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domenica, settembre 23, 2007

L'innominato del sud

Catania città caotica. Catania città maleducata ed insolente. Catania che sempre risorge dalle sue ceneri. Catania città elegante e barocca. Catania Milano del sud? Non credo che si sarebbe potuto trovare un modo migliore per insultare una città siciliana: paragonarla ad una metropoli anonima e senza storia per di più in modo da farne venir fuori una assoluta inferiorità.

Eppure qualcosa in comune Catania con Milano se la ritrova veramente. La prima è il rapporto dei suoi abitanti con il denaro: a Milano pecunia non olet, potremmo dire memori degli scandali di tangentopoli. La seconda invece sono I Promessi Sposi.

Come tra le pagine del romanzo storico del Manzoni alcuni personaggi sembrano rifiniti a sbalzo prendendo forma con le stesse parole e riuscendo a trasformarsi in caratteri universali ed immortali, così tra il barocco della Via Etnea ed i basolati sconnessi di alcune sue traverse buie, tra i tuguri di Picanello ed i complessi residenziali sorti lungo la nera scogliera, alcune ombre prendono forma, stagliandosi nitide seppur tremolanti contro i paesaggi descritti come illuminate dalle fiammelle dei ceri della Santa.

Così fù che la Catania degli anni '80 ebbe il suo bel Don Rodrigo, che sembrava uscito paro paro dalle pagine del Manzoni, con la sua sanguigna corporeità ed i suoi bravacci sguinzagliati in ogni angolo della città a dare 'consigli' a destra e a manca.

La Catania di allora era una città terrorizzata ed ossequiosa del suo tiranno. E se la mafia, come ci dicono, è una società segreta ed incognita, niente era più reale, pervasivo e cognito della presenza di Nitto Santapaola e delle sue regole violente.

E se in altre zone della Sicilia il regno della criminalità organizzata era il regno del silenzio e dell'ordine, del “fatti i fatti tuoi e campa tranquillo”, a Catania si urlava e si travolgeva ogni regola del vivere civile. Di tanto in tanto tutti erano costretti a sentire in pieno viso le frustate di quel potere violento. Il catanese comune era un uomo da umiliare più delle bestie, forse anche a causa della sua incontrollabile e naturale tendenza all'insubordinazione.

E nessuno si ribellava veramente. D'altronde la foto di uno dei figli di Santapaola (non so se oggi morto o in carcere) fa capolino tra gli annuari della scuola più esclusiva della città. Cosa vado a denunciare, se insieme a lui vedo anche i figli di noti politici locali (oggi essi stessi al governo della città), di imprenditori, dei rappresentanti delle forze dell'ordine e dello stato?

Non che questo significhi per forza collusione, ma che educazione si dava a quei giovani che si ritrovavano quei compagni di scuola? Nella migliore delle ipotesi, gli si insegnava a stare zitti. Che tanto tutti sanno tutto. Anche lo stato (sempre minuscolo...).

Ora però che Don Rodrigo è andato, e che i catanesi continuano a vivere nel terrore di un suo ritorno, un altra manzoniana figura si è impossessata della città: l'innominato. Tanto corporeo era Don Rodrigo-Santapaola, tanto etereo è questo nuovo nume etneo. Tanto coercitivo e violento era quello, quanto suadente e vellutato è questo. Ma come per il primo, anche per questo i sudditi dell'elefante, sedotti dal lato oscuro della forza, sentono una morbosa attrazione. Mescolata a paura.

In pubblico nessuno osa criticarlo. A volte (per il si e per il no) il catanese si rifiuterà di esprimere un giudizio su di lui, non si sa mai. Se fermate qualcuno per la strada e chiedete, difficilmente otterrete una risposta, se l'intervistato pensa che questo possa arrecare fastidio all'innominato. Ed è comprensibile. Le cicatrici del regno di Santapaola sono ancora vive, e basta poco a convincere un catanese: tre dita puntate a mo di pistola sembrano un esercito. La sola vista degli strumenti di tortura fanno precipitare chi ha provato quegli aggeggi sulla propria pelle indietro nell'abisso.

Intanto i suoi tentacoli (dell'innominato, intendo) si sono allungati verso gli altri vertici dell'isola, tenendo le coscienze dei siciliani sotto controllo senza che nemmeno se ne accorgano. Cresciuto all'ombra della Catania degli anni '80, oggi ha sostituito la violenza di quegli anni nella funzione di guardiano dell'ordine costituito, nell'oppressione delle aspirazioni dei siciliani allo sviluppo ed alla civiltà. Oggi è il capo degli ascari.

Fiumi di denaro scorrono da nord verso le sue creature, tanto grossi da fare invidia ai suoi colleghi settentrionali. Difficilmente in città nasce qualcosa di concreto senza che vi sia coinvolto lui. Difficilmente in Sicilia si diffondono opinioni che non siano prima state da lui filtrate.

L'innominato etneo controlla la totalità dei giornali siciliani a larga diffusione (per intenderci, quelli di Catania, Palermo e Messina). E buona parte dei canali televisivi. Quando pochi anni fa Il Tirreno, televisione del messinese, aprì una redazione a Catania lo fece forse con l'idea di rompere questo monopolio. Oggi Rino Piccione continua a chiamarlo “quello lì”: sbeffeggiando il timore reverenziale che lo circonda a Catania chiama i catanesi alla rivolta, ma non una sola azienda avente sede alle falde del vulcano si è affidata alla sua emittente per pubblicizzare i propri prodotti.

Il meccanismo è subdolo, ma noto: fare finta di difendere l'interesse dei siciliani contro la prepotenza settentrionale mettendo però in bella evidenza certe angolature che non fanno altro che perpetuare in nel nostro popolo quel complesso di inferiorità tipico dei colonizzati. Rassicurare mentre si colpisce alla schiena.

Quando negli anni '90 il fantasma autonomista ed indipendentista si risvegliò a Catania ed in Sicilia, ecco che ti esce fuori l'associazione dei partiti sicilianisti con la mafia.

Quando da qualche parte si spara mezzo colpo di pistola, ecco che ti esce con un bel titolone su 'La mafia torna a sparare', magari corredato da una foto di Corleone che non c'entra niente con il fatto di cronaca.

Quando si parla del petrolchimico di Siracusa, eccolo pesare le parole, usando un annacquato 'guasto ambientale' invece del colposo 'danno' o, peggio, del criminoso 'disastro'.

Senza contare i nuovi canali satellitari, dove si cerca di trasmettere ai siciliani all'estero la solita immagine-cartolina di una Sicilia tutta sole, mare ed antichità, tenendoli allo scuro dei reali problemi che la loro patria attraversa.

E come negli anni ottanta i cavalieri del lavoro erano costretti a scendere a patti con Don Rodrigo, oggi imprenditori, artisti, politici e rappresentanti dello stato fanno lo stesso con l'innominato, pur sapendo da dove provengano quei 30 denari: perchè a Catania, come del resto a Milano, pecunia non olet.

Eppure tutto quello che ha accumulato è appeso a un filo, sottile ma resistente come il nylon delle reti da pesca, che lo rende schiavo di inconfessabili poteri stranieri. E come deve essere misera la vita in questi abusi. Come deve tremare dentro l'Innominato al pensiero che questo vile filo possa essere da un momento all'altro tagliato.



La Catania degli anni '80 vista oggi dal gruppo catanese/milanese dei Dining Rooms

4 commenti:

Anonimo ha detto...

FINALMENTE I VERI SICILIANI si sono risvegliati da 147 anni di sonno profondo. Il sangue del Vespro di 750 anni fa`incomincia a scorrere di nuovo. Questa volta gli nemici non sono i francesi angioini e il papa, ma gli italici del nord, i pseudo-italiani che hanno perso le loro radici e lingue storiche, il governo coloniale italiano, i partiti nazionali italiani, l’opinione pubblica italiana col cervello lavato al stile stalinista, i pseudo-siciliani colonizzati, il sistema scolastico conformista perpuatori delle menzogne anti-storiche, la stampa asservita al potere politico italico. Il nostro momento storico per la nostra riscossa come popolo Siciliano e`arrivato il 4 luglio 2007 quando il popolo Siciliano ha finalmente smaschierato l’anti-eroe ed assassino garibaldi al parlamento italiano. Lo stesso giorno dell’anti eroe garibaldi e della revoluzione Americana. Noi faremo come hanno fatto gli Americani di 231 anni fa`, rovesciando il potere coloniale che le teneva schiavi. VIVA La Sicilia Libera, VIVA il popolo Siciliano, VIVA la Nazione Siciliana, VIVA LA LINGUA SICILIANA. Avanti col nuovo Vespro Siciliano

Anonimo ha detto...

Ciao Abate,
fin dalle prime parole ho capito di chi stavi parlando.
Ma non ti preoccupare: anche se lui si sente padrone a Catania, è sempre un misero servo, in questo caso dei poteri forti del nord.

Vedrai caro Abate, che quando il vento cambierà anche lui diverrà paladino del sicilianismo con tanto di attestato "LA SICILIA"
Quel giorno ci sarà da ridere.

Anzi, già il vento sta cambiando.

Abate Vella ha detto...

Quando il vento cambierà la nave degli ascari affonderà: l'innominato è già in cerca di un nuovo padrone, ne parlerò presto spero.

Tutta la gentaglia che ci opprime in una società veramente democratica non varrebbero un fico secco: le loro capacità "imprenditoriali" sono solo frutto di decenni di tradimenti. Racimolando 30 denari oggi, 30 denari domani, a poco a poco....

Anonimo ha detto...

quando il vento cambierà, gireranno le vele in favore di vento e non ci sarà proprio niente da ridere