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venerdì, novembre 27, 2009

Un tacchino indigesto

Il 25 novembre 2009 sarà ricordato come una data storica nei nostri libri di storia. A termine di un discorso riguardante la situazione economica generale, il governo di Dubai ha annunciato che ritarderà il pagamento di una rata del debito di una delle principali aziende pubbliche dell'emirato, Dubai World.

La bomba è stata sganciata alla vigilia di una importante festività musulmana, motivo per cui le borse del medio-oriente sarebbero rimaste chiuse sino alla prossima settimama. Nel frattempo anche a New York le contrattazioni si sono interrotte per il giorno del ringraziamento (26 novembre). In altre parole, il tacchino a Wall Street quest'anno andrà di traverso a tutti.

E le ricorrenze non si fermano qui, perchè tra un altro paio di giorni negli Emirati Arabi sarà l'anniversario della fondazione della nazione (3 dicembre). Ma al contrario di come strillano i giornali da noi, che parlano di un collasso dello staterello, non è detto che i datteri vadano di traverso ai pii musulmani.
Qualche interessante particolare è stato aggiunto oggi:

Un ufficiale finanziario di Dubai di alto livello ha detto che l'emirato si aspettava pienamente la ricaduta a causa dei suoi problemi di debito ed ha assicurato i creditori stranieri che la richiesta di Dubai World di posporre il pagamento su una parte dei 60 miliardi di dollari è stata “attentamente pianificata” (Associated Press, 27 novembre 2009)

Un piano ben preciso quello di darsi la zappa sui piedi a pochi giorni da una ricorrenza tanto importante?

Nessuno si aspettava una tale svolta tra i grattacieli del DIFC (il centro finanziario di Dubai) o tra quelli delle borse di New York, Londra o Tokyo. Si era sempre stati sicuri che i ricchissimi vicini di Abu Dhabi avrebbero turato tutte le falle aperte dalle cicale della famiglia Al Maktoum (i regnanti di Dubai). Fino a l'altro ieri.

Il Financial Times, pieno di rancore, oggi se ne è venuto fuori con titoli minacciosi (“L'emirato pagherà caro per un lungo tempo a venire” il titolo sulla carta stampata per questo articolo, 27 novembre) ed ammettendo tra le righe si essere stato fatto fesso:

Che sia forse questo il modo di Abu Dhabi di vendicarsi di Dubai per gli eccessi degli anni del boom? Ne dubito. La rivalità tra i due emirati è meno importante delle implicazioni della caduta di Dubai. Il costo per assicurare il debito di Abu Dhabi è aumentato a seguito dell'annuncio di Dubai.

Il che vuol dire che proprio lo sceicco di Abu Dhabi, malgrado avesse con sè i soldi per pagare, deve aver favorito la decisione secondo una precisa strategia ed al culmine di un cammino che lo ha portato ad allontanarsi sempre di più dall'occidente, dopo secoli di oppressione inglese (gli EAU erano un protettorato inglese sino agli anni 70).

La vendita delle azioni della Barclays Bank, la banca dei Rockfeller, che ha quasi messo sul lastrico la potente istituzione finanziaria, il rifiuto ad accettare una moneta unica sul modello europeo imposta dagli anglosassoni a tutta la penisola arabica (se ne era già uscito l'Oman, si veda il post “Alla conquista della sovranitá”), l'accordo nucleare con i francesi ed il viaggio dello sceicco di Dubai a Mosca nell'aprile scorso, non possono lasciare spazio a fraintendimenti politici.

Ora la ribellione ha toccato l'apice, e gli arabi si rifiutano di pagare un debito loro imposto con la forza dalle elite finanziarie occidentali. Una minaccia che altri avevano ventilato, dall'Islanda, alla Grecia, all'Ungheria, ma che ad Abu Dhabi sono i primi ad attuare.

I contorni politici della vicenda sono ancora più eclatanti. Se decido di non pagare il mio estortore, vuol dire che me lo posso permettere, che ho la forza per fronteggiare le sue ritorsioni. In altre parole, l'impero è crollato e la grande ritirata è iniziata. Non è solo Dubai che non pagherà il suo debito. Presto tutti gli altri verranno a ruota a calpestare il cadavere puzzolente del mostro ed a spezzare le catene. Siamo liberi.

Le pezze messe a nascondere quello che oramai è sempre più evidente non bastano più. Gli Usa sono in piena ritirata dall'Iraq e presto lo saranno anche dall'Afghanistan.

L'Economist riferisce di un incontro segreto, smentito dalle autorità americane, tra le due più alte cariche statunitensi in Iraq (il generale Raymond Odierno e l'ambasciatore Christopher Hill) ed il generale iraniano Qassem Suleimani, il responsabile di tutte le azioni di contrasto alle aggressioni militari USA contro la repubblica islamica.

L'argomento di discussione, sempre secondo quanto riferito dal settimanale inglese, è clamoroso (“A regional cockpit”, 21 novembre 2009):

“Gli americano vogliono un un'uscita sicura, senza razzi di provenieza iraniana o bombe ai ai lati delle strade ad aiutarli a fare prima”

In pratica, gli americani avrebbero chiesto di non essere umiliati nella ritirata.

Anche la dissolvenza della minaccia infinita Bin laden e la sua rimaterializzazione nel reo confesso già in mano americana e prossimo al processo KSM (Khaled Sheik Mohammad) di cui abbiamo già discusso (si veda il post “Corso di fotografia”), sembra usare lo stesso linguaggio.

L'amministrazione di Washington deve giustificare all'elettore americano la ritirata dichiarando vittoria nella “guerra al terrore”. Processato il responsabile di tutti i mali, non vi è alcun motivo di continuare a spendere soldi (e vite umane) in Asia Centrale.

Il Mediterraneo dovrebbe seguire a ruota. Le increspature della decisione presa ad Abu Dhabi sembrano averci già raggiunto:

È stata revocata dall'amministrazione comunale di Niscemi, nel Nisseno, l'autorizzazione all'installazione del sistema di un'antenna per la telecomunicazione satellitare della marina militare americana al servizio della base di contrada Ulmo che sarebbe dovuta sorgere alla periferia del centro abitato.

Ansa di oggi, 27 novembre 2009.

13 commenti:

zetan ha detto...

Certo che quella del debito è una ciambella con un buco macroscopico, che continuano ad agitare i burattini manovrati dai banchieri in modo patetico.

Il debito è presente in ogni paese in virtù del principio del signoraggio, con l’aggiunta dell’interesse sul prestito erogato che le banche, in regime di monopolio, esercitano sugli stati fantoccio, stampando la carta straccia che chiamano moneta.

Di fatto è impossibile estinguere il passivo proprio perché l’ammontare del debito mondiale supera, e di molto, la stessa moneta stampata oggi circolante.

Dunque bisogna ritornare, e al più presto, verso la auto determinazione monetaria delle varie realtà locali, quindi disattendere quanto dovuto ai depravati da solo non è sufficiente, anche se riconosco che è il primo passo. Tuttavia deve essere propedeutico al secondo e cioè quello appunto della auto determinazione monetaria dei popoli.

Se così non sarà l’entità, di cui spesso parliamo, continuerebbe imperterrita a saccheggiare ovunque.

Per tornare a casa nostra il nostro statuto ci permette di stampare moneta e dunque ritengo che si potrebbe iniziare a raccogliere le firme, mi pare ne necessitano 15000, per avviare un processo di questo tipo.

Perché non cominciare a veicolare tale possibilità mettendola in risalto mediante i nostri canali e cominciare a preparare il terreno per la semina?

Anonimo ha detto...

mi sa tanto che vado a vivere in sicilia...

rrusariu ha detto...

Vulemu u tarì e li unzi r'oru!

Dovremo dare un'encomio all'amministrazione di Niscemi per aver annullato la precedente delibera a favore del Muos!

Io penso che le ultime posizioni politiche del Presidente Siciliano siano d'attesa che cada l'ultimo pascià di Bush che ultimamente sembra essere passato ad est.
Ma il mio timore è che ci sia una strana convergenza tra chi oggi spiffera l'insana relazione tra chi accusa e l'accusato per ritornare al potere in Sicilia almeno.
Non vogliamo essere una colonia "indipendente" e "telecomandata".

Sulu Sicilianu, nenti talianu!

Peppinnappa ha detto...

L'idea di una raccolta di firme per il ritorno al pubblico del potere di battere moneta mi piace veramente molto. Si tratta di sollevare dal basso la vera ed unica questione politica che oggi muove il mondo. Zetan, complimenti per l'idea, se riuscissimo ad organizzarci in termini pratici, anche se non ne ottenessimo nulla, potremmo farne vedere della belle in ogni caso. All'abate, che ne ha tutti i titoli ed ha certamente la possibilità di rintracciarci tutti anche per e.mail, il compito di meditare e se ritiene la cosa realistica, di coordinatore. Buona domenica a tutti.

zetan ha detto...

Peppinnappa
non è una mia idea ho solo constatato la fattibilità formale di tale ipotesi in occasione di un incontro dibattito a cui ho partecipato, anche se era da tanto che ci giravo attorno alla questione.

Comunque ci sono altre associazioni interessati alla tematica, una di queste è primit http://www.primit.it/
che ha quale scopo la realizzazione di una autentica autonomia monetaria. Sostengono che un progetto di tale portata potrebbe avere avvio dalla nostra terra grazie allo statuto.

Sono anche molto sensibili alle tematiche indipendentiste, anche se il titolo, programma per la riforma monetaria italiana, potrebbe far storcere il naso a molti di noi, tuttavia ho avuto modo di valutare che ci sono le condizioni per una fruttuosa collaborazione, qualora ritenessimo di affrontare attivamente questa tematica.

rrusariu ha detto...

Picciotti cerchiamo di essere onesti, per battere moneta dobbiamo essere indipendenti, puo' darsi che se si riesce a "convertire" i ns. eponimi a Palazzu Riali m-Palermu s'arrinesci a kanciari o fari una liggi che possiamo battere moneta come adesso in qualche modo fa la Scozia.

Una idea in merito :
http://www.laltrasicilia.org/modules.php?name=News&file=article&sid=1084

http://www.laltrasicilia.org/modules.php?name=News&file=article&sid=311

Comunque il nostro tarì non sfigurerebbe in un mediterraneo dove la Sicilia sarebbe terra di scambio dove i mastini di francoforte o le pecore della city avrebbero potere.
Non permetteremo a chi batte sulla tastiera di spostare cifre enormi.

Poi penso che gli Emirates si siano stancati di fare da cassa continua per l'Arabia Saudita, ben sapendo che la stessa monarchia sarebbe in forse...

Perciò una scossa a chi fa affari vendendo e rivendendo su un prestito obbligazionario emesso solo per finanziare certi lavori sia anche un buon viatico a scrollare quelle croste di letame vendute come oro luccicante!

rrusariu ha detto...

Errata corrige:

"terra di scambio dove i mastini di francoforte o le pecore della city avrebbero potere."

da leggersi:

terra di scambio dove i mastini di francoforte o le pecore della city "non" avrebbero potere.

zetan ha detto...

Rrusariu è chiaro che l'indipendenza potrebbe avere in dote questa opportunità, ma potrebbe anche non averla.

Paradossalmente spingere sul tosto della moneta che lo statuto ci permette già di stampare, risulterebbe persino più rivoluzionario.

Difatti un banchiere molto noto affermava: che mi lascino stampare moneta e poi che governi pure chi vuole.

Personalmente caro Rrusariu la rietengo una porta di accesso, e guarda che che non è una porta secondaria.

Avviare un dibattito serio in un momento come questo potrebbe essere una grande opportunità.

rrusariu ha detto...

Ma dobbiamo cominciare ad avere banche nostre!

Non lasciare che i nostri soldi siano investiti altrove con il falso miraggio di investimenti redditizi.
Una nazione si arricchisce se quello che produce viene reinvestito per migliorare la vita del proprio popolo!
Così fece Ruggero II!

zetan ha detto...

Rrusariu se no hai la tua moneta quello che dici è irrealizzabile.

Mi dispiace essere così brutale ma, da una parte il signoraggio dall'altra la riserva frazionata non lascia spazio a margini per la ricchezza di nessuno oltre i banchieri che sono al vertice della piramide.

Ribadisco partire dalla moneta sarebbe di maggiore garanzia rispetto persino ad una effimera indipendenza dall'Italia ma pienamente sottomessi alla bilderberg.

Ho scritto in precedenza che i debiti contratti con le banche dagli stati o dai privati superano di moltissimo la moneta circolante, da ciò ne deriva che il debito è inestinguibile, altro che libertà di popoli.

Questo almeno è il mio punto di vista.

rrusariu ha detto...

Zetan, ti faccio un esempio:
A Risalaimi facciamo una banca popolare che sia.
La gente del posto ci mette i risparmi e ci fa arrivare le pensioni e gli stipendi, paga le bollette e tutto quanto.
Poi ci faccio un progetto, questo progetto non lo finanzio con le banconote BCE, quelle le tengo in cassaforte. Si fanno una serie di attività di pubblicità utilità che deve portare beneficio a tutti!
Chiaramenti certi materiali dovrò "importarli" dall'esterno della comunità, e dovrò tirare fuori dalla banca le banconote euro per pagare i fornitori.
A progetto realizzati, tutta la comunità ha realizzato un beneficio concreto usufruibile da tutti e coloro che hanno contribuito con il proprio lavoro vengono ripagati con una moneta "franca", diciamo un tarì. Chiaramente l'esborso degli euro per i fornitori verrà ripagato con l'utilizzo progetto, e in definitiva tutto si ripaga e la comunità non ha creato debito.
Man mano che passa il tempo si crea una massa critica di moneta franca, che sarà necessario monetizzare, ed all'interno della comunità sarà usato per pagarsi i servizi. La cosa senz'altro si allarga, ma la comunità non ha nessun debito con le banche, perchè a quel punto la mia moneta franca ha il valore della ricchezza della mia comunità!
Questo ai banchieri fa paura!
Ma è possibile realizzarlo secondo me in Sicilia, perchè abbiamo le risorse primarie per farlo!

Anonimo ha detto...

Senza commento...

http://www.laltrasicilia.org/modules.php?name=News&file=article&sid=1324

zetan ha detto...

Grazie anonimo del suggerimento, poiché questo approfondimento de L'Altra Sicilia mi era sfuggito.

Tuttavia, come emerge dai precedenti post, condivido la tesi che l'autonomia monetaria sarebbe molto più indipendentista dell'indipendenza politica da Roma, in un contesto però di equivalenza tra valore nominale e valore reale della moneta e con un tessuto bancario che ripudia l'erogazione del credito secondo il principio della riserva frazionata.

Il difficile è proprio trasformare gli istituti di credito istituti di deposito. In una realtà dove la moneta è stampata e controllata dallo stato.

Il quale avrebbe il difficile compito di valutare quando alimentare o sottrarre i flussi di denaro sul territorio e, questo su base di principi di crescita o di regressione di adeguati parametri socio economici oggi indegnamente rappresentati dal pil.