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mercoledì, marzo 19, 2008

Palermo delenda est (Prima parte)

Ogni volta che le forze in gioco cambiano e l'asse del potere mondiale si sposta da un popolo all'altro, la Sicilia ne sente il riflesso in modo diretto ed irrevocabile. Questa è un era di cambiamenti. Vediamo come questi si stanno attuando nella nostra terra alla vigilia di un voto che inciderà profondamente sul modo in cui li assorbiremo. La seconda parte del post sarà pubblicata nei prossimi giorni.

Ne stanno sprecando di carta i giornali. Chi si presenta, fascista o mafioso, chi vincerà, chiamiamola destra o chiamiamola sinistra, chi salirà, un transessuale in Sicilia o un terrone di Lampedusa in Emilia Romagna. Discorsi inutili, perchè comunque il paese rimarrà ingovernabile. Come da copione.

La vera battaglia alle prossime elezioni si svolgerà in Sicilia. Una battaglia nascosta ai riflettori nazionali (e cioè al popolo bue) grazie al trucchetto della concomitanza con le politiche “romane”. E si tratta di un dramma in due atti. Il secondo (forse il meno interessante) ci dirà se il prossimo presidente siciliano si chiamerà Raffaele o Anna. Il primo è già stato recitato e si è concluso con una immensa svolta storica che come al solito racconteranno i posteri, ma che ai contemporanei si è fatto di tutto per celare: il tramonto della gloriosa capitale dell'isola, la capitale degli arabi e dei normanni, degli aragonesi e delle rivolte contro i Borbone prima e contro i Savoia dopo. Il tramonto di Palermo.

Anna o Raffaele, dicevamo. A scanso di equivoci anche la BCE (localmente nota come PD) ha presentato un candidato catanese, malgrado ai fini del risultato elettorale sarebbe stato più logico proporre un candidato della Sicilia occidentale proprio in contrapposizione all'inviso (ai palermitani) Raffaele Lombardo. Ed invece no: il presidente DEVE essere un catanese.

Ma come mai? C'è il forte rischio che i catanesi, con il loro provincialismo esasperato che non li fa vedere oltre gli archi della marina, cadano nell'autocelebrazione, convinti che questa sia una vittoria della loro “spirtizza”(*). I segnali non sono buoni, se il primo a cedere al suo stesso provincialismo è proprio colui che dovrebbe rappresentare la cultura a Catania, il direttore del teatro stabile Buttafuoco, che getta al caldo vento di scirocco parole farneticanti su Palermo, sulla mafia e persino su Federico II.

No. E' inutile che i catanesi si impettiscano tanto. Se potrà anche essere vero che Palermo è in crisi per sua stessa viltà, non è poi così sicuro che i catanesi abbiano qualche merito nell'inarrestabile avanzata (perché inarrestabile lo è veramente) della loro città.

Per capire quello che sta succedendo basta guardare alla nostra storia. Nella notte dei tempi, quando i mercanti fenici scorazzavano liberi nel Mediterraneo, fondarono diverse città tra le quali Cartagine nelle vicinanze della odierna Tunisi. I cartaginesi, come ogni popolo che abbia ambizioni di dominio su questo mare, si procurarono un avamposto in Sicilia in posizione intermedia alle loro rotte che dalla città nordafricana si propagavano per tutto il Mediterraneo occidentale. Questo “hub” marittimo e commerciale fu l'isola di Mozia, protetta dallo stagnone e irraggiungibile per le grosse navi da guerra (ancora oggi si può arrivare all'isola solo con piccole imbarcazioni o tramite una strada lastricata nascosta appena sotto la superficie dell'acqua, come 3000 anni fa).

Quando da oriente giunsero le genti greche seguendo quella scia colore del vino seminata dal sole al tramonto(**) scelsero a loro volta un posto con caratteristiche simili, ma che fungesse da hub per le loro rotte est-ovest: l'isola di Ortigia. La supremazia orientale (egea) spostò il baricentro della Sicilia da occidente verso oriente, almeno fino a quando nuovi popoli tornarono a impossessarsi della nostra isola giungendo dalle loro basi sulla costa tunisina: gli arabi riportarono il baricentro ad occidente, a Palermo.

E lì detto baricentro è rimasto attraverso l'era moderna, quando i “dominatori” giungevano sempre più da occidente (dagli spagnoli, agli inglesi, agli americani). Ma in questo inizio di secolo stiamo assistendo a dei cambiamenti di tale portata che pochi nelle ere precedenti hanno avuto il privilegio di testimoniare. Stiamo assistendo al tramonto dell'impero anglosassone ed al sorgere di una nuova potenza che con i suoi emissari si è già affacciata nel Mediterraneo per stabilirvi i suoi empori commerciali. Ed il cavo che simbolicamente sta per congiungere Catania e Mumbai non è altro che il segnale della rotazione che l'asse millenario di Trinacria ha GIA' compiuto.

Ogni tipo di commercio ha bisogno di determinate infrastrutture. Ed ogni era usa le tecnologie che gli sono proprie. E se dalle saline fenicie si è passati alle anfore greche, sino alla trazione meccanica della rivoluzione industriale, oggi il commercio ha bisogno di comunicazioni veloci, porti dalle acque sempre più profonde, aeroporti dalle piste sempre più lunghe. E l'area della Sicilia che può fornire tutte queste cose è la piana di Catania, allo sbocco della quale il caso (e non la “spirtizza” dei suoi abitanti) volle porre l'omonima città.

Il fulcro dell'hub Sicilia sarà un porto: il porto di Augusta, lo sbocco a mare della piana di Catania, sta per diventare uno dei più importanti punti di snodo del commercio mondiale. Ed infatti la sua ristrutturazione è bloccata da processi, carte ed indagini che altro non sono se non il moderno mezzo di scontro (una volta si sarebbero usate le spade...) tra i due poteri che vorrebbero avere il controllo dell'area, rappresentati manco a dirlo da PD e PDL.

E lo scontro non è solo per chi controllerà l'area. Lo scontro è anche per decidere come si riuscirà a deviare verso nord i profitti che l'hub logistico genererà. Non importa se il nord sarà Roma o Bruxelles. E se qualcuno crede che non sia possibile mettere in pratica un giochetto del genere (rubarci cioè il formaggio ancora più da sotto il naso di come hanno fatto sino ad oggi), allora provi a guardare al porto di Gioia Tauro: il primo porto del Mediterraneo non dà niente alla Calabria. Fuori dai suoi cancelli è rimasto un deserto economico.

Fine Prima Parte.

(*) Con il termine “spirtizza” si indica quell'insieme di furbizia, prontezza di riflessi, spavalderia tipiche di chi sa il fatto suo. Presenta insieme connotati sia positivi che negativi a seconda del senso del discorso, tanto che del primo della classe si dice “è spertu a scola”, mentre del più discolo “fa u spertu”.

(**) L'Italia fu detta dai greci enotria (terra del vino) per questa scia sul mare al tramonto e non perchè vi si producesse il vino. La novella di Sciascia che nel titolo ricorda questa scia non è altro che una citazione di Omero.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Abate Vella, la tua analisi potrebbe essere giusta, ma se è vero che la Sicilia orientale si avvia ad essere uno snodo logistico di riferimento internazionale, come mai le infrastrutture vengono progettate così, senza criterio? Ad esempio proprio il famigerato ponte sullo stretto, su cui tanto puntano Berlusconi, Cuffaro e Lombardo, potrebbe essere un handicap in particolare per la Sicilia orientale, perchè con i suoi 65 metri di altezza dal pelo dell'acqua potrebbe sbarrare lo stretto al naviglio di più moderna concezione. Già adesso, ad esempio, i porti orientali resterebbero preclusi a più d'una nave, a meno che non si preveda un improbabile percorso di andata e ritorno, con immancabile scalo a Palermo.

Anonimo ha detto...

Abate Vella, ho letto l'articolo di Buttafuoco cui ci rinvia il link da te riportato: effettivamente esprime un provincialismo persino imbarazzante,specie per un catanese, ecco forse perchè Palermo continuerà a restare capitale della Sicilia. In fondo è la stessa storia di Roma e Milano in Italia. Ciò che poi ha dell'incredibile è che il testo venga sbandierato nel sito di Raffaele Lombardo, candidato a Presidente di tutti i siciliani, ecco un'ulteriore riprova dello spessore dell'uomo.

Abate Vella ha detto...

Peppinnappa,

scusa se non ti ho risposto subito, ma ho degli strani probelmi di connessione...

Attenzione: non ho detto che Catania diventerà la capitale della Sicilia. Quello che intendo dire è che si sta distruggendo Palermo politicamente.

Riguardo al ponte, ne parlo nella seconda parte che pubblicherò domani o dopodomani.

Le infrastrutture le stanno progettando con ottimi criteri, ma per ora non vengono realizzate a casusa della situazione politica. Riguardo ai porti, per le navi provenienti dall'oriente non vi sarà necessità di passare da Palermo: esse scaricheranno ad Augusta (e quindi non dovranno passare neanche sotto il ponte).

Cosa succederà dopo che scaricheranno lo spiego meglio nella seconda parte.

La situazione Palermo-Catania è diversa da quella Milano-Roma: la divisione campanilistica tra le prime due è solo artificiale. Nei momenti di pericolo per la Sicilia Catania e Palermo sono sempre state unite (basti pensare all'indipendentismo del '46), e lo stesso dicasi per Messina (che fino al terremoto era la seconda città della Sicilia).

Se Catania e Palermo si uniscono, la Sicilia sarà automaticamente libera. Quindi se sale una, si deve distruggere l'altra. E siccome Catania sta "salendo" perchè così detta la situazione geopolitica mondiale....

Anonimo ha detto...

è vero è il catanese l'area scelta; un'ulteriore riprova sta nel fatto che si è deciso di non completare il raddoppio ferroviario Me-Pa, per creare 195 km di galleria che collegano Ct a Pa.
la zona nebroidea ancora una volta viene tagliata fuori, ma daltronde storicamente quest'area è stata sempre un'isola a sè.