Siciliani, tutti devoti tutti (Prima parte)
Agli inizi di febbraio nelle televisioni locali si ripete puntualmente lo stesso teatrino. Un'ospite palermitano, in studio o in collegamento, si diverte a stuzzicare l'orgoglio dei catanesi suggerendo che S. Agata, la patrona di Catania, con ogni probabilità fosse originaria del capoluogo.
E così, tra interventi di studiosi e uomini di chiesa che immancabilmente concludono il discorso eliminando ogni dubbio circa le origini etnee della Santa, veniamo introdotti ai festeggiamenti culmine del 5 sera ed alla lunga notte dei fuochi di Piazza Borgo.
Un semplice siparietto goliardico, o dietro questa “lotta” per le origini della Santa c'è qualcosa dal significato più profondo?
Il cristianesimo sovrapponendosi ai credi precedenti non ha mai cancellato completamente il passato. Lo ha reinterpretato alla luce delle dottrine rivelate. Ha giustificato quei riti pre-cristiani come “premonizioni” della vera presenza divina in tradizioni e manifestazioni antiche di millenni. Una evoluzione più che una radicale sostituzione.
In Sicilia poi assume una rilevanza notevole il passaggio dall'ellenismo al cristianesimo, passaggio tutt'oggi visibile in ogni angolo dell'isola. A Siracusa ad esempio esso è testimoniato dall'unicità architettonica del Duomo, impiantato sul tempio preesistente ancora interamente visibile tra le mura della cattedrale: un connubio architettonico che indica una condivisa consequenzialità più che trauma o conflitto, come più spesso suggerito.
Lo stesso genere di consequenzialità è rintracciabile nelle festività dei patroni tipiche di ogni città, paese o frazione siciliani. E la più interessante di tutte a questo proposito è quella che ogni febbraio si svolge nel capoluogo etneo e dedicata al culto di S. Agata, cristiana ventenne che nel 251 d.c. subì il martirio per mano del console romano Quinziano, una ricorrenza che prosegue ininterrotta sin dall'anno dopo la sua morte quando, secondo la tradizione, una sua reliquia (il velo) bloccò la lava alle porte di Catania, salvando la città dalla distruzione.
Altri commentatori hanno interpretato i riti agatini come una semplice mascheratura delle celebrazioni in onore della dea Iside con una spruzzatina di “cristianità” appena appena accennata. In effetti il culto lunare di Iside [*] era un tempo estremamente diffuso nel Mediterraneo meridionale ed alcuni elementi presenti in questi riti e riconducibili alla dea egiziana testimoniano la presenza del culto in periodi pre-ellenici: dalla vara (fercolo) sulla quale il busto reliquiario viene trasportato, all'abito bianco dei devoti, ai ceri accesi.
D'altra parte lo svolgimento delle processioni della vara agatina risulta avere diversi punti di contatto con quelle di molti altri santi venerati in Sicilia, il che permette sicuramente di pensare che dietro questa somiglianza vi sia un rito ancestrale comune.
Tra S. Agata e gli altri portati ad esempio di testimonianza di un estinto culto lunare vi è però una fondamentale differenza. Mentre nei luoghi di mare, quali ad esempio Marzamemi (S. Francesco di Paola) o anche la frazione acese di Pozzillo (S. Margherita), lo sbocco finale delle processioni è l'elemento marino, così importante per l'economia di quelle comunità, nel caso di Catania il fulcro, l'apice di tutto, è la sosta in Piazza Borgo la sera del 5 febbraio, fino a pochi decenni fa corrispondente alla porta d'uscita della città in direzione dell'Etna. Gli elementi marino, la “stella maris”, e quello lunare (in effetti strettamente connessi) sono quasi completamente assenti, mentre risulta chiaro un forte legame con l'Etna, nel senso di fenomeno naturale, manifestazione della madre natura ed in seguito espressione degli dei inferi.
Proviamo ora a rileggere il percorso del fercolo ed i misteri agatini del 5 febbraio alla luce del loro rapporto con il vulcano.
Nel pomeriggio, verso le diciotto, ha inizio il giro interno della città. Il fercolo con sopra il busto della Santa uscito dalla cattedrale di Piazza Duomo (dove era rimasto custodito tutto l'anno) devia subito in direzione della montagna e, tirato tramite lunghi cordoni dai devoti, imbocca la via Etnea che percorre fino al Giardino Bellini, deviando poi in via Caronda sino ad arrivare in piazza Cavour (piazza Borgo) dove, davanti alla Chiesa di Sant'Agata al Borgo, ha luogo uno spettacolo pirotecnico.
Fuori dall'allegoria, la vergine fanciulla esce dal tempio (dove la giovane prescelta viene “preparata” durante l'anno) e accompagnata dai fedeli in trance mistica viene condotta sino alla porta della città che si apre in direzione dell'Etna, nella notte dei tempi fulcro mediterraneo dei culti infernali.
Vi prego di non sorridere. Ma questa scena, oltre che per le strade cittadine, l'abbiamo vista tutti in un famosissimo film che ha fatto la storia del cinema: King Kong. Nel film la fanciulla veniva offerta in sacrificio alla feroce divinità (anche qui rappresentante la madre natura) per placarne la collera.
Notate che coincidenza la forma dell'isola di Kong a 0:46 nel video. E fermando l'immagine vedrete anche la penisola in basso:
La prima parte della processione rappresenta dunque simbolicamente le vestigia di un passato in cui il popolo, spaventato dall'ira del vulcano, doveva ogni anno sacrificare ad esso una o più belle fanciulle, forse provenienti da diverse nazioni. Un passato doloroso di sottomissione, se il mito del labirinto cretese può servire da paragone.
Una volta arrivati alle porte del paese, queste venivano aperte ed all'improvviso madre natura appariva in tutto il suo terribile splendore. I cittadini festanti, dopo avere accompagnato con i sacerdoti la vittima sin lì, la salutavano mentre ella usciva in direzione del vulcano accompagnata dagli stessi sacerdoti (ricordiamo che l'arcivescovo di Catania trova posto sulla “vara” accanto alla santa) che l'avrebbero condotta lungo la salita sino al cratere centrale – o sino ad un luogo sacro rappresentante quel cratere – dove sarebbe avvenuto il sacrificio [**].
Rituali come questo erano comuni in quasi tutti i popoli della terra. Tra gli antichi Inca ne troviamo uno praticamente identico a questo. Ecco come lo descrivono gli “specialisti” in sacrifici umani del National Geographic commentando la foto di alcuni oggetti appartenuti ad una vittima:
Tre figurine decorate con piume colorate ed indumenti tessuti a maglia sono stati trovati vicino ai corpi di La Doncella e di altre due vittime in cima ad un vulcano andino.
I tre bambini Inca furono lasciati morire assiderati come sacrificio agli dei, diceva l'antropologo Johan Reinhard.
“Non sono stati sacrificati per nutrire gli dei” ha raccontato Reinhard al notiziario del National Geographic nel 2005. “Essi furono sacrificati per entrare nel regno degli dei. Era considerato un grande onore [sic!].
“Questi bambini non sono stati sacrificati nel senso che pensiamo: essi andarono a vivere in paradiso con gli Dei... era una transizione verso una vita migliore, qualcosa che quei bambini erano enormemente onorati (di avere)”
Come vedete il tipo ci crede veramente. Inchinatevi davanti alla copertina del mistico giornale quando lo vedete in edicola.
Ecco come al National Geographic vorrebbero fare la festa a S. Agata
In Sicilia esiste un altro importante mito che indica la presenza alle falde dell'Etna del culto descritto e che confermerebbe la pratica del sacrificio umano alla terribile madre natura o al terribile dio degli inferi. Secondo una leggenda il filosofo agrigentino Empedocle si sarebbe gettato nel vulcano per fare credere con la sua sparizione di essere stato assunto tra gli Dei, lo stesso destino che si credeva attendesse le fanciulle designate. La filosofia di Empedocle presentava forti influssi derivanti dalla setta dei pitagorici, una setta perseguitata proprio per le sue credenze “reazionarie”, di derivazione gnostica e pagano-arcaica. Che questa fine sia stata appioppata proprio a lui non sembra dunque casuale, e potrebbe indicare la presenza in Sicilia di residui religiosi ancestrali in periodo greco ed ellenico ricollegabili al culto cruento dell'Etna.
Catania era il luogo dove in origine si celebrava l'ancestrale culto dell'Etna, mostro minotaurico a cui andavano sacrificate le più belle fanciulle. Questo culto in seguito fu soppiantato da quello della Iside lunare e poi da quello di Aton, dio solare. Questa successione è testimoniata da alcune caratteristiche del rito celebrativo agatino e dai nomi sia della santa che della città.
Sotto l'influenza ellenica, questi culti furono soppiantati da quello di Ade (figlio di Crono, da esso stesso ucciso) ed in periodo romano da Plutone (un ritorno al culto originario), fino a quando una delle vergini designate al sacrificio non sconfisse gli inferi donando la libertà ai suoi conterranei.
Nella seconda parte vedremo il significato del nome della Santa e di quello della città a lei devota. E decifrando questi nomi saremo capaci di capire chi è realmente Agata e come fece a vincere questa battaglia. Ed infine sveleremo cosa c'entra Palermo in tutto questo.
(fine I parte)
[*] Il culto della luna in Egitto ebbe origini antichissime: Iside appare negli scritti sin dal 3000 a.c. IN origine Iside rappresentava la Madre Natura e solo in seguito divenne dea lunare e la sua natura assunse il duplice aspetto di creatrice madre e nutrice di tutti ma anche di potenza distruttrice. Il dualismo venne a volte rappresentato da un volto metà bianco e metà nero. Altre volte era rappresentata come una dea nera, cosa che a questo punto i Siciliani potranno ricollegare con la Madonna di Tindari che ricordiamo si dice proveniente dal mare: “stella maris”.
[**] All'interno della festa esiste anche un tratto del percorso che ricorda questa ascesa. Si tratta della pericolosissima salita di S. Giuliano, la tappa del viaggio della Santa successiva alla fermata di Piazza Borgo. Ad essa sono connessi anche numerosi sacrifici umani mascherati, dovuti agli incidenti che si susseguono in quel tratto del percorso. La differenza con i sacrifici ancestrali è che non avendo più l'uomo il potere di decidere della vita o della morte dei propri simili, il sacrificio viene ora compiuto per “atto di Dio”. Ogni singolo “devoto” è pronto a morire nella trance mistica di devozione. Non mi riferisco a secoli passati. L'ultimo “sacrificio” risale al 2004. Ecco le parole della moglie dopo la morte di Roberto Calì, devoto scivolato durante la salita e schiacciato dalla ressa (una volta iniziata la salita è impossibile fermarsi, o i morti si conterebbero a decine. Se qualcuno cade gli altri non possono fare altro che passargli di sopra): "Sant’Agata ti ha riservato un posto speciale accanto a Lei. E Francesco (uno dei due figli) si metterà il sacco e sarà lì, anno dopo anno, ad onorare la Santa come facevi tu". Parole che io, da catanese, condivido.
Risorse collegate:
YouTube: I fuochi del 3 febbraio
YouTube: La salita di via S. Giuliano
Post precedenti sullo stesso argomento:
Repubblica Etnea
Agire secondo coscienza
Figli di (Terza parte)
Eresia di Natale
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