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giovedì, marzo 18, 2010

A secco

Il recente salone dell'automobile di Ginevra ha squarciato il velo sul futuro elettrico dell'automobile: le principali aziende mondiali sono tutte in procinto di iniziare a produrre in serie i loro silenziosi modelli a batteria.

La Sicilia, per una volta, si trova in prima linea sul fronte di questa epocale svolta tecnologica: almeno due imprese hanno già prodotto veicoli elettrici (la Effedì Automotive di Carini è stata capace di esportare il mezzo in Italia ed in Europa), mentre è proprio lungo questo futuristico sentiero che si traccia uno dei possibili sviluppi della vicenda di Termini Imerese tramite il fondo CAPE, guidato dall'imprenditore siciliano Simone Cimino e partecipato dalla regione al 49%, che insieme all'indiana Reva spera di portare la produzione di massa di mezzi ecologici in Sicilia.

Riscaldamento globale o no, il percorso apparentemente tracciato a Ginevra dalle multinazionali dell'auto è nella realtà un percorso obbligato dovuto all'avvicinarsi di un evento ineluttabile: la fine del petrolio a basso costo.
Come enfatizzato dagli scienziati russi (e non solo) più e più volte negli ultimi anni, “l'età del 'petrolio facile' è finita ed i produttori dovrebbero essere pronti per una nuova era di esplorazione ad alta tecnologia” (“Crude search pushes new scientific frontiers”, RussiaToday, 9 marzo 2010).

Alta tecnologia che, nel caso del mondo petrolifero, vuol dire alti costi estrattivi (e politici) che si traducono in altissimi costi alla pompa di benzina.

Attenzione che qui non si sta alludendo al famoso “picco” della produzione petrolifera dovuto alla mancanza della materia prima, ma ad un picco conseguenza di quel costo estrattivo e politico che gioco forza limiterà l'utilizzo del greggio nella vita di tutti i giorni, indipendentemente dalla quantità totale di risorse ancora presenti nel sottosuolo.

Quando parliamo di petrolio facile o a basso costo, ci riferiamo prevalentemente alla penisola arabica ed ai giacimenti di una nazione ben precisa: l'Arabia Saudita.

In corrispondenza dei giganteschi campi petroliferi disseminati lungo la costa del golfo persico basta scavare un buco di poche centinaia di metri per produrre il cosiddetto oro nero. O forse dovremmo dire... “bastava”?

Nel 2005 negli Stati Uniti è uscito un libro a firma di Matthew E. Simmons, dirigente di una banca d'investimento di Houston, dal titolo “Twilight in the desert”, cioè “Penombra nel deserto”. In esso l'autore sostiene, dati scientifici alla mano, che questi giganteschi serbatoi di energia liquida siano in realtà prossimi all'esaurimento e che malgrado gli enormi sforzi che la Saudi Aramco (l'azienda di stato saudita) ha profuso nella ricerca, dei rimpiazzi non siano ancora stati individuati. La riserve dichiarate dalla Saudi Aramco sarebbero state gonfiate per motivi politici ed economici: se l'azienda dovesse dichiarare quella che secondo Simmons è la vera verità, non solo il regno saudita collasserebbe, ma l'intero sistema economico mondiale finirebbe nel panico.

Il 9 gennaio 2004 la Shell ha ammesso tramite l'AD, Sir Steven Watts, di aver gonfiato le sue riserve di circa il 20%. Stiamo parlando di circa 4 miliardi di barili. Se lo ha fatto la Shell, che essendo una azienda quotata in borsa è sottoposta a determinati controlli, cosa dovrebbe trattenere i sauditi dal fare lo stesso visto l'immensa posta politica in palio?

Ora però le crepe di vedono: l'Arabia Saudita, che ha sempre sostenuto di poter raddoppiare la propria produzione in brevissimo tempo, si trova a dover fronteggiare nelle sue città pesanti black-out dovuti alla mancanza di energia elettrica (“Hurdles for Saudi power plans”, The National 4 marzo 2010). Il governo puntava sul gas per soddisfare l'aumento della domanda, ma le tanto decantate riserve potenziali di gas non si sono poi materializzate (“La Saudi Aramco sperava di trovare significative nuove riserve [di gas, ndr] nel Rub al Khali [il quarto vuoto, l'area più inaccessibile del deserto arabico, ndr] nel sud del paese, ma ha poco da mostrare per i suoi sforzi dopo quasi sei anni di perforazioni insieme ai partner stranieri”), tanto che secondo un rapporto dalla JP Morgan Chase, una banca d'investimento, “Con le incertezze sulla crescita del gas nei prossimi anni ed una politica di stato secondo la quale il settore petrolchimico ha priorità assoluta per le forniture di gas, almeno per i prossimi tre anni sembra che la generazione di energia nel regno richiederà un impiego di petrolio sempre maggiore

Ma se veramente le riserve petrolifere saudite sono “inesauribili”, perchè preoccuparsi tanto per la mancanza di gas? Il fatto è che “Bruciare petrolio per generare elettricità significa più inquinamento, richiede investimenti maggiori nella tecnologia degli impianti di produzione e riduce le esportazione del paese”, che è come dire che il petrolio bruciato in casa non può essere rimpiazzato con un incremento di produzione perchè manca la materia prima [*].

Le conclusioni di Simmons incombono lungo un orizzonte sempre più concreto e vicino.

Un altro eclatante avvenimento che ha stranamente schivato i riflettori che gli competevano, è stato la pesante discrepanza di due rapporti sul futuro del petrolio presentati un paio di settimane fa dall'OPEC e dall'agenzia internazionale per l'energia (IEA), ente che rappresenta gli interessi dei paesi importatori (“Experts argue the toss over the future of oil”, The National 14 marzo 2010)

Le stime relative alla domanda ed al prezzo del petrolio differiscono diametralmente e non nella solita direzione, quella cioè che vedrebbe i produttori prevedere bisogni sempre crescenti ed i consumatori bisogni sempre decrescenti. Oggi le stime vedono i consumatori richiedere molto più petrolio di quanto i produttori siano disposti ad offrirne, una differenza di circa il 10% che dovrebbe essere indicativa dei genere di prezzi a venire. Un altro elemento che insieme ai black-out sauditi rendono le precoci previsioni di Osama Bin Laden sempre più accurate.

Prezzi che renderanno il trasporto privato di massa assolutamente improponibile, allo stesso modo del trasporto aereo, per il quale l'uso di bio-carburanti alternativi non potrà mai sostituire l'impiego del petrolio a meno di non lasciar morire di fame una buona fetta della popolazione mondiale (si veda il post “Grano rosso sangue”).

Eliminato il petrolio, l'energia di cui il nostro insostenibile stile di vita abbisogna dovrà necessariamente prendere la forma di energia elettrica, una forma molto meno flessibile della benzina. Pensate a quello che succede oggi in tutto il mondo quando si rimane a corto di energia: basta recarsi da un distributore con una bottiglia di plastica. Ma quando rimarremo a corto di energia elettrica o di gas, come faremo?

Altri due importanti segnali spingono a guardare in questa direzione. Il primo è la decisione di quasi tutte le aziende occidentali di tagliare drasticamente il potenziale di raffinazione a disposizione.

Negli Stati Uniti la conferma di questa tendenza è arrivata pochi giorni fa ed anche in questo caso vengono prospettati rialzi nel costo dei carburanti:

Alcuni delle maggiore compagnie petrolifere della nazione stanno pensando di ridurre permanentemente la quantità di gasolio e diesel prodotto, una mossa che secondo gli analisti innescherà certamente prezzi più alti per gli automobilisti (...) Gli esperti nel campo dell'energia sostengono che i tagli nella raffinazione sono già iniziati e subiranno una accelerazione mentre le aziende lottano per i profitti” (“Oil companies look at permanent refinery cutbacks” Los Angeles Times 11 marzo 2010)

A livello locale notizie come queste sembrano legate esclusivamente all'ingordigia delle imprese, ma sappiamo benissimo che anche in Sicilia si prospetta un drastica diminuzione della capacità di raffinazione:

Ci sono reali probabilità di cambiamenti nell’assetto del settore della raffinazione nel nostro paese dal momento che “alcune raffinerie - commentano dell’Up - dovranno chiudere con conseguenze sul piano sociale per nulla tranquillizzanti”. Tra i siti segnalati come passibili di chiusura ci sono Livorno e Pantano in cerca di compratori; Falconara che ha 92 esuberi e Taranto e Gela che stanno subendo fermate provvisorie.” (“Petrolio, giù la produzione occorre la dismissione dei siti” Quotidiano di Sicilia 5 febbraio 2010)

Siamo in presenza di una tendenza globale: anche se in alcune aree del mondo (specialmente in Asia) il consumo di carburante liquido è destinato a salire, a livello globale assisteremo ad una contrazione. Facendo i conti è chiaro che saremo noi (insieme a tutto l'occidente) a vedere la più drastica riduzione nei consumi (fortunatamente).

Il secondo segnale viene dalle folli spese che la Cina ha destinato alla realizzazione di un sistema ferroviario ad alta velocità pan-asiatico progettato anche per la spedizione di merci che renderebbe l'aereo obsoleto [**]: una spesa immensa che il costo irrisorio del trasporto aereo oggi fa apparire folle, ma che inserita nel contesto delineato sopra appare come l'unica soluzione possibile.

Senza più la macchina per andare a fare la spesa e con i treni nelle condizioni che sappiamo, per i Siciliani rimasti a secco l'unica soluzione possibile sarà quella di tornare a fare quello che sappiamo fare meglio: zappare.

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[*] Da notare che le quote OPEC sono riferite ai barili posti sul mercato internazionale. Quelli consumati sul mercato interno per la produzione di energia elettrica tecnicamente non sono da considerarsi parte di quella quota e di per sé non limiterebbero le esportazioni.

[**] Si veda a questo proposito “Cina: Treno dell’Armonia, il soft power viaggia ad alta velocità”, Limes 12 marzo 2010

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