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domenica, aprile 19, 2009

Apologia di (presunto) reato

Nel maggio del 2008 la coraggiosissima (?) trasmissione di RaiTre Report se la prese con l'alta moda. Con il solito metodo italiota di gettare fango a più non posso per farsi ragione, tecnica vista in tutto il suo fulgore per la famosissima puntata su Catania, il programma raccoglieva un poco di qua, un poco di là nel tentativo autolesionista di danneggiare le aziende della moda italiane.

Un bersaglio facile in fondo, vista il vergognoso e smodato amore per i soldi dei principali protagonisti di quel mondo.

Va detto comunque che, come nel caso di Catania (vedi il post “La frontiera”), anche questa volta la trasmissione puntava il dito contro situazioni indubbiamente vergognose le cui vittime alla fine sono gli italiani di tutte le latitudini, turlupinati dalle stesse leggi europee che con la scusa di promuovere la “sicurezza” sul lavoro da noi, incoraggiano le delocalizzazioni delle aziende verso più economici lidi (leggi Cina).

Ma qui la cosa prende una piega ancora più vergognosa del semplice sfruttamento del lavoro minorile, dell'utilizzo di schiavi, etc etc. La parte più preziosa dei prodotti italiani è infatti quella piccola etichetta con la scritta “Made in Italy”. E se il prodotto lo fanno in Cina, l'ultimo vero valore della nostra merce viene azzerato.

Ecco come fanno (dialogo tratto dalla puntata di Report del 18 maggio 2008, “Disoccupati del lusso”):

SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO
E' un successo per chi a fine anno dimostra di avere ridotto i costi. Nei quartieri generali delle grandi aziende di moda, a Milano e a Parigi, non possono però non essersi accorti che i costi della produzione della tomaia e della scarpa sono drasticamente calati. Sanno benissimo che i prezzi che riescono a ottenere sono possibili perché i cinesi non pagano le tasse e i contributi. Sono milioni di euro evasi ogni anno. A vantaggio dei loro bilanci e degli imprenditori cinesi senza scrupoli. E a danno degli artigiani locali, anche se la scarpa italiana viene considerata in tutto il mondo la migliore proprio grazie alla tradizione dei nostri artigiani. Allora quale made in italy griffato viene fatto davvero dagli italiani?

ANNA PIERGIACOMI – PRES. FEDERMODA MARCHE
Praticamente le produzioni molto limitate, i quantitativi molto limitati, molto variegati, oppure delle produzioni veloci…
SABRINA GIANNINI
Tipo queste che sono…

ANNA PIERGIACOMI – PRES. FEDERMODA MARCHE
Tipo queste, molto curate, molto fini che non hanno la possibilità di essere fatte all’estero che i calzaturifici non hanno la certezza che il lavoro gli ritorni fatto con quei criteri di precisione. Messe a punto dei modelli, per esempio queste cose qui le chiedono a noi, dobbiamo avere una grande competenza per riuscire a fare questi tipi di lavori. Tu guarda che lavoro sta facendo per fare quei passantini guarda. Questo per fare un semplice passantini di una fibbia.
DONNA ANONIMA
Ho visto quei calzaturifici che lavoravo che arrivavano tomaie già finite già montate e tutto le  facevano in Cina,  in Vietnam o paesi del genere arrivavano qua e poi gli applicavano un full back, che sarebbe una soletta con scritto vero cuoi made in italy. La soletta era vero cuoio made in italy, ma tutto il resto era fatto fuori.
SABRINA GIANNINI
E questa è una cosa diffusa?
DONNA ANONIMA
Penso proprio di si.
SABRINA GIANNINI
Da parte di tutti anche dei più grandi?
DONNA ANONIMA
Soprattutto dei più grandi perché hanno le quantità per mandarli in Cina.


Fanno tutto fuori (in Cina, in Vietnam, in Romania) e poi ci aggiungono un piccolo dettaglio con su scritto “Made in Italy”. E si fa non solo con le scarpe, ma anche con gli altri capi. Poi ci si cuce l'etichetta giusta. E, secondo gli intervistati, lo fanno tutti [*].

Solo che questa volta pare che in Italia qualcosa si muova: la moda “Made in (North) Italy” è un settore importantissimo della nostra economia, e su questo non si scherza. Ecco perchè si comincia a fare un po' di piazza pulita.

Partendo da dove? Manco a dirlo! Dall'unica impresa siciliana del settore di dimensioni apprezzabili (“Maxi frode su divise di carabinieri e forestali”, SiciliaInformazioni.com 18 aprile 2009):

Guai in vista per il gruppo Bucalo di Palermo, coinvolto in una frode internazionale da 12 milioni di euro sulla fornitura di uniformi destinate a carabinieri e guardie forestali. Lo si apprende da Repubblica. (...) La realizzazione delle uniformi sarebbe dovuta avvenire in Europa, in realtà i capi erano prodotti in Cina, a costi minori.

La truffa era ben architettata. Le divise uscite dalle fabbriche cinesi, sarebbero passate da Rotterdam per arrivare poi in Italia. Prodotte in apparenza dalle aziende del Gruppo, come la Gifrab Lmt in Bulgaria, la Svik in Slovacchia e la Merina nella Repubblica Ceca, sarebbero passate da quelle aziende solo per “cambiare le etichette e produrre falsi documenti doganali per aggirare i controlli”.


Sapete come hanno scoperto la “truffa”? “grazie alle intercettazioni”! Io invece l'ho scoperta un anno fa dal divano di casa mia. Guardando Report senza neanche pagare il canone Rai.

Il gruppo Bucalo “oggi è tra i brand siciliani più internazionalizzati nel settore dell'abbigliamento, con interessi nell'Est Europa. In pochi anni i tre fratelli Carmelo, Piero e Giovanni hanno ampliato il loro business, facendo shopping in giro per l'Italia e all'estero, creando un network che vanta 3.200 addetti, con 70 punti vendita 'Bucalo' in Italia, 36 in Sicilia. Con l'acquisto, un anno fa, dei cinque negozi 'Miraglia', i marchi sotto il controllo del network hanno raggiunto quota 75.” ("Bucalo, da negozio di camice a holding con 75 marchi" SiciliaInformazioni.com, 25 settembre 2008)

Ed a Palermo (o a Roma...) devono averli in forte antipatia, a questi tre fratelli, già sponsor del Palermo calcio (quello che si dice un “attacco concentrico”), visto che già l'anno scorso un sequestro di beni era stato predisposto per una presunta evasione fiscale di 30 milioni di euro (“Palermo, evasione per 30 milioni di euro Maxi-sequestro di beni all'azienda Bucalo”, SiciliaInformazioni.com, 25 settembre 2008).

I titoli sono buoni per un film sulla Chicago di Al Capone: “Maxi truffa”, “Evasione”. Si scordano solo di mettere il “presunta” davanti. Tanto i giornalisti sanno di potere delinquere impunemente. Tanto hanno il tesserino.

A nessun giornalista viene in mente di riallacciarsi il programma di RaiTre in questo caso. Invece quando a Report si colpiva direttamente la Sicilia, ecco che tutti (a reti unificate) se lo sono fatti venire in mente.

Il sistema segregazionista politico-genetico italiano è raffinatissimo. Come funziona, lo suggerisce in chiusura di programma un imprenditore napoletano, Raffele Barba, una delle firme più esclusive della camiceria italiana:

RAFFAELE BARBA - IMPRENDITORE
(...) Quindi capirà che io oltre la difficoltà di dover vendere, di dare lavoro a circa 100 dipendenti, ho anche la difficoltà con i prezzi con questa realtà, che oggi non solo uno o due ma sono molteplici, oggi i nostri competitor sono tutti agguerriti come noi, e non solo dobbiamo combattere con quelli che fanno il reale Made in Italy, ma anche chi gioca sporco. Quindi capirà che in questo mondo in cui le firme e la pubblicità contano più della qualità, diventa difficile vendere e diventa difficile andare avanti, soprattutto se si rispettano le regole.
SABRINA GIANNINI
Cioè?
RAFFAELE BARBA - IMPRENDITORE
Eh...le regole sono tante da rispettare!


Le regole: fatte apposta per essere infrante. Di modo che tutti sono colpevoli, e chi non ci piace lo sbattiamo prima sui giornali, e poi se insiste anche in gattabuia. Colpito per ragioni genetiche o politiche. Ed in questo caso mi sa che valgono tutte e due.

Io, nel mio piccolo, se prima mi servivo da Bucalo solo saltuariamente, da oggi vedrò di passare più spesso in uno dei suoi punti vendita. Se è vero che è riuscito a fare indossare ai carabinieri italioti delle divise Made in China, va sicuramente sostenuto: su questi capi presto ci prenderemo il pizzo facendoli passare dal porto di Augusta.

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[*] Ascoltando l'inchiesta di Report scopriamo anche che l'unico a rispettare la legge sembra essere Dalla Valle, tanto per avere un idea di chi fosse Picone.

Clicca qui per vedere il video della puntata di Report "I disoccupati del lusso"

1 commento:

rrusariu ha detto...

Questo è il mio intervento postato su Siciliainformazione a commento dell'articolo:
speriamo che i titolari del gruppo Bucalo riescano a dimostrare la loro estraneita' al raggiro, ma c'è sempre un mah!!!

Non è per caso che questo accanimento viene fatto perchè la suddetta società sta dando fastidio ad un certo "made in italy"?

30000 divise sono un affarone, qualcuno si è "siddhiatu" ed allora ha seguito l'odore...

Ma un'altra cosa sarebbe ... perchè gli "amici" del made in italy quando aprono le fabbrichette in tunisia non c'è nessuno che dica qualcosa? Il "marron glacè" fa la voce grossa solo con Muhammar, ma con Ben Alì ben si guarda dall'interferire, sennò i padroncini del nord chiuderanno le loro fabbrichette in salsa tunisina... due pesi e due misure, anche la roba prodotta in Tunisia è extracomunitaria...

rrusariu@libero.it