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lunedì, maggio 19, 2008

L'isola ed il suo motore storico

In un'epoca in cui ogni quartiere d'Europa sembra avere un suo movimento indipendentista, anche istanze vecchie di secoli scadono in una quotidianità fatta di vuote rivendicazioni teleguidate e vengono accomunate al generale clima di disfattismo imposto dall'elite burocratico-finanziaria europeista che cerca di minare le basi sociali degli stati nazionali nati nel XIX secolo per poter gestire indisturbata il potere senza essere chiamata a risponderne.

In questa bagarre di autonomismi più o meno spinti si potrebbe tentare il solito giochetto di collegare gli eventi siciliani più recenti a quelli del continente europeo, come si fece (e si fa...) con i vari episodi avvenuti tra la fine del settecento e la metà dell'ottocento.

Si potrebbe per esempio sostenere che il movimento (ed i moti) indipendentisti del secondo dopoguerra che portarono alla rinascita della Nazione Siciliana altro non furono che le avvisaglie di quello che sta accadendo oggi in Spagna, nella ex-Jugoslavia, in Belgio.

Una tale inquadratura non riesce però a cogliere appieno il significato delle rivendicazioni isolane, e la principale prova di ciò risiede nella costatazione che i moti della metà del '900 siano in chiara continuità con quelli pre e post risorgimentali tramite una serie di eventi anche importanti (il più significativo di tutti sicuramente la rivolta del sette e mezzo) che risultano offuscati ad arte dalla storiografia ufficiale nel tentativo di ricondurre il tutto nel narcotico alveo storico-materialista dell'iper-inflazionata rivoluzione francese.

Per capire l'indipendentismo siciliano bisogna inquadrarlo dal punto di vista culturale e geografico. L'inquadramento politico con il quale di solito vengono etichettati questi movimenti, ed in particolare quel “rivoluzione” buono per tutte le stagioni, non riesce a delineare i termini esatti della questione proprio perchè non si tratta di un problema esclusivamente politico o sociale.

Il susseguirsi di rivendicazioni di tipo indipendentista o autonomistico nell'isola risale per lo meno al periodo delle colonizzazioni greche, durante il quale si sovrapposero rivendicazioni “autonomiste” o “indipendentiste” su almeno due livelli, caso più unico che raro in un ambito territoriale non particolarmente esteso come quello in esame: da un lato lo scontro tra l'elemento autoctono (siculo) e quello alloctono (greco), scontro personificato dalla figura di Ducezio. Dall'altro il tentativo delle colonie greco-siceliote di recidere gli oppressivi legami con la madrepatria (“Ne ioni ne dori, ma siciliani”). Incredibilmente ambedue le istanze poggiavano la loro ragion d'essere sulla stessa base: la definizione in primo luogo geografica e solo in seconda battuta etnica di Sicilia.

Lo stravolgimento delle condizioni sociali e politiche dei secoli successivi non porterà variazioni sul tema. Si va dalle rivolte degli schiavi nel periodo romano (dove “schiavi” altro non era se non il termine propagandistico usato dal regime imperiale romano per nascondere la ribellione siciliana) ai conflitti interni al mondo arabo che porteranno alla nascita di un califfato guidato da una famiglia isolana ed in seguito alla costituzione del Regno di Sicilia.

E potremmo continuare anche per i secoli seguenti sino a raggiungere l'apice della Guerra del Vespro.

Questa ripetitività scollegata dal retroterra sia etnico che sociale delle diverse componenti che nel tempo hanno continuamente riproposto la stessa identica rivendicazione, indica una relazione diretta non tanto con l' “idea” di Sicilia quale concetto astratto di patria nel senso moderno del termine o quale tópos di una determinata coagulazione culturale, ma con la Sicilia quale luogo fisico reale e definito.

Proprio in base a queste considerazioni sembra delinearsi un indipendentismo che non nasce da un effettivo bisogno di cristallizzazione culturale di un momentaneo vissuto culturale, ma che al contrario è emanato dal luogo stesso ed assorbito quasi passivamente dalla società umana: è la Sicilia quale isola che pone dei confini insormontabili ai suoi abitanti rendendo nette le distanze con chi invece risiede “altrove”.

E questo non dovrebbe sorprenderci: tutte le isole rendono i loro abitanti fortemente coscienti della loro identità ed assolutamente gelosi di essa. L'indipendentismo dei siciliani è lo stesso di quello dei sardi, dei corsi, degli irlandesi, tanto per rimanere in ambito europeo.

L'uso del verbo “risiedere” più sopra non è casuale. L'indipendentismo siculo infatti non può avere alcuna definizione a base etnica o sociale, in quanto il travagliato vissuto dell'isola, continuo crocevia di migrazioni e stanziamenti, fa sì che “siciliano” sia chiunque si trovi a risiedere nell'isola in un determinato momento storico. In breve: siciliani non si nasce, si diventa.

Non che rivendicazioni etniche o sociali non siano mai state presenti. Ma queste si configurano come scintille, come casus belli. Non come pietra angolare del processo storico.

Il susseguirsi serrato per migliaia di anni di migrazioni e stanziamenti percepibile persino a livello di esperienza personale porta inoltre ad una esasperazione identitaria continuata, ad una cronica tensione emotiva dell'Io. Una esasperazione ed una tensione tramandate da generazione in generazione e che spiegano come mai l'autonomismo e l'indipendentismo siciliani siano più ostinati (e forse anche più disperati e parossistici nelle loro manifestazioni) di quelli delle altre isole citate.

L'autonomismo e l'indipendentismo sono quindi il motore storico della Sicilia. Un processo senza soluzione di continuità attraverso il quale deve essere sempre interpretato ogni avvenimento della nostra storia, pena l'impossibilità di decifrarne in modo razionale e coerente le dinamiche più intime.

Dinamiche che sembrano andare in letargo in seguito a situazioni contingenti, ma che rinascono ogni qual volta eventi originatisi al di fuori dall'isola vengano percepiti come minaccia a questa esasperata identità di cui, è bene precisare, andiamo fieri.

16 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Abate, far risalire una presunta unità siciliana al periodo greco o romano è quanto meno azzardato, io abitavo in una antica città siceliota distrutta dai siracusani e che dire di quelle città siciliane che facevano accordi con Roma contro le altre.

Abate Vella ha detto...

Infatti non parlo assolutamente di sicilianitá.

L'indipendentismo siciliano non ha alcuna relazione con le appartenenze etniche dei suoi abitanti.

Non c'é alcuna continuitá nella sicilianitá dal periodo greco o prima ad oggi nel senso di coscienza civile.

Secondo me il senso di appartenenza é geografico, ed é amplificato dal continuo susseguirsi di migrazioni, invasioni, passaggi.

Potremmo spopolare la Sicilia di tutti i suoi abitanti, prendere quelli nuovi dagli angoli piú disparati del globo, nel giro di un paio di generazioni saremmo punto ed a capo con l'indipendentismo siciliano.

Questo vuol dire anche che é inutile reprimere, minacciare o blandire.

Potrebbe instaurarsi il governo piú nobile e democratico possibile, il piú giusto e ricco. Se questo non lascerá i Siciliani governare se stessi ci sará sempre una parte insoddisfatta che cercherá di ottenere l'autogoverno.

Non sto dando una valutazione positiva o negativa. Sto solo facendo una constatazione.

So anche che questa é una tesi controversa che a molti forse non piacerá, e che chiaramente é una semplificazione della realtá. D'altronde non é mia intenzione ridurre un processo storico tanto complesso allo spazio di un piccolo post. Solo dare un piccolo contributo alla sua comprensione.

Anonimo ha detto...

Bella analisi abate Vella, con la quale concordo perfettamente. La Sicilia è stata e forse lo sarà ancora estremamente appetibile e per ciò stesso indifendibile, col metodo dell'arroccamento. Essa si è dunque difesa da sola ed è anche per questo un'isola fatata, facendo divenire siciliano chi non lo era. Va per questo rivista anche la teoria della colonizzazione della Sicilia, perchè siciliani ad ogni effetto sono divenuti i greci che qui sbarcarono, per cui la Sicilia è stata protagonista e tassello essenziale della civiltà e della cultura greca. Ne portiamo ancora gli effetti, nel bene e nel male e rispondo con ciò al Comitato, che lamenta la distruzione, nell'antichità, di città ad opera dei siracusani. E' la cultura della polis, che noi (disgraziatamente) ci portiamo dietro tutt'ora: campanilisti esasperati in Sicilia, ma siciliani tutti, non appena oltre lo stretto; si ricordi Sparta contro Atene, ma greci tutti contro i persiani. Siciliani divennero i normanni, che sconvolsero addirittura i loro costumi originari, siciliano pure il più grande degli Hohenstaufen e parte della sua discendenza. E' uno strano "veleno" la Sicilia, per cui chi viene porta qualcosa del suo patrimonio originario, ma non può infine non restare coinvolto da ciò che trova sull'isola ed è così, che i siciliani sono evoluti, diventati quelli che oggi sono, incomprensibili agli italiani, perchè hanno cumulato, ma elaborando in maniera originale le infinite esperienze dei millenni. Il tema è appassionante, può avere tante implicazioni e mi riprometto di intervenire ancora.

Anonimo ha detto...

in un forum, cercavo di spiegare ad altri utenti le tematiche indipendentiste, queste persone, provenienti d'oltre stretto, non riuscivano a comprendere e mi rinfacciavano sempre che la mia era una questione etnica e sostenevano che alla fine anche persone come cuffaro, riina ed altri "illustri" personaggi, erano siciliani; allora io ho risposto che non basta nascere o vivere in sicilia per essere siciliani; il siciliano è colui che ama la sicilia e che farebbe qualunque cose per vederela sempre prospera; anche un giapponese che decidesse di investire per amore della sicilia o per semplice interesse commerciale è più siciliano di molti nati in siciia che hanno dilianiato e continuano a dilaniare questa terra.


ps.
ma rrussariu chi fini fici?

Anonimo ha detto...

Ciao Peppinappa, il fatto che sia la "cultura della polis" ditruggere le città vicine non significa che sia una cosa positiva.
Di certo però quando si parla di coscienza siciliana o unità siciliana si deve partire da un periodo molto più recente e secondo me questo è il periodo normanno, quando guardacaso nacque il Regno di Sicilia.
In ogni caso gli svevi, i greci ed i normanni dominarono anche sul sud continentale che hanno reso la cultura napoletana e siciliana similare e questa probabilmente è la ragione per cui Napoli e Sicilia siano destinate a coabitare.
D'altronde è nella coabitazione che riescono dare il meglio di se, ma d'altronde le economie di Sicilia e Napoli sono da sempre state intrecciate.

P.S i siciliani che vivono fuori sono molto uniti con gli altri meridionali.

Anonimo ha detto...

Gonzalo, ti puoi firmare ancora così, non c'è bisogno che cambi nome. Io non mi sono mai "sciarriato" con te e penso nemmeno gli altri tranne qualche polemica ...
Vabbò "Comitato"....tanto lo sappiamo dove vuoi arrivare: i Siciliani senza gli italiani del sud non possono, non esistono...e che lagna...

Anonimo ha detto...

Caro Massimo, devi stare più tranquillo in mia presenza, non ti rubo i simpatizzanti soprattutto ora che sei diventato un grande estimatore di Lombardo.
Vabbò "Massimo" ho capito, tolgo il disturbo...e che palle..

Anonimo ha detto...

Volevo replicare al Comitato che non ho mai detto che la cultura della polis sia stata e sia tutt’ora positiva, essa fu anche il più grande limite della politica greca, volevo solo rimarcare, seguendo lo spunto dell’abate Vella, che in Sicilia non permane, probabilmente, un rapporto dominato-dominatore, sicché proprio attraverso il filtro della Sicilia i siciliani sono essi stessi al tempo stesso greci, arabi, normanni…, diversamente da altre popolazioni che vivono il rapporto con gli altri sempre in termini di dualismo, pervenendo così a modi d’essere del tutto diversi. Scrive il celebre scrittore francese Guy de Maupassant: “Nessuno somiglia a un napoletano meno di un siciliano”. D’altra parte la specificità della Sicilia sta espressa apertamente nelle sue opere d’arte, che non hanno uguali in tutto il mondo. Scrive ancora il Maupassant: “Quando si sono visti questi monumenti che, pur appartenenti a epoche e origini diverse, possiedono un medesimo carattere, una natura identica, si può dire che non sono né gotici, né arabi, né bizantini, ma siciliani; si può affermare che esiste un’arte siciliana, uno stile siciliano, sempre riconoscibile, che fra gli stili dell’architettura è certo il più attraente, il più vario, il più colorato, il più ricco d’inventiva”. E’ la Sicilia, che fa da catalizzatore, che manipola tutto; per questo, forse, tanta diffidenza, oggi, da parte degli italiani: sanno bene che la Gorgone con le tre gambe ne ha digeriti ben più “tosti” di loro. E’ vero che Napoli e la Sicilia hanno avuto percorsi comuni, però, per amore di verità, voglio raccontare un’antica leggenda. Allorché l’ultimo degli Svevi, il fanciullo Corradino, accorso ad impedire l’usurpazione del Regno di Sicilia per le trame clerico-angioine, vene barbaramente decapitato, proprio lì presso Napoli, lanciò un guanto, che qualcuno raccogliesse per fargli giustizia. Ebbene, solo i siciliani raccolsero quel guanto con il Vespro, pagando essi, da soli, tutti i prezzi della libertà. Comincia da allora la storia del mercimonio dell’Italia meridionale, ma accadde anche che da quel momento, nonostante successive, formali unificazioni, i percorsi della Sicilia e quelli dell’Italia meridionale non fossero più gli stessi.

Anonimo ha detto...

Solo per puntualizzare (e chiedo scusa all'Abate se sono off topic). Non faccio politica e non ho simpatizzanti; sono un blogger qualunque, di idee indipendentiste. Non ho il diritto di chiedere a nessuno di non partecipare ai forum, ma di esprimere il mio parere liberamente, anche con l'ironia. Ho espresso in passato su questo forum alcune valutazioni tattiche sul fenomeno Lombardo ma non sono affatto un suo grande estimatore. Chiedo scusa agli altri forumisti che hanno dato un contributo di idee di grande pregio.
Per farmi perdonare e tornare in topic: la storia di Sicilia senza la continua lotta per la propria identità e la propria indipendenza non si capisce affatto. Comunque è vero che l'isola rende isolani (ragione in più per guardare con sospetto il ponte che certo non abolisce l'insularità ma certo la ridimensiona): i principali oppositori irlandesi alla conquista inglese di Enrico VIII (XVI secolo) erano i cavalieri di discendenza Normanna (arrivati in Irlanda nel XII secolo circa) e parlanti in inglese, non i loro poveri contadini parlanti in irlandese..lottavano per l'indipendenza...e così pure nel XVIII secolo ci fu un nuovo nazionalismo irlandese guidato dai discendenti dei nuovi coloni protestanti. Quando la maggioranza cattolica si emancipò (XIX secolo) questo nazionalismo squagliò come neve al sole e gli irlandesi protestanti divennero fortemente unitari. Ci sono molti parallelismi. Quindi nel nostro Pantheon c'è Ducezio, ma ci sono anche i greci Sicelioti e così via...insomma sempre siciliani (alla faccia di chi ci vuole "ma anche" altro...)

Abate Vella ha detto...

Vorrei aggiungere un altra cosa che forse non é chiara dal post:

questo non é un post "indipendentista", che inneggia cioé all'indipendentismo. Direi che puntualizza il motivo (o alcuni dei motivi...) per cui i Siciliani vogliano autogovernarsi.

E non é un post anti-duosiciliano o anche anti-italiano. I Siciliani hanno accettato l'unione con Napoli o con altre corone senza grosse proteste (pur desiderando sempre un re che sedesse a Palermo) fino a che la loro autonomia interna fu salva.

I problemi iniziano sempre quando questa autonomia interna viene minacciata.

Abate Vella ha detto...

I problemi seri, intendo...

Anonimo ha detto...

Tengo a precisare che nemmeno io sono anti italiano e anti napoletano, che anzi ho degli ottimi amici nella bella città di Napoli. Le puntualizzazioni, sulla base di quelle poche cognizioni storiche che ho, sono altra cosa.

Anonimo ha detto...

Sono convinto che la diversità sia una bella cosa, ma ostinarsi a cercarla può far scadere nella mistificazione e negli estremismi.
Soprattutto quando si inizia a non volere vedere le condivisioni, che sono la stragrande maggioranza

Abbiamo detto le diversità e le cose in comune quando?

Abate Vella ha detto...

Cari amici del Comitato Siciliano,

ho scritto questo post sulla base di alcune domande che mi erano state fatte via email ed a cui ho preferito rispondere in questa maniera piuttosto che in forma privata.

Certo, anche il tema delle affinitá storiche e culturali con gli altri popoli del Mediterraneo é interessante.

I legami piú forti poi sono sicuramente con le altre popolazioni del sud Italia. Quindi prendo questo commento come un suggerimento, che spero di poter soddisfare presto.

Anonimo ha detto...

Sono convinto anch'io della necessità dell'amicizia con i napoletani, ma salto di palo in frasca. Leggo su Sicilia informazioni che per coprire il taglio dell'ICI si sta ricorrendo ai fondi finteca destinati per le città siciliane. Intanto ci fanno il ponte, che secondo quanto sento alla radio consentirà il transito di 6000 veicoli l'ora e di 200 treni al giorno. La prima opera pubblica al mondo(e credo l'ultima) che non ha nessuna attinenza tra le sue proporzioni e il volume di traffico. Ci stanno trattando come selvaggi, il nostro Presidente autonomista che fa? E' veramente ora di finirla!

Abate Vella ha detto...

Peppinnappa,

Berlusconi é all'attacco contro Lombardo. Contro la Sicilia, contro tutto il sud (vedi la monnezza napoletana).

Non potevamo aspettarci niente di diverso.

Comunque meglio avercela contro Roma (o Arcore). Fa crescere nei Siciliani la consapevolezza di se stessi ;)