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giovedì, marzo 15, 2007

Salvatore Giuliano: di sicuro si sa solo che è morto.


Di sicuro si sa solo che è morto. Ma è morto veramente il bandito Giuliano in quella misteriosa notte di Castelvetrano? Non sembra: il suo fantasma vaga ancora, ostaggio di quanti cercano a tutt’oggi di strumentalizzarne le gesta per portare acqua (sporca) al proprio mulino. Così anche ieri abbiamo, nostro malgrado, assistito al più laido dei teatrini (Enigma, Rai 3 alle 23:30)con i soliti cialtroni che tentavano di spartirsi le misere spoglie di un uomo che più che protagonista è stato nella realtà vittima degli eventi che in quegli anni si agitavano. Giuliano eroe Shakesperiano dunque, che anela alla libertà ed alla vita. Che è disposto a tutto pur di raggiungerle ma che è schiacciato dal destino e dalle sue stesse azioni.

Ri-guardiamo e commentiamo il vecchio film di Rosi e gli eventi che in esso sono ritratti, smascherando le menzogne che sin da allora sono state perpetrate ai danni di tutti i siciliani, di tutti gli italiani.

Il maranzano vibra alle luci di un lampione nella asciutta notte estiva di un qualunque paesino tra quelli che furono teatro, nella seconda metà degli anni 40, delle gesta di Turiddu. Le uniche voci di questa asciutta nottata saranno le voci dei mitra, nella più carica ed insieme più stereotipata scena del film. Un film percorso in lungo ed in largo dall’ostinato silenzio degli uomini siciliani e dai loro sguardi penetranti, dalle disperate grida delle donne e dai loro scialle neri, pendenti. Un ritratto che il regista deve forse al suo istinto, da cui pare si lasci guidare durante le riprese esterne, ma che scompare quando si passa al freddo calcolo dell’aula di tribunale: il silenzio prima assunto a dignità di un popolo, ora viene stracciato e ridotto a viltà, ad omertà. “Ma come”, sembra dire la cinepresa, “ora che siete tra le accoglienti braccia dello stato, vi ostinate a non parlare? Eh no! Allora non ci siamo, ora non ci va più bene...” Anzi no (sottovoce) va benissimo! Questo ci da l'occasione per accusarvi, per dimostrare a tutti che la colpa è solo vostra, che tutto questo lo volete voi! Ecco che tutto è rivoltato, e neanche ce ne siamo accorti: ancora segretamente gongolanti per le imprese di Giuliano colonnello dell’EVIS, ancora fieri di quegli uomini (gli abitanti di Montelepre) che silenziosi accettavano i soprusi di uno stato che non sa più che pesci pigliare, ecco che la stilettata ci ferisce rapida ed indolore. Solo dopo ci accorgeremo del sangue, ma non sapremo più dire come e perché. Incapacità del regista di cogliere e di far fruttare a dovere gli indizi raccolti sul campo? Mancanza del coraggio necessario per dire veramente tutto? O solo dei limiti. Un confine politico, diciamo, che il regista si dà? Fatto sta che il giudizio non lascia scampo a Giuliano, al MIS, ed infine ai siciliani tutti. Tirando le somme l’unica cosa che si riuscirà a dire di diverso dall’ufficialità è che Giuliano non è morto come descritto nel rapporto dei carabinieri. Poca cosa: in Sicilia lo hanno sempre saputo tutti, anche gli scecchi. E, considerando che l'ufficialità non dice proprio niente su questa storia.... beh! Allora il succo di questo “film-inchiesta” sembra essere veramente striminzito....

Ma vediamo i colpi assestati dal film più in dettaglio:

1) Il MIS. Senza nessun preavviso, senza nessun indizio ecco che la notizia ci coglie di sorpresa, subliminalmente inserita mentre siamo impegnati a seguire i disordini di piazza: il movimento indipendentista siciliano è appoggiato dalla mafia. E’ cosa certa e scientificamente provata: il siciliano non possiede alcuna indipendenza di pensiero, vota solo chi gli viene suggerito dalla mafia. Questo passaggio è importante, incide profondamente sulla coscienza di chi vede il film. Chi ha votato per il MIS ha votato per la mafia. Lo stato vi ha salvato, come si dimostrerà più avanti.

2) I siciliani e la mafia. Il film ha il coraggio di suggerire una certa contiguità tra la mafia e le forze dello stato. La mafia, (forse) bastonata dal regime mussoliniano, scarica i banditi e la Sicilia tutta non appena sente odore di un nuovo accordo con Roma. Ma questo non riesce a fare accendere una lampadina nel cervello del regista, non riesce a suggerirgli un qualche motivo per cui i Siciliani sarebbero così ritrosi a buttarsi tra le braccia di mamma Italia: i siciliani del film sono onesti e codardi o spavaldi e (quindi) malfattori. Niente vie di mezzo, niente sconti. Incassiamo. Grazie mille.

3) Infine Giuliano. Giuliano è un mostro sanguinario, che non ha remore a tradire tutto e tutti pur di salvare la pelle. I siciliani, la mafia e lo stato: tutti erano tenuti in scacco da questo villano assetato di sangue. Ovviamente ciò non può essere detto apertamente, o lo spettatore (siciliano) avrebbe repulsione istantanea per il film. Piuttosto si viene introdotti lentamente a quest’ennesimo dato di fatto da chi fa finta di non essere di parte. Il giudizio rimane sospeso e sembra pendere dal lato positivo sin quasi alla fine del film, dove poi le sue azioni sono rappresentate in modo tale da non lasciare più dubbi. Pisciotta tradisce (e questo si che è un dato di fatto!) e si redime, Giuliano non si pente e viene condannato. Nessuna introspezione. Il bandito è le sue azioni. L’uomo Giuliano non trova alcuno spazio.

Eppure la chiave della vicenda è tutta qui. Si vuole uccidere l’immagine di un Giuliano diventato eroe popolare. Durante la gestazione del film si cerca il modo di farlo, ed alla fine (proviamo a dipingerci la scena)... un colpo di genio, un ardito deus ex machina arriva a salvare la troupe: senza esprimersi esplicitamente si lascerà parlare la cinepresa, e si farà in modo che l’immagine di Giuliano si uccida da sola agli occhi dello spettatore. A Portella della Ginestra. Il luogo dove il vero Giuliano aveva ucciso se stesso. Il regista effettivamente a questo punto racconta le cose come stanno, ma se ne sta rendendo conto? Non era Giuliano a tenere in scacco la mafia, lo stato, persino gli isolani. Ma la Sicilia stessa, che aveva trovato il suo eroe tragico in cui potersi specchiare e che, tramite le sue azioni, tentava disperatamente di scardinare il suo destino oramai segnato. Una tragedia da lei stessa scritta, e per la quale non poteva che tristemente riservare il finale più adatto ma che il Popolo Siciliano capì vedendosi riflesso in quel giovane senza speranza. Portella sarà la fine emotiva di quel periodo storico: il culmine, il ring sul quale tutti i protagonisti della storia si incontrano e si scontrano per dichiarare un vincitore. La chiave di volta grazie alla quale si fissano gli equilibri che reggeranno il potere dello stato in Sicilia sino agli inizi degli anni novanta. Dopo, i protagonisti della storia non hanno più ragione di esistere. Si sgonfiano. Alcuni, compiuta a fondo la loro parte, muoiono a conclusione della vicenda. Altri continuano a vagare, personaggi in cerca di un nuovo autore, sino a quando un'altra fine, più anonima, non li riuscirà ad ingaggiare.

Ci potrebbe bastare questo. La comprensione di un momento che esemplifica cinquant’anni di storia intrisi di sangue. Nuove inchieste, nuovi film, possono anche offrirci qualche scorcio diverso, ma poco aggiungerebbero a tutto ciò.

Chi furono i mandanti di Portella? Anche questo perde importanza di fronte alle conseguenze del gesto. Ed è questa, infine, la più grave mancanza del film: quella di essersi soffermato esclusivamente sulle cause e di aver sorvolato sin troppo sugli effetti, che già allora dovevano essere in buona parte intuibili. Effetti passivamente ridotti nel film ad un generico, quanto banale, trionfo della mafia, profilato più come una evitabile condanna scelta dai siciliani stessi che come nuovo mezzo di oppressione sostituito al pugno duro del fascismo. Una negligenza dalla lingua un poco pelosa che continua sino ai nostri giorni.

La punta nascosta di un iceberg manifesto.

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