Siciliani, tutti devoti tutti (Seconda parte)
Leggi la Prima parte
Avevamo lasciato la nostra martire, S. Agata, alle porte di Catania messa in salvo dai “devoti” che, ricevuta la rivelazione cristiana simboleggiata dalla variazione di posizione del fercolo che invece di guardare l'Etna ora guarda la chiesetta del Borgo, impediscono alla fanciulla di lasciare la città in direzione della terribile montagna e la riportano verso il tempio (il Duomo).
Tutto quello detto a riguardo della simbologia atlantidea [*] del percorso della santa, per quanto straordinariamente visibile nello svolgersi della festa, rimarrebbe senza aggancio con la realtà se non si trovasse anche il collegamento con il periodo storico in cui il martirio (o sacrificio...) avviene. Come possiamo pretendere di vedere una testimonianza di un periodo tanto antico, addirittura anteriore alle immigrazioni fenicie, se poi non si trova traccia dei fatti politici del tempo in cui si svolge il fatto?
A mio modo di vedere questo collegamento esiste, ed è rappresentato da un'altra fondamentale tappa del percorso del fercolo, tappa alla quale abbiamo già accennato nella prima parte: la salita di S. Giuliano. Oltre alle vestigia dell'ascesa al vulcano con relativo sacrificio umano, come visto, essa racchiude un altro ricordo. La corsa dei fedeli infervorati accompagnati dalla vara ci fa immaginare un assalto, una “presa” fatta dai cristiani (o forse dovremmo dire dai Siciliani? Ci stiamo avvicinando a qualcos'altro...) accompagnati dai loro vessilli inneggianti.
Quella salita conduce ad un quartiere “alto” di Catania: una collina di terreni solo lambiti dalle colate laviche dai quali si dominano il golfo e le zone basse della città. Oggi l'area è in gran parte coperta di chiese (dalla famosa Via dei Crociferi, alla imponente chiesa di Piazza Dante, sino al monastero dei Benedettini), ma nei tempi antichi, oltre che un'area cultuale (acropoli), pare fosse anche un'area residenziale patrizia. Il luogo cioè dove risiedevano le famiglie romane dominanti.
L'assalto di San Giuliano rievoca la rivolta finale del Popolo Siciliano contro il dominio politico e religioso romano: la più importante e decisiva di una lunga serie di rivolte iniziata all'indomani della caduta di Siracusa e continuata con le guerre “servili”.
Anche la fermata successiva della processione rientra pienamente in questo quadro. Finito l'assalto, si svolta a sinistra su Via dei Crociferi. Qui avviene un qualcosa di veramente toccante, dopo i concitanti momenti della battaglia: in prossimità del sorgere del sole [**] S. Agata viene ringraziata dalle “vestali” del convento di S. Benedetto (monache clarisse) che infrangendo la regola claustrale escono “liberate” dalla loro “prigione” nella quale vivevano preparate al “sacrificio” (allora reale, oggi allegorico).
Il mito ora svelato presenta ai nostri occhi un quadro sorprendente che mette in strettissima relazione degli eventi storici e culturali che la storiografia ufficiale pretende di mostrarci come separati e distanti. Su lati opposti troviamo due confronti paralleli e due accostamenti “culturali”. I confronti avvengono alle due principali fermate di S. Agata. A Piazza Borgo l'allegoria ci parla dello scontro religioso tra paganesimo ancestrale e cristianesimo, mentre sulla salita di S. Giuliano ritroviamo lo scontro politico tra l'impero romano e la Sicilia. Questo accostamento tra paganesimo ancestrale e impero romano a molti sembrerà ostico. Ciò è dovuto semplicemente al punto di vista che ci è stato imposto dalla “modernità”. Ma se guardiamo la cosa con ottica ellenica (cioè l'ottica dei Siciliani di 2000 anni fa, ancora pre-cristiani) non credo di dire niente di rivoluzionario affermando che per loro il sopravvento romano avesse rappresentato una regressione, e non un progresso.
Allo stesso modo si sta accostando il successo della ribellione siciliana al cristianesimo (per approfondire questo aspetto vedi il post “Eresia di Natale”).
Avrete notato che non si sta più parlando di Catania o di catanesi. Ma di Sicilia e di Siciliani. Perchè alla fin fine questo è l'evento che viene raccontato durante la festa di S.Agata, la (vittoriosa) ribellione dei Siciliani contro l'impero romano grazie alla strategia “rivelata” dal Cristo.
Forse non tutti i significati di questa “rappresentazione” sono subito chiari. S. Agata è la Sicilia, rappresenta l'intero Popolo Siciliano più di quanto rappresenti il cristianesimo in generale perchè il suo mito nasce su di un fatto storico ben preciso e ben localizzato geograficamente. E la storia delle origini palermitane della santa (vera che sia o no) non fa altro che puntare in questa direzione, al fatto cioè che la ribellione seguita al martirio rappresentata in quei giorni di febbraio non sia solo una scaramuccia locale, ma sia la ribellione di un intero popolo, quello Siciliano.
Che farne ora della classica domanda “S. Agata è esistita veramente”? Direi che la domanda è mal posta, perchè per quanto l'agiografia possa averci tramandato una santa estremamente differente dalla persona in carne ed ossa, la rapidità con cui il suo culto si diffuse non lascia dubbi. La vera domanda da porsi invece è se questa giovane destinata al sacrificio e (pare...) ribellatasi, si chiamasse veramente Agata. La risposta è sotto gli occhi di tutti, anche se nessuno la nota. La risposta è no, quella ragazza non si chiamava Agata. Il suo nome è andato perso nei meandri della storia.
E la prova risiede nella versione siciliana del nome: Aita. Quale dei due deriva dall'altro? Anche qui, la colonizzazione che ci è stata imposta ci impedisce persino di pensare che Agata, più che un nome proprio, non sia altro che la traslitterazione greca di un termine siciliano di 2000 anni fa! Ma Aita non è neanche propriamente siciliano. Come abbiamo già visto (“Repubblica etnea”) è di derivazione indoeuropea: Aita è l'Etna (Aitna) [***] .
Che l'Etna e la sua vittima possano avere lo stesso nome non deve sorprendere. Di questo genere di traslazioni di significato se ne conoscono parecchie. Tanto per citarne una, in epoca musulmana quando lo Sceicco andava in visita in un paese o in una città da lui governata, attraversava simbolicamente la porta d'ingresso a dorso d'asino, in siciliano diventato “sceccu” proprio a causa di quell'usanza.
Anche cercando indietro nel tempo le origini del nome Agata ci si ferma sempre alla Santa catanese. Pare cioè che non ci sia traccia dell'uso del nome anteriormente al martirio, quando i sicelioti modificarono un termine già esistente.
La questione del nome è fondamentale perchè se veramente Agata deriva da Aita (e non viceversa), tutto quello che si è detto sino ad ora sulle origini dei riti agatini diventa molto più plausibile. Ed è in realtà da questa idea che siamo partiti per la nostra analisi.
C'è una particolare incongruenza risultante dalle cronache agiografiche della vita di “Aita” che rafforza ulteriormente queste idee. Secondo la tradizione Agata fu martirizzata a 15 anni, mentre nei testi narrativi del martirio ci si riferisce a lei come “vergine consacrata a Dio”. Questo non era possibile per la legge cristiana secondo la quale la vergine avrebbe dovuto compiere il 18° anno di età prima di essere consacrata. Vi sono tanti altri indizi che sembrano puntare ad un'età superiore ai 18 anni. Ma l'incongruenza con la tradizione rimane.
Una spiegazione potrebbe derivare dal fatto che mentre la “Agata” storica forse avesse veramente superato i 18 anni, il mito abbia poi inglobato la figura più generale di Aita, cioè avesse visto in lei tutte le altre giovani “vergini consacrate a Dio” che l'avevano preceduta. La confusione risiederebbe quindi nell'identificazione del Dio al quale era stata dedicata la consacrazione.
Ma anche qui, altre spiegazioni ancora più sorprendenti sono possibili. E se il martirio non ci fosse mai stato? Se nella realtà il racconto del martirio non fosse altro che l'allegoria dell'omicidio rituale di quelle giovani? Una strage degli innocenti siciliana, insomma, poi raccontata camuffata per motivi politici in modo da non permettere l'identificazione di mandanti ancora troppo potenti per poter essere messi alla pubblica gogna.
L'ultima cosa da notare riguarda quella traslitterazione in greco. Essa ci conferma che i primi cristiani in Sicilia fossero di lingua greca, altrimenti Aita sarebbe rimasta Aita. Più che di rivolta dei cristiani, dovremmo allora parlare di rivolta dei sicelioti che si convertirono al cristianesimo perchè in esso videro la possibilità di riscatto.
S. Agata lontano da qui è una martire cristiana. In Patria però è qualcosa di più. E' la Sicilia stessa, la nostra storia, la nostra Jihad per la libertà.
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[*] Il mito atlantideo diventerebbe molto più accessibile e comprensibile (ed istruttivo...) se si considerasse Atlantide non più come un luogo ma come un'era: quella della religione pagana ancestrale. Atlantide era per Platone quello che per i cristiani è il paradiso terrestre. Atlantide non è una “utopia”, ma una “ucronìa”
[**] Oggi tutto ciò avviene alla piena luce del sole. Questo mutamento negli orari della processione rischia di stravolgere il significato stesso della rievocazione.
[***] Basterebbe uno piccolo studio etimologico per dirci se è possibile che il greco Agatos sia diventato Aita in siciliano.
3 commenti:
Quello che dici sulle origini del nome di Agata mi pare ben verosimile. I siciliani parlavano greco, molte parole dielettali hanno ancora un'origine greca. C'è inoltre una tendenza popolare a soprannominare le persone in relazione ad una loro qualità spiccata ed il termine greco agatòs significa "buono", "valente" e quindi la ragazza potrebbe ben essere stata soprannominata e passata alla storia così in relazione a sue particolari doti caratteriali, che tutt'ora fanno parte della sua immagine, per come si propone nell'immaginario collettivo. Lei è la buona, la coraggiosa, la valente. Quanto alla sua esistenza storica io non ritengo che essa sia del tutto improbabile, le persecuzioni contro i cristiani ci furono e furono feroci, perchè il cristianesimo contestava la logica degli schiavi, delle caste e degli uomini dei su cui si fondava la società romana giunta alla sua decadenza.Il martirio di Agata viene collocato nel corso di una persecuzione determinata e ben precisa ed è anche probabile che essa sia diventata il punto di esplosione della indignazione di un popolo. Le donne in Sicilia sono sempre state molto più importanti di quel che possa apparire, non si scordi che anche i Vespri ebbero per movente una donna.
Forse nel post non si capisce bene, ma anche per me esiste una "agata" storica. Credo solo che la sua figura sia stata inglobata nel ricordo di tutte le "Agata" che allora si sono succedute.
La mia tesi piú ardita é quella finale: la Agata storica fu probabilmente vittima di una persecuzione, ma le altre erano le vittime sacrificali dei riti praticati in certi ambienti romani.
Ho qualche traccia di questo, vedró di parlarne un altra volta.
Ciao Abate, anche io penso che Agata deriva, da Etna, sopratutto nel suo diminuitivo dialettale (Aitina, Agatina) "Aitna"
Piccola Agata.
E' interessante notare la somiglianza con Agape, che in greco significa amore(l'amore per Cristo di Agata?)
Se nel paganesimo era frequente il concetto di ribellione(ai Romani), nel cristianesimo prevalse quello di sottomissione(a Cristo).
Sul secondo punto mi vorrei più concentrare, sminuendo invece il concetto di ribellione, termine che invece ritroviamo spesso nelle pagine di storia, nelle quali, in maniera subliminale, viene rappresentata la schiavitù quasi fosse una condizione necessaria, affinchè si instauri la ribellione, per gli storici "vero gesto patriottico", che alla fine si rivela ingannevole, negando la verà libertà.
Come se peccare fosse una condizione necessaria per innescare l'atto della Grazia.
Anche in questo processo però manca una cosa fondamentale, che è il pentimento.
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