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mercoledì, dicembre 26, 2007

Tutta un'altra strada


Una delle tre “I” del programma per la scuola del governo Berlusconi stava per 'inglese'. Gli italiani infatti, in netto contrasto rispetto agli altri europei, non sanno l'inglese. Sarà perché nelle altre nazioni si è abituati al bilinguismo sin da bambini? Ma questo è quello che succede in buona parte delle regioni italiane, almeno in quelle dove la lingua locale (ipocritamente chiamata dialetto) risulta essere ancora abbastanza diffusa. Di quella “I” il governo Berlusconi si scordò strada facendo. Ed è un peccato, perché se gli italiani fossero capaci di decifrare questa lingua franca del XXI secolo, forse potrebbero capirci qualcosa di ciò che sta succedendo al loro 'bel' paese.

Invece quando qualcuno parla di noi in un altra lingua dobbiamo affidarci alle traduzioni parziali e discrezionali dei media nazionali, che con assoluta convergenza si presentano compatti nel denunciare l'ingiustificato assalto al nostro famoso 'spirito animale' (sic!). Per la verità una certa selezione viene fatta prima di bollare di disfattismo un determinato articolo. Alcuni ad esempio ricorderanno come il governo minacciò persino la RAI di azioni disciplinari qualora questa avesse continuato a diffondere la notizia di una presenza di basi del terrorismo basco nel nord del paese, mentre puntualmente evitò di pronunciarsi quando i media nostrani si sollazzarono con risibili collegamenti tra Osama Bin Laden e Provenzano.

Certo è che sulla stampa estera gli stereotipi riguardo all'Italia abbondano, ma questo non vuol dire che non vi siano giornalisti oltre confine che non siano capaci di guardare attraverso le righe della pseudo-democrazia italiana. Anzi, forse possono farlo con maggiore distacco. Un distacco dovuto non solo alla distanza emotiva, ma anche e soprattutto alla mancanza dei forti condizionamenti ambientali a cui sono soggetti TUTTI i nostri giornalisti.

Certo è che sulla stampa estera vengono esercitate pressioni politiche altrettanto forti di quelle nostrane. Solo che quei condizionamenti sono più espliciti dei nostri. E tendono apertamente alla propaganda di una determinata opinione. Mentre qui di questi tempi si tende a fare l'opposto: tenere il lettore allo scuro di QUALUNQUE opinione per mezzo di calendari, veline e partite di calcio truccate.

Tanto il lettore italiano, anche quello con un livello d'istruzione superiore alla media, non potrà mai informarsi direttamente sulla stampa estera: si è fatto il possibile affinché NON imparasse l'inglese.

Informarsi attentamente sull'immagine dell'Italia fornita dalla stampa estera è fondamentale per capire l'andamento degli 'umori' nei confronti dei fatti della nostra penisola (isole comprese...) delle diverse forze che giostrano sulla scena internazionale, siano esse forze politiche, economiche o anche religiose. Basterà allora fare un attimo mente locale per rendersi conto che in occidente è già da qualche anno che si punta l'attenzione sul nostro paese preparando il campo nell'opinione pubblica mondiale alla sua disgregazione politica.

E' nel 2005 che l'Economist (la voce pubblica di alcuni dei discendenti dei padri fondatori del risorgimento italiano...) comincia a suonare le campane a morto con il 'seminale' articolo “The real sick man of Europe” (“Il vero uomo malato d'Europa”), frase coniata un tempo per descrivere lo stato dell'Impero Ottomano (e tutti sappiamo come andò a finire...). Cosa dovrebbe colpire di più dell'articolo non è il solito attacco politico all'allora primo ministro Silvio Berlusconi, bensì la mancanza, nell'elenco delle supposte cause di questo malessere, dell'ovvio capro espiatorio della mafia e del sud in generale (capri espiatori per altro spessissimo usati dal periodico britannico).

Non appena il Berlusconi (il cui mandato è servito prevalentemente a cercare di mantenere l'Italia saldamente nell'orbita della NATO) però perde le elezioni, le idee d'oltremanica cominciano ad avere eco anche oltre Atlantico. Di notevole interesse a questo proposito è un articolo apparso su di un giornale da molti forse creduto innocuo come il National Geographic (tradotto anche in italiano) e che tratta delle eruzioni del Vesuvio: passate e FUTURE.

Nell'articolo del settembre 2007 si sostiene a chiare lettere che un'eruzione disastrosa potrebbe avvenire in qualunque momento minacciando 3 milioni di persone, cosa che le autorità (nell'articolo si fa il nome di Enzo Boschi, presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) volutamente ignorerebbero evitando così di predisporre piani di evacuazione adeguati mentre quelli attuali sono basati su eruzioni di bassa entità. Il tutto lascia nel lettore l'impressione che tale negligenza sia dovuta alla poca voglia dello stato di spendere soldi a Napoli, visto che poi a Venezia per salvare la città si stanno sperperando somme vertiginose per un problema meno pressante e meno drammatico.

Lo scorso ottobre un'altra notizia saltò fuori dagli Stati Uniti: un giudice si era rifiutato di estradare un mafioso in Italia giudicando che nel nostro paese sarebbe stato sottoposto a tortura, cioè al 41 bis, implicitamente accusando quindi l'Italia di non rispettare i diritti umani. I soliti italioti hanno subito pensato a Guantanamo ed ad altri dettagli, tralasciando sia per questa che per l'articolo del National Geographic un fatto importante: non sono stati scritti per le nostre orecchie, ma per quelle degli americani. Queste notizie servono a fare opinione pubblica in America, non in Italia! All'Italia invece si sta mandando un chiaro messaggio.

La stampa americana, che da sempre ha visto Roma con un occhio di favore, ha cambiato completamente registro, quasi allineandosi con quella britannica che malgrado l'elezione di Prodi non ha cambiato tono, dimostrando che nei suoi articoli non vi erano solo motivazioni politiche momentanee ma anche obbiettivi strutturali a lungo termine.

E la cose vanno a peggiorare: la CNN (e non solo la CNN...) non ha perso l'occasione di gozzovigliare smodatamente sui recenti fatti di Perugia, assegnando alla cittadina umbra una pessima reputazione e volutamente creando danni d'immagine ed economici, come sino ad ora si era visto fare in Italia e fuori solo per città ed aree del mezzogiorno.

Fino alla recente valanga di “speciali” pubblicati ai due lati dell'atlantico, come quelli del New York Times e del Times di Londra.

Ma il colpo più forte il regime italico lo ha subito nuovamente dall'Economist, tenendo sempre presente che quello che dice la stampa occidentale è solo un pallido riflesso di quello che si trama dietro le quinte e serve più che altro a predisporne l'attuazione. L'Altra Sicilia ha recentemente inviato una lettera di protesta alla redazione che bene esemplifica quale sia stato il tipo di attenzione sino ad ora riservata alla Sicilia negli ambienti liberali europei (ricorderemo qui solo il famigerato “L'isola da terzo mondo dell'UE” del maggio 2002). Senonché pochi giorni dopo il fango di “Offer refused”, e mentre il governo di Roma era impegnato nel cercare il sostegno necessario per l'invio di un contingente militare nell'isola, di punto in bianco il boss Lo Piccolo viene arrestato (che strane coincidenze...).

L'Economist all'improvviso si avvita su se stesso e compie una vera e propria inversione ad U sostenendo ora che “Gli ultimi mesi hanno visto una crescente rivolta tra gli imprenditori siciliani contro le estorsioni alle quali sono soggetti. La Mafia non è più la forza che era una volta”. A soli 15 giorni dall'aver sostenuto che la mafia controllava completamente l'isola! Rincarando ulteriormente la dose nell'edizione del 6 dicembre scorso e parlando della mafia come di un “business in declino”.

Ovviamente i giornali nostrani si sono ben guardati dal riportare questo ed altri articoli dal tono simile pubblicati sui giornali di tutto il mondo, non volendo in alcun modo evidenziare il contrasto tra gli eventi siciliani ed il tunnel senza uscita in cui sembra essersi infilato lo stivale.

Contrasto invece messo bene in evidenza dal Times di Londra nel pezzo citato sopra ed ancora una volta ampiamente discusso sui nostri media, tranne tacerne una parte fondamentale:

“There is hope amid the encircling gloom. In Sicily the crippling power of the Mafia is finally being tackled by businessmen — almost all in their forties, with European experience — who risk their lives by refusing to pay protection money”

Traduzione: “C'è speranza in mezzo al diffuso pessimismo. In Sicilia il potere asfissiante della mafia finalmente viene contrastato dagli imprenditori – quasi tutti sulla quarantina e con esperienza europea - che stanno rischiando le loro vite rifiutandosi di pagare il pizzo”


Ma allora l'articolo non dà solo ombre ma anche una luce importante! Come mai sui nostri giornali non si è data la giusta evidenza a questo dato di fatto? Non è questa dei quarantenni siciliani (non solo imprenditori), i figli del 1992, una luce di speranza per tutta l'Italia? Forse no. Forse è solo il segnale che un pezzo di quella che ancora oggi conosciamo come Italia ha già preso un'altra strada.

2 commenti:

marshall ha detto...

Ho commentato e linkato questo Suo post, sul mio blog.
Spero, "almeno in questo caso", d'aver interpretato correttamente il Suo pensiero.
Cordialità.

Anonimo ha detto...

Perfetto.
Aggiungerei anche un secondo motivo per non far imparare l'inglese.
Chi conosce l'inglese facilmente emigra.