Recentemente, parlando della funzione di “sutura” esercitata nel Mediterraneo dalla Sicilia (si veda il post “Filo da sutura”), abbiamo rilevato come nel quadro geopolitico dell'Italia repubblicana questa vocazione si sia manifestata in ambito prettamente politico con il fenomeno del “compromesso storico”, termine che viene di solito allacciato all'attività di Aldo Moro, ma le cui radici si possono rintracciare proprio nel sentimento autonomista siciliano, che non è come qualcuno vuole far credere (o pretende di credere) un sentimento isolazionista. Tutt'altro.
La tendenza al compromesso in verità non è altro che l'inevitabile strategia che consegue all'obiettivo principale di quella funzione di sutura già discussa: l'obiettivo dell'inclusione, come opposto all'emarginazione ed all'inevitabile scontro tra le parti. L'Autonomia Siciliana è inclusione poiché se una terra punto di incontro tra idee diverse vuole essere autonoma, deve essere capace di pacificare le sue componenti includendole nel compromesso che deve essere raggiunto per potere attuare detta autonomia.
Come già detto, è questo meccanismo il vero nemico di un occidente votato alla conquista ed alla distruzione del diverso da sé. Ed è per questo che politici come Aldo Moro o Piersanti Mattarella, il Presidente della Regione Siciliana appartenente proprio alla corrente di Moro, hanno pagato con la vita il loro sgarro.
Oggi Raffaele Lombardo ha potuto passare indenne attraverso le stesse forche caudine solo perchè ha avuto la “fortuna” di piazzare la sua azione in un momento di crisi irreversibile per l'occidente.
Dall'altro lato invece Silvio Milazzo è probabilmente sopravvissuto ai suoi spericolati colpi di testa “autonomisti” semplicemente perchè sono riusciti a fermarlo in tempo.
Alcuni dettagli di quel periodo ci suggeriscono quanto il meccanismo che lo eliminò (per fortuna solo dalla scena politica) possa essere collegato, almeno ideologicamente, agli omicidi Moro e Mattarella ed alla vendetta occidentale.
Non è certo questa la sede per dilungarsi sui dettagli del panorama politico siciliano di quel dopoguerra [*]. Basterà solo accennare come a livello locale il compito di isolare all'interno della DC i “notabili” calatini (Sturzo, Scelba, lo stesso Milazzo) tagliando le ali a livello nazionale a De Gasperi fu perfettamente espletato dalla corrente catanese dello stesso partito, il cui ultimo esponente (attualmente sindaco di Bronte) continua tutt'oggi a combattere lo stesso tipo di “compromesso”.
Con la loro azione i “catanesi” (Magrì, Drago, Lo Giudice, un giovane Firrarello – per la verità originario di S. Cono) isolarono Scelba e costrinsero un Milazzo imbevuto di indipendentismo al punto giusto ad una azione disperata, quella cioè di dare vita ad un governo autonomista sostenuto dalle sinistre (più o meno la stessa situazione che troviamo oggi all'ARS).
Questa sua “azione disperata” fu neutralizzata da uno stratagemma ideato da un veneto trapiantato in Sicilia: Graziano Verzotto. Mandato giù negli anni 50 da Fanfani (nemico di De Gasperi) a mettere ordine nel partito democristiano, costui resterà in Sicilia per parecchi decenni, decenni che lo vedranno coinvolto in altri casi eclatanti, tra i quali la morte di Mattei.
Lo stratagemma ce lo racconta lo stesso Verzotto, con il tono tronfio da eroe che si compete ad un salvatore della patria (padana), nel suo recente libro “Dal Veneto alla Sicilia” (“Graziano Verzotto, l'«uomo dei misteri»”, Corriere.it 13 maggio 2008):
Verzotto studiò «la strategia migliore per mandare a casa Milazzo e la sua giunta». Nelle stanze ovattate dell’hotel delle Palme convinse il barone Majorana ad abbandonare Milazzo con la promessa della presidenza. Venne architettato anche un atto di corruzione, e un comunista ci cascò accettando 100 milioni di lire. Scoppiò un putiferio e la strana giunta Milazzo fu spazzata via.
La cosa che ci interessa è però quella raccontata dopo:
I complimenti più sorprendenti per la fine di Milazzo, Verzotto, divenuto segretario della Dc siciliana, li ricevette dal boss Lucky Luciano. Gli si avvicinò nel bar dell’hotel delle Palme. «Parlava di politica mostrando una conoscenza straordinaria di fatti e personaggi».
Il fatto che Lucky Luciano si fosse avvicinato a Verzotto per complimentarsi la dice lunga su quale sarebbe stato il piano B nel caso il cui il signorotto veneto avesse fallito.
Ma chi era realmente Lucky Luciano? Secondo la storiografia ufficiale, un potentissimo boss mafioso siculo-americano che tra l'altro fornì l'ispirazione a Coppola per il suo “Padrino”.
Uno scrittore inglese (Tim Newark) la pensa in modo molto diverso (“The Dudfather: gangster who inspired Vito Corleone was a fake”, SWNS.com 5 gennaio 2011):
“La triste verità è che Lucky Luciano era un decaduto senza i soldi o il potere per essere quello che si diceva di lui. Anche se lo fosse stato, la mafia non avrebbe lavorato con lui proprio a causa del suo profilo pubblico.”
Allora perchè tutto questo mito intorno a quest'uomo? La risposta, forse risiede nel titolo del libro:
Lucky Luciano, assassino mafioso ed agente segreto.
Pare ci siano seri indizi sul fatto che il nostro lavorasse per l' “Occidente” insieme a tanti altri suoi colleghi il cui compito era quello di impedire la “sutura”.
Milazzo, come Moro e come Mattarella, non fu fermato da un complotto italiano. Contro di lui si stava già muovendo l'intero apparato da guerra anglosassone, quell'apparato di cui l'Italia risorgimentale era solo una propaggine. E la Sicilia (autonoma) la sua spina nel fianco.
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[*] Sulla situazione politica siciliana del tempo posso consigliare il breve e preciso “La mia verità sull'Operazione Milazzo”, di Pietro Cannizzo Sturzo – Mare Nostrum Edizioni, 2008.
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