Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

domenica, marzo 25, 2007

Il voto di Colapesce


Lo sviluppo della nostra Sicilia si basa su tre pilastri: le infrastrutture, l'energia e la politica in ordine inverso di importanza. Le infrastrutture non permetteranno a nessuno di produrre se non si troverà l'energia per farlo. Il piano energetico deve precedere quello infrastrutturale.

D'altronde senza la politica è impossibile pensare di predisporre un qualunque tipo di piano. Deve essere la politica a tracciare la strada ed a farsi carico dei bisogni del territorio e dei cittadini.

Oggigiorno tutti e tre i pilastri sembrano vacillare sopra la liquida sabbia della melma risorgimentale nella quale siamo impantanati, tanto che avendo a disposizione un novello Colapesce molti farebbero fatica a scegliere quello sotto il quale mandarlo.

Capire da dove iniziare però sarebbe già metà dell'opera e non credo che proponendo l'idea di cominciare da dove ci siamo fermati, e cioè dalla nostra Autonomia, si stia giocando d'azzardo. Idea questa che ci rimanda alla politica ed alla necessità di trovare un grimaldello per scardinare quel bunker nella quale la nostra massa dirigente ascarizzata ha celato la verità.

Il materiale umano per sovvertire lo stato attuale delle cose c'è, ma tutte le porte sembrano chiuse mentre arranchiamo trascinando il sozzo carrozzone dei partiti nazionali sulle nostre spalle. La forza politica c'è anche, come dimostrano gli innumerevoli partiti e partitini che si richiamano all'idea della nostra Sacra Nazione. Ciò che manca è una strategia.

Il partito che più di tutti sta rappresentando ed intercettando questa voglia di cambiamento della politica in Sicilia è sicuramente l'MPA fondato da Raffaele Lombardo, ironicamente presidente di un ente abolito dallo Statuto dell'Autonomia ma che continua ad esistere in forza al sistema che ci opprime.

La Sicilia è pronta ad esplodere e ad abbracciare un nuovo corso politico fatto di libertà ed autodeterminazione, ed è per questo che tutti si aspettavano alla prossima tornata elettorale una nuova realtà che improvvisamente aprisse le porte di quel bunker: un fronte unico dei partiti autonomisti siciliani che in una sola notte abbattesse il muro che getta ombra sulla nostra identità.

L'MPA in questi giorni non ha capito e non ha saputo cogliere il momento per suonare la riscossa, non ha saputo trasformarsi in Colapesce per andare a fondare una nuova Trinacria e sostenere il ritorno del Popolo Siciliano sulla scena politica mediterranea (E dire che in Toscana ha avuto il coraggio di formare quel fronte a cui noi tanto agogniamo!).

L'appoggio a Cammarata ed ai partiti nazionali alle elezioni della capitale ha deluso quei tanti che hanno già capito che il momento è maturo per lo scontro (politico). Niente è perduto ovviamente, ma è venuta l'ora per ognuno di noi di spingere e di costringere gli uomini che veramente possono e che vogliono rompere con l'attuale stato di cose a fare il grande passo e ad uscire allo scoperto.

L'arma è stata involontariamente fornita dai nostri stessi nemici e sarebbe il caso di usarla perché potrebbero levarcela da un momento all'altro: si chiama voto disgiunto. Alla prossima tornata elettorale abbiamo la possibilità di dire ai vertici dell'MPA basta! Basta con i calcoli in stile Prima Repubblica: lo stato attuale delle cose persiste perché siamo noi che continuiamo ad alimentarlo. Anche con accordi come quello con Cammarata.

Costringiamo l'On. Lombardo e tutti i politici di destra e di sinistra che hanno a cuore la causa della loro terra a adottare la strategia giusta votando si il nostro partito preferito, ma non votando i candidati a sindaco dei partiti nazionali, a Palermo come in ogni altro luogo dove troveremo un'alternativa siciliana ed indipendente. Essi capiranno ed ascolteranno finalmente la loro base.

Nel 1861 seicentosessantasette eroi si trasformarono in Colapesce e di fronte ai fucili savoiardi spianati non ebbero timore a dire NO! malgrado il voto palese. Oggi ognuno di noi può trasformarsi in Colapesce ed essere un eroe, rifiutandosi di continuare ad accettare lo stato delle cose come ineluttabile e segnando la strada da seguire verso la creazione di quel fronte popolare autonomista che ci guiderà alla vittoria ed alla libertà!
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giovedì, marzo 22, 2007

La Comunità dalle gambe corte

Il prossimo 25 marzo 2007 i paesi dell'Unione Europea si apprestano a festeggiare... il falso.
Corre infatti voce che quel giorno, oltre all'anniversario dei Trattati di Roma, essi celebrino il 50° anniversario della nascita dell'Unione Europea, commettendo un gravissimo errore che altri non è se non una cosciente distorsione della realtà storica.

Il sito della Treccani, per quella data recita:

“Il del 25 marzo 1957 viene, in effetti, considerata da molti, e a ragione, come la data di riferimento per l'avventura della costruzione dell'Unione Europea, così come oggi la conosciamo”

Come mai “da molti” e non “da tutti”? Perché il 50° anniversario della fondazione della Comunità Europea è già trascorso, ed è caduto esattamente il 3 giugno del 2005. Cinquantadue anni fa in Sicilia veniva firmata la Dichiarazione di Messina (un atto ufficiale quindi) che metteva tutti d'accordo su quello che sarebbe stata l'integrazione europea.

Roma 1957: ratificazione della dichiarazione di Messina


A Messina si decise di puntare sull'integrazione economica orizzontale dei paesi europei invece di procedere per settori come si era fatto sinora e come voleva continuare a fare la Francia. E' questo quindi l'atto puro che diede la svolta al processo di integrazione europea e che fu possibile grazie alla visione di un siciliano, l'allora Ministro degli Esteri Gaetano Martino che come tutti i grandi siciliani era intriso di quella idea istintiva di globalità che solo un'isola come la Sicilia può infondere.

A Roma si registrò un fatto avvenuto qualche tempo prima, un po' come quando un nascituro viene registrato all'anagrafe: l'ora della nascita rimane quella dell'abbandono del grembo materno, ed in ospedale vi sono altri documenti a dimostrarlo.

Ecco cosa ha da dire Prodi a proposito della ricorrenza:

“I motivi celebrativi più importanti ruotano intorno a due date: il 25 marzo (1957) firma dei trattati di Roma ed il 9 maggio (1950), che segna la ricorrenza della dichiarazione Schuman (che fu la base per la nascita della CECA, con la messa in comune delle risorse di carbone ed acciaio fra i sei paesi della piccola Europa”

Neanche una menzione per Messina! Il fattaccio viene forse cancellato in perfetto stile d'oltre cortina per evitare che possa togliere luce all'astro della pura razza latina? E siccome però non puoi proprio cancellare tutto, ci pensa Il Sole 24 Ore con un dossier a rendere esplicito il disegno revisionista riportando sì la “riunione” di Messina, ma trasformandola quasi in un meeting informale e senza valore:

1955, 1 – 2 giugno. I ministri degli esteri dei sei, riuniti a Messina, decidono di proseguire sulla via dell'integrazione economica e viene istituito un comitato intergovernativo presieduto da Paul-Henri Spaak

Nella quale, tra le date sbagliate, si “fa finta” di scordarsi che in quell'occasione non si “decise” semplicemente, ma ci furono dei documenti e delle firme.

Ma nessuno in Francia ed in Germania vorrà mai accettare l'idea di dare ad un italiano tutti questi meriti. E l'ingordigia Italiana non vorrà mai dare alla Sicilia, ed a Messina, la possibilità di avere qualche luce positiva puntata addosso.

Una Sicilia autonoma e libera avrebbe potuto dire la sua al parlamento europeo anche rifiutandosi di prendere parte ai festeggiamenti. Ma siamo piccoli e dobbiamo ancora crescere. Nel frattempo rimaniamo all'erta: si sa, le bugie hanno le gambe corte ed a volte inciampano.
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mercoledì, marzo 21, 2007

Aeroporti: la Regione Siciliana all'attacco di se stessa

Le malattie definite autoimmunitarie sono quelle nelle quali per qualche strana piega del codice genetico il sistema immunitario di un organismo inspiegabilmente incomincia ad attaccare se stesso scambiandosi per un nemico da annientare e consegnandosi ad una lunga e lenta degenerazione.

La Sicilia soffre di uno di questi mali da circa 60 anni, dal momento cioè in cui, vinta la battaglia per l'Autonomia, lasciò che questa si cominciasse a corrompere dal di dentro portando a quel decadimento generale in cui oggi noi vaghiamo.

Il processo non è ancora giunto agli stadi terminali, e non sarà fermato se non si agirà in modo drastico estirpando la mala pianta alle radici. Il che non vuol dire l'eliminazione del malato (il Popolo Siciliano e le sue istituzioni), ma l'evirazione (permettetemi il termine...) della attuale classe politica, gramigna che infesta ed intossica oramai infiltratasi ovunque nei nostri spazi vitali.

I segni di reazione sono evidenti nel malato, ma gli attacchi del virus si fanno sempre più veementi e sconsiderati. Se questi son dovuti a malafede o al semplice esplicitarsi di un destino genetico scritto tra le eliche del DNA ed al quale i nostri conterranei votati al tradimento ed al saccheggio, oramai divorati dal morbo, non sanno più sottrarsi non si può dire.

Abbiamo più volte ripetuto (e su questo tutti i siciliani sono d'accordo) come uno dei piloni fondamentali sui cui basare lo sviluppo e l'affrancamento del Popolo Siciliano fosse quello delle infrastrutture. Su quali infrastrutture non tutti sono d'accordo (vedi questione ponte), ma nessuno si sognerebbe di escludere da queste gli hub portuali ed aeroportuali.

In questo senso una grande battaglia è stata vinta di recente con il completamento della nuova aerostazione di Catania, l'assegnazione della sua gestione alla SAC e l'aggiudicarsi di quest'ultima della gara per la gestione di Comiso allontanando i potenziali tentativi di sabotaggio inevitabilmente collegati ad una gestione "nordica".

Catania e Comiso faranno sistema, con Comiso specializzato principalmente nel traffico cargo e Catania in quello passeggeri. Sulla stessa scia si prevede di integrare i porti di Catania ed Augusta e quelli di Palermo e Termini Imerese. Sulla stessa scia dovrebbero integrarsi gli aeroporti di Trapani e Palermo (fatto questo ovvio, ma di cui ancora nessuno parla) e si dovrebbero poi collegare i due poli tra di loro e con Messina tramite linee ferroviarie veloci e moderne (anche più moderne della TAV da 4 lire della fallimentare impresa italiana).

I vari distretti turistici e produttivi dovrebbero basare il loro sviluppo sui collegamenti con queste opere, mantenendo il loro territorio intatto o anzi risanandolo e dedicando spazio ad altre attività che creino quel valore aggiunto che attualmente latita nella nostra economia.

Ed invece cosa ti va a fare la Regione Siciliana, chissà per interesse di chi? Invece di finanziare le opere di collegamento dedica 35 milioni di euro all'aeroporto di Agrigento, inutilissima opera che dovrà sorgere nell'area di Racalmuto, ennesimo sfregio ad un territorio (quello siciliano) già calpestato in ogni modo possibile ed immaginabile dal morbo autoimmune da cui siamo infetti.

E come se non bastasse dobbiamo ancora difenderci dal ritorno di pazzie come l'aeroporto di Gela (che credo debba servire un paio di jet privati dell'ENI), quello delle Eolie (che non si capisce bene dove dovrebbero farlo entrare) e dalla folle idea di un mega aeroporto al centro della piana, una lama d'asfalto per risolvere il problema delle arance siciliane tagliandolo alla radice.

Quanti aerei dovrebbero atterrare in Sicilia ogni giorno? Dov'è lo spazio aereo per permettere così tante rotte? O l'obiettivo è solo quello di togliere spazio aereo agli altri? La guerra è ancora lunga e le battaglie da superare innumerevoli. Ma niente sarà risolto sino a quando il morbo non verrà reciso con un colpo netto e sicuro.
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lunedì, marzo 19, 2007

Superclassifica show

La mania per le classifiche della moderna società mediatica ha da tempo raggiunto (se non oltrepassato) i limiti della perversione. Si compilano classifiche di ogni tipo e su ogni categoria di bene di consumo, tangibile o intangibile che sia, dalla musica, al cibo, al famigerato "indice di mafiosità" usato come base per le leggi segregazioniste dell'ultimo stato al mondo dove ancora l'apartheid è legalizzato.

Ovviamente la compilazione di una classifica parte da criteri soggettivi, quali potrebbero essere ad esempio gli stili di vita di un popolo: non è detto che il miglior posto per passare le vacanze debba essere lo stesso per un inglese, per un italiano o per un tedesco. Anche quando si cerca di dare un manto di scientificità a queste graduatorie con valori numerici effettivi si ricade spesso nella soggettività quando poi si cerca di analizzarne i risultati.

L'esempio più classico è quello del PIL (Prodotto Interno Lordo) che ancora in quasi tutto il mondo si vuole far passare per indice del benessere di una nazione ma che in realtà significa tutto e niente, anche perché i metodi per il suo calcolo cambiano da stato a stato.

Non c'è da stupirsi allora che queste classifiche diano adito ad abusi di ogni tipo mentre gli "oggetti" della ricerca sgomitano per trovare un posto al sole. Esempio ne è l'annuale classifica delle vivibilità delle città italiane stilata da "Il Sole 24 Ore" ogni anno, la quale vede puntualmente una linea tirata dritta a metà circa dello stivale con quasi nessuna città meridionale capace di scavalcarla.

I criteri scelti per compilare la graduatoria sembrano essere stati selezionati appositamente per questo. Ad esempio l'unico parametro che riguarda la posizione geografica della città fa riferimento semplicemente alla differenza di temperatura tra mese più caldo e mese più freddo, e non si capisce come questo possa essere indice di qualcosa: secondo codesto indice infatti una città dal clima costantemente intorno ai 25° avrebbe lo stesso punteggio di una città dal clima costantemente freddo.

Il fatto che poi in Italia non vi siano capoluoghi di provincia dal clima costantemente freddo non ridà lustro allo strano indice: in una città dove splende il sole per buona parte dell'anno (cioè una città del sud) vi è meno richiesta di intrattenimenti "indoor" per cui un collegamento tra la frequentazione delle sale cinematografiche (ad esempio) e la migliore possibilità che una città offre di passare il tempo libero non ha senso quando si paragonano Bolzano e Palermo. Gli indici riguardo alla qualità del tempo libero sembrano ritagliati su misura per le città padane. Perchè ad esempio non considerare il tempo passato ammirando i templi di Agrigento? Sicuramente un passatempo più proficuo che l'andare al cinema a vedere i soldi dei contribuenti gettati nel gabinetto dai vari Boldi e De Sica....

Malgrado tutto vi sono classifiche dove lo spartiacque permane nonostante i dati siano sicuramente da considerarsi più oggettivi di quelli usati dal Sole per la sua poco significativa classifica, e questi sono appunto gli indici sul lavoro e sulla ricchezza: PIL, stipendi, disoccupazione, valore aggiunto confermano una situazione da terzo mondo per la Sicilia e per il sud.

L'unica classifica dove una provincia del sud vola alto è quella per il valore delle esportazioni: Siracusa si trova addirittura al quarto posto in Italia dietro Reggio Emilia, Modena e Vicenza. Solo che poi scendendo nel dettaglio scopriamo che si tratta anche qui di una truffa e che tutto l'export deriva dai prodotti petroliferi di poche aziende che pagano le tasse a Milano lasciandosi dietro una scia di morte da lager nazista.

La cosa peggiore è che poi dobbiamo anche sorbirci le spiegazioni "sociologiche" di tali incresciose situazioni che fanno sempre appello allo strumento lombrosiano delle caratteristiche genetiche del meridionale, secondo cui la discrepanza deriverebbe dall'innata ladroneria e tendenza all'imbroglio tipica del siculo-napoletano.

Nei giorni scorsi è però venuto alla luce un fatto a dir poco singolare a seguito della divulgazione dei dati Irpef 2004. La famosa linea spartiacque sembra scomparsa da questa classifica che pone sì ai vertici Milano con un imponibile medio di circa 30.000 euro, ma che poi vede Cagliari in 12ma posizione, Caserta in 21ma, Lecce in 24ma. Ed inoltre La Spezia in 76ma (dietro Catania, ultima nella classifica di vivibilità), Arezzo 86ma, Ravenna 91ma ed addirittura Rimini 98ma davanti ai soli Trapani, Ragusa, Massa , Crotone (Siracusa, regina delle esportazioni, langue in 77ma posizione).

Il caso di Rimini ha del paradossale: 11ma per qualità della vita, si trova al 15mo posto per ricchezza prodotta, al 20mo per risparmi allo sportello, al 14mo per i consumi di famiglia e così via. Come è possibile che poi gli abitanti dichiarino di essere tra i più poveri d'Italia (i più poveri considerando il costo della vita...) ?

Anche se qualcuno a nord dello spartiacque non lo crede, anche noi sappiamo fare 2+2, e così non ci vuol molto a capire una cosa confrontando le varie classifiche con questa sui redditi dichiarati, e cioè che l'evasione fiscale è quasi tutta al Nord Italia ed è cosi sfacciata da non potersi spiegare se non ammettendo una certa compiacenza da parte dello stato, che setaccia al sud per trasferire verso nord togliendo al povero per dare al ricco, o meglio al terrone per dare al padano.

Le reazioni alla sconvolgente realtà fotografata dalla graduatoria? Il sindaco di Rimini sostiene che "ci sono ragioni legate alla tipologia delle imprese che in parte giustificano bassi redditi". Poveri romagnoli, tempi duri in Riviera. Chissà che prima o poi non ci chiedano anche un sms per contribuire alla ristrutturazione dei loro quattro alberghetti.
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giovedì, marzo 15, 2007

Salvatore Giuliano: di sicuro si sa solo che è morto.


Di sicuro si sa solo che è morto. Ma è morto veramente il bandito Giuliano in quella misteriosa notte di Castelvetrano? Non sembra: il suo fantasma vaga ancora, ostaggio di quanti cercano a tutt’oggi di strumentalizzarne le gesta per portare acqua (sporca) al proprio mulino. Così anche ieri abbiamo, nostro malgrado, assistito al più laido dei teatrini (Enigma, Rai 3 alle 23:30)con i soliti cialtroni che tentavano di spartirsi le misere spoglie di un uomo che più che protagonista è stato nella realtà vittima degli eventi che in quegli anni si agitavano. Giuliano eroe Shakesperiano dunque, che anela alla libertà ed alla vita. Che è disposto a tutto pur di raggiungerle ma che è schiacciato dal destino e dalle sue stesse azioni.

Ri-guardiamo e commentiamo il vecchio film di Rosi e gli eventi che in esso sono ritratti, smascherando le menzogne che sin da allora sono state perpetrate ai danni di tutti i siciliani, di tutti gli italiani.

Il maranzano vibra alle luci di un lampione nella asciutta notte estiva di un qualunque paesino tra quelli che furono teatro, nella seconda metà degli anni 40, delle gesta di Turiddu. Le uniche voci di questa asciutta nottata saranno le voci dei mitra, nella più carica ed insieme più stereotipata scena del film. Un film percorso in lungo ed in largo dall’ostinato silenzio degli uomini siciliani e dai loro sguardi penetranti, dalle disperate grida delle donne e dai loro scialle neri, pendenti. Un ritratto che il regista deve forse al suo istinto, da cui pare si lasci guidare durante le riprese esterne, ma che scompare quando si passa al freddo calcolo dell’aula di tribunale: il silenzio prima assunto a dignità di un popolo, ora viene stracciato e ridotto a viltà, ad omertà. “Ma come”, sembra dire la cinepresa, “ora che siete tra le accoglienti braccia dello stato, vi ostinate a non parlare? Eh no! Allora non ci siamo, ora non ci va più bene...” Anzi no (sottovoce) va benissimo! Questo ci da l'occasione per accusarvi, per dimostrare a tutti che la colpa è solo vostra, che tutto questo lo volete voi! Ecco che tutto è rivoltato, e neanche ce ne siamo accorti: ancora segretamente gongolanti per le imprese di Giuliano colonnello dell’EVIS, ancora fieri di quegli uomini (gli abitanti di Montelepre) che silenziosi accettavano i soprusi di uno stato che non sa più che pesci pigliare, ecco che la stilettata ci ferisce rapida ed indolore. Solo dopo ci accorgeremo del sangue, ma non sapremo più dire come e perché. Incapacità del regista di cogliere e di far fruttare a dovere gli indizi raccolti sul campo? Mancanza del coraggio necessario per dire veramente tutto? O solo dei limiti. Un confine politico, diciamo, che il regista si dà? Fatto sta che il giudizio non lascia scampo a Giuliano, al MIS, ed infine ai siciliani tutti. Tirando le somme l’unica cosa che si riuscirà a dire di diverso dall’ufficialità è che Giuliano non è morto come descritto nel rapporto dei carabinieri. Poca cosa: in Sicilia lo hanno sempre saputo tutti, anche gli scecchi. E, considerando che l'ufficialità non dice proprio niente su questa storia.... beh! Allora il succo di questo “film-inchiesta” sembra essere veramente striminzito....

Ma vediamo i colpi assestati dal film più in dettaglio:

1) Il MIS. Senza nessun preavviso, senza nessun indizio ecco che la notizia ci coglie di sorpresa, subliminalmente inserita mentre siamo impegnati a seguire i disordini di piazza: il movimento indipendentista siciliano è appoggiato dalla mafia. E’ cosa certa e scientificamente provata: il siciliano non possiede alcuna indipendenza di pensiero, vota solo chi gli viene suggerito dalla mafia. Questo passaggio è importante, incide profondamente sulla coscienza di chi vede il film. Chi ha votato per il MIS ha votato per la mafia. Lo stato vi ha salvato, come si dimostrerà più avanti.

2) I siciliani e la mafia. Il film ha il coraggio di suggerire una certa contiguità tra la mafia e le forze dello stato. La mafia, (forse) bastonata dal regime mussoliniano, scarica i banditi e la Sicilia tutta non appena sente odore di un nuovo accordo con Roma. Ma questo non riesce a fare accendere una lampadina nel cervello del regista, non riesce a suggerirgli un qualche motivo per cui i Siciliani sarebbero così ritrosi a buttarsi tra le braccia di mamma Italia: i siciliani del film sono onesti e codardi o spavaldi e (quindi) malfattori. Niente vie di mezzo, niente sconti. Incassiamo. Grazie mille.

3) Infine Giuliano. Giuliano è un mostro sanguinario, che non ha remore a tradire tutto e tutti pur di salvare la pelle. I siciliani, la mafia e lo stato: tutti erano tenuti in scacco da questo villano assetato di sangue. Ovviamente ciò non può essere detto apertamente, o lo spettatore (siciliano) avrebbe repulsione istantanea per il film. Piuttosto si viene introdotti lentamente a quest’ennesimo dato di fatto da chi fa finta di non essere di parte. Il giudizio rimane sospeso e sembra pendere dal lato positivo sin quasi alla fine del film, dove poi le sue azioni sono rappresentate in modo tale da non lasciare più dubbi. Pisciotta tradisce (e questo si che è un dato di fatto!) e si redime, Giuliano non si pente e viene condannato. Nessuna introspezione. Il bandito è le sue azioni. L’uomo Giuliano non trova alcuno spazio.

Eppure la chiave della vicenda è tutta qui. Si vuole uccidere l’immagine di un Giuliano diventato eroe popolare. Durante la gestazione del film si cerca il modo di farlo, ed alla fine (proviamo a dipingerci la scena)... un colpo di genio, un ardito deus ex machina arriva a salvare la troupe: senza esprimersi esplicitamente si lascerà parlare la cinepresa, e si farà in modo che l’immagine di Giuliano si uccida da sola agli occhi dello spettatore. A Portella della Ginestra. Il luogo dove il vero Giuliano aveva ucciso se stesso. Il regista effettivamente a questo punto racconta le cose come stanno, ma se ne sta rendendo conto? Non era Giuliano a tenere in scacco la mafia, lo stato, persino gli isolani. Ma la Sicilia stessa, che aveva trovato il suo eroe tragico in cui potersi specchiare e che, tramite le sue azioni, tentava disperatamente di scardinare il suo destino oramai segnato. Una tragedia da lei stessa scritta, e per la quale non poteva che tristemente riservare il finale più adatto ma che il Popolo Siciliano capì vedendosi riflesso in quel giovane senza speranza. Portella sarà la fine emotiva di quel periodo storico: il culmine, il ring sul quale tutti i protagonisti della storia si incontrano e si scontrano per dichiarare un vincitore. La chiave di volta grazie alla quale si fissano gli equilibri che reggeranno il potere dello stato in Sicilia sino agli inizi degli anni novanta. Dopo, i protagonisti della storia non hanno più ragione di esistere. Si sgonfiano. Alcuni, compiuta a fondo la loro parte, muoiono a conclusione della vicenda. Altri continuano a vagare, personaggi in cerca di un nuovo autore, sino a quando un'altra fine, più anonima, non li riuscirà ad ingaggiare.

Ci potrebbe bastare questo. La comprensione di un momento che esemplifica cinquant’anni di storia intrisi di sangue. Nuove inchieste, nuovi film, possono anche offrirci qualche scorcio diverso, ma poco aggiungerebbero a tutto ciò.

Chi furono i mandanti di Portella? Anche questo perde importanza di fronte alle conseguenze del gesto. Ed è questa, infine, la più grave mancanza del film: quella di essersi soffermato esclusivamente sulle cause e di aver sorvolato sin troppo sugli effetti, che già allora dovevano essere in buona parte intuibili. Effetti passivamente ridotti nel film ad un generico, quanto banale, trionfo della mafia, profilato più come una evitabile condanna scelta dai siciliani stessi che come nuovo mezzo di oppressione sostituito al pugno duro del fascismo. Una negligenza dalla lingua un poco pelosa che continua sino ai nostri giorni.

La punta nascosta di un iceberg manifesto.
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lunedì, marzo 12, 2007

I ceci dei Savoia

Gli eventi storici descritti sono veritieri. Le ardite conclusioni finali tratte, un plausibile modo di spiegarli. La seguente “storia” non ha dunque pretese di verità assoluta. Essa vuole essere solo un volo attraverso un millennio di storia siciliana e non solo, un “Meltin' pot” di fatti e di collegamenti volto più a spingere la curiosità del lettore che a convincerlo di qualcosa. Un invito a fare del proprio sussidiario cibo per il caminetto e ad incamminarsi con il proprio passo alla ricerca della verità sulla storia della Nazione Siciliana.

Cosa c'entra la Repubblica Popolare Cinese con i Normanni dell'XI secolo, con i ceci e con i Savoia? Apparentemente nulla. Solo che ora ci divertiremo a stendere un filo che piano piano li colleghi in una sequela di eventi fusi in una di quelle schizofrenie temporali che solo la storia di Trinacria è capace di regalarci.

Nella versione cinematografica de “Il Gattopardo” il guardiacaccia del Principe asseriva di aver votato no al plebiscito del 1861, e di non sapersi spiegare (anche se in verità se lo spiegava benissimo) come mai il Sedara avesse poi comunicato una percentuale dei Sì del 100%. I fatti nella realtà non poterono andare esattamente in questo modo. Malgrado l'orgoglioso tentativo del regista di far passare per “siciliana” la matrice dei brogli, le carte del tempo (e la versione originale del romanzo) dimostrano il contrario. Il voto era infatti palese ovunque e si votava di fronte a gendarmi armati. Per questo si sa esattamente quanti furono i pochi che ebbero il coraggio di votare no: ci furono 667 eroi.

Facciamo un salto ai nostri giorni.

Una delle zone di frizione più forti tra il Celeste Impero e l'occidente, almeno dal punto di vista cinese, non è relativo all'infinita serie di prodotti (contraffatti e non) che dall'oriente giungono nelle nostre case, ma bensì riguarda la religione cattolica. Nello specifico il Vaticano non accetta il tentativo di controllo del pervasivo stato asiatico nelle nomine delle gerarchie ecclesiastiche. Il partito comunista cinese teme infatti molto più gli eserciti composti da anime che quelli fatti con i dollari dell'occidente materialista, già resi inoffensivi grazie all'intervento sui mercati finanziari americani.

La pretesa cinese viene presentata in Europa come degna del più lurido delirio dittatoriale, anche se a tutti qui da noi piacerebbe avere il potere ricercato da Pechino, se non altro per usarlo contro la stessa Chiesa Cattolica. Eppure qualcuno che lo possedeva in un recente passato c'era.

Saltiamo all'improvviso indietro di circa un millennio, ed atterriamo a Troina, in provincia di Enna, nel 1088 circa. E qui che Ruggero, re dei Normanni, impegnato nella conquista della Sicilia musulmana, incontra il Papa Urbano II, bisognoso dell'aiuto dei nordici per ridare forza e credibilità alla missione di Roma. Ruggero si inchina ma in cambio, nel 1098, ottiene la Legatio Apostolica, e cioè l'autorità di esercitare giurisdizione anche in materia religiosa. In pratica nel Regno di Sicilia da quella data in poi il clero è indipendente da Roma in quanto i vescovi sono nominati dal re.

Tale prerogativa rimarrà un potere esclusivo di chi avesse indossato la corona di re di Sicilia fino al 1861. Praticamente sino a ieri. Sino a quando stranamente un re decise che non sapeva cosa fare di tale privilegio e lo rispedì al mittente.

Dal canto suo la chiesa nei (quasi) 800 anni trascorsi tra i due eventi non se ne stette con la mani in mano. Il riappropriarsi del privilegio detenuto dall'odiato Regno di Sicilia costituì per tutto il periodo indicato uno dei suoi impegni principali, come Sciascia ci ha ricordato nella sua “Recitazione della controversia liparitana”, una guerra scatenata per un pugno di ceci, con tanto di persecuzioni ed incarcerazioni di vescovi alla maniera cinese, ma il cui vero obbiettivo era la “Legatio”.

Poteva mai pensare il soglio pontificio che tale immenso privilegio se lo sarebbe trovato un giorno tra le mani come appunto un pugno di ceci dato in carità ad un infelice in cerca di elemosina?

Non sono molti oggi gli estimatori di casa Savoia, ma è possibile credere che il re (ed il conte-spia con lui) non si rendesse conto del potere che si ritrovava tra le mani? Avere in pugno la tanta odiata chiesa cattolica non era cosa da poco per i massoni che avevano messo in opera la più grande truffa degli ultimi due secoli, l'Unità d'Italia. Ovviamente i libri di storia glissano sull'argomento. Da nessuna parte si legge della Legatio, e nessuno sembra chiedersi i motivi di una rinuncia da cretini.

Già prima della fatidica rinuncia (e prima del plebiscito) dei rumori erano però trapelati, rumori che, come testimoniato dal romanzo lampedusiano che quei fatti racconta, avevano portato non poche preoccupazioni nel clero. Si diceva infatti che i miscredenti (leggi massoni tosco-padani) si sarebbero appropriati dei beni della chiesa. E così fecero!

Nel 1866 l'esproprio dei beni ecclesiastici fu esteso a tutta l'Italia: i beni della chiesa venivano confiscati e messi all'asta. Bada bene: i beni della chiesa siciliana erano immensi. Può darsi quindi che detta legge non fosse una trovata post-unitaria, bensì il risultato di un vero e proprio calcolo economico precedente alla conquista (e che forse la motivò) per ripagare le spese delle prime guerre risorgimentali. Senza queste confische lo stato sarebbe nato già fallito.

E' lecito quindi pensare ad uno scambio tra la chiesa ed i Savoia “consigliati” dal finto piemontese Cavour.

I problemi a questo punto sono due. Il primo è che di fatto, dato che il clero siciliano era indipendente da Roma, i suoi averi non erano nella disposizione del soglio pontificio. I Savoia quindi ordirono una vera e propria truffa espropriando e poi rivendendo ai fessi terroni (e qui è proprio il caso di dirlo!) i loro stessi averi con il piccolo espediente di far prima passare tutto dalle mani del Papa*.

Il secondo è una conseguenza del fatto che il Plebiscito, condotto con le modalità indicate sopra, fu anch'esso una truffa ed anche oggi, dopo quasi 150 anni, non sarebbe difficile dimostrare la sua invalidità. Per cui il Savoia non aveva il potere di rendere il privilegio indietro, non essendo legalmente re di Sicilia.

Sembrano tempi lontani, quelli di cui parliamo. E sembrano perdute le storie che abbiamo raccontato. Però in Russia molte famiglie i cui beni furono espropriati dai sovietici all'inizio del '900 sono riuscite, tramite battaglie legali, ad avere indietro il maltolto, o almeno un risarcimento, dopo il crollo di quel regime.

E quando crollerà il regime Tosco-padano... Non oso pensarci. Un bel casino.

*Sotto questo aspetto, la Chiesa non perse nulla dall'annessione del Regno di Sicilia al tristo nuovo stato. Tutt'altro: visto che non tutti i possedimenti del clero siciliano furono confiscati e che qualcosa rimase allo Stato Pontificio insieme alla “legatio”, si può tranquillamente affermare che questi partecipò alla spartizione del bottino.

Bibliografia essenziale:
Il Gattopardo – Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Il Gattopardo – Versione cinematografica, Luchino Visconti
I Beati Paoli – Luigi Natoli
Recitazione della Controversia Liparitana – Leonardo Sciascia
Federico II di SveviaEberhard Horst
Sicilia Normanna – Salvatore Spoto
Unità Truffaldina – Nicola Zitara
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giovedì, marzo 08, 2007

Fratelli d'Italia 2

Ed eccoci arrivati ad una nuova rassegna dei Fratelli d'Italia, dopo il discreto successo della prima.

Oggi partiamo da un mago dello sport:


Il grande Luciano Moggi, a capo di una vera e propria cupola. Solo che non si tratta di un siciliano, bensì di un Toscano di Siena.

Altre differenze con la fantomatica cupola siciliana? Beh, in Sicilia ogni tanto qualcuno si pente o qualcuno denuncia. Nel mondo del calcio padano nessuno si pente e nessuno denuncia. Ma non usate la parola omertà, per carità! Quella è geneticamente cucita addosso ai soli siciliani.

Torniamo ora ai furbetti del quartierino: dopo Fiorani, un altro protagonista di quella gloriosa pagina dell'epopea delle banche italiane, dove alla fine gli unici a pagare sono comunque i siciliani, che nel giro di pochi anni si sono visti requisire tutte le loro banche:

Il signor Ricucci, odontotecnico romano, riuscito quasi a comprarsi RCS non si sa coi soldi di chi, insieme appunto ad un gruppetto di amici. Sposa uno dei volti della TV italiana, Anna Falchi. La coppia effettivamente rappresenta bene la tipica famiglia italiana, base di quel capitalismo familiare che ha fatto le fortune di tante zone ricche dello stivale.

Non si capisce quindi come non si parli di loro sul maestoso portale Italia.it, messo appunto per diffondere l'immagine dell'Italia nel mondo e di cui ci siamo già occupati.

Ora vogliamo riproporre il suo logo da 75.000 € insieme agli altri protagonisti di questa serie di post:

Ci siamo permessi di metterlo a confronto con una nuova versione costata quanto 10 minuti di connessione ADSL (Tariffa FLAT). La strana 't' viene qui sostituita da un più significativo 'asso di mazze' siciliano simboleggiante il famoso "Gioco delle Tre Carte" alla cui propaganda sembra effettivamente dedicato il portale.

A presto!
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Finti siciliani allo sbaraglio


Quando vengono espresse opinioni riguardo la realtà della Sicilia, si dovrebbe anche andare a vedere la levatura culturale di chi queste opinioni le esprime, dai professoroni dell'antimafia agli pseudo-intellettuali che di tanta cartaccia inondano le nostre librerie.

Ad esempio esaminiamo l'articolo uscito oggi sul Corriere della Sera (edizione cartacea) scritto da Matteo Collura (giornalista agrigentino coraggiosamente residente a Milano) dal titolo "Scoprendo la Sicilia, la terra dei tre mondi".

Il titolo ci fa già capire la matrice ideologica del nostro, e cioè la più classica delle correnti padano-risorgimentali. Tanto per capirci, quella alla quale attinge un altro noto prodotto della (in)cultura italiana, e cioè il neo-garibaldino Piero Angela.

Infatti il sottotitolo cita questi 'tre mondi': "l'epopea turca (?), lo sbarco dei Mille, quello degli Alleati: così l'isola ha segnato il destino dell'Europa"

Tre eventi scelti con cura che l'isola ha solamente subito. L'isola non ha segnato il destino dell'Europa anche con le Polis greche, con l'innesto dei saperi musulmani, con lo stato normanno, con il Vespro, con la rivoluzione del 1848, con i Fasci. No. Troppo protagonismo siculo in quegli eventi.

Ma forse il Collura ha la caratura culturale per esprimere queste opinioni. Per cui leggiamo l'articolo, e fra le citazioni più ovvie che poteva trovare arrivano delle stranezze. Ad esempio si parla "di una frontiera (...) popolata di eroi ed eroine e di personaggi grandi e piccoli che sembrano fatti apposta per nutrire la letteratura ed il cinema. Valgano per tutti Il Bell'Antonio e Il Padrino". Beh, Il Padrino in questo caso ci sembra citato un po' a sproposito visto che si tratta di un film americano, tratto da un libro americano e basato su fatti avvenuti in America.

Ma andiamo avanti: "E' un'isola frontiera, la Sicilia (...) che non fa che generare mostri (?, ndr). Aveva fama terribile quest'angolo di mondo, nelle epoche in cui - e oltre - sulle carte geografiche era indicato con l'Hic sunt leones"

Certo sarebbe gradito sapere in quali epoche era indicato con "Hic sunt leones" e da chi. Dai fenici che vi aprirono i loro empori qualche centinaia d'anni prima che arrivassero i Greci? O dai coloni Greci stessi? E poi, in una lingua che ancora non esisteva?

Si riferisce il nostro ai romani? Avrà fatto confusione con l'Africa Sahariana: d'altronde a Milano gli avranno dato spesso dell'africano, al povero Collura.

Che poi la Sicilia sia "precariamente" sorretta da tre colonne se lo è inventato lei: il "precariamente" non esiste nella legenda di Colapesce, ma solo nella finta unità che i suoi Mille ci hanno riservato.

Ma arriviamo alla fine:

"Dal mare un tempo veniva il pericolo delle aggressioni barbaresche (...) un eremita finito a Lampedusa (...) facesse uso di una stola con su un verso (...) i simboli cristiani, sull'altro quelli del credo islamico (...) e si sistemasse la stola secondo necessità. Questo è forse il modo migliore di sintetizzare e rendere la condizione psicologica dei siciliani"

Le neanche tanto velate accuse di doppiogiochismo e di falsità le rispediamo tranquillamente al mittente. Mi sa che lei stia confondendo la sua situazione di emigrante in una terra ostile con la nostra identità forte e millenaria.
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mercoledì, marzo 07, 2007

Quelli che il calcio

Gli amici de L'Altra Sicilia mi hanno passato il messaggio di Salvatore Lo Grande chiedendomi di scrivere qualche riga. Fotografando la verità sul calcio in Italia, ne è uscita una piccola allegoria della situazione dei siciliani in questa finta nazione.

Con quali occhi di solito guardiamo una partita di calcio di serie A? Con quelli del tifoso? Con quelli dello sportivo? Oppure con gli stessi occhi con i quali leggiamo dei retroscena politici di questa nostra mezza repubblica? Nei primi due casi (e mi rivolgo ai siciliani) mi dispiace per voi, ma il vostro fegato è destinato a risentirne. Nel terzo, per lo meno avrete la possibilità di prenderla con filosofia.

Dai post de “Il Consiglio” vi avevo avvertiti: l'articolo del Financial Times aveva un chiaro significato di allarme, e le reazioni in Italia non si sono fatte attendere.
Dopo la melma venuta a galla la stagione scorsa, il nuovo in Italia arrivava dalla Sicilia “allargata”, rappresentata da ben 4 squadre (non dimentichiamo che anche a Reggio parlano siciliano...). Due le avevano sistemate già prima dell'inizio: 15 punti alla Reggina, e qualche minaccia a Franza (che già di suo non era più disposto a rimetterci niente) avrebbero fatto il loro dovere.

Il tifoso e lo sportivo a questo punto non saranno più d'accordo: basta con questi complotti. Chi invece va poco poco oltre avrà fatto qualche conticino. Avrà ad esempio notato come Rossi sia passato dal calcio alla Telecom di Tronchetti Provera (area Moratti quindi...), avrà notato come qualche anno fa la Roma continuò a navigare in bassa classifica sino a quando Sensi non cedette la squadra a Geronzi (Capitalia), avrà notato come Zamparini con il Venezia retrocedeva ed invece con il Palermo naviga nelle zone alte. Avrà cioè notato che il calcio funziona come funziona tutto il resto in Italia: si decide tutto tra compagni di merenda. Ed i siciliani non sono mai stati compagni di merenda bene accetti in certi circoli.

In questo senso anche Zamparini deve aver tirato troppo la corda: l'Italia non ci sta ad essere rappresentata in Champions da una squadra siciliana. Quindi, dopo essersi giocati il Catania sulla pelle di un povero poliziotto, è meglio farlo frenare un po'.

Certo, a rigore non abbiamo nessun elemento per poter affermare cose del genere. Ma certi umori ci spingono a guardare in questa direzione. Ad esempio vi è da rilevare la strana preveggenza della Gazzetta dello Sport riguardo i fatti di Catania del 2 febbraio: il 19 gennaio veniva pubblicato un resoconto sull'allarme violenza negli stadi in cui si metteva l'accento proprio su Catania:

"Gli incontri considerati a rischio dall'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive sono cresciuti quest'anno (...) "Frutto" di alcune novità calcistiche come la presenza in serie A del Catania con una tifoseria ritenuta 'calda' "

L'accusa è totalmente gratuita: la tifoseria di Bergamo (l'Atalanta è salito con il Catania) è notoriamente tra le più violente d'Italia, ma il giornalista ha previsto bene, così come ha poi previsto in anticipo la pena che sarebbe stata inflitta alla squadra.

Passando oltre, anche Matarrese ha preso al volo lo “spin” e così ne ha approfittato per addossare ai fatti di Catania la disastrosa situazione economica delle squadre di serie A (Come dire che il Catania in serie A è un pericolo per lo sport italiano). La cosa è falsa, infatti già pochissime squadre avevano potuto fare acquisti a gennaio (le squadre con i parametri fuori posto non possono partecipare al mercato di gennaio), e tra queste poche erano presenti tutte le siciliane.

Di più il signor Liguori ad Italia 1, dopo lo scandaloso arbitraggio di Catania – Fiorentina ha cercato di scusare la cosa dicendo che ora al Catania non ne avrebbero più fatta passare una. Il che viene a dire che a qualche altra squadra qualcuna l'avrebbero fatta passare, o meglio che gli arbitraggi sono controllati.

All'inizio sembrava che tutto si stesse concentrando su Catania*, ma dopo che la giustizia sportiva clamorosamente assolve dalla responsabilità diretta la Roma e il Torino per i cori contro Filippo Raciti, la macchina mediatica cerca di ottenere un trattamento diverso per i tifosi del Palermo rei di aver cantato “vogliamo un altra Catania” e “chi non salta è catanese”: va bene la prima, ma la seconda cosa c'entra?

E veniamo ai fatti più recenti, con il dissidio tra Foschi e Galliani e poi con la trasmissione di Telelombardia dove il direttore del Milan Channel sostiene la insostenibile tesi secondo cui le squadre siciliane avrebbero rovinato l'immagine del calcio italiano nel mondo ed a causa di ciò la UEFA vorrebbe togliere un posto in Europa all'Italia (mentre la verità è che le squadre italiane in Europa vanno peggio di quelle di nazioni che hanno meno posti).

E non finisce qui: qualcosa di ancora più perfido si sta tentando sempre con più insistenza, si vuole cioè cercare di far passare l'assioma secondo cui se i siciliani vanno in serie A, si porteranno la mafia con loro. Questo in pratica suggerisce l'ascaro Bianco da Catania.

Si può ragionevolmente credere che tutto questo non sia conseguenza di un sentimento generale di avversione contro chi in Sicilia lavora bene ed ottiene risultati, siciliano o non siciliano? Si possono ancora chiudere gli occhi al fatto che urlare in uno stadio italiano “Terroni, terroni” non è considerato razzismo?

Cosa può fare L'Altra Sicilia, come in generale tutti i nostri rappresentanti politici?, Sicuramente stigmatizzare tutti gli atti di sciacallaggio che si stanno perpetrando sulla nostra pelle.

Ma chiediamoci invece cosa possiamo fare tutti noi siciliani (INCLUSI i nostri rappresentanti politici!) per lottare contro chi cerca di soffocarci e ci impedisce di essere noi stessi: impegnarci per la piena applicazione dello Statuto Siciliano. Questa è l'arma per la nostra battaglia, questa la leva che permetterà alla nostra Terra di difendere i suoi diritti e fare in modo non che la “squadra” Sicilia riceva dei favori “all'italiana”, bensì che venga trattata nel rispetto delle leggi e delle regole della democrazia, in Italia come in Europa.

Questo dovrà essere il nostro obbiettivo ogni giorno in ogni nostra azione: la lotta per l'applicazione dello Statuto dell'Autonomia Siciliana. Sino alla vittoria.

Dopodiché, (tanto per chiudere con una provocazione...) se Zamparini vorrà avere una squadra in Champions League, basterà creare il nostro comitato olimpico siciliano ed avremo ogni anno 4 – 5 squadre in Europa in tutti gli sport. E magari ogni tanto pure una nazionale siciliana ai mondiali di calcio. E senza penalizzare più di tanto quella italiana, dove i giocatori siciliani non sono i benvenuti.

*non tralasciamo il fango gettato sui siciliani negli anni passati: durante un Messina Inter dello scorso campionato i tifosi interisti si resero responsabili di un vergognoso attacco razzista nei confronti di un giocatore africano della squadra di casa. La RAI diede la notizia descrivendo i tifosi dell'Inter come “provenienti da tutta la Sicilia”. Strano che poi gli stessi cori si udirono pure a San Siro. O anche lì i tifosi provenivano "da tutta la Sicilia”?
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venerdì, marzo 02, 2007

Contrappunto sul Festival di Sanremo

Si poteva sperare, visto che al festival della canzone italiana (che non si sa per quale miracolo italiano si tiene a Sanremo invece che sulla Costiera Amalfitana) quest'anno presentava un siciliano.

Si poteva sperare di avere la nostra isola un trattamento poco poco "di favore".

Ed invece il presentatore che si erge a censore addirittura del Papa, dalla Sicilia ha portato solo mafia: lo spettacolo oramai vecchio e stantio di Ficarra e Picone ed una canzone dedicata a Falcone e Borsellino.

Visto che c'eravamo, perché non parlare anche del sequestro Moro, della P2, della Parmalat, della diga del Vajont? Allora si che sarebbe stato un bel Festival Italiano.

Invece no. Il trattamento speciale spetta solo alla Sicilia.

Grazie Pippo, a te come a tanti altri per aver reso la mafia un soggetto istituzionale. Per aver ucciso ancora una volta Padre Puglisi ed i giudici Falcone e Borsellino, che da paladini della giustizia in Sicilia si sono visti trasformati in ambasciatori della mafia nel mondo.

Grazie.
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