Un modello per lo sviluppo della Sicilia - I parte
L'estate scorsa, seduto sotto il pergolato di un Dammuso a Pantelleria, osservavo il canale di Sicilia ed il profilo della costa africana appena accennato dal rosso del tramonto. I miei pensieri venivano a tratti interrotti da dei lontani passaggi lineari che mi attiravano verso il filo di un discorso ben diverso dai dolci pensieri di quei giorni di vacanza.
Ognuno di quei passaggi, ognuna di quelle navi mi portava ad interrogarmi sul loro percorso fino a quando, messa da parte la (scarsa) licenza poetica, mi sono reso conto che quel loro percorso era sempre lo stesso: provenivano tutte da est (cioè il canale di Suez o lo stretto dei Dardanelli) e si dirigevano ad ovest (cioè l'Atlantico o il nord del Mediterraneo). Gli stessi percorsi di duemila anni fa, gli stessi percorsi che hanno portato alla Sicilia la ricchezza, materiale e di civiltà, di cui ha sempre goduto nei millenni: niente è cambiato intorno a noi, niente si è spostato. E' la Sicilia, siamo noi che ci siamo ritirati.
Allora mi sono reso conto che oggi la vera ricchezza della Sicilia non è quel sole o quelle uve zibbibbo che si stendevano intorno a me, ma semplicemente la stessa che ci ha arricchito in tutti i secoli passati: la sua posizione.
Semplicementi sono cambiati i tempi, le tecnologie, le energie e noi non ci siamo adattati, non siamo stati al passo coi tempi... o più semplicemente abbiamo abdicato ad altri il controllo della più importante delle nostre risorse naturali.
Basterebbe intercettare appena quel flusso di container a senso unico per riappropriarci della ricchezza che ci siamo fatti soffiare oper non aver più avuto il coraggio di prenderci le nostre responsabilità.
Bisogna allora partire da questa semplice considerazione per proporre e diffondere un concetto di ri-sviluppo della nostra isola relaistico e duraturo.
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