Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

venerdì, dicembre 29, 2006

Un passato che ritorna...

Per festeggiare il nuovo anno non c'è di meglio che onorare il passato...

http://www.youtube.com/watch?v=_KdfoRrUpo8


Grazie a Nicheja di www.siciliaindipendente.org per averci fatto rivedere il grande Finocchiaro Aprile...
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Trattato sulla storia della Sicilia vista attraverso i suoi rapporti con la penisola italiana

Ma questo trattato esiste? Chi lo ha scritto? Dove lo si può trovare? Un titolo stuzzicante vista la conflittualità che tale rapporto ha generato nei millenni, una conflittualità completamente stravolta, quando non cancellata, nei significati storici e culturali dalla storiografia ufficiale italiana. Un argomento di non facile approccio che solo storici preparati (e non condizionati politicamente) si sentirebbero di affrontare.

Eppure un primo tentativo in questo senso pare sia già stato fatto. Un tentativo di dare un senso storico a questo rapporto e di analizzarlo nella sua interezza. Un tentativo recentissimo che molti siciliani si sono sicuramente trovati sotto l'albero per questo Natale 2006, nascosto in un opera di dimensioni molto più ampie.

Alla pagina 14 dell'ultima fatica di Andrea Camilleri, l'ennesima puntata della oramai celebre saga del commissario Montalbano (Le ali della sfinge, Sellerio) troviamo scritto:

"Il Salsetto, al tempo dei greci, era stato un fiume, pò era addivintato un torrente al tempo dei romani, appresso un rivo al tempo dell'unità d'Italia, appresso ancora, al tempo del fascismo, un rigagnolo fituso e infine, con la democrazia, 'na discarrica abusiva."

Immagine dall'ironia tagliente, ma al tempo stesso profonda: un fiume, elemento geografico intorno al quale di solito si coagulano le civiltà, diventa parafrasi di un declino senza poesia, oggi misurato in numeri grazie alle statistiche ISTAT ed ai nati malformi di Gela e Priolo.

E possiamo anche comprendere e non storcere troppo il naso quando a pagina 206 dello stesso libro l'ispettore Fazio apostrofa l'indiziato osservando che "forse s'impressionò perchè lei parlò in dialetto": il fiume è oramai secco ed a tutti può venire sete. Ed anche il Commissario Montalbano/Camilleri ogni tanto sarà stato costretto ad accettare qualche sorso dalla fontana altrui. Ed in cambio, qui e lì, rileggendo certe frasi, avrà fatto finta... di niente.

Buon 2007. E che il nuovo anno ci porti più Consiglio
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venerdì, dicembre 15, 2006

La nascita di una nuova Europa?

Cosa succede all'Europa? La bocciatura della carta costituzionale europea sembra aver aperto la strada ad una rivoluzione che, seppur serpeggiante, sembrava aver timore di metter fuori la testa per il pericolo di essere schiacciata dai burocrati di Bruxelles al soldo dei potentati finanziari.

Ed invece il pollice verso posto dal popolo in quei paesi che hanno avuto la decenza di lasciare qualche parvenza di democrazia intatta permettendo alla gente di esprimersi (tra questi ovviamente non rientra il moribondo regime tosco-padano) ha acceso i riflettori su di un processo che al momento sembra ancora dimenarsi tra le pastoie dell'ancien regime ma che potrebbe subire una rapida accelerazione in qualunque momento provocando il crollo di quella metà del muro di Berlino che ancora rimane intatto e che separa i popoli europei d'occidente dalla loro libertà.

Cosa ha spinto la televisione di stato belga un paio di giorni fa ad inscenare la separazione tra le due inconciliabili metà dello stato, quella fiamminga e quella francofona? I cittadini sono stati in apprensione per qualche ora all notizia della fine dello stato padrone che tutti conoscevano, una tensione che sarebbe sfociata in giubilo o in disperazione (non è dato sapere...) ma che indica come più che probabile una situazione come quella anticipata dai media.

Il Belgio si è trasformato in uno stato federale nel 1995, in fondo cedendo alle istanze delle sue due anime principali e permettendo al popolo di assaggiare un piccolo sorso di quella libertà a loro negata per lungo tempo da un tipico rappresentante di quegli stati-padrone venutisi a formare con la rivoluzione industriale dell'ottocento e rafforzatisi nel corso del novecento.

In forza di quel sorso di libertà le regioni hanno avuto il potere di decidere sull'educazione, sull'agricoltura, sulla ricerca, sulla sanità ed altro. Ed ovviamente ora il popolo vuole andare avanti.

E' quello che sta succedendo in Scozia (vedi post), in Catalogna, nella Regione Basca, in Sicilia, in Montenegro, regioni che hanno sempre posto l'accento sulla loro identità e che hanno dovuto subire pesanti repressioni in tutto il secolo scorso. E senza scordare la Corsica, la Sardegna, il Galles, il Tirolo che sembrano ancora intorpidite ma che (mai dome) non tarderanno anche loro a sbattere i pugni sul tavolo.

E non è un caso se le regioni o gli stati che effettivamente rappresentano un unico popolo e che sono riusciti ad ottenere il loro spazio di libertà sono oggi in Europa quelle che corrono di più: Irlanda, la stessa Catalogna, la Finlandia, l'Estonia (l'unico tra gli stati baltici ad essere riusciti a contenere l'arrivo di coloni russi durante l'era sovietica).

Il processo di trasferimento di poteri dagli stati nazionali a Bruxelles sta erodendo la forza dei governi, che non riescono a resistere agli attacchi portati loro dal basso dalla voglia di libertà dei popoli ad essi sottomessi. Il processo non ha però ancora subito quella accelerazione che possa portarlo verso la soglia del non ritorno.

E' il momento di spingere più forte, ed anche noi siciliani dobbiamo fare la nostra parte per creare una vera Europa, quella dei popoli, ed abbattere il cancro che altrimenti sta già degenerando a Bruxelles e che tenta di non fare altro che sostituire gli stati nazionali con un loro surrogato ancora più distante ed ostile a tutti noi.
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sabato, dicembre 09, 2006

Scotland Blues

"Alcuni dicono che gli irlandesi siano l'immondizia d'Europa. Cazzate. Sono gli Scozzesi. Gli irlandesi hanno avuto il fegato di riprendersi la loro nazione, o almeno buona parte di essa"
Queste le parole che lo scrittore scozzese Irvine Welsh mette in bocca al suo antieroe ed alter-ego, Renton, nel suo libro "Trainspotting" (il film di successo tratto dal libro evita di riproporle...).

Parole che indicano un sentimento alquanto diffuso tra i pub e le taverne di Edimburgo e tra i pensieri degli scozzesi, si può dire da sempre: secoli e secoli di guerre per tenersi lontani dagli odiati anglosassoni, insurrezioni, persecuzioni, punizioni atroci, imbrogli e tradimenti culminati culminati nel "trattato" d'unione del 1707, versione londinese degli italici "plebisciti".

La storia scozzese non è però tanto "ammucciata" quanto la nostra: basta girovagare tra gli scaffali di Waterstones a Glasgow, ad Aberdeen, ad Inverness e nella stessa Edimburgo per trovare accostati libri di storia con due versioni differenti: quella scritta a sud del muro di Adriano e quella scritta a nord. E basta sfogliarle per notare delle differenze sostanziali.

Gli scozzesi però, dopo un sonno molto più lungo del nostro, negli ultimi anni del novecento hanno trovato la forza di farsi avanti, e di superare lo stato di tossicodipendenza da Londra di cui il libro di Welsh sembra rappresentare una parafrasi e finalmente nel 1999 ad Holyrood hanno riaperto le porte del parlamento scozzese.

La cosa non è piaciuta troppo "al di là del muro", così i mezzi d'informazione si sono scatenati cercando in tutti i modi di screditare la giovane istituzione dipingendola come un centro di corruzione e di clientelismo politico (no, non siamo tornati "al di là del faro": questa è ancora la Gran Bretagna!).

Tra un'accusa e l'altra (e tra un barile di petrolio e l'altro, come vedremo tra poco...) ora però a Londra cominciano a spaventarsi per davvero. Gli scozzesi infatti sono andati avanti malgrado i tentativi di sabotaggio, e così l'anno prossimo se da un lato gli Ascari festeggieranno i 300 anni di "unione" (Ahi! Come ritornano certe parole...) con una moneta commemorativa da 2 sterline in versione inglese e scozzese (Già: la Scozia batte addirittura moneta propria da qualche anno!), dall'altro due giorni dopo (il 3 maggio) si terranno le elezioni per il parlamento scozzese.

Un posizionamento strategico, così vicino ad un evento che forse secondo Westminster dovrebbe far rivivere nei "barbari" del nord qualche barlume di "orgoglio britannico" in vista del voto, ma che potrebbe anche avere uno spiacevole effetto collaterale, e riaprire vecchie ferite incancrenite nel fiero popolo scozzese.

Anche l'Economist suona l'allarme con un articolo sul numero del 2 dicembre scorso in cui si cerca (come al solito) di ribaltare maldestramente la realtà delle cose. La situazione è in qualche modo simile a quella già sperimentata da noi, a latitudini più basse. Gli scozzesi hanno infatti quello che potrebbe considerarsi un "loro" partito a Londra: si tratta del Labour di Tony Blair, che ha propio negli scozzesi il suo zoccolo duro di votanti (Gordon Brown, prossimo primo ministro in pectore è scozzese) e che non ha esitato a giocare con il fuoco concedendo ai suoi elettori un bel parlamento pur di mantenere il potere pensando poi di poterne intasare il funzionamento infiltrandolo di ascari e seguendo l'esempio dei tosco-padani (A qualcuno è tornato in mente qualcosa di un recente passato in Italia?).

Il giochetto pare non sia riuscito a perfezione, ed ora più del 50% degli scozzesi vuole la piena indipendenza, e circa il 60% degli inglesi è pronta a concedergliela. E visto che i nazionalisti (SNP: Scottish Nationalist Party) hanno buone possibilità di controllare il prossimo esecutivo scozzese, la prospettiva del referendum sull'indipendenza promesso dall'SNP prende sempre più corpo.



La vignetta dell'Economist a corredo dell'articolo: nel circo della politica le acrobazie degli ascari non sono solo uno spettacolo nostrano.

Per difesa Blair e Brown hanno agitato un bastone per aria, suggerendo la fine di certe sovvenzioni che da Londra fluirebbero verso nord (e che in fondo sono la stessa fonte di sopravvivenza di Blair e Brown), un sitema di assistenzialismo simile a quello che ha massacrato Sicilia e Siciliani nel secondo dopoguerra.

Cosa rispondono da Edimburgo? Che i sussidi in fondo se li potrebbero anche tenere: gli scozzesi vogliono le tasse sul petrolio del Mare del Nord, che seppur in via di esurimento è ancora una grande risorsa che per la maggior parte si ritrova nelle loro acque territoriali.

E potremmo terminare con un altro pensiero di Renton-alias- Irvine Welsh da Trainspotting, e scusate la scurrilità: "Gli inglesi sono solo dei segaioli. Siamo stati colonizzati da dei segaioli. Non siamo neanche capaci di seglierci una civiltà decente, vibrante, piena di salute, da cui farci colonizzare". Questo lo trovate anche nel film.


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giovedì, dicembre 07, 2006

Gas: interesse privato in atto pubblico?

Le grandi manovre sul gas in Italia sono già iniziate da qualche tempo, ma ultimamente hanno subito un'inpennata: raddoppiamento della rete di collegamento nord-sud, il via al progetto del GALSI (Gasdotto Algeria-Sardegna-Italia), nuovo gasdotto Taranto-Bologna (preludio al collegamento Puglia-Grecia), nuovi depositi di stoccaggio del gas e ben 6 rigassificatori, mentre in tutta Europa la domanda complessiva di metano diminuisce.

L'Italia consuma 85 mld di metri cubi di gas, di cui 73 importati. Con il completamento delle infrastrutture previste potremo raddoppiare (o anche quadruplicare, visto che è di recente la notizia di una nuova tecnologia per comprimere il gas lungo le tubature esistenti fino al doppio del valore attuale) la quantità di metano che in ogni dato momento attraversa il paese, per proiezioni di consumi anche 3 o 4 volte quelli attuali. A questo possiamo anche aggiungere che l'Italia ha la più alta percentuale di energia sul totale consumato prodotta attraverso il metano (44%), e stiamo costruendo anche centrali a carbone. Dove vogliamo arrivare? Davvero tutti questi investimenti servono solo ad assicurarsi il gas necessario al nostro sviluppo per i prossimi 20-25 anni?

Non c'è poi bisogno di fare molta strada per capire che la verità è leggermente diversa: lo spettro di una Italia senza energia viene infatti agitato a comando solo per "fare" opinione pubblica contro coloro i quali non "calano le corna" immediatamente quando i satrapi delle grosse aziende produttrici di energia decidono di condannare il futuro loro e dei loro figli.
In realtà più e più volte si è (tra le righe) ribadito, da parte dell'ENI come da parte dell'Autorità per l'Energia, che l'obiettivo è fare dell'Italia l'hub del gas per l'Europa.

Il progetto ha in sè un senso economico notevole: Italia hub del gas significa una fonte di valuta pregiata immensa, con la quale (ad esempio) un Moratti qualunque potrebbe coccolarsi con altre 3 o 4 squadre come l'Inter. E chiaramente tutta l'economia Italiana ne potrebbe giovare (ne potrebbe...).

E' però tutto da vedere quanto questo sia realizzabile.

Per concretizzare la cosa i Tosco-Padani dovranno mettercela tutta. Dovrebbero in pratica fare una vera e propria magia per riuscire a fare della regione padana, una delle regioni più merginali al mondo, separata dal centro dell'Europa dalle Alpi, lontana dal centro del Mediterraneo, lontanissima dai paesi produttori a sud (Libia, Algeria, Nigeria) e ad est (Turchia, Medio-oriente, Russia), un hub.

Dovrebbero non solo riuscire a mantenere intatto l'attuale regime segregazionista nel Sud della penisola e specialmente in Sicilia (e recenti indizi indicano come tutt'altro che certa la cosa), ma addirittura riuscire ad estenderlo a parte del Balcani (per impedire la costruzione di un gasdotto che giunga dalla Grecia al centro dell'Europa attraverso di essi, molto più economico del passaggio in Puglia) ed intercettare i flussi russi (cosa in pratica già fallita poichè i tedeschi si stanno costruendo un gasdotto allo scopo sotto il Baltico).

Certo hanno la carta dei rigassificatori e del contratto per il gas nigeriano, ma anche lì la cosa non è molto convincente, poichè un paio delle suddette strutture nella penisola Iberica ridimensionerebbero il tutto rendendo il trasporto di gran lunga più economico.

Se in più ci mettiamo il fatto che gli altri paesi europei non hanno sicuramente questa gran voglia di dipendere da una nazione instabile e corrotta come l'Italia, ci possiamo rendere conto di come il progetto sia tutt'altro che sicuro di avere il successo sperato.

E poi c'è da fare una ulteriore considerazione: visto che in fondo tutta l'economia italiana ne POTREBBE giovare, perchè cercare di nascondere la realtà? Non si potrebbe semplicemente spiegare ai cittadini i benefici che ne deriverebbero per tutti?

E già, per tutti... In effetti un sospetto viene: ENI ed ENEL (le società che dovrebbero costruire e gestire la gran parte di queste strutture) non sono più aziende statali (pubbliche), essendo state da tempo privatizzate. Ciò significa che gli introiti sono solo in parte pubblici (diciamo tra il 30 ed il 40%, ma nel prossimo futuro potrebbe essere molto meno), il resto va ad investitori privati. Per le opere invece pagheranno tutti gli italiani (e solo gli italiani) tramite le bollette.

Ora, se queste opere venissero usate per portare gas alle imprese italiane è un conto, ma se invece vengono poi utilizzate per rivendere il gas in Europa ed ottenere un profitto prevalentemente privato (se non esclusivamente: si sa, siamo in Italia...), beh! Forse neanche gli stessi tosco-padani sarebbero tanto contenti di vedersi confiscato il terreno (e l'aria) per questa malintesa "pubblica utilità"...
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