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venerdì, dicembre 26, 2008

Eresia di Natale

Premessa:

Ci fu un giorno in cui il Cristo bestemmiò. Non ne poté più di vedere il suo messaggio travisato e bestemmiò. Questo accadde in una di quelle giornate calde di un sole improvviso in un inverno (non a caso) siciliano. Il Cristo parlò e disse al contadino che per l'ennesima volta si lamentava delle prepotenze del padrone:

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti!
pigghia lu bastuni e tira fora li denti!


(Canto tradizionale siciliano riadattato da D. Modugno)


La notte tra il 24 ed il 25 dicembre inizia per i Siciliani (e per tutti i Cristiani) quella tragica rappresentazione che si concluderà con i tradizionali riti pasquali della passione, morte e resurrezione di Cristo.

Tra Natale e Pasqua ogni Cristiano rivivrà quella tragedia partecipandovi intensamente per poi renderla nuovamente attuale conformando la propria vita a quell'esempio.

La vita del Cristiano è dunque tragica: al singolo cristiano è chiesto il sacrificio massimo affinchè la collettività possa continuare a vincere l'interminabile lotta contro le forze “lucifere” delle tenebre. Partecipando ai “misteri” di Cristo il seguace catarticamente esorcizza quella tragicità che nella pratica significa accettazione della propria funzione sociale e determinazione a compiere il proprio destino sino in fondo.

Quella del Cristo è tragedia nel senso “greco” del termine. La tragedia greca aveva per il cittadino della polis la stessa funzione esorcizzante. In essa l'uomo greco (e poi ellenico) vedeva rappresentata la tragedia della propria esistenza, della separazione dal divino, del proprio non essere divino. La tragedia greca è il dolore che il giovane sente durante il passaggio verso l'età adulta, la linea d'ombra conradiana del genere umano (ellenico) che vede allontanarsi l'innocenza dell'infanzia rimasta su quel Monte Olimpo che ogni tanto si volge a guardare con nostalgia apprestandosi ad uscire dal paradiso terrestre.

Ma come ha potuto la tragedia “greca” evolversi in tragedia “cristiana”?

Il periodo della nascita di Cristo più che un epoca di fermenti, è un epoca di forte crisi per il mondo ellenico, che aveva già una volta sconfitto le tenebre a Salamina, ma che ora sembrava soccombere allo strapotere del Cesare-Dio (cioè lucifero, portatore di luce propria) romano.

La caduta di Siracusa nel 212 a.c. aveva segnato l'inizio di un declino che al momento della nascita del “salvatore” sembrava inarrestabile. L'impero romano stava per ricacciare l'uomo definitivamente nelle tenebre, stava per distruggere la ragione e la libertà che i popoli del Mediterraneo avevano trovato grazie all'ellenismo ed alla dignità che esso offriva al singolo.

Era giunto il momento di raccogliere le forze e tentare un ultimo disperato assalto. Era giunto il momento per il Dio di farsi uomo e mostrare la strada per ricacciare lucifero, l'uomo-Dio pagano, negli inferi.

E' stata mai tentata dai pensatori cristiani una analisi politica del Cristo? Egli (il Cristo) dimostrò con la sua stessa esistenza una strategia, una tattica per vincere quella che sembrava una lotta impari. Ed i discepoli, dopo la sua morte, non fecero altro che tramare e cospirare contro l'ordine costituito (l'impero romano) mettendo in pratica la strategia “rivelata” dal Cristo.

Insorgere in armi contro colui che si crede Dio sarebbe inutile, saremmo schiacciati immediatamente. Invece, se la forza del nostro nemico risiede proprio nel suo credersi Dio, per batterlo bisogna far crollare quella sua convinzione. Bisogna rimanere fermi di fronte ai suoi ordini. Bisogna porgere l'altra guancia, il nostro bastone invincibile. Rimanere impassibili di fronte alle sue frustate. Questo lo farà vacillare, lo farà dubitare della sua natura divina e lo renderà debole.

Questo fece il Cristo durante la passione, questo fecero i suoi discepoli dopo di lui, questo ha fatto Falcone nel 1992, questo è quello che tutti noi Siciliani siamo chiamati a fare. Proprio noi Siciliani, prima degli altri. Ed i discepoli di Cristo sapevano che era a noi che dovevano rivolgersi. Per questo Paolo nel 60 d.c. al momento di lanciare l'attacco al cuore dell'impero arrivò a Siracusa.

Siracusa fu la prima diocesi della cristianità fuori dal Medio Oriente, la seconda in assoluto ad essere fondata. I Siciliani erano stati tra gli ellenici coloro che con più forza si erano ribellati alle tenebre romane facendo tremare l'Urbe con quelle che per motivi di propaganda erano state poi chiamate “rivolte di schiavi”[*]. Rivolte fallite perchè non puoi sconfiggere con la violenza il più violento di tutti. Ora Paolo arrivava a spiegare ai Siciliani le nuove strategie rivelate dal Cristo.

Era il momento per gli ellenici di tirare fuori i denti. Di diventare adulti e di abbandonare per sempre gli antichi dei sul Monte Olimpo. L'ellenismo stava sbocciando nel cristianesimo, la tragedia greca nella tragedia cristiana. Nel 253 d.c. il velo di S. Agata fermò le forze degli inferi alle porte di Catania: la Sicilia era libera.

[*] Le cosiddette guerre servili si svolsero tutte in Sicilia: la prima dal 135 al 132 a.c. (quella capeggiata da Euno). La seconda dal 104 al 103 a.c., la terza dal 73 al 71 a.c., capeggiata da Spartaco. I professionisti del falso storico indicano quest'ultima come avvenuta in Italia. In realtà Spartaco, nato in Tracia, per mettere a punto il suo piano di rivolta si recò in Sicilia ben sapendo, come più tardi S. Paolo, che i Siciliani erano in continua ribellione contro il potere romano.



Il messaggio del Cristo non era di remissione ma di aperta ribellione. Buon Natale a tutti.

7 commenti:

rrusariu ha detto...

Manca anche la rivolta 36-33 a.C. capeggiata stavolta da uno dei figli di Pompeo (Sesto) che venne stroncato dal socio di Ottaviano Augusto, Agrippa (quello con il nome scolpito in alto nel frontone del Pantheon a Roma)
Successivamente a metà degli anni venti (circa 27 d.C.) ci fu la rivolta sullo stretto di Messina.
Lì la rivolta venne soppressa dalla famosa X legione fatta arrivare dalla Spagna. Successivamente la legione si stabilì sulle sponde e prese nome di Decima "Fretense " dal siculo Fretu o Fretes per indicare lo stretto. Questa legione partecipò alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. e successivamente all'assedio di Masada. Al termine della rivolta giudaica amministrò il territorio ribelle. Tanto è vero che spesso vengono ritrovati monete e altro risalente a tal periodo con impresso "XF".
I romani applicarono la medesima tecnica di guerra nei confronti della rivolta giudaica come l'ebbero a fare tempo prima contro i nostri Siciliani!!!

Anonimo ha detto...

Se dobbiamo dirla tutta ci fu anche una III guerra "servile" molto tarda, oltre alle due accertate come certamente sicule (e oltre a quella di Spartaco che - non sapevo avesse interessato anche la Sicilia - comunque interessò la Penisola Italica): siamo nel 259 d. C. in piena anarchia militare dell'impero. E' una fase molto critica. L'Alto Impero (da Augusto ai Severi) era andato socialmente in pezzi e ancora non si era avuta la riorganizzazione di Diocleziano (Basso impero) che già preludeva alla fase bizantina in cui l'Impero, ancora "romàios" di nome, divenne in fretta un Impero Greco. E' l'era in cui Roma boccheggiante e svuotata demograficamente ancora è formalmente capitale politica e in cui Aureliano sente per la prima volta dai tempi di Servio Tullio il bisogno di fortificarla. La Dacia, il Regno vassallo Del Bosforo (Crimea), la Mesopotamia, la Scozia meridionale sono perdute. La Gallia-Britannia e la Siria-Egitto si costituiscono per molti decenni in imperi "secessionisti". La difesa dei confini comincia ad essere affidata ai Barbari, di cui cominciano le incursioni.
In questi torbidi, quando in tutto l'Impero la schiavitù cominciava ad essere marginale di fronte alle nascenti forme di servitù della gleba, in Sicilia tutto sembrava immutato dall'Antichità. Da un punto di vista religioso pare che le divinità romane al tempo fossero solo un culto di stato appena officiato da funzionari e militari che ancora l'Impero mandava nell'Isola, mentre nelle città erano ormai tutti o quasi cristiani e nelle campagne dominavano, con una resistenza davvero sorprendente, i culti sicano-siculi ancestrali. Gli "ultimi" schiavi dell'Impero approfittano del caos istituzionale per l'ennesima rivolta.
L'Imperatore Valeriano, uno dei tanti generali che comandavano all'epoca capisce la gravità dell'episodio. Malconci o interrotti i contatti con l'Egitto che garantivano l'annona della Capitale, la Sicilia tornava al suo triste ufficio di "granaio dell'Impero". Non si poteva perdere senza perdere del tutto Roma stessa.
La violenza imperiale ebbe la meglio, come sempre.
I latifondisti siciliani furono incoraggiati a trasferirsi a Roma, lontani da quei "pezzenti", affinché non solidarizzassero con gli stessi. Cominciarono i "lasciti" alla Chiesa di Roma, ormai appena semi-clandestina e si inaugurò un periodo in cui, per citare uno storico, la "Sicilia sembrava giacere alle foci del Tevere".
Saluti.
Massimo Costa

Abate Vella ha detto...

Grazie Massimo, grazie Rrusariu per le aggiunte.

Queste indicano con piú forza ancora quanto forte fosse la resistenza siciliana. Che Roma temesse i Siciliani lo dimostra il modo in cui trattó la Sicilia.

Le rivolte di schiavi probabilmente avvenivano di frequente, ma solo in Sicilia queste coinvolgevano pure la popolazione locale.

Come dice giustamente Massimo la rivolta di Spartaco cominció in Lucania (sempre in territorio "ellenico" dunque) ma poi si trasferí in Sicilia dove riprese vigore. La scelta di Spartaco di andare in Sicilia secondo me é stata strategica.

Molto interessante l'episodio del 259 d.c., molto vicino all'episodio del velo di S. Agata che blocca la lava (cioé simbolicamente le forze degli inferi). A quel punto la Sicilia ellenica era di fatto interamente Cristiana e questo svela interamente il simbolismo del miracolo.

Sto preparando un piccolo studio su S. Agata che potrá essere letto come il seguito di questo post. Tra un mesetto la pubblicazione ;)

Comitato Storico Siciliano ha detto...

Un augurio di Buon Natale a tutti e che Dio illumini le nostre coscienze!

Anonimo ha detto...

Scusa l'off topic (in parte) ma leggendo l'intervento di qualche tempo fa sull'ortodossia mi ero incuriosito, in quanto ortodosso uniate (sono sposato con rito greco alla parrocchia della Martorana di Palermo). Infatti avevo sentito (le poche volte, confesso, che vado a messa nella mia parrocchia) che oltre al vescovo di Piana si ricorda l'Archimandrita di Sicilia, contemporaneamente vescovo di Messina, n.q. di "capo della Chiesa Greco-Cattolica di Sicilia" ed ho voluto approfondire.
Sorpresa delle sorprese. Oltre ai siculo-albanesi che hanno mantenuto sino ai nostri giorni la loro "eparchia", c'erano fin'oltre all'unità d'Italia migliaia di Siciliani di rito ortodosso. Basta andare sul sito dell'arcidiocesi cattolica di Messina per scoprirlo.
Accanto all'arcidiocesi latina di Messina, ce n'era una greco-cattolica (greco-ortodossa in senso proprio non era possibile, con l'inquisizione e tutto il resto): l'archimandridato del SS. Salvatore, che aveva una giurisdizione "sfusa" su svariati monasteri basiliani presenti qua e là in Sicilia e qualcuno in Calabria, per lo più in provincia di Messina (ma era presente sino a Caltabellotta in occidente). E in più aveva parrocchie vere e proprie.
C'era cioè (nel XIX secolo!!!) un'ortodossia etnica sicula, non di profughi epiroti o albanesi come mi è stato sempre detto, quindi siceliota se vogliamo, che era ancora miracolosamente sfuggita al processo di latinizzazione forzata iniziato con i Normanni.
Il suo vescovo-monaco, l'Archimandrita di Messina, sedeva di diritto nel Parlamento di Sicilia e i greco-cattolici di Piana e degli altri comuni albanesi erano suoi suffraganei (per questo ancora l'invocano).
Ovviamente nel XIX secolo già tutto era in ritirata, in parallelo con lo smantellamento del Regnum. Da secoli gli archimandriti erano dotti italiani/latini che conoscevano bene il greco (famoso il cardinal Bessarione). Nel 1838 non viene più nominato un archimandrita (e la carica viene presa dall'arcivescovo di Messina ad interim...sino ad oggi! infatti l'archimandridato teoricamente esiste ancora). Dopo il 1860 (1865 se non ricordo male) vengono soppressi tanti ordini, tra i quali quello basiliano che costituiva l'ossatura della diocesi e i suoi beni incamerati allo stato (italiano).
Nel 1870 lo Stato restituisce al Papa l'Apostolica Legazìa (autocefalìa) della Chiesa di Sicilia di cui non sa che farsene. Nel 1883 Papa Leone dispone l'incorporazione definitiva di tutte le parrocchie "greche" di cui ormai scarseggiava il clero preparato all'interno dell'arcidiocesi di Messina, lasciando all'arcivescovo di questa città il titolo nominale di Archimandrita.
Direte, e che c'importa di questa storia erudita?
Mah! Mi ha fatto riflettere. Se così stavano le cose fin oltre l'unità d'Italia, quale doveva essere la situazione, poniamo, nel '600? Che ancora un terzo dei siciliani pregavano come il patriarca di Costantinopoli?
Ed in effetti studiando diplomatica siciliana, pare che nel '400 ci sia stata una valanga di atti pubblici notarili di traduzione di contratti dal greco al latino, segno che la conoscenza popolare di quell'antico idioma si stava progressivamente spegnendo, riducendosi, dove sopravviveva, a fatto puramente liturgico.
Credo che l'Italia ci abbia reciso una vena profonda, profondissima, coessenziale alla nostra identià.
Buon anno a tutti.
Massimo Costa

Abate Vella ha detto...

Caro Massimo,

il tuo commento non è per niente offtopic... anzi era proprio in quest'area che volevo arrivare.

Quello che ci hai detto si ricollega anche al discorso sulla lingua siciliana che secondo me viene posta tra le lingue neolatine con troppa fretta, quando il latino in Sicilia non si è mai parlato.

Anzi, pare che i Normanni avessero voluto utilizzare il Siciliano anche in funzione anti-papalina, come lingua da cotrapporre al latino (tra loro ed il Papa dopo la legatio si è sempre trattato di amore-odio).

Ho anche pensieri maligni sulla restituzione della legatio al pontefice. I beni della chiesa siciliana non appartenevano legalmente al Papa a causa della legatio. Ma dopo quella restituzione, quello che non venne requisito da quei delinquenti dei Savoia...a chi andò? A me non risulta che Roma si fosse opposta poi tanto a questa legge delle guarentigie...

rrusariu ha detto...

Mi intrometto in ritardo sull'argomento affrontato da Massimo, anche perchè passai la prima media inferiore ospite presso il vecchio monastero basiliano di Santa Maria delle Grazie a Menzi-Yusu (Manzil-Yusuf).
Il monastero costruito agli inizi del 1400 da profughi epirioti sfuggiti all'invasione turca prima della presa di Costantinopoli.
Tutte le mattine avevo la messa in lingua greca, partecipavo ai funerali della gente del posto e poi si andava alla Chiesa Matrice Greca o di quella latina. Il parroco a tutti gli effetti era quello della matrice latina.
Ho vissuto un anno con questa liturgia, dispiace solo che a quel tempo i monaci non ci dessero abbastanza informazioni per appassionarci. Ma li ringrazio lo stesso per lunghe passeggiate ... e la grande gita a Selinunte, con tappa breve a Palazzo Adriano, a bere acqua alla fontana immortalata nel film Nuovo Cinema Paradiso. E sì era ancora un paradiso quella Sicilia lì. AD 1970.
Vedere in collegio spesso vescovi orientali da varie parti m'incuriosiva parecchio.
Ma il nostro sentimento religioso è stato ucciso anche da una certa ottusità clericale. Avere in curia anche gente che spiava per le cosche mafiose non era bello.
Si sono trasformate le feste paesane solo in un'occasione di business locale. Gli spettacoli musicali con i vari cantanti strapagati contesi per avere piu' attrazione dai paesi vicini.

Io onestamente vorrei tornare a una chiesa nazionale siciliana, ispirata ai veri valori cristiana.
Della chiesa romana non mi fido più.
Gesù non è venuto a fondare la chiesa romana.!!!!!

Assà bbinirka a tutti e un augurio di buon anno di cuore!!!!!!!!!