefreghismo degli USA Diego lo spiega con la mancanza nei Balcani di petrolio.

La spiegazione non è però convincente: è vero che da quelle parti non vi sia granché nel sottosuolo, ma a quanto pare in un prossimo futuro del prezioso liquido ne dovrebbe scorrere parecchio in superficie.

I progetti sul tavolo sono almeno tre: da un lato il South Stream, proposto da ENI (Italia) e Gazprom (Russia), dall'altro il cosidetto AMBO (Albania-Macedonia-Bulgaria-Oil pipeline) e il Nabucco (oleodotto Turchia-Austria), ambedue caldeggiati dall'occidente.

Di questi quello che oggi sembra avere più possibilità di essere realizzato, malgrado gli uffici di Londra e Washington, è proprio il South Stream che lo scorso anno ha ricevuto il disco verde anche dalla Bulgaria.

I progetti concorrenti hanno trovato poco entusiasmo nella stessa Bulgaria ed in Asia Centrale (Nabucco) oppure si sono ritrovati dentro un vicolo cieco (AMBO)

Il tracciato di quest'ultimo prevede di portare il greggio dal Mar Nero sino al porto Adriatico di Vlora in Albania. A parte il punto interrogativo rappresentato ancora una volta dalla Bulgaria, il problema principale è dato dal destino di questo greggio una volta arrivati a Vlora: dall'altra parte si trova infatti la Puglia, il cui posizionamento politico sembra oramai destinato a ricalcare quello Siciliano, lontano dagli interessi occidentali.

Anche per questo l'enclave Kosovara sempre aver perso l'attenzione della UE, che ora sembra temporeggiare sul suo destino. In quell'enclave gli americani avevano piazzato una base militare, Camp Bondsteel, che a quanto pare doveva servire a sorvegliare quel vitale oleodotto.

Ora i russi rispondono creando un centro di coordinamento per le emergenze intorno all'aeroporto di Nis in Serbia, a suo tempo diligentemente bombardato dagli “alleati”, che ovviamente genera il sospetto di una base militare appena appena camuffata e strategicamente piazzata lungo il tragitto del South Stream.

Questa settimana l'Economist riprende l'argomento infastidito forse dall'impennata dell'attività di Mosca nell'area e preoccupato dal contemporaneo ritiro americano da Kosovo:

Dopo la guerra gli americani costrirono Camp Bondsteel, una base capace di ospitare 7000 uomini, in Kosovo. (...) Ci sono solo 1400 soldati americani lasciati nel Kosovo. Quando il numero totale di soldati guidati dalla Nato nel Kosovo scenderà dagli attuali 10000 ai pianificati 2300, Camp Bondsteel potrebbe chiudere per sempre. ("Base Camps", 4 febbraio 2010)

Chiaramente la breve vita della repubblica Kosovare rischia di giungere ad un precoce capolinea.

Dall'altra parte, in Serbia, dove è stato rinnovato e riaperto al traffico internazionale l'aeroporto Costantino il Grande di Nis, i preparativi fervono. Il settimanale britannico questa volta non riesce più a trattenersi e strappa la maschera agli infidi siciliani:

Windjet, una compagnia aerea low-cost italiana, ha appena iniziato i voli verso l'aeroporto di Costantino il Grande.

Sì, proprio Windjet, la compagnia di Antonino Pulvirenti presidente di quel Catania Calcio sulla cui panchina da poche settimane siede il serbo Sinisa Mihalovic (si veda il post “Panchine scottanti”).

La dipartita politica di Silvio Berlusconi (si veda il post “Mi arrendo”) con il suo viaggio a denti stretti in Israele ed il successivo annuncio dell'abbandono dell'Iran da parte dell'ENI (“Italy's ENI to pull out of Iran”, Washington Post 4 febbraio 2010), se da un lato potrebbe avere indebolito l'alleanza con Gazprom alla base della realizzazione del progetto South Stream, dell'altro ha lasciato liberi i siciliani di stabilire relazioni più dirette e proficue con Mosca.

Speriamo che la prestigiosa citazione sull'Economist non porti scalogna all'imprenditore siciliano.


Chi gioca veramente per il Catania?


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Non sempre le citazioni sul famoso settimanale di propaganda capitalista portano fortuna alle compagnie aeree. Si veda a questo proposito il post “A noi! Addis Abeba”.
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venerdì, febbraio 05, 2010

C'est la vie

Nel fervere dei preparativi per la visita di stato in Francia da parte del Presidente americano Barack Obama nel giugno del 2009, un aereo di linea dell'Air France scomparve misteriosamente dai radar mentre faceva ritorno dal Brasile.

Le ricerche continuarono inutilmente per diversi giorni tra falsi allarmi ed una ridda di strane ipotesi sul destino del volo sino a quando, in coincidenza con la fine dell'“amichevole” incontro, all'improvviso corpi e rottami cominciarono a riapparire tra le fredde acque dell'atlantico.

I più smaliziati, prendendo nota delle solite inusitate concomitanze, capirono che Sarkozy aveva in mente qualcosa di prodigioso: il ritorno della “grandeur”, il rilancio sulla scena politica internazionale dell'immagine dei suo paese attraverso gli ampi spazi apertisi grazie al veloce crollo statunitense.

Per essere protagonisti oggi sul palcoscenico globale è necessario posizionarsi lungo la nuova via della seta, tra l'India, il medio-oriente, l'Africa e sopratutto il Mediterraneo. L'ambizioso transalpino ha per questo fatto uscire il classico coniglio dal cilindro ed ha lanciato al mondo la sua strabiliante invenzione della “ciambella” mediterranea (si veda il post “Le ciambelle arabe non hanno il buco”).

Questa non sarebbe altro che una “Unione Mediterranea” zoppa. Presentata il 13 luglio 2008 a Parigi, essa pretende di amplificare la farneticante unione massonica europea in ambito maghrebino-mediorientale (naturalmente con Israele nel mezzo...) senza tener minimamente conto della storia dei popoli che vi dovrebbero fare parte e pretendendo di essersi scordati dei Vespri e degli eventi che a suo tempo mortificarono le mire di controllo mediterraneo dei mangia-rane.

Chiave per il successo di tale strategia, oggi come allora, è l'acquisizione della corona del Regno di Sicilia: il nostro per raggiungere questo scopo è partito da lontano e si è subito cavourescamente sposato con la piemontese Carla Bruni quasi a voler simboleggiare dei rinnovati interessi strategici sul nord Italia.

L'accerchiamento dei padani ha subito una accelerata con l'accordo raggiunto per il sostanziale controllo di Alitalia che ha permesso ad Air France di dirottare il traffico da e per l'Italia a Parigi (si veda il post “Chiuditi cielo”) e si è poi assestato con l'accordo per il nucleare firmato con il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi il 25 febbraio 2009. Con questo accordo il presidente francese credeva di essere in procinto di mettere le sue grinfie radioattive sul sud Italia e sulla Sicilia, chiudendo la famosa ciambella col buco di cui sopra.

Le strategie transalpine non si limitavano certo al vicinato sub-alpino. Oltre che al rinnovo dei loro interessi in Africa, i francesi puntavano a tornare a stringere importanti relazioni internazionali in medio-oriente.

Fulcro di questa azione dovevano essere gli accordi siglati con lo sceicco di Abu Dhabi per la costruzione di alcune centrali negli emirati arabi, un accordo che poneva un freno ai già traballanti interessi americani nell'area. Più a nord, la Total sperava di assicurarsi un qualche giacimento di primo piano in Iraq per assicurare alla rinata pretesa di grandeur il giusto supporto energetico.

Era stato lo stesso presidente iracheno, Jalal Talabani, a dare concrete speranze ai francesi. Durante la sua visita in Francia lo scorso novembre aveva detto a proposito delle gare per l'assegnazione dei diritti petroliferi:

La gara non si basa solo sui numeri; noi dovremmo favorire un'offerta francese indipendentemente dai numeri (...) E' la nostra politica, vogliamo vedere la Total lavorare nei nostri campi” (“Iraq oil: Baghdad bats its eye lashes at France and Total”, FT.com 19 novembre 2009)

Sarkozy si stava già sfregando le mani con foga a questo punto, salivando smodatamente nel vedere come quella ciambella lievitasse nel forno. Non sapeva, il tapino, che da li a poco una vampata avrebbe bruciato tutto.

Il 12 dicembre al termine dell'asta per l'assegnazione dei campi di maggiori dimensioni in Iraq, Total si è ritrovata a mani vuote. L'amministratore delegato dell'azienda, Christophe de Margerie, intervistato dal periodico arabo The Gulf, commentava laconicamente quella che noi verrebbe descritta come una tagliata di faccia: “Mi chiede se sono contento del risultato? No” (“Oil deals a Total disappointment”, 19 dicembre 2009)

E prima della fine dell'anno un'altra porta in faccia ha rischiato di ridurre a dimensioni più consone il naso di Sarkozy:

Il governo di Abu Dhabi ha scelto un gruppo di aziende Sud Coreane per costruire la prima centrale elettrica nucleare della nazione, portando avanti l'obiettivo degli EAU di diventare la prima nazione araba a fare uso dell'energia atomica su scala commerciale. (“Abu Dhabi signs nuclear power deal with South Korean group”, The National 28 dicembre 2009)

Abu Dhabi è al momento la città più ricca del mondo ed uno dei più feroci oppositori del regime finanziario anglosassone, una punta avanzata del mondo arabo. Perdere preziose posizioni sul nucleare qui per Areva significa perdere tanto, se non tutto, in medio oriente. Lo sceicco si sarà forse indispettito per le sembianze della bandiera della sedicente “Unione Mediterranea” (riprodotta a lato), neanche tanto vagamente simile a quella di Israele?

Senza contare che nel mezzo tra i due eventi era caduta un'altra tegola.

Come una riproduzione della cattedrale di Notre Dame conficcata nel cuore: così deve essere stata recepita a Parigi la notizia del ferimento di Berlusconi (si veda il post “Intrigo internazionale”). La fine dei sogni di gloria in Sicilia: senza il pecoraio sarebbe stata solo questione tempo ed anche l'accordo nucleare italiano sarebbe stato smantellato.

Ora che Arcore è stata bloccata, persino la Padania rischia di sfuggire al controllo transalpino: Tremonti si è subito inginocchiato a Londra per fermare al valico Sarkozy (si veda il post "Mi arrendo") e come d'incanto la Bruni si è ritirata dal Festival di Sanremo, offesa (pare...) per certi versi poco cortesi.

Il 19 gennaio a Palermo Raffaele Lombardo ha piantato il paletto di frassino nel cuore del vampiro, appoggiando l'approvazione di un ordine del giorno del PD: “Ci batteremo perché in Sicilia non si parli nemmeno lontanamente di nucleare”, ha detto il Presidente. Aggiungendo poi il carico da 11:

“I rischi non si riducono enormemente se questa centrale anziché a Palma di Montechiaro viene collocata a Sibari, a Taranto o a Napoli (...) Non si riducono assolutamente - ha concluso - senza considerare che lo Stato autonomo di Malta, che dista una novantina di chilometri dalle coste sud della Sicilia, potrebbe anch'esso dotarsi di una centrale nucleare” (“Nucleare in Sicilia? No, grazie. Approvato ordine del giorno del Pd all'Ars”, SiciliaInformazioni.com)

Le vie del Mediterraneo sono chiuse per la Francia: la Sicilia, crocevia energetico globale, ha i mezzi economici e politici per sopperire alle necessità di Malta e del Sud Italia.

Certo, ci aspettavamo un osso più duro. Invece la rabbia dei francesi sino ad ora si è risolta tutta in un tentativo di diffamazione a mezzo stampa sul un loro giornaletto che sin dal titolo appare tutto tranne che minaccioso: Le Figaro (“Sicilia, Le Figaro attacca i dipendenti pubblici”, IlGiornale.it 2 febbraio 2010 - vedi l'articolo originale di Le Figaro).

Che mancanza di classe, di originalità. Che delusione per chi credeva di prepararsi ad un nuovo Vespro...


Lombardo sgonfia la ciambella francese




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mercoledì, febbraio 03, 2010

Mi arrendo

Ci siamo tanto assuefatti alla patronale e paternale presenza di Berlusconi sulla scena della politica italiana che pur agognando una sua fuoriuscita non eravamo capaci di prefigurarci cosa sarebbe stato il dopo-pecoraio.

Quali gli scenari, le nuove alleanze, i ritorni, gli sviluppi che il palcoscenico della politica non solo romana, ma anche padana e siciliana avrebbe messo in scena qualora fosse venuto a mancare il suo principale attore, la sua primadonna.

Non è mai troppo tardi. Facciamolo ora questo giochetto e dipingiamo questo “day after”, questo “giorno dopo” della penisola italiana e dell'isola siciliana, ancora insieme o forse pronti a separarsi. Immaginiamo che, mentre trame e giochetti a noi invisibili ancora si dipanano dietro le quinte, il “grande capo” improvvisamente scompaia. Chiudendo gli occhi, immaginiamolo tanto per vedere l'effetto che fa.

La prima cosa da chiedersi (ed anche la più ovvia) è che fine potrebbe mai fare il PDL o la stessa Forza Italia. Abbiamo sempre saputo questi non essere dei veri partiti nel senso tradizionale del temine: non perché non vi sia un collante ideologico alla base (il collante c'è e si chiama P2...),ma perché la maggioranza delle forze in essi confluiti non fanno riferimento a quel collante, ma al carisma di un leader senza eredi. Finito il leader senza eredi, finiti il PDL e Forza Italia: li vedremo prima spaccarsi e poi sciogliersi come neve al sole.

Passiamo agli alleati padani, da Tremonti alla Lega.

Questi dovrebbero immediatamente tentare di prendere il potere nel momentaneo vuoto venutosi a creare e dovrebbero farlo difendendosi dalle mire sub-alpine di francesi e tedeschi che vorrebbero tornare a dettare legge a Milano, a Torino e nell'area veneziana. Tremonti, mentre i leghisti si assicurano alcune posizioni politiche di rilievo, potrebbe coprire la loro avanzata con un riavvicinamento verso Londra che metterebbe fuori gioco anche i Di Pietro e compagnia bella.

In Sicilia nel frattempo il “figlio” del Cavaliere si tramuterebbe istantaneamente in un orfano senza protezione in pericolo di essere sbranato dai nemici interni come spesso succede agli eredi rimasti senza un'ala protettiva ancora in giovane età. L'essere rimasto senza quel famoso Partito del Sud proprio a causa della prematura scomparsa del “padre” e la mancanza di appoggi nel PDL fuori dalla Sicilia non darebbero altra scelta a Ginfranco Miccichè se non quella di stringersi ancora di più a Raffaele Lombardo accettandone nei fatti quella posizione di preminenza politica in Sicilia e nel sud che sino ad ora aveva tentato di fare sua.

Raffaele Lombardo, che previdente si muove sempre con largo anticipo anche rischiando di mettere Arcore su tutte le furie, con il disfacimento del PDL non avrebbe più alcuna maggioranza a Palazzo dei Normanni e, assicuratosi l'appoggio del Miccichè, non potrebbe fare altro che guardare dall'altra parte per il necessario sostegno, cioè tra le fila della cosiddetta “sinistra”, anche qui un'accozzaglia ancora più malsortita del PDL. Il suo punto di riferimento più saldo sarebbe senz'altro Massimo D'Alema (si veda il post “El Lider Massimo”).

E' il momento di aprire gli occhi. Di tornare alla realtà e scorrere le pagine dei giornali. Una strana sensazione di deja vù ci assale: le cose stanno andando esattamente nel modo immaginato poco prima ad occhi chiusi.

Il PDL non esiste praticamente più. E' lo stesso Miccichè a certificarlo: “Ho l'impressione che si stia dissolvendo tutto”, ha detto in una intervista rilasciata al settimanale l'Espresso in cui si è soffermato anche sulle inaspettate candidature leghiste ("Miccichè attacca il Pdl", SiciliaInformazioni.com 29 gennaio 2010):

“Purtroppo con la nascita del Pdl stanno emergendo posizioni correntizie: ecco allora in Veneto Sacconi e Brancher non vogliono si candidi Galan (...) Alla fine Berlusconi, per liberarsi dalle scocciature dei veti incrociati, sceglie gente terza”

Il sottosegratario si riferisce in particolare alla cessione alla Lega Nord di importanti regioni quali il Veneto (clamorosa la candidatura di Zaia alla presidenza) ed il Piemonte (Cota il candidato), cessione che sembra quasi una volontà testamentale.

Tremonti dal canto suo ha lavorato pazientemente in funzione di copertura. Il Consiglio aveva già accennato al suo possibile cambiamento di rotta lo scorso novembre (si veda ancora il post “El Lider Massimo”). La conferma del suo nuovo posizionamento è arrivata sotto Natale in occasione dell'approvazione della sanatoria per il rientro di capitali dall'estero in Italia, un vero scudo protettivo per svariate attività illecite salutato favorevolmente dal Financial Times. Secondo il quotidiano della City un successo personale del ministro para-leghista ora accovacciato all'ombra del governo globale dei finanzieri in modo esplicito:

“I giorni dei paradisi fiscali sono finiti,” Ha detto Tremonti, mettendo la sua battaglia nel contesto della repressione globale condotta dagli USA e da altre nazioni capofila. Le future relazioni con le banche svizzere devono basarsi sulla fine del segreto bancario, ha aggiunto. (“Italy tax amnesty yields record €80bn”, 23 dicembre 2009)

Traduzione: gli americani sono i benvenuti a ficcare il naso nei conti correnti dei cittadini italiani quando e come più gli aggrada. Basta che assicurino a me ed alla Lega lo scettro in Padania.

E' ovvio che a questo punto non vi fosse più spazio nel PDL per Miccichè, che ancora lontano dalla formazione del “Partito del Sud” si è dovuto accontentare di uno più striminzito “PDL Sicilia” all'ombra di Lombardo. Il quale a sua volta si è finalmente deciso a compiere quel salto da tempo minacciato abbracciandosi con D'Alema, un abbraccio testimoniato dall'ingresso del PD nell'esecutivo siciliano.

Non rimane che andare a vedere dove sia Berlusconi. Nel controllare i giornali a ritroso nel tempo la sorpresa è di quelle che lascia senza fiato: niente. Nelle ultime settimane l'argomento principale dei giornali italiani non pare sia stato Berlusconi. Sembra una vita: è dal 1992, da quella famosa discesa in campo, che il pecoraio occupa ogni notiziario, ogni minimo quotidiano di paese. Sino a quando...

Sino a quando un bel giorno un folle esagitato non lo colpisce con una riproduzione del Duomo di Milano. (si veda il post “Intrigo internazionale”).

Dopo il colpo ben assestato un silenzio ovattato ha avvolto l'Italia. Niente più donnine di facili costumi, niente più fantomatiche dichiarazioni dei pentiti, ora ammorbidite e ridirette verso Dell'Utri, la stampa estera in compunto silenzio.

Sino al viaggio con il capo asperso di cenere verso la madre terra, Israele, a guadagnarsi gli ipocriti elogi del premier Netanyahu: «Ammiro molto Silvio Berlusconi, Israele non ha un amico più grande di lui nella comunità internazionale». Ed è inutile che Berlusconi stesso o i titoli dei giornali (Berlusconi in visita a Gerusalemme «La colonizzazione è ostacolo alla pace», Corriere.it 31 gennaio 2010) cerchino di ammorbidire o coprire la realtà.

Le dichiarazioni di contraccambio pronunciate a denti stretti, («Gli arabi vivono in Israele e partecipano alla sua splendida vita democratica»), non sono altro che un triste sventolio di bandiera bianca: Silvio si è arreso e non muoverà più un dito contro l'occidente.

Siamo soli ed in campo aperto. L'Italia non ha più alcun collante: nord e sud devono pararsi il sederino come meglio possono con quello che hanno. Con Tremonti al nord e con Lombardo al sud.

La Sicilia non avrà più intermediari con il mondo. Niente più filtri tra Palermo e Mosca o tra Catania e Tripoli. Anche l'oriente deve ora scendere in campo apertamente a difendere le posizioni conquistate grazie agli uffici di Arcore. Proprio Mosca e Tripoli sono le prime a muoversi:

Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la firma tra Russia e Libia di accordi per 1,3 miliardi di euro relativi alla fornitura di armamenti, secondo quanto reso noto dall'agenzia Itar-Tass (“Armamenti, accordo Russia-Libia. Pechino contro gli Usa per le armi a Taiwan”, Ansa 30 gennaio 2010).

Rimane un ultimo evento da analizzare, e cioè la ribellione e conseguente espulsione dall'MPA di un gruppo di “autonomisti” napoletani guidati dal vice-ministro Scotti che sono andati a formare il partito “Noi Sud – Libertà e Autonomia”, clone partenopeo del movimento siciliano: la faglia sepolta sotto lo stretto di Messina si è rimessa in movimento.


My only friend this is the end
Sul ponte sventola bandiera bianca




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