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venerdì, aprile 15, 2011

La sputazza

Il dialetto, quello che una volta in classe veniva censurato a suon di bacchettate”. Dice bene Tano Gullo, giornalista dell'edizione palermitana di Repubblica in un suo recente articolo sulla proposta di legge per l'insegnamento della lingua Siciliana nelle scuole dell'isola (“Il siciliano si studierà a scuola. Ma gli scrittori bocciano la legge”, 7 aprile 2011).

Dice bene perché così ammette quello che il suo editore voleva negasse, e cioè che l'italiano non è la nostra lingua. Che la nostra cultura non è “italiana”, e che noi probabilmente italiani non siamo e soprattutto non ci sentiamo, visto che questa splendida lingua di Dante ce la siamo dovuti sorbire a forza di bacchettate.

E dice bene perché così facendo si affianca idealmente al regista Tornatore che nel suo ultimo capolavoro (Baaria) sottilmente affiancava l'insegnamento della lingua italiana nelle scuole del suo paese alla violenza fascista, sottolineando la valenza politica di quella coercizione.

Valenza politica posta in evidenza anche in un'altra scena, quella della salsiccia, in cui all'esprimersi in Siciliano del venditore ambulante, fa da contraltare la perfetta cadenza unitaria dell'ufficiale fascista canzonato che ordina l'allontanamento forzato (ancora una coercizione) dal suo orecchio di quell'idioma.

L'articolo di Repubblica non fa altro che confermare i sospetti che già da tempo Il Consiglio metteva in evidenza (si veda il post “Dialetto Siciliano o linguaggio politico italiano?” del 7 febbraio 2007), che cioè il tentativo di censura della lingua Siciliana insieme a tutta la diatriba sorta intorno al contrasto Siciliano / italiano abbiano un carattere fortemente politico.

Consolo, uno degli scrittori che avrebbe bocciato la legge, la butta direttamente in politica senza mezzi termini tentando di sminuire il provvedimento come indice di una regressione leghista. Tentativo populista ma legittimo, per carità. Aggiunge però che “Io sono per la lingua italiana, quella che ci hanno insegnato i nostri grandi scrittori, e tutto ciò che tende a sminuirla mi preoccupa”, ed in questo modo non fa altro che darci ragione.

Se insegnare il Siciliano a scuola equivale comunque a sminuire la lingua italiana, bisogna pur pensare che vi sia una netta contrapposizione tra i due idiomi. Essi non si integrano, come vorrebbe la vulgata generale che relega il Siciliano a semplice dialetto dell'italiano. Consolo si tradisce in un certo senso rivelando un timore nei confronti di un qualcosa che avrebbe la forza di contrastare un suo credo. Potrebbe mai un povero dialetto essere capace di fare questo?

Camilleri, altro scrittore “preoccupato”, precisa meglio: “una lingua, l'italiano, che al 90 per cento è stata l'artefice dell'unificazione del Paese”. Ecco chiarita la transizione: se indeboliamo l'italiano, indeboliamo l'unità. Ed infatti Consolo continua: “Non è che con questa legge si vuole aprire una breccia per dare la stura a un pernicioso revisionismo?

E' sin troppo ovvio che così siamo pienamente entrati in politica. Una politica di amplissimo respiro che va a toccare processi storici di enorme portata che riguardano la stessa storia del Regno Normanno di Sicilia e la sua contrapposizione alle politiche espansioniste occidentali.

La riproposizione del Siciliano non minaccia di aprire il fianco al revisionismo solo per quanto riguarda il periodo risorgimentale, ma anche per il campo ben più vasto dello stesso rinascimento, quel processo storico che segnò la nascita dell'era moderna e per inciso il trionfo dell'italiano sul Siciliano.

Il risorgimento, nel senso di storia d'Italia, in fondo è piccola cosa: Tornatore nel suo film lo assimila ad una "sputazza" che si asciuga sulla sabbia mentre il protagonista di corsa attraversa una grossa fetta della storia unitaria. Secondo quanto dice il bambino, circa mezzo minuto della storia della Sicilia.

E se gli scrittori contrari al Siciliano nelle scuole sono Consolo e Camilleri, classe '33 e '25 rispettivamente, ci dispiace dover notare come i detrattori della Sicilia abbiano oramai i “mezzi minuti” contati.


Basta un solo Siciliano a fare rinascere la Sicilia: del passato rimarrà solo uno sputo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

La muska spuntà arrè!!!

Certo la paura di vedere un siciliano scritto e divulgato atterrisce chi ha vissuto su certi agii...

Megghiu skummigghiari kiddi ka kampanu vinnuti...

Amir Abbad

Anonimo ha detto...

Notizia bomba su Libero di Oggi.
La verità comincia a trapelare anche sui media italiani.
La Trinacria se ne va dice Lombardo e per la prima volta si ammette l'autosufficienza della Sicilia rispetto all'Italia.
Bravo Lombardo, adesso però si deve andare ancora avanti.

Anonimo ha detto...

La Rivoluzione Culturale Siciliana e`iniziata da New York.
La Merica, dove la lingua Siciliana e' ancora viva. L'Istituto di Cultura Siciliana d'America da diversi anni insegna la lingua Siciliana in America.

In the USA the Sicilian Cultural Institute of America has been teaching the Sicilian Language for several years already! Sicily is several years behind us in teaching their own language to their students


http://thenewyorkworld.com/2011/01/04/sicilian-americans-have-something-to-say-in-sicilian/