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mercoledì, febbraio 04, 2009

La striscia di Lampedusa

Mentre Putin ed il primo ministro ucraino Julia Timoschenko convolavano a giuste nozze (come subliminalmente suggerito dalla fotografia diramata dall'Economist a corredo della notizia sulla fine della crisi del gas), ai soldati israeliani veniva impartito l'ordine di ritirata. La coincidenza dei due eventi era stata già notata, anche per gli strani prolungamenti della crisi europea (gas sì, gas no) che hanno allungato il brodo sino alla diramazione dell'ordine di cui sopra. Ma inquadrandola in un quadro politico più generale il puzzle comincerà a comporsi in modo molto più netto.

Il coinvolgimento della Russia è stato implicitamente suggerito da una fonte molto particolare. Thierry Meyssan, giornalista ed attivista politico francese, è uno dei più famosi “cospirazionisti” in circolazione, con i suoi libri sull'11 settembre. Come per molti altri cospirazionisti, la sua fama è sospetta. Egli fa anche parte del Partito Radicale europeo ed addirittura nel 2002 ha preso il posto della Bonino nel coordinamento anti-proibizionista dei radicali, battendosi per la liberalizzazione delle droghe: insomma un “cospirazionista” sin troppo fermamente inserito in un certo sistema.

Nel citare queste fonti bisogna quindi fare attenzione, in quanto la loro specialità è quella di inserire tra le molte verità una qualche pillola avvelenata da fare ingoiare a tutti inavvertitamente.

Un suo interessante articolo sui fatti di Gaza, tradotto in italiano dallo storico catanese Alessandro Lattanzio, è un classico esempio di tutto ciò. Il titolo (“La guerra israeliana è stata finanziata dall'Arabia Saudita”) è di per sé un capolavoro di disinformazione che, dimenticando di inserire un “anche” dopo il “finanziata”, distorce la realtà assolvendo il democratico occidente e dipingendoci un malefico Israele libero di agire per i fatti suoi.

Nonostante questo, una frase all'interno del pezzo attira la nostra attenzione:

Il Consiglio nazionale di sicurezza [Usa, ndr] è in mano agli atlantisti, preoccupati che le provocazioni israeliane sfocino nell’interruzione dell’approvvigionamento energetico dell’occidente: il Generale Jones e Tom Donilon. Jones che era incaricato di seguire la conferenza di Annapolis, ha più volte espresso la sua irritazione [finta, ndr] di fronte alla mossa israeliana.

Come potrebbe mai verificarsi questa “interruzione dell’approvvigionamento energetico” se l'Arabia Saudita starebbe finanziando la guerra? Non credo si possa realisticamente pensare che un generale americano non sappia che Sauditi ed Egiziani sarebbero capaci di tutto per distruggere Hamas, la fazione palestinese che controlla la striscia di Gaza.

Il blocco energetico poteva essere credibile solo se effettuato dagli altri due fornitori dotati di rilevanza paragonabile a quella dei Sauditi: la Russia ed i paesi del nord Africa. Ebbene, possiamo ancora credere che sia stata solo una coincidenza, ma questo è proprio quello che è successo. La Russia ha bloccato le forniture con la scusa del battibecco con l'Ucraina, ed il nord Africa ha minacciato di farlo per interposta persona tramite la Sicilia, che ha a sua volta usato come paravento alcune squallide politiche di rapina italiane [*].

Così si è dunque bloccato Israele. Ma questo blocco, pur necessario, non era da solo sufficiente per fermare la guerra. Anche Hamas doveva essere “irregimentata”.

Secondo la versione ufficiale diramata in occidente, la fine delle ostilità sarebbe arrivata in seguito ad un “importante” summit dei paesi arabi tenutosi in Kuwait il 19 gennaio, al quale hanno partecipato tra gli altri Egitto, Arabia Saudita e Fatah, la fazione palestinese di Abbas che controlla il West Bank: «le più vive felicitazioni per il successo ottenuto dalla sua iniziativa diplomatica ed il profondo apprezzamento per la preziosa, paziente ed efficace opera di mediazione svolta dall'Egitto nella drammatica crisi di Gaza che ha contribuito a porre le condizioni per giungere alla cessazione delle ostilità, risparmiando tante vite umane e mettendo un termine alle sofferenze della popolazione civile della Striscia», ha blaterato il Napolitano, sempre più solo e triste.

Senonché i giornalisti della libera Europa non hanno fatto caso ad un altro summit, tenutosi improvvisamente il 18 gennaio in Qatar, uno di quegli stati che abbiamo visto firmare gli accordi di Mosca per “l'OPEC del gas”.

Il Jerusalem Post ne ha riferito preoccupato (Analysis: Keeping Iran's finger out of the post-war Gaza pie, 19 gennaio): “Al momento, gli stati dell'area sono profondamente polarizzati, come testimoniato dal summit di Doha del 18 gennaio: Qatar, Iran, Sudan, Siria, e Hamas hanno partecipato, mentre Egitto, Giordania, ed Arabia Saudita sono rimasti fuori. Sfortunatamente, il nuovo Iraq era anche presente.” Oltre a quelle citate erano presenti anche altre importantissime pedine del gioco mediorientale, quali il Libano, la Libia, la Turchia, l'Algeria, ed altri attori minori come la Mauritania, le Comore e Gibuti.

Malgrado l'invito, non si è presentato invece Abbas, cosa della quale riferisce il primo ministro del Qatar: “Il Presidente Palestinese Mahmoud Abbas lo ha informato di aver ricevuto pressioni affinché si astenesse dal summit di Doha”

Il summit di Doha ha ottenuto un risultato fondamentale, quello di fare accettare ad Hamas il cessate il fuoco. Il meeting in Kuwait, dove la fazione di Hamas non era stata invitata, non poteva avere alcun durevole successo per l'ostinazione politica a non voler riconoscere una delle parti in lotta. Riconoscimento ufficiale avvenuto in Qatar da parte di un gruppo ben preciso di paesi arabi, un gruppo teso ad allinearsi non tanto all'Iran sciita, quanto alla Russia ortodossa.

L'azione di Israele a Gaza ha permesso la formazione di un importante fronte che vede unite forze cristiane e forze islamiche orientali contro un nemico comune occidentale, uno schieramento sempre più presente anche nella politica italiana.

Una alleanza suggellata nel giro di pochi giorni da un altro importante fatto accaduto ancora una volta in Sicilia, la rivolta di Lampedusa (rivolta siciliana e nordafricana) il cui apice è stata la marcia comune che ha portato simbolicamente cittadini e prigionieri insieme per le strade dell'isola [**].

Una marcia che ha invertito completamente la propaganda di odio imposta dal regime tesa a diffondere solo notizie di scontri tra cristiani e musulmani con l'obiettivo di provocare nel Medio Oriente un conflitto più ampio che metta di fronte una “Europa giudeo-cristiana” [sic!] ed un oscuro oriente islamico.

Un obbiettivo che i Siciliani ed i loro alleati contrasteranno con tutte le loro forze.

[*] Nel caos, ognuno ha poi cercato di saldare qualche altro conto aperto, la Sicilia con Roma, la Russia con l'Ucraina.

[**] Si ricordi che il sindaco De Rubeis ha parlato di “carcere a cielo aperto”, lo stesso paragone da più parti usato per Gaza.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Insomma, ci sarebe una manovra a tenaglia tra Russia e Ucraina (a proposito, ho sempre pensato che la Prima ministra non è male) e paesi arabi per il tramite siciliano, per mettere sotto scacco energetico l'Europa?

Abate Vella ha detto...

Caro anonimo, proprio cosí.

La Sicilia é uno dei tasselli di questa manovra.

Il tutto ha un fine strategico molto importante. L'obiettivo é quello di separare Europa e Stati Uniti, in modo da isolare e spezzare il dominio americano.

Al momento gli USA non hanno problemi di approvigionamento energetico, tra Arabia Saudita e Iraq, mentre l'Europa si. Ecco le preoccupazioni del generale americano che intravedeva una azione volta proprio a separare i lati dell'Atlantico.

L'interesse occidentale per l'energia alternativa é reale, ma non é dovuto all'ambiente, bensí alla mutata situazione politica globale.