Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

venerdì, dicembre 29, 2006

Un passato che ritorna...

Per festeggiare il nuovo anno non c'è di meglio che onorare il passato...

http://www.youtube.com/watch?v=_KdfoRrUpo8


Grazie a Nicheja di www.siciliaindipendente.org per averci fatto rivedere il grande Finocchiaro Aprile...
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Trattato sulla storia della Sicilia vista attraverso i suoi rapporti con la penisola italiana

Ma questo trattato esiste? Chi lo ha scritto? Dove lo si può trovare? Un titolo stuzzicante vista la conflittualità che tale rapporto ha generato nei millenni, una conflittualità completamente stravolta, quando non cancellata, nei significati storici e culturali dalla storiografia ufficiale italiana. Un argomento di non facile approccio che solo storici preparati (e non condizionati politicamente) si sentirebbero di affrontare.

Eppure un primo tentativo in questo senso pare sia già stato fatto. Un tentativo di dare un senso storico a questo rapporto e di analizzarlo nella sua interezza. Un tentativo recentissimo che molti siciliani si sono sicuramente trovati sotto l'albero per questo Natale 2006, nascosto in un opera di dimensioni molto più ampie.

Alla pagina 14 dell'ultima fatica di Andrea Camilleri, l'ennesima puntata della oramai celebre saga del commissario Montalbano (Le ali della sfinge, Sellerio) troviamo scritto:

"Il Salsetto, al tempo dei greci, era stato un fiume, pò era addivintato un torrente al tempo dei romani, appresso un rivo al tempo dell'unità d'Italia, appresso ancora, al tempo del fascismo, un rigagnolo fituso e infine, con la democrazia, 'na discarrica abusiva."

Immagine dall'ironia tagliente, ma al tempo stesso profonda: un fiume, elemento geografico intorno al quale di solito si coagulano le civiltà, diventa parafrasi di un declino senza poesia, oggi misurato in numeri grazie alle statistiche ISTAT ed ai nati malformi di Gela e Priolo.

E possiamo anche comprendere e non storcere troppo il naso quando a pagina 206 dello stesso libro l'ispettore Fazio apostrofa l'indiziato osservando che "forse s'impressionò perchè lei parlò in dialetto": il fiume è oramai secco ed a tutti può venire sete. Ed anche il Commissario Montalbano/Camilleri ogni tanto sarà stato costretto ad accettare qualche sorso dalla fontana altrui. Ed in cambio, qui e lì, rileggendo certe frasi, avrà fatto finta... di niente.

Buon 2007. E che il nuovo anno ci porti più Consiglio
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venerdì, dicembre 15, 2006

La nascita di una nuova Europa?

Cosa succede all'Europa? La bocciatura della carta costituzionale europea sembra aver aperto la strada ad una rivoluzione che, seppur serpeggiante, sembrava aver timore di metter fuori la testa per il pericolo di essere schiacciata dai burocrati di Bruxelles al soldo dei potentati finanziari.

Ed invece il pollice verso posto dal popolo in quei paesi che hanno avuto la decenza di lasciare qualche parvenza di democrazia intatta permettendo alla gente di esprimersi (tra questi ovviamente non rientra il moribondo regime tosco-padano) ha acceso i riflettori su di un processo che al momento sembra ancora dimenarsi tra le pastoie dell'ancien regime ma che potrebbe subire una rapida accelerazione in qualunque momento provocando il crollo di quella metà del muro di Berlino che ancora rimane intatto e che separa i popoli europei d'occidente dalla loro libertà.

Cosa ha spinto la televisione di stato belga un paio di giorni fa ad inscenare la separazione tra le due inconciliabili metà dello stato, quella fiamminga e quella francofona? I cittadini sono stati in apprensione per qualche ora all notizia della fine dello stato padrone che tutti conoscevano, una tensione che sarebbe sfociata in giubilo o in disperazione (non è dato sapere...) ma che indica come più che probabile una situazione come quella anticipata dai media.

Il Belgio si è trasformato in uno stato federale nel 1995, in fondo cedendo alle istanze delle sue due anime principali e permettendo al popolo di assaggiare un piccolo sorso di quella libertà a loro negata per lungo tempo da un tipico rappresentante di quegli stati-padrone venutisi a formare con la rivoluzione industriale dell'ottocento e rafforzatisi nel corso del novecento.

In forza di quel sorso di libertà le regioni hanno avuto il potere di decidere sull'educazione, sull'agricoltura, sulla ricerca, sulla sanità ed altro. Ed ovviamente ora il popolo vuole andare avanti.

E' quello che sta succedendo in Scozia (vedi post), in Catalogna, nella Regione Basca, in Sicilia, in Montenegro, regioni che hanno sempre posto l'accento sulla loro identità e che hanno dovuto subire pesanti repressioni in tutto il secolo scorso. E senza scordare la Corsica, la Sardegna, il Galles, il Tirolo che sembrano ancora intorpidite ma che (mai dome) non tarderanno anche loro a sbattere i pugni sul tavolo.

E non è un caso se le regioni o gli stati che effettivamente rappresentano un unico popolo e che sono riusciti ad ottenere il loro spazio di libertà sono oggi in Europa quelle che corrono di più: Irlanda, la stessa Catalogna, la Finlandia, l'Estonia (l'unico tra gli stati baltici ad essere riusciti a contenere l'arrivo di coloni russi durante l'era sovietica).

Il processo di trasferimento di poteri dagli stati nazionali a Bruxelles sta erodendo la forza dei governi, che non riescono a resistere agli attacchi portati loro dal basso dalla voglia di libertà dei popoli ad essi sottomessi. Il processo non ha però ancora subito quella accelerazione che possa portarlo verso la soglia del non ritorno.

E' il momento di spingere più forte, ed anche noi siciliani dobbiamo fare la nostra parte per creare una vera Europa, quella dei popoli, ed abbattere il cancro che altrimenti sta già degenerando a Bruxelles e che tenta di non fare altro che sostituire gli stati nazionali con un loro surrogato ancora più distante ed ostile a tutti noi.
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sabato, dicembre 09, 2006

Scotland Blues

"Alcuni dicono che gli irlandesi siano l'immondizia d'Europa. Cazzate. Sono gli Scozzesi. Gli irlandesi hanno avuto il fegato di riprendersi la loro nazione, o almeno buona parte di essa"
Queste le parole che lo scrittore scozzese Irvine Welsh mette in bocca al suo antieroe ed alter-ego, Renton, nel suo libro "Trainspotting" (il film di successo tratto dal libro evita di riproporle...).

Parole che indicano un sentimento alquanto diffuso tra i pub e le taverne di Edimburgo e tra i pensieri degli scozzesi, si può dire da sempre: secoli e secoli di guerre per tenersi lontani dagli odiati anglosassoni, insurrezioni, persecuzioni, punizioni atroci, imbrogli e tradimenti culminati culminati nel "trattato" d'unione del 1707, versione londinese degli italici "plebisciti".

La storia scozzese non è però tanto "ammucciata" quanto la nostra: basta girovagare tra gli scaffali di Waterstones a Glasgow, ad Aberdeen, ad Inverness e nella stessa Edimburgo per trovare accostati libri di storia con due versioni differenti: quella scritta a sud del muro di Adriano e quella scritta a nord. E basta sfogliarle per notare delle differenze sostanziali.

Gli scozzesi però, dopo un sonno molto più lungo del nostro, negli ultimi anni del novecento hanno trovato la forza di farsi avanti, e di superare lo stato di tossicodipendenza da Londra di cui il libro di Welsh sembra rappresentare una parafrasi e finalmente nel 1999 ad Holyrood hanno riaperto le porte del parlamento scozzese.

La cosa non è piaciuta troppo "al di là del muro", così i mezzi d'informazione si sono scatenati cercando in tutti i modi di screditare la giovane istituzione dipingendola come un centro di corruzione e di clientelismo politico (no, non siamo tornati "al di là del faro": questa è ancora la Gran Bretagna!).

Tra un'accusa e l'altra (e tra un barile di petrolio e l'altro, come vedremo tra poco...) ora però a Londra cominciano a spaventarsi per davvero. Gli scozzesi infatti sono andati avanti malgrado i tentativi di sabotaggio, e così l'anno prossimo se da un lato gli Ascari festeggieranno i 300 anni di "unione" (Ahi! Come ritornano certe parole...) con una moneta commemorativa da 2 sterline in versione inglese e scozzese (Già: la Scozia batte addirittura moneta propria da qualche anno!), dall'altro due giorni dopo (il 3 maggio) si terranno le elezioni per il parlamento scozzese.

Un posizionamento strategico, così vicino ad un evento che forse secondo Westminster dovrebbe far rivivere nei "barbari" del nord qualche barlume di "orgoglio britannico" in vista del voto, ma che potrebbe anche avere uno spiacevole effetto collaterale, e riaprire vecchie ferite incancrenite nel fiero popolo scozzese.

Anche l'Economist suona l'allarme con un articolo sul numero del 2 dicembre scorso in cui si cerca (come al solito) di ribaltare maldestramente la realtà delle cose. La situazione è in qualche modo simile a quella già sperimentata da noi, a latitudini più basse. Gli scozzesi hanno infatti quello che potrebbe considerarsi un "loro" partito a Londra: si tratta del Labour di Tony Blair, che ha propio negli scozzesi il suo zoccolo duro di votanti (Gordon Brown, prossimo primo ministro in pectore è scozzese) e che non ha esitato a giocare con il fuoco concedendo ai suoi elettori un bel parlamento pur di mantenere il potere pensando poi di poterne intasare il funzionamento infiltrandolo di ascari e seguendo l'esempio dei tosco-padani (A qualcuno è tornato in mente qualcosa di un recente passato in Italia?).

Il giochetto pare non sia riuscito a perfezione, ed ora più del 50% degli scozzesi vuole la piena indipendenza, e circa il 60% degli inglesi è pronta a concedergliela. E visto che i nazionalisti (SNP: Scottish Nationalist Party) hanno buone possibilità di controllare il prossimo esecutivo scozzese, la prospettiva del referendum sull'indipendenza promesso dall'SNP prende sempre più corpo.



La vignetta dell'Economist a corredo dell'articolo: nel circo della politica le acrobazie degli ascari non sono solo uno spettacolo nostrano.

Per difesa Blair e Brown hanno agitato un bastone per aria, suggerendo la fine di certe sovvenzioni che da Londra fluirebbero verso nord (e che in fondo sono la stessa fonte di sopravvivenza di Blair e Brown), un sitema di assistenzialismo simile a quello che ha massacrato Sicilia e Siciliani nel secondo dopoguerra.

Cosa rispondono da Edimburgo? Che i sussidi in fondo se li potrebbero anche tenere: gli scozzesi vogliono le tasse sul petrolio del Mare del Nord, che seppur in via di esurimento è ancora una grande risorsa che per la maggior parte si ritrova nelle loro acque territoriali.

E potremmo terminare con un altro pensiero di Renton-alias- Irvine Welsh da Trainspotting, e scusate la scurrilità: "Gli inglesi sono solo dei segaioli. Siamo stati colonizzati da dei segaioli. Non siamo neanche capaci di seglierci una civiltà decente, vibrante, piena di salute, da cui farci colonizzare". Questo lo trovate anche nel film.


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giovedì, dicembre 07, 2006

Gas: interesse privato in atto pubblico?

Le grandi manovre sul gas in Italia sono già iniziate da qualche tempo, ma ultimamente hanno subito un'inpennata: raddoppiamento della rete di collegamento nord-sud, il via al progetto del GALSI (Gasdotto Algeria-Sardegna-Italia), nuovo gasdotto Taranto-Bologna (preludio al collegamento Puglia-Grecia), nuovi depositi di stoccaggio del gas e ben 6 rigassificatori, mentre in tutta Europa la domanda complessiva di metano diminuisce.

L'Italia consuma 85 mld di metri cubi di gas, di cui 73 importati. Con il completamento delle infrastrutture previste potremo raddoppiare (o anche quadruplicare, visto che è di recente la notizia di una nuova tecnologia per comprimere il gas lungo le tubature esistenti fino al doppio del valore attuale) la quantità di metano che in ogni dato momento attraversa il paese, per proiezioni di consumi anche 3 o 4 volte quelli attuali. A questo possiamo anche aggiungere che l'Italia ha la più alta percentuale di energia sul totale consumato prodotta attraverso il metano (44%), e stiamo costruendo anche centrali a carbone. Dove vogliamo arrivare? Davvero tutti questi investimenti servono solo ad assicurarsi il gas necessario al nostro sviluppo per i prossimi 20-25 anni?

Non c'è poi bisogno di fare molta strada per capire che la verità è leggermente diversa: lo spettro di una Italia senza energia viene infatti agitato a comando solo per "fare" opinione pubblica contro coloro i quali non "calano le corna" immediatamente quando i satrapi delle grosse aziende produttrici di energia decidono di condannare il futuro loro e dei loro figli.
In realtà più e più volte si è (tra le righe) ribadito, da parte dell'ENI come da parte dell'Autorità per l'Energia, che l'obiettivo è fare dell'Italia l'hub del gas per l'Europa.

Il progetto ha in sè un senso economico notevole: Italia hub del gas significa una fonte di valuta pregiata immensa, con la quale (ad esempio) un Moratti qualunque potrebbe coccolarsi con altre 3 o 4 squadre come l'Inter. E chiaramente tutta l'economia Italiana ne potrebbe giovare (ne potrebbe...).

E' però tutto da vedere quanto questo sia realizzabile.

Per concretizzare la cosa i Tosco-Padani dovranno mettercela tutta. Dovrebbero in pratica fare una vera e propria magia per riuscire a fare della regione padana, una delle regioni più merginali al mondo, separata dal centro dell'Europa dalle Alpi, lontana dal centro del Mediterraneo, lontanissima dai paesi produttori a sud (Libia, Algeria, Nigeria) e ad est (Turchia, Medio-oriente, Russia), un hub.

Dovrebbero non solo riuscire a mantenere intatto l'attuale regime segregazionista nel Sud della penisola e specialmente in Sicilia (e recenti indizi indicano come tutt'altro che certa la cosa), ma addirittura riuscire ad estenderlo a parte del Balcani (per impedire la costruzione di un gasdotto che giunga dalla Grecia al centro dell'Europa attraverso di essi, molto più economico del passaggio in Puglia) ed intercettare i flussi russi (cosa in pratica già fallita poichè i tedeschi si stanno costruendo un gasdotto allo scopo sotto il Baltico).

Certo hanno la carta dei rigassificatori e del contratto per il gas nigeriano, ma anche lì la cosa non è molto convincente, poichè un paio delle suddette strutture nella penisola Iberica ridimensionerebbero il tutto rendendo il trasporto di gran lunga più economico.

Se in più ci mettiamo il fatto che gli altri paesi europei non hanno sicuramente questa gran voglia di dipendere da una nazione instabile e corrotta come l'Italia, ci possiamo rendere conto di come il progetto sia tutt'altro che sicuro di avere il successo sperato.

E poi c'è da fare una ulteriore considerazione: visto che in fondo tutta l'economia italiana ne POTREBBE giovare, perchè cercare di nascondere la realtà? Non si potrebbe semplicemente spiegare ai cittadini i benefici che ne deriverebbero per tutti?

E già, per tutti... In effetti un sospetto viene: ENI ed ENEL (le società che dovrebbero costruire e gestire la gran parte di queste strutture) non sono più aziende statali (pubbliche), essendo state da tempo privatizzate. Ciò significa che gli introiti sono solo in parte pubblici (diciamo tra il 30 ed il 40%, ma nel prossimo futuro potrebbe essere molto meno), il resto va ad investitori privati. Per le opere invece pagheranno tutti gli italiani (e solo gli italiani) tramite le bollette.

Ora, se queste opere venissero usate per portare gas alle imprese italiane è un conto, ma se invece vengono poi utilizzate per rivendere il gas in Europa ed ottenere un profitto prevalentemente privato (se non esclusivamente: si sa, siamo in Italia...), beh! Forse neanche gli stessi tosco-padani sarebbero tanto contenti di vedersi confiscato il terreno (e l'aria) per questa malintesa "pubblica utilità"...
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giovedì, novembre 30, 2006

Marchiature a fuoco

I nemici della Sicilia, quelli veri, dove stanno? Al di qua o al di là del faro? Difficile dirlo con precisione, anche se gli indizi che puntano verso la Sicilia stessa sono molteplici. E se ne trovano di nuovi in continuazione.

La situazione è tale per cui spesso ci trasformiamo in nemici senza neanche accorgercene, presi come siamo tra le spire di di un assalto "totale" capace di colonizzare anche quelli che si credono impermeabili alle malìe delle stupidate filopadane.

E così può anche capitare che una vittima del sistema segregazionista italiano, quale Tano Grasso, presidente onorario delle Associazioni Antiracket, proponga qualcosa di veramente sinistro, capace solo di favorire sempre di più l'immagine della Sicilia quale terra di mafia e di aiutare i nostri aguzzini.

L'idea è strabiliante: trasformare l'associazione antiraket in agenzia di servizi. E cosa dovrebbe fare questa agenzia di servizi? "L'associazione aiuterà (l'impresa che vuole investire tra i terroni) nella scelta evitando che incontri soggetti legati alla malavita. Insomma possiamo dare quelle notizie che non svela nemmeno il certificato antimafia"

In pratica i siciliani, oltre a doversi sottoporre alla vergogna del certificato antimafia (nè più nè meno che una marchiatura a fuoco da schiavi, visto che è necessaria solo in base alla razza di appartenenza dei soggetti in causa) dovranno anche pagare Tano Grasso per riuscire ad ottenere un ulteriore bollino di qualità.

E poi, scusi l'ardire, Lei come fa a saperne più del certificato antimafia? Non dovrebbe riferire queste cose all'autorità giudiziaria invece di fornire a pagamento le informazioni a terzi?

Scusi ancora, ma i Suoi avvisi all'imprenditore che "potrebbe essere avvicinato dagli estortori o da chi vuole imporre forniture, servizi o assunzioni. Anche in questa fase possiamo essergli vicini..." potrebbero essere fraintesi. Non Le sembra il caso di riformulare meglio i suoi pensieri?
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mercoledì, novembre 29, 2006

I mafiusi della Vicaria

Nei giorni scorsi a Catania si è potuta rivedere la rappresentazione di una simpatica opera teatrale ottocentesca, I mafiusi della Vicaria di Giuseppe Rizzotto, che sarebbe probabilmente rimasta confinata agli studi etnografici se non fosse per il fatto che grazie ad essa nel 1863 (annotate l'anno...) la parola mafia risuonò in tutta Italia. "Da allora molti", spiega il volantino pubblicitario di circa 150 anni dopo, "hanno provato a dare un significato a questo termine. Ma che cosa significhi mafia nessuno è riuscito a spiegare, forse è un pò come la fede, forse è come il diavolo o forse non esiste. E se fosse uno stato dell'anima?".

Parole che suonano bene, sicuramente. Anche un pò troppo intellettuali, volendo. Ma che danno una giusta idea della confusione e dei punti interrogativi che circondano l'argomento.

Era in occasioni come questa che al tempo dei nostri antenati sicelioti (o Greci di Sicilia che dir si voglia) saltava sulla scena il deus ex machina. Ed è così che ora ci appare lo spettro di Sciascia, nel suo Candido alter-ego, a sussurarci che "Le cose sono quasi sempre semplici" lasciandoci, al risveglio da questo sogno fatto in Sicilia, con una pulce che fastidiosamente saltella tra le righe appena scritte.

Ed allora per capire cosa significhi mafia proviamo a fare nel modo più semplice possibile: apriamo cioè il vocabolario. Non però uno Zingarelli qualunque, bensì un vocabolario più vicino ai fatti (o mis-fatti che dir si voglia), e cioè il vocabolario Siciliano-Italiano di Antonino Traina, stampato intorno al 1868.

Ecco cosa annota il Traina alla suddetta voce:

Mafia. s.f. Neologismo per indicare azione, parole
o altro di chi vuol fare il bravo.
Sicurtà d'animo, apparente ardire.
e poi ancora:
Insolenza, tracotanza, arroganza, alterigia, fasto, spocchia
ed infine:
Nome collettivo di tutti i mafiusi
e per quanto riguarda l'etimologia:
Smaferi si chiaman in Toscana gli sgherri;
e maffia dicon alla miseria, e miseria vera è
il credersi grand'uomo per la sola forza bruta!

All'indomani della (finta) Unità la parola era ancora considerata un neologismo, (e che pena vedere oggi tutti quei siciliani che fanno a gara a darsi del cornuto invocando una fantomatica origine araba) e non aveva niente a che vedere con alcuna società segreta o addirittura con la criminalità. Per indicare la criminalità organizzata anche in Sicilia era usato il napoletano "camorra", come suggerisce la stessa commedia di Rizzotto.

Il primo ad uscire fuori la storia dell'associazione malandrinesca pare sia stato l'allora prefetto di Palermo F.A. Gualtiero nel 1865.

In più il Traina avvalora la tesi della provenienza da nord (Toscana)... ed a questo punto non sarebbe troppo fantasioso ipotizzare una discesa in Sicilia tramite un altra commedia. Non quella del Rizzotto Giuseppe, ma quella appena di qualche anno più vecchia del Garibaldi, sempre Giuseppe.

PS: certe fonti sono capaci di svelarci passato e presente meglio di qualunque storico di professione. Ecco come il Traina spiega (nel 1868) la voce Autonomista:

Chi parteggia per l'Autonomia; oggi si mascherano di questo nome anco quelli che vorrebbero disunita la Sicilia dall'Italia e soggetta ad un Borbone a Napoli.

Più nitido di una fotografia. Ma chi c'è più cornuto e bastonato di noi siciliani?
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martedì, novembre 21, 2006

Ribelliamoci a chi vuole darci perline e vetri colorati in cambio di oro

Attenzione al nuovo tentativo di stupro ai danni della nostra Madre Terra, perpetrato come sempre da invasori appoggiati da ascari locali.

I rigassificatori sono un'opera di alta ingegneria: dotarsi di un rigassificatore significa armarsi per le prossime sfide energetiche assumendo una posizione di primo piano nel panorama energetico del Mediterraneo.

Ci sono però degli importantissimi SE, che devono essere soddisfatti per poter accettare la loro presenza sul territorio siciliano:

SE vi sono le dovute garanzie ambientali, rispettando l'ambiente e la salute delle popolazioni che si troveranno costrette a vivere in prossimità dell'opera.

SE il territorio (l'isola di Sicilia) ne riceve un vantaggio in termini economici.

Nessuna di queste due condizioni verrà soddisfatta se le cose procederanno sui binari tracciati dal governo regionale e (stranamente) neanche lontanamente criticati dalle solite buffonate politico-ambientaliste.

La Regione ha infatti concesso il nulla osta sulla fattibilità del rigassificatore di Porto Empedocle con un documento di DUE pagine nel giro di poche settimane, un documento che nel resto d'Italia richiede mesi e mesi di attesa per ottenersi e che dovrebbe includere le prescrizioni per i rischi dovuti all'opera. Sembra che l'opera di alta ingengeria, più che il rigassificatore sia da ricercare proprio nell'essere riusciti a ficcare tutte queste prescrizioni per una tale opera in due pagine.

Per quanto riguarda il secondo SE, non se ne sa nulla.

E' preciso dovere di TUTTI i siciliani ribellarsi a tale situazione, anche se solo firmando la petizione degli amici di www.norigassificatori.net

Ecco le parole di Gianfilippo Mancini, responsabile dell'energi management dell'ENEL:
"Porto Empedocle è nel centro del Meditterraneo e quindi le navi gasiere avranno un periodo di navigazione più breve. Due giorni in meno rispetto a Liguria o Veneto riducono molto la spesa dei noli e consentono una frequenza maggiore di viaggi di andata e ritorno"
(da Il Sole 24 Ore del 9 novembre 2006)

Avete capito? I rigassificatori in Sicilia servono a loro infinatamente di più che a noi!!!! Non facciamoci prendere per il naso con quattro perline e qualche pezzetto di vetro colorato!!! (Oltre a chissà che cosa per gli Ascari...)
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mercoledì, novembre 15, 2006

Da dove viene la mafia (Seconda Parte)

Certo a considerare l'enorme mole di libri ed articoli, servizi giornalistici, film e sceneggiati che la riguardano, sembra che qui l'unico problema sia la mafia. Eppure sappiamo che non è così: ci sono i neonati malformi di Gela ed Augusta, ci sono le aziende che magari non hanno mai pagato una lira di pizzo ma sono strangolate dalla burocrazia, ci sono migliaia e migliaia di famiglie che vivono in baraccopoli che sembrano essere la periferia di una qualunque città africana. Insomma ci sono tutti i problemi di un pezzo di terzo (se non quarto) mondo. Però si parla solo di mafia, citando connessioni e trame degne di un film di James Bond, così simili ai film di Scorsese da far venire il dubbio su chi avesse copiato: Scorsese dalla realtà per i suoi copioni, o i saputelli nostrani da Scorsese?

Spulciando su internet si può leggere di connessioni con Gorbaciov, con Osama Bin Laden, con il traffico di Plutonio, con il Vaticano. Abbiamo addirittura trovato uno che diceva che la Sicilia sarebbe dovuta essere parte del famoso "Axis of Evil" di George Bush (Te li immagini gli americani a bombardare se stessi?).

Per chi vorrebbe una immagine migliore della sua Sicilia non mancano le occasioni per scoraggiarsi, riprendere le valige e tornare a masticare il pane amaro dell'emigrazione.

Eppure ogni tanto qualche spunto degno di nota lo si può anche trovare. Sul domenicale del 12 novembre de Il Sole 24 Ore Diego Gambetta, professore di sociologia ad Oxford, traccia un interessante parallelo tra la Russia post-sovietica e la Sicilia di metà ottocento.

L'articolo in realtà ci sembra forzatamente confuso, poichè associa un evento instantaneo ed epocale come il crollo del comunismo, ad una poco chiara "caduta del feudalesimo" nella prima metà dell'ottocento in Sicilia. In una terra dove rapporti di tipo feudale sono sopravvissuti sino almeno alla seconda guerra mondiale, parlare di "caduta" del feudalesimo limitata al periodo 1800-1850 mi sembra un poco forzoso(*). Semmai si potrebbe parlare di un lento declino. (**)

Piega poi il ragionamento ai propri bisogni confondendo il pre ed il post collocandoli ambedue oltre l'evento nel caso della Russia, ed ambedue prima dell'evento nel caso della Sicilia, cioè prima del tramonto definitivo del feudalesimo.

Correggendo queste distorsioni temporali si può trovare una soluzione. Partiamo dalla Russia.

Non vi è dubbio che l'esplosione del fenomeno mafioso sia da collocare oltre la caduta del regime comunista, ma visto che di regimi ne cadono continuamente nel mondo e non sempre come conseguenza ci si ritrova tale fenomeno, i pressupposti devono essere collocati prima della caduta, nei rapporti corrotti instauratisi all'interno di una macchina burocratica che non premiava le capacità dei singoli. I "boss" infatti sono spesso provenienti dagli apparati burocratici sovietici.

Sistemata la parte russa, passiamo a quella siciliana. Se il feudalesimo originava da qualche parte corruzione, questa doveva essere nell'amministrazione dei feudi, affidati ad avidi signorotti locali da una classe nobiliare sempre lontana ed impegnata nei complicati riti sociali delle città. Il disgregarsi di questo sistema, ha liberato tali signorotti dall'asservimento ai baroni e li ha proiettati verso il potere, aiutati da una conoscenza del territorio "palmo a palmo" e da campieri privi di scrupoli.

Quello che ci manca è l'evento che ha fatto crollare definitivamente il sistema. Tra ottocento e novecento l'unico evento in Sicilia assimilabile al crollo del muro è la caduta dei Borbone, con i nuovi padroni che per assicurarsi fedeltà mettono al potere i Sedara (quante verità ci ha detto Tomasi di Lampedusa...), avidi di denaro e senza scrupoli e quindi facilmente ricattabili.

Come sapevano, i tosco-padani, di potersi fidare di tale classe? Forse ne avevano avuto esperienza diretta in situazioni simili. Gambetta ci dice che "sul mercato non furono solo la terra ed i suoi prodotti, ma gli stessi bravi (tra virgolette, ndr), che un tempo agivano sotto il controllo monopolistico dei baroni". Anche qui un errore: i "bravi" sarebbero da identificare con i campieri, al servizio del "Don Rodrigo" di turno (il signorotto), e non con il signorotto stesso.

Ma allora... vuoi vedere che la soluzione l'abbiamo avuta tutti sotto i nostri occhi, sui banchi di scuola, e non ce ne siamo nemmeno accorti?


Post Scriptum: l'autore dell'articolo contenente la frase circa la pertinenza dell'inserimento della Sicilia nell' "asse del male" si chiama Diego Gambetta e l'articolo è pubblicato sul Boston Review. E' lo stesso Gambetta o un omonimo? Certo se fosse lo stesso ci sarebbe da ridere: il Professor Gambetta ha infatti ricevuto nel 2003 il premio "Paolo Borsellino", assegnatogli dall'Accademia di Studi Mediterranei di Agrigento. Complimenti.

(*) Il feudalesimo effettivamente fu formalmente abolito nel 1812 dai Borbone, ma basterebbe fare la fatica di andare a leggere qualche testo a riguardo per capire come l'abolizione fu, per l'appunto, solo formale. Anzi, paradossalmente si potrebbe sostenere che fu il feudalesimo nel 1861 ad abolire i Borbone: cosa fecero i baroni siciliani per difendere Napoli dai 4 straccivendoli garibaldini?
(**) L'articolo contiene altri spunti interessanti: pone innanzitutto un orizzonte temporale congruente alla messa in posa delle radici del fenomeno mafioso, senza più richiamare fantomatiche radici arabe. Esclude poi l'elemento genetico associando il popolo russo a quello siciliano. Invoca cioè le condizioni ambientali come prevalenti su quelle culturali, sconfessando praticamente il 90% della pubblicistica anti-meridionale tosco-padana.
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martedì, novembre 14, 2006

Da dove viene la mafia (Prima Parte)

Ci siamo ritrovati, negli ultimi giorni, ad una recrudescenza dell'arma mediatica che lo stato italiano usa per giustificare agli occhi del mondo l'oppressione delle regioni del sud.

Credere infatti che le campagne denigradive contro siciliani, calabresi, napoletani etc abbiano un origine per così dire "spontanea" è da ingenui ed anche un pò da fessi. Come l'Italia esporta nel mondo le imagini delle campagne toscane, dei vicoli veneziani, del colosseo romano, investendo sul ritorno di immagine, così ha esportato una certa idea di meridionale, investendo in un ritorno di immagine che le ha permesso di avere mano libera prima nel genocidio dei meridionali, poi nella loro schiavizzazione, ed ora nella loro totale emarginazione economica.

Ovviamente il meccanismo deve essere oliato, così come di tanto in tanto ci fanno rivedere il bel barbone di Osama Bin Laden, come ogni tanto ricominciano a parlare dei Ceceni (che a seconda dei rapporti con Putin diventano terroristi o vittime) o dei Curdi turchi (idem che i ceceni), ogni tanto all'opinione pubblica internazionale deve essere raccontata qualche bella storiella sulla mafia per fare spaventare i bambini prima di addormentarsi.

Il massimo della goduria per il regime è poi quando all'estero prendono la palla al balzo e approfittano della situazione per scaricare nello stesso piatto su cui (dopo averci mangiato)sputano i tosco-padani le loro immondizie. Ed allora: levata di scudi generale, censura assoluta, teste che rotolano quando da qualche parte sibila la notizia che l'ETA si sarebbe trasferita in Nord-Italia, spettacolarizzazione e scuola di ricamo sulle immense stronzate scritte riguardo al traffico di droga in Spagna (iniziato dai fuoriusciti corleonesi scappati dalla Sicilia) o a quello di armi in Germania (gestito dai calabresi).

Su queste ed altre ridicole campagne promozionali ci siamo soffermati altre volte, e non credo si debba ora andare a scavare sotto tanto per confutarle.

Possiamo solo riproporre agli autori ed a coloro che qui da noi ancora credono che tutto quello che viene da nord sia oro colato (inclusi i giornalisti dei giornali locali che riprendono le notizie appoggiandole) il consiglio già dato da Pulvirenti, noto imprenditore catanese: "Cambiate Spacciatore".
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lunedì, novembre 13, 2006

L'isola da quarto mondo della UE

Lo scorso giovedì forse l'unico quotidiano nazionale a dare un risalto adeguato alle notizie sull'inquinamento del petrolchimico di Gela è stato Avvenire. Riportiamo alcuni stralci dei tre articoli a firma Laura Malandrino apparsi a pagina 9:

A Gela il doppio dei tumori. Petrolchimico nel mirino

<<... I dati parlano chiaro: il rischio di tumori e malformazioni a Gela è il doppio della media nazionale. (...) Dati in linea con la ricerca condotta dai consulenti della Procura della Repubblica di Gela da cui era emerso che tra il 1990 e il 2002 nella cittadina industriale furono registrati 398 casi (su 10.000) di persone con anomalie al sistema nervoso, cardiovascolare, urinario e digerente e ai tegumenti: circa il doppio rispetto a quelli registrati a livello nazionale (205 su 10.000). E da meno non sono certo le anomalie cromosomiche: 50 e 60% in più risptto al resto della Sicilia e del paese. E per questo che a Gela intere famiglie si stanno mobilitando, medici ed amministratori chiedono misure di emrgenza contro l'inquinamento ambientale. (...) Dati allarmanti che hanno indotto Crocetta (il sindaco, ndr) ad annunciare la costituzione di parte civile del Comune ai processi per inquinamento e danno biologico. (...) Da parte nostra non c'è nessuna criminalizzazione del Petrolchimico - dice Enrico Vella, assessore all'Ambiente - quell'industria è la principale fonte di occupazione per la nostra gente. >>

Ed ora le mamme sono pronte a scendere in piazza

<< "Ho visto il mare di casa mia cambiare colore. Fino agli anni sessanta era azzurro, color pavone come lo descrive Tomasi di Lampedusa. Una delle coste più belle della Sicilia sud orientale. Poi, pian piano, l'ho visto diventare del colore caffellatte". A parlare è don Palmiro Priscutto, da 28 anni sacerdote e da 14 assegnato alla parrocchia san Nicola nella frazione Brucoli di Augusta. (...) Negli anni 80 la situazione precipitò. A partire da quel momento la morìa di pesci diventò una costante e nel reparto di pediatria dell'ospedale Muscatello di Augusta le mamme cominciarono a partorire bambini malformati. "Nelle nostre case è entrata la sofferenza - continua il sacerdote - . Eppure la gente non ha saputo reagire a quello che stava succedendo. Facile capirne la ragione: la paura di perdere il posto di lavoro". Oggi la sistuazione però è cambiata. (...) E pensare che ad Augusta passa più del 50% del petrolio italiano, per un valore di 18 miliardi di euro ogni anno; e che il 100% del carburante con cui vola la flotta aerea del nostro paese viene dalle raffinerie siciliane. Come spiega Giacinto Franco, dal 1969 primario del reparto pediatria dell'ospedale di Augusta, ancora oggi il problema più grave è il "ricatto" occupazionale. "Basta pensare a quello che una volta ho sentito con le mie orecchie dalla bocca di un malato terminale nel reparto di oncologia - racconta -. dopo tre mesi di sofferenze atroci per un tumore ai polmoni per cause professionali, mi ha sussurrato: " preferisco morire di tumore lasciando la mia famiglia con la pancia piena, pittosto che morire zappando la terra lasciando i miei cari con la pancia vuota" >>

Pochi commenti a queste parole, se non l'impressione che l'assesore di Gela all'ambiente non abbia alcuna intenzione di porre termine al "ricatto occupazionale", sul quale peraltro generazioni di amministratori locali si sino ingrassate.

All'inizio abbiamo detto che gli articoli erano tre. Il terzo titola L'Eni: "Emissioni entro la norma" e non credo che a nessuno interessi sapere cosa dice. D'altronde se per 60 anni non abbiamo avuto alcun diritto di parola, non vedo perchè ora dovrebbero averlo loro.

Riguardo al nostro titolo (L'isola da quarto mondo della UE) è la parafrasi di un famoso articolo de "The Economist" (L'isola da terzo mondo della UE) riferito alla Sicilia e pieno della solita spazzatura e disinformazione pilotata. C'è da dire che comunque l'isola di Sicilia non può essere inserita nel terzo mondo perchè lì vi sono paesi che si sono già affrancati del giogo coloniale. La Sicilia si trova ancora sotto il tacco dell'ultimo regime colonial-segregazionista al mondo (altro che Corea del Nord...) e non può essere degna di essere inserita nel terzo mondo, insieme a popoli che hanno sofferto e lottato per la loro libertà.

Per chi vuole avere più informazioni su padre Priscutto e la vergogna dei petrolchimici in Sicilia (vedete come grondano sangue le mani dei nostri aguzzini...) può visitare il sito www.terremotodeisilenzi.it
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mercoledì, novembre 08, 2006

Non è ancora troppo tardi

Cuffaro alza il tiro e minaccia la chiusura delle raffinerie siciliane se la finanziaria non verrà cambiata.

Una presa di posizione che sicuramente non avrà conseguenze pratiche (verrei vedere come farà a chiuderle se prima non si decide ad applicare lo statuto siciliano che lo renderebbe capo della polizia... a meno che non decida di incatenarsi ai cancelli!) ma che credo si debba giudicare positivamente perchè se non altro rende esplicito, almeno dal punto di vista politico, un fatto: le raffinerie a noi praticamente non servono, mentre sono di importanza vitale per lo stato italiano. Anche se questo lo sappiamo già, ora anche il Presidente della Regione accetta ufficialmente questa versione dei fatti.

La cosa strana è però un'altra, e cioè la dichiarazione di Miccichè che dovrebbe andare accoppiata a quella di Cuffaro. L'esponente di Forza Italia ha infatti minacciato una uscita della Regione da Capitalia.
Attenzione: associare questa minaccia alla prima le da una luce alquanto sinistra. La Regione è infatti entrata nel patto di sindacato della Banca Romana come scambio per le azioni che deteneva nel Banco di Sicilia, un'oerazione finanziaria che in fin dei conti avrebbe potuto portare grossi vantaggi alle imprese siciliane.
Ora Miccichè ci "suggerisce" che tale operazione non è servita alla Sicilia, bensì ad interessi esterni. Ciò in pratica viene a dire che l'operazione è stata conclusa contro i nostri interessi con l'avallo dei nostri deputati. E non stiamo parlando degli anni '50...

Presidente, a che gioco giochiamo? Anzi... a che gioco abbiamo giocato? A quali condizioni siamo entrati nel patto di sindacato? Non è che per caso abbiamo messo i soldi dei siciliani in cambio di una manciata di voti dovuti all'elemosina di quattro posti di lavoro?

Comunque appoggiamo le dichiarazioni dei nostri rappresentanti: non è ancora troppo tardi per cambiare registro.

Non è ancora troppo tardi. Ma fino a quando?
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martedì, novembre 07, 2006

Immigrazione nella terra di santi e sciacalli

La trasmissione "Le Iene" andata in onda martedì della settimana passata (31 ottobre), non ha certo suscitato il clamore delle settimane passate, anche se conteneva un importante servizio (coraggioso ed ingenuo allo stesso tempo) sull'utilizzo di immigrati clandestini nelle campagne del Nord Italia. Come mai (si chiedevano i nostri) stampa e televisioni danno ampio spazio ai casi di sfruttamento solo quando questi avvengono nelle regioni del meridione d'Italia? (Nel servizio si dimostrava come questi casi erano comunissimi anche al nord). Non lo sanno le ingenue Iene che per capire e spiegare "come mai" bisognerebbe allargare di molto l'orizzonte, sino ad includere quelle vere, di iene: a Lampedusa, al terrorismo, al declino demografico italiano, al tracollo economico del Lombardo-Veneto.

Torniamo indietro di qualche mese, ad un editoriale estivo di Busetta su "La Sicilia" nel quale si puntualizzava qualcosa sui fatti di Lampedusa, e cioè che non proprio di sbarchi sull'isola si sarebbe dovuto parlare, perchè a Lampedusa i barconi ci venivano portati dalle navi italiane.
Andiamo ancora più indietro nel tempo, alla fine dell'ottocento, grazie alle immagini di Nuovomondo (il film di Crialese) o agli anni '60 del novecento, con un famoso articolo di Fava sul suo libro "I Siciliani": ambedue facce della medaglia a due conii (quello di latta per noi, quello d'oro per Roma) della diaspora siciliana, continuata ininterrotta per almeno un secolo e gestita ad arte per ricavarne valuta pregiata.

Abbiamo quindi un regime (quello Tosco-Padano) già scaltro nel commercio di carne umana e nel lucrare sulle rimesse degli emigranti, a gestirli nelle loro fabbriche costruite sul dramma di milioni di terroni. Abbiamo poi un'isoletta posta al centro del Mediterraneo, lontana da occhi indiscreti e che comunque già provocava un certo fastidio (invidia, forse è meglio aggiungere) per le sue acque cristalline e spiagge immacolate (ricordiamo che il New York Times qualche anno fa la pose tra le dieci isole dal mare più bello del mondo). Abbiamo infine il declino economico del Lombardo-Veneto, per giunta accoppiato ad un declino demografico generalizzato in Europa che promette di far saltare completamente il sistema delle pensioni.

In pratica ci sono i presupposti per mettere tutti d'accordo (su al nord): a destra come a sinistra, la chiesa ed i massoni, i servizi segreti di mezza Europa. E così possiamo costruire un bel romanzo, che noi ovviamente considereremo solo immaginario.

Tutte le nazioni europee si stanno prodigando nel favorire un'immigrazione per quanto possibile selezionata al fine di ottenere la crescita demografica necessaria al ricambio generazionale. Questo vale ancora di più per l'Italia, il paese che in Europa sta invechiando più velocemente.
Il problema come detto è chiaro a tutti, solo che politicamente spinoso per almeno una parte politica. All'inizio tutto avviene in modo molto caotico: vi sono sbarchi ovunque in Spagna e nel Sud Italia (ricordate che un tempo anche la Calabria e buona parte delle coste Siciliane ne erano affette?) Gli attacchi dell'11 settembre negli Stati Uniti, e la scoperta di cellule terroristiche islamiche (una volta dette semplicemente spie) portano però a più miti consigli: il flusso deve essere controllato.

Si erano già istituiti i centri di accoglienza, quindi si inventarono delle false leggi anti-immigrazione come la Bossi-Fini (abilmente sfruttata dal centro-sinistra ma assolutamente innocua), si fa anche qualche finto accordo con Gheddafi e si mandano indietro un paio di aerei carichi di disperati per "fare la parte". Alla fine la grande idea: deviare tutto il flusso verso un'unica porta d'ingresso, per rendere tutto più facile e per schedare tutti. L'Europa è d'accordo, anche perchè la Sicilia (grazie alla sua posizione) può facilmente diventare l'hub della disperazione mondiale. Viene deciso di convogliare tutti verso Lampedusa (tra i tripudi degli amici di Rimini). Che questa sia una chiara decisione strategica non vi sono dubbi, tanto è vero che l'estate scorsa si è deciso di raddoppiare la capienza del centro di accolgienza dell'isola: evidentemente ne vogliamo ancora di più.

Si scatena nel frattempo una cascata mediatica orchestrata ad arte che ha lo scopo principale di ammansire i Siciliani con una serie infinita di servizi mandati in onda da quel covo che è la sede di Palermo di Rai3. Giornalmente ci fanno credere che la notizia principale per noi sia l'arrivo di un barcone di disperati e non sapere cosa sta succedendo a Palermo (dove gli ascari, presidente incluso, appoggiano il gioco parlando dei "doveri di accoglienza verso chi soffre"). E non dimentiachiamoci uno degli scopi secondari: distruggere il turismo di Lampedusa, per il quale nessuno a Palermo alza un filo di voce.

Ma sorge un piccolo problema logistico: gli immigrati infatti servono alle fabbriche del nord, e non si può rischiare che rimangano al sud dove il clima è più piacevole, a lavorare per i terroni. Allora via con la nuova campagna mediatica anti-meridionale: il caporalato di Foggia, quello di Cassibile, le irregolarità nelle imprese edili siciliane e così via. Ed intanto i numeri dicono qualcos'altro, e cioè che tra il 2004 ed il 2006 le irregolarità sul lavoro degli extracomunitari rilevate dalla guardia di finanza sono circa 2000 l'anno per la Lombardia, 1000 per il Veneto, 500 per il Friuli. Ed a sud? Un centinaio per la Sicilia, circa 150 per la Puglia, 300 per la Campania.

E così abbiamo chiuso il cerchio arrivando, nella terra degli sciacalli, sino al servizio delle Iene.

Ma ovviamente tutto questo è solo immaginazione.
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lunedì, ottobre 30, 2006

La stampa inglese avverte l'Europa

Leggendo il famosissimo libro di Tomasi di Lampedusa, chiunque abbia un minimo di curiosità storica non può non chiedersi, sulla scena della visita inglese alla casa del principe, cosa mai ci facesse la marina di Sua Maestà alla rada nel porto di Palermo durante lo svolgersi delle vicende garibaldine.

Ovviamente potremmo anche dare credito a Sergio Romano, in altre occasioni certo un più coraggioso storico, quando sostiene che "era stata mandata dall'ammiragliato per proteggere i grandi stabilimenti vinicoli inglesi di Marsala", ma sinceramente tutto questo dispiegamento per proteggere quattro cantine in un mondo in continua ebollizione ci sembra un poco troppo.

Gli interessi che le navi britenniche erano andati a proteggere erano sì quelli di Sua Maestà, ma in riferimento non proprio al vino, ma a due altri obbiettivi: lo zolfo siciliano e la creazione di un forte stato mediterraneo in funzione anche anti-papalina.

L'asservimento della Sicilia all'Italia, a sua volta asservita alle voglie dell'imperialista di turno, sin da allora è uno dei perni principali sui quali si fonda lo scacchiere geopolitico occidentale, e gli inglesi possono giustamente arrogarsi i meriti di aver capito e creato un tale sistema di potere, anche se nel secondo dopoguerra ne hanno perso il controllo in favore dei cugini americani.

Gli inglesi, così attaccati al formalismo, forse vedono come un nemico chiunque voglia disfare ciò che essi con grande lungimiranza hanno creato, e così qualunque forza volta a intaccare l'attuale equilibrio mediterraneo viene da loro istintivamente combattuta.

Entro tale ottica possono facilmente essere capiti gli innumerevoli attacchi che negli ultimi dieci anni la stampa inglese ha perpetrato ai danni dell'immagine della Sicilia e dei siciliani, evidententemente per nulla rassegnati a continuare ad essere la colonia di un paio di milanesi corrotti e di qualche anglosassone con il mal di pancia (ricordiamo tra tutti il famoso "L'isola da terzo mondo della UE" dell'autorevole settimanale The Economist).

Attacchi di questo tipo da un lato indicano il nervosismo di certi ambienti verso i recenti (seppur ancora timidi) tentativi di ribellione dei siciliani, ma dall'altro ci impongono di tenere la guardia alta e di non sottovalutarne gli effetti: basta guardare il filo sottile che separa la verità e la menzogna in casi come il Kurdistan turco e la Cecenia in Russia. Realtà che a seconda delle convenienze dell'enstablishment occidentale vengono presentati in una luce piuttosto che in altra. Chi infatti dall'esterno può effettivamente sapere come vanno le cose in quelle enclavi?

Sisntomatico è poi l'ultimo di questa serie di articoli, apparso sul Fiancial Times. Ne vogliamo riportare un piccolo tratto, forse non notato dalla stampa nostrana:

"The clubs on Italy's mainland are mostly out of cash, and Zamparini points to another change: after the bribery scandal, referees stopped cheating for the big clubs. When Sicily can compete, you know the Italian system has broken down."
("I club italiani sono per la maggior parte senza soldi, e Zamparini indica un altro cambiamento: dopo lo scandalo della corruzione, gli arbitri hanno smesso di imbrogliare a favore dei grossi club. Quando la Sicilia può competere, sai che il sistema italiano è andato in pezzi")

Cosa vuol dire? Leggendo tutto l'articolo si capisce come la stampa italiana ne abbia completamente distorto il senso. L'articolo infatti, pur essendo pieno di stupidi luoghi comuni, non dice affatto che il Palermo è in testa alla classifica grazie alla mafia, bensì che , come anche evidenziato dalla frase sopra riportata, se il Palermo è in testa alla classifica vuol dire che il calcio italiano (e non solo il calcio) è allo sfascio.
Ed ancora: il calcio (leggi sistema) italiano è allo sfascio non perchè una scadente squadra siciliana è in testa al campionato (che sarebbe come dire che lo stesso calcio inglese è allo sfascio, visto che anche loro hanno perso con il Palermo), ma perchè si è permesso ai siciliani di farsi una squadra così forte.

Sotto questo aspetto l'articolo ha un significato diverso da quello propinatoci dai giornali italiani (e siciliani, al servizio dello stato oppressore), prendendo le sembianze di un avvertimento a tutta l'Europa: guardate che l'Italia è allo sfascio e sta per perdere il controllo della Sicilia.
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giovedì, ottobre 26, 2006

Marginalità: una parola che dovrebbe scomparire dal nostro vocabolario.

Nemmeno il tempo di scrivere un post citando (indirettamente) la lungimiranza del presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello (vedi post precedente), che sullo stesso quotidiano di ieri (Sole 24 Ore) poco più in là trovo un'intervista allo stesso con una dichiarazione che mi lascia a dir poco perplesso:

"Il rilancio dell'economia siciliana passa attraverso un serio intervento infrastrutturale. Un tema centrale per lo sviluppo industriale dell'isola che si trova in una condizione di marginalità geografica rispetto ai mercati"

Al solito, aggiungiamo alcune considerazioni:

1) L'isola, dal 1950 ad oggi, non si trova affatto lontana dai mercati, bensì è un mercato. Ecco cos'è stata la Sicilia (e tutto il Sud Italia) per l'Italia degli ultimi 60 anni: un mercato di sbocco per le proprie merci invendibili sui mercati esteri. Anche a questo è servita la sistematica distruzione dell'imprenditoria e del sistema bancario locali, nonchè (più recentemente) la facilità con la quale si ottiene qui il credito al consumo alla quale corrisponde la quasi totale impossibilità di ottenere finanziamenti per l'attività imprenditoriale.

2) Le aziende siciliane devono innanzitutto conquistare il mercato interno scippandolo CON QUALUNQUE MEZZO (soprattutto con coraggio) alle aziende del nord. Questa sarà la base per qualunque sviluppo imprenditoriale dell'isola. Senza la base costituita dalla domanda interna ci sono poche speranze di andare oltre.

3) La supposta condizione di marginalità rispetto ad altri mercati in un mondo globalizzato come quello in cui ci ritroviamo è un concetto che non esiste. Ed in ogni caso i mercati di un futuro oramai molto prossimo si trovano anche a sud, oltre che a nord. L'isola è quindi è in una posizione tale di CENTRALITA' rispetto ai mercati che quasi nessuno al mondo può vantare

4) La frase di LoBello indica il perdurare di uno stato di colonizzazione mentale che non ha eguali nella storia coloniale di molte altre nazioni. Insistere su parole come "marginalità" indica quasi una sorta di scarsa autostima, una catena che ci portiamo al piede e che ci fa vedere un orizzonte sempre scuro e tempestoso. E come si sa l'umore ha una forte influenza sui mercati e sull'economia in generale.
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mercoledì, ottobre 25, 2006

La Sicilia hub portuale del Mediterraneo

Mentre si consuma il dramma populistico dello "scippo del ponte", torna prioritario il discorso sulle infrastrutture di cui la Sicilia dovrebbe dotarsi per affrontare la sfida globale del prossimo millennio.

Se da un lato in Italia si combattono i mulini a vento sulla debacle di Alitalia (e su quella ancora strisciante, ma evidente di Trenitalia) e si invocano i più inverosimili argomenti per l'inesistente dualismo Malpensa-Fiumicino (inesistente perchè nessuno dei due sarà mai un hub intercontinentale, indipendentemente dai soldi che si scialacqueranno su di essi), dall'altro in Sicilia non sappiamo se ridere o piangere guardando alla torre di controllo del nuovo aeroporto di Fontanarossa (più bassa della torre degli uffici!!) o alla tabella di marcia dei treni sulla tratta Catania-Palermo o peggio sulla Palermo-Trapani.

I settori produttivi ed imprenditoriali siciliani sono sicuri su quale dovrebbe essere la rotta da tracciare. Come al solito è però la parte politica a lasciare a desiderare ed a perdere tempo dietro progetti che erano già datati negli anni 60 (quando cioè un'opera di alta ingegneria come il ponte avrebbe veramente avuto una ricaduta turistica. Oggi purtroppo i turisti cercano aria pulita e templi greci).

Tale rotta, più volte invocata sui mezzi di informazione locale, indica nell'interconnessione Sicilia Orientale - Sicilia Occidentale il perno sul quale far ruotare lo sviluppo infrastrutturale. In particolare i due (inter-) porti di Augusta e di Termini Imerese dovrebbero essere collegati in un sistema di scambio per Trans-shipment che includa anche gli aeroporti di Punta Raisi e Trapani, l'hub aereo di Fontanarossa, ed i porti ed i cantieri navali di Catania, Messina e Palermo.

Il Trans-shipment non è altro che lo smistamento dei container da una nave di più grossa stazza a più navi di dimensioni minori che da un hub smistano poi la merce verso gli altri porti di dimensione regionale. Il porto di Gioia Tauro è un porto appunto di Trans-shipment, e non ha bisogno di TAV, in quanto i container arrivano via mare e ripartono via mare. Il porto di Gioia Tauro è il primo porto del Mediterraneo.

Ed invece guardate la cartina pubblicata oggi dal Sole 24 ore (i numeri indicano il traffico in container):




Noi non esistiamo al momento, mentre Gioia Tauro è destinata a soccombere ad Algeciras (in questo momento numero due, ma in forte crescita). Guardate ancora meglio e osservate quali sono i punti di forza di Algeciras e Gioia: la prima si trova lungo le rotte intercontinentali est-ovest, ma è in posizione defilata rispetto al baricentro del Mediterraneo. La seconda è più vicina al baricentro, ma in posizione defilata rispetto alle rotte commerciali (anche mezza giornata in meno di navigazione su queste rotte corrisponde a notevoli risparmi).
Tutti gli altri porti nella cartina non possegono queste caratteristiche.

Ancora però non ne esiste uno che le racchiuda entrambi. Sempre osservando la cartina, dove lo piazzereste voi?


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lunedì, ottobre 16, 2006

In nota alla proposta dei politici siciliani per l'autofinanziamento del ponte

Questo blog ha espresso un giudizio poco favorevole alla realizzazione del Ponte sullo Stretto (vedi articolo), posizione questa non pregiudiziale o ideologica ma basata su diversi indirizzi di sviluppo e comunque all'interno (almeno idealmente) di un dibattito aperto e franco che coinvolga l'intero Popolo Siciliano, per lo meno nelle sue componenti di rappresentanza (politica, civile, imprenditoriale), dibattito che dovrebbe produrre una maggioranza democratica.

Per onestà intellettuale devo però aggiungere che il beneficio del ponte ai trasporti ferroviari sarebbe innegabile, tanto da poter ritenere il collegamento ferroviario come l'obbiettivo principale dell'infrastruttura, in quanto l'unico capace di trainare lo sviluppo del territorio grazie all'apporto logistico dato allo smistamento delle merci ed all'intercettazione di un traffico passeggeri che preferirebbe la comodità del treno allo stress del volo aereo moderno.

Detto questo, credo però si debba riflettere su due punti:

1) I benefici dovuti allo sviluppo di tale collegamento sarebbero sicuramente considerevoli per la Sicilia (meno per la Calabria, che vedrebbe sminuita l'importanza di Gioia Tauro), ma si estenderebbero all'Italia ed all'Europa intera, che potrebbero contare su di una logistica più efficiente ed economica. Ecco perchè esiste il corridoio Berlino-Palermo: per cercare di compensare la posizione marginale dell'Europa continentale rispetto alla Centralità Mediterranea della Sicilia, e non viceversa!!! (e comunque è importante rilevare che questo corridoio esisterà con o senza ponte)

2) Significativamente, il progetto attuale non è accompagnato dai complementari progetti per collegare le reti ferroviare sulle due sponde. In questo modo il ponte servirebbe veramente a poco. Il suo scopo sarebbe quello di "far lavorare" alcune imprese settentrionali con limitate ricadute locali durante la costruzione e quasi niente dopo, visto che poi dovremo comunque implorare Roma di portare la TAV a Reggio Calabria.

Alla luce di queste due considerazioni, inviterei innanzitutto la classe dirigente siciliana a riflettere sull'opportunità di mettere i soldi dei siciliani in QUEL progetto di ponte, così com'è praticamente inutile allo sviluppo della Sicilia.

Dopodichè vorrei capire perchè i Siciliani dovrebbero farsi le opere "pubbliche" con i loro soldi metre al nord utilizzano i nostri soldi per fare le loro, inutili per noi. Per di più un'opera pubblica di interesse europeo, e non solo locale.

L'affermazione di Di Pietro, riguardo la disponibilità del governo ad accettare un autofinanziamento dei siciliani, oltre che furba, è di una gravità senza eguali, in quanto pone un pericoloso precedente rendendo esplicito e legalizzando l'immenso travaso (forse furto sarebbe più appropriato) di risorse che ogni anno fluisce da sud verso nord.

Se la Sicilia deve finanziarsi da sola le opere "pubbliche", al contrario delle altre regioni italiane, ne risulta di conseguenza che la Sicilia non è parte dello stato italiano.

La verità è che oramai l'unione della Sicilia all'Italia è un fatto puramente ideologico e non sostanziato da efficienti "economie di scala" o da chiari intendimenti culturali (quelli storici non sono mai esistiti). In pratica siamo indecentemente caduti in un paradosso secondo cui la Sicilia fa parte dell'Italia solo perchè ci ricordiamo di averlo letto sul nostro sussidiario.

L'unica speranza per la classe politica siciliana è di prendere atto con coraggio (e riconosco che per certe cose di coraggio ce ne vuole) della situazione e di alzare il livello dello scontro. Altrimento il suo irreversibile destino sarà quello di essere scavalcata e spazzata via dall'onda del divenire della geopolitica attuale, che non è più quella che detta classe politica, ancorata ad una superata visione democristiana (in senso politico) del mondo, crede che sia.
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giovedì, ottobre 12, 2006

Energia: come i terroni sovvenzionano le industrie del nord


Abbiamo già visto come la base dello sviluppo economico di un territorio risieda nella disponibilità di energia (vedi articolo): senza un piano energetico è inutile programmare tutto il resto.

L'Europa centrale, ed in particolare la zona alpina, a questo riguardo si trova in una posizione piuttosto scomoda, lontana allo stesso modo da tutte le possibili zone di produzione: il Nord Africa, il Mare del Nord, la Russia. Ma i Tosco-Padani sono stati furbi ed hanno rivoltato la realtà come un guanto facendo scontare a noi la loro marginalità.

Tutte le strade portano a Roma, ma devono prima passare da Palermo

Il prezzo delle risorse energetiche per l'utente finale, e segnatamente quello degli idrocarburi (gas e petrolio), non dipende solo dal prezzo sul mercato (il prezzo al barile, per intenderci) ma anche dalla distanza attraverso cui, una volta acquistata, la risorsa dovrà viaggiare, nonchè dal tipo di infrastrutture necessarie acchè ciò avvenga. Questo è ancor più vero per il gas, che ha bisogno di infrastrutture rigide e costose, come tubature e terminali di liquefazione/rigassificazione.

In base a questo discorso se si dovesse veramente applicare l'economia di mercato, come pretendono di fare i quaquaraqua di Bruxelles, il prezzo del gas per l'utenza finale dovrebbe aumentare in base alla distanza dalla sorgente anche all'interno di una stessa nazione, poichè la spesa per le infrastrutture sarebbe proporzionalmente più alta. In soldoni: risalendo lo stivale il prezzo del gas dovrebbe salire progressivamente, e poichè in Italia la regione più vicina ad una zona di produzione è la Sicilia, qui il costo del gas (e di conseguenza quello dell'energia elettrica, ma questa è un altra storia...) dovrebbe essere inferiore che altrove. E questo senza considerare la produzione locale che, seppur irrisoria nei confronti del fabbisogno nazionale, diventa importante rispetto ai consumi locali.

Tutto ciò ovviamente non accade: il prezzo del gas da noi non è minimamente legato al costo delle infrastrutture, con il risultato che il popolo siciliano sovvenziona l'energia per tutto il resto d'Italia, ed in misura maggiore man mano che ci spostiamo verso nord: un flusso di denaro rubato e succhiato costantemente verso le regioni padane.

A tale flusso vanno aggiunti i fondi europei che invece di essere spesi per lo sviluppo locale vengono dirottati verso ENEL e SNAM per la metanizzazione (al nord viene fatta con fondi pubblici), rendendo ancora più capillare il borseggio e facendo in modo che i fondi della comunità europea attivamente sovvenzionino l'energia per il nord del paese.

Tale distorsione del mercato potrebbe essere in parte bialanciata da altre misure, ma questo non avviene: l'energia scippata ci ritorna indietro in forma di merci pronte al consumo con un sovrapprezzo abusivo dovuto al trasporto da nord a sud, trasporto che continua ad avvenire con benzina sovvenzionata dai terroni!!!!

Ed il carico sui siciliani è destinato ad aumentare: dovremo infatti sovvenzionare un'altra opera per noi del tutto inutile. Il governo ha aperto le porte al GALSI, il metanodotto Algeria-Sardegna-Italia, un'opera costosissima a causa dei lunghi tratti in mare ed a cui lo stesso governo si è già affrettato ad assicurare i soldi dei contribuenti. A che serve il GALSI? Secondo noi a bypassare l'infida Sicilia. Non che ci dispiaccia, ma non capiamo perchè dobbiamo pagare anche noi.

Direttamente dove serve



Tutto questo meccanismo da solo sicuramente potrebbe spiegare buona parte della differenza in tenore di vita tra nord e sud: proprio in questi giorni l'ISTAT ha rilasciato i dati sulla povertà nel nostro paese. In Sicilia il 30% delle famiglie sembra essere sotto la soglia della povertà, un fatto gravissimo, con alcuni quotidiani che titolano "Sono diminuite le famiglie povere" (al nord, ovviamente).

Sembra ovvio come tale sistema crei una enorme distorsione nel mercato, ma la comunità europea fa finta di non capire. La famigerata Tassa del Tubo, proposta dalla regione qualche anno fa, in quest'ottica avrebbe sicuramente iniziato a correggere queste storture, ma a Bruxelles è stata bocciata, chiaramente per motivi politici.

Caro Cuffaro, Caro Lombardo, Cara Borsellino, Cari miriadi di gruppi autonomisti ed indipendentisti che vi sono in Sicilia, che ne dite di smetterla di parlare e passare ai fatti?

Cari Siciliani, le vogliamo uscire le palle una volta per tutte?


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venerdì, settembre 29, 2006

I diritti degli oppressi

Siciliani,

Siete sempre stati rispettosi delle leggi e dello stato?

Avete sempre lavorato onestamente, senza cedere alla tentazione anche quando non riuscivate ad arrivare alla fine del mese?

Siete invalidi a causa di un incidente di lavoro ma l'INAIL non vi riconosce nulla?

Dopo aver lavorato per 40 e più anni ricevete una pensione che non vi permette di mangiare carne l'ultima settimana del mese?

Se pensate di essere tra questi, allora leggete cosa succede a chi (anche se per fame) non rispetta le leggi, a chi vive come un clandestino rubando lavoro a chi non si piega, a chi non essendo siciliano ha più diritti dei siciliani nella loro stessa terra:

Agrigento - Inail concede vitalizio a vedova operaio romeno morto a Licata

AGRIGENTO - Daniela Ivan, 31 anni, moglie di Mircea Spiridon, il muratore rumeno vittima del crollo della palazzina di contrada Torre di Gaffe, a Licata, avrà dall'Inail un vitalizio di 900 euro mensili. Ne dà notizia la direzione regionale siciliana dell'Istituto.La donna ha tre figli piccoli, che adesso vivono in Romania e che, grazie a una convenzione tra Roma e Bucarest, riceveranno anche loro assistenza continuativa da parte dell'Inail. Intanto, il Questore di Agrigento, Nicola Zito, ha concesso il permesso di soggiorno alla donna, alla suocera e al cognato. Infine, la Cgil ha dato tremila euro alla famiglia di Daniela Ivan. 28/09/2006

Anche alla suocera ed al cognato, poverini... ndr

Dal sito de "LA SICILIA".
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mercoledì, settembre 27, 2006

Le innovative teorie economiche dello stato italiano.

Cari amici autonomisti, avete fatto la marcia su Roma. Bene. Ma ora vogliamo metterci a protestare sul serio? Vi do io qualche buon argomento.

Non è certo una novità vedere la testata giornalistica regionale di RAI 3 mandare in onda servizi anti-siciliani nei quali si mette in evidenza la supposta mafiosità dei siciliani facendo strisciare questa convinzione all'interno delle nostre stesse teste. La cosa però è fatta in modo pulito, senza provocare le reazioni che abbiamo visto per le magliette di Londra.
In realtà si dovrebbe andare più a fondo, e magari domani distribuire le magliette contro la mafia non solo ai supporters della squadra ospite, ma anche ai telecronisti RAI.

Dico questo in riferimento al mirabolante servizio mandato in onda ieri (26 settembre) in cui si è assistiti al solito incredibile ribaltamento della verità: un altro piccolo tassello di verità sulla mafia sembra essere venuto fuori con la scoperta che soldi sporchi venissero riciclati in qualche casinò del nord (a quanto pare con la connivenza di qualcuno all'interno che comunque non essendo siciliano in base alle leggi razziali non potrà essere accusato di mafia).

Il giornalista però ha l'amaro in bocca, ed ecco che il servizio viene tramutato: "ecco perchè" ammonisce la voce "in Sicilia non si possono fare casinò!!!". Perchè c'è la mafia! Ne approfitterebbe subito!

Quindi qui non si dovrebbe fare niente "perchè c'è la mafia". Certo portando questo ragionamento alle estreme conseguenze, visto che tutti i negozianti pagano il pizzo, dovremmo chiudere tutti i negozi.... ma poi le merci del nord chi ce le vende? Ma, mi chiedo io, come mai si sono fatte le raffinerie? Come mai l'Agip lavora qui tranquillamente senza problemi? Come mai aziende nazionali come la vecchia SIP o l'ENEL non hanno mai subito ritorsioni?

Intanto abbiamo questa "nuova" teoria nazionale secondo cui la miglior cura per la criminalità organizzata è il sottosviluppo, una teoria economica che sicuramente negli anni a venire vedremo premiata con un bel Nobel.
Lo stato ci crede veramente in questa teoria, ed infatti cosa ha preparato per rilanciare l'economia nazionale? Il taglio del cuneo fiscale per l'industria. E credo sia inutile andare a vedere dove andranno a finire questi soldi, visto che da noi industria significa (al solito) Agip, ENEL, Telecom, Moratti, Agnelli etc etc.
E la fiscalità di vantaggio per le aree più depresse? Da un "Avrete la (benedetta) fiscalità", si è passati ad un "Chiederemo" ed infine ad un "Forse" sui giornali di oggi.
E le aree franche urbane? Direi che visto come è finita per l'area franca di Messina, "A cu stati pigghiannu po culu"?

E, come se non bastasse, lo stato si rifiuta comunque di versare nelle casse della regione i fondi provenienti dalle tasse delle imprese che operano sul territorio regionale, secondo quanto stabilito dal concordato ragiunto con il precedente governo, fiore all'occhiello del primo governo Cuffaro.

Allora, cari amici autonomisti, cosa aspettate ad alzare la voce?
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martedì, settembre 19, 2006

Il ponte e la libertà di stampa

Per chi ha orecchie per sentire ed occhi per vedere, la realtà italiana dovrebbe essere così trasparente da non lasciare dubbi. Eppure sembra che i ciechi ed i sordi siano pittosto numerosi, soprattutto al sud, a giudicare da quanti colonizzati sono pronti, nella loro città, ad andare a tifare per una squadra del nord ancora proprietà di una delle famiglie che più ha sfruttato la "carne" meridionale ingozzandosi del nostro sottosviluppo.

Così può accadere che oggi non vi sia traccia sui mezzi d'informazione nazionale più vicini al governo (vedi ad esempio i siti del Corriere della Sera e di repubblica) della manifestazione organizzata a Roma dall'MPA.

La cosa potrebbe essere liquidata come dovuta alla lotta politica quotidiana: media vicini al CS oscurano le iniziative del CD. Ma la cosa non può essere liquidata in questi termini, dato che mai gli stessi media si sono dimostrati così omertosi verso una manifestazione di protesta anche se di segno opposto. D'altronde non si capisce di cosa si dovrebbe preoccupare il governo, dato che in fondo nemmeno l'opinione pubblica siciliana, elettorato prevalentemente di destra, è così sicura di volerlo, il ponte.

La verità è che lo stato italiano non ha felici ricordi delle manifestazioni di piazza siciliane, memore (anche se finge di essersi scordato tutto) dei disordini ai tempi del MIS e dell'EVIS e della cocente sconfitta politica che questi gli cagionarono. Ed è proprio questa memoria che deve tornarci, grazie anche alla manifestazione di oggi a Roma, indipendentemente dalla nostra idea sul ponte e dalla nostra orientazione politica.

Questo è il grande merito che dobbiamo ascrivere al Presidente Lombardo: quello di aver finalmente portato in piazza i siciliani, a Roma e contro lo stato. Di aver trovato il giusto motivo per smuovere gli animi oramai sopiti. Ora la strada è aperta, qualcosa di importante può mettersi in moto. E questo è stato capito da molti, se anche Alleanza Siciliana, con alla testa Nello Musumeci, notoriamente scettico riguardo al ponte, non è voluta mancare all'appuntamento.

Non richiudiamo la porta, non facciamocela richiudere in faccia: l'arma della movimentazione popolare può essere quella vincente.

E l'omertà dei mezzi di informazione non dovrebbe stupire nessuno: l'Italia giace infatti al 40° posto (circa) della classifica mondiale della libertà di stampa dietro esempi di democrazia quali El Salvador o la Namibia. E soprattutto dietro il Sudafrica, da quando questi ha chiuso con l'apartheid. Ripeto: da quando questi ha chiuso con l'apartheid.

A buon intenditore...
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La mafia c'entra ma non c'entra

Quando pubblicavo il mio ultimo post relativo ai fatti di Brescia, non avevo ancora letto i giornali o visto i TG, ma in realtà tutto era già stato messo a posto: secondo il quotidiano La Sicilia la mafia non c'entra (cioè Cottarelli non era parte di un organizzazione mafiosa, e nemmeno il figlio ed il nipote di un noto boss), ma ha controllato tutto da lontano (cioè voi siciliani siete comunque mafiosi): la mafia c'entra, ma non c'entra.

Quindi la mafia "made in Sicily" che a quanto pare controlla tutto in Sicilia (qualcuno dice in Italia) ha lasciato fare, ha lasciato che due facenti parte di una famiglia mafiosa si permettessero di dissociarsi dalla mafia e poi mettessero in piedi un'organizzazione che potesse appropriarsi di milioni di euro? Mi sembra un poco artificioso....

Ma non ci avevate detto che la mafia è un fatto sociale e culturale? Come hanno fatto questi due, cresciuti in una famiglia mafiosa, avendo subito l'assassinio del padre, a non essere imbevuti sino al midollo dell'ambiente in cui sono cresciuti? E poi... ne rimangono fuori... ma continuano a fare le stesse cose? Perchè questa fretta nel mettere in chiaro che "la mafia questa volta non c'entra"? Perchè la notizia è scomparsa così prematuramente dai media? Si è parlato per tanto tempo della ragazza pakistana uccisa... questo delitto sembra ancora più odioso!

Ovviamente le sorprese non sono finite qui: il terzo uomo pare fosse un milanese: costui si trova in carcere, ma la televisione collega l'accusa di omicidio solo ai due trapanesi? Come mai?

Sempre più collegamenti saltano fuori tra la malavita siciliana e impreditori e "colletti bianchi" continentali (vedi il nostro post precedente), sicuramente grazie al lavoro del procuratore Grasso.

Ma a noi non basta: noi chiediamo si sapere tutta la verità, di sapere cioè se uomini violenti ed ignoranti come Riina, U Malpassotu, U cavadduzzu (viene solo da ridere al pensiero...) fossero in grado di comandare questa organizzazione capace di operazioni di finanza iternazionale degne dei più rodati banchieri o erano solo l'anello locale, il braccio armato di una catena ben più estesa e con la testa (crediamo noi) molto lontano dall'isola.
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sabato, settembre 16, 2006

Omicidio di Brescia: una svolta carica di conseguenze inaspettate

All'improvviso si trovano gli autori della strage di Brescia e come per incanto la notizia passa in secondo piano. Dagli articoli dettagliati del dopo strage, il sito del corriere passa a degli stringati comunicati, quasi il delitto fosse avvenuto in qualche sperduto angolo dell'Europa dell'Est. Stranamente sui siti dei giornali locali siciliani si trovano più notizie, soprattutto a riguardo di chi fossero i trapanesi coinvolti nell'omicidio: il figlio ed il nipote di un capomafia ammazzato da qualche anno.

Perchè questo riserbo nel diffondere queste notizie? Perchè i telegiornali non schiaffano tutto tra le notizie più importanti della giornata? Perchè in realtà la notizia è una bomba, infatti non sembra che Cottarelli fosse ricattato dai due, anzi forse era lui che tentava di fregare i compari. Cottarelli sembra essere stato parte integrante di una associazione a delinquere che crediamo di poter dire in forte odore di mafia.

Ovviamente tutto è da dimostrare, cioè che i rappresentanti di una nota famiglia mafiosa siano responsabili di associazione mafiosa, ma notiamo come sia strana la reticenza ad usare l'espressione in questo caso. Che il motivo sia Cottarelli?

Certo vogliamo andare in fondo alla cosa: vogliamo cioè sapere se l'impreditore bresciano è da ritenersi colpevole di associazione mafiosa oppure no.

Se lo era, questa sarebbe la prima volta che un settentrionale viene accusato di fare parte della famosa "associazione", e potrebbe voler dire che la mafia non è un fenomeno culturale che dipende dalla condizione sociale siciliana etc. etc. con tutte le stronzate che sono state scritte sull'argomento in questi ultimi 150 anni (noi in realtà lo sappiamo benissimo che la mafia non è un fenomeno culturale). Questo dovrebbe avere notevoli conseguenze anche sul piano giuridico e sull'applicazione delle leggi antimafia.

Se non lo era, dovremmo dedurne che nemmeno il figlio ed il nipote del boss erano mafiosi, altrimenti verrebbero meno le accuse di associazione mafiosa o di collusione con la mafia fatte a decine di imprenditori siciliani negli ultimi decenni, anzi praticamente a tutti i siciliani solo perchè non avevano il coraggio di farsi ammazzare come cani.

Siamo certi che il procuratore antimafia Grasso sarà capace di fare luce sull'argomento.

E sì... sono proprio tante le cose che stanno venendo a galla su questa storia della Sicilia = Mafia. Non vorremmo sbagliarci ma crediamo di essere solo all'inizio...
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lunedì, settembre 11, 2006

Come lo stato intende aiutare il Sud

Non sarà certo passata inosservata la strana ed improvvisa ribalta di cui sta godendo la Regione Puglia a seguito del cambio di guardia a Roma: dalla decisione di portare l'alta velocità a Bari, alla vetrina offerta alla Fiera del Levante, palco di importanti esternazioni da parte del presidente del consiglio di turno.

Ma a parte i fondi piovuti dall'ascesa al governo del politico locale, poche gocce in un secolare mare di siccità buone al più a rafforzare la piaga del clientelismo, cosa promette lo stato (e ripeto stato, che chi parla ancora di centro-destra e centro-sinistra non ha capito niente) di diverso dal passato a chi ha avuto la sfortuna di nascere a sud del Lazio?

A Bari Romano Prodi a fatto del suo meglio per assicurarci che "lo stato" continuerà sulla strada tracciata nei suoi primi 150 anni di vita. Addirittura il Sole24Ore riporta nel titolo la frase del discorso che (forse), nelle intenzioni del premier, ci avrebbe dovuto più rassicurare: "Cuneo, senza penalizzare il sud", cioè non stiamo cercando di far partire lo sviluppo al sud, al massimo vedremo di non penalizzarlo rispetto alla situazione attuale.

E poi si discute sui meccanismi che "forse ... invece di 9 al nord (sconti su Irap) ed 1 al sud, la partita si riequilibri per un 7 a 3". Quindi è tacito che le isure studiate serviranno solo al nord e non a tutto il paese.

E per quanto riguarda la fiscalità di vantaggio per il sud "non è facile ma ci impegneremo già in finanziaria": praticamente na putemu scuddari.

Senza parlare di D'Antoni che auspica la creazione di "zone franche urbane": ma a chi crede di prendere per fessi? La zona franca di Messina è già stata istituita da diversi decenni, ma non è mai stata attuata.

Ma possibile che non ci siano altri rimedi, qualcos'altro che possiamo fare da soli almeno per alleviare? E' sempre il Sole24Ore che, in un articolo del 30/08/06, ci aiuta, ci suggerisce una soluzione, anzi ci sgrida perchè non ci siamo già mossi come hanno fatto al nord e ci sprona a farlo. Ecco i suoi suggerimenti:

1) fusione delle "utilities" locali (municipalizzate) per una gestione più oculata, una maggiore economia di scala a difesa dei consumatori, la possibilità di accedere a progetti di dimensioni maggiori, armonizzati per aree geografiche più vaste. In questo senso va vista la recente proposta fusione AEM - ASM.

2) Polo lombardo della rete autostradale, incipit di una rete globale del settentrione

3) Fusione delle banche locali, per evitare acquisti da realtà più importanti e salvaguardare il credito locale. Apparterrebbe a questa categoria la fusione Sanpaolo - Intesa

Forse il Sole24Ore si scorda che da noi le Municipalizzate non esistono o non funzionano, che il polo autostradale siciliano esiste già, non ha portato ad un miglioramento dei servizi e non ci potrà mai essere un polo meridionale in quanto una rete autostradale meridionale non esiste: le poche tratte che ci sono non sono altro che appendici della rete settentrionale utili a favorire lo scorrimento dell'emigrazione verso nord.
Per non parlare delle banche: intanto noi il nostro polo bancario l'avevamo già (il Banco di Sicilia), poi grazie al Sig. Presidente Ciampi è stato dichiarato insolvente, ci è stato scippato e svenduto alla Banca di Roma. Per il resto tutte le altre banche meridionali sono state espropriate e date alle controparti settentrionali.
Ed ora noi non stiamo facendo le mosse giuste?
E poi, scusate, fino a pochi mesi fa non dicevate che il credito locale poteva benissimo essere assolto dalle banche del nord, che eravamo infantili nel credere che ci volessero banche nate sul territorio?

Diciamo che lo stato si sta inventando un po di scuse per giustificare la continuazione del colonialismo. Peccato che pochi oramai credono a quello che dice lo stato.
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sabato, settembre 09, 2006

La trasformazione da Regione Sicilia a Regione Siciliana

Non sarà sfuggita ai più attenti l'enfasi con la quale la Regione mette in evidenza la sua ritrovata giusta denominazione, e cioe "Regione Siciliana", piuttosto che il coloniale "Regione Sicilia". Il ripensamento, o riscoperta che dir si voglia, forse dovuto al rischio di uno "scavalcamento a sinistra" da parte di gruppi e partiti autonomistici e/o indipendentisti di vario tipo, recente e repentino, non deve essere stato indolore nei nostri politici, tanto che vedendo in giro i cartelloni pubblicitari quasi non si è sicuri che qualcuno abbia mai usato il termine "Regione Sicilia". Solo un brutto sogno, che comunque lascia dei rimasugli reali, come ad esempio sull'indirizzo internet della Regione: www.regione.sicilia.it , salvo poi la dicitura corretta sul banner in alto.

Politici, commentatori e giornalisti, tuttavia, fanno ancora finta di non capire l'enorme differenza che quelle due letterine (N ed A) comportano. Quelle due letterine indicano che la nostra regione non è stata creata dallo stato, ma pre-esisteva ad esso, e che il Popolo Siciliano ha liberamente deciso di unirsi allo stato Italiano attraverso un patto, appunto lo Statuto (fatto quest'ultimo ancor più importante, che in fondo molte altre regioni italiane predatano lo stato).

Dal riconoscimento dello statuto quale patto, dobbiamo trarre ulteriori conseguenze:
1) Lo stato italiano non ha concesso un bel niente, visto che addirittura è stato da noi sconfitto durante la guerra di indipendenza scatenata dal MIS e dall'EVIS negli anni quaranta. Sono i Siciliani che semmai hanno "concesso", ed infatti lo Statuto fa parte della costituzione italiana.
2) Se una delle due parti non rispetta un patto, vi sono delle conseguenze che potrebbero portare addirittura al decadimento del patto stesso.

Proprio quest'ultimo fatto è quello che si è verificato: lo stato Italiano non ha rispettato il patto, rendendo quindi le mani "libere" alla Sicilia anche dal punto di vista legale sul piano internazionale. E' questo è qualcosa che fa tremare le gambe a tutti: a Palazzo dei Normanni come nel più umile dei siciliani.

C'è paura in noi: paura di prendere il destino nelle nostre mani. Non si possono infatti traghettare tutte le colpe oltre il faro. I nostri politici non hanno vigilato sul patto, e chi aveva da perdere da esso non lo ha rispettato.

D'altronde i politici eletti all'Assemblea ci rappresentano, rappresentano il popolo siciliano nel bene e nel male e se non rispettano il nostro mandato, ABBIAMO IL DOVERE di esercitare pressione, di protestare, di alzare la voce affinchè il loro dovere lo facciano. In ultima analisi il rispetto dello Statuto passa attraverso ogni singolo cittadino, e dalle pressioni che insieme agli altri componenti del Popolo Siciliano egli riesce a fare sul governo dell'isola.

Quello che manca, ed è mancato sin dalla fine della guerra d'indipendenza siciliana, è proprio la presenza di gruppi di pressione, di lobby che spingano verso il rispetto dei poteri che lo Satuto ci conferisce. Negli ultimi anni qualcosa si è mosso (basti pensare ad esempio a "L'altra Sicilia" ed a molti altri gruppi che si sono venuti formando), ma bisogna iniziare a scendere in piazza, a scioperare se necessario. Perchè questo sarà lo sciopero che ci porterà il lavoro e lo sviluppo, ma anche, finalmente, la LIBERTA'.
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martedì, settembre 05, 2006

Energia: Si ai rigassifficatori ma solo a certe condizioni


La polemica sui rigassificatori in Sicilia sembra farsi più acuta che mai: quanto questa sia pretestuosa è da vedersi, intanto però una cosa è certa: abbiamo bisogno di una posizione certa ed univoca, che non lasci spiragli ad ulteriori manovre di insabbiamento.
Certo tutti sembrano lottare per lo sviluppo della Sicilia ora che va così di moda, noi però vogliamo porre sul tappeto alcune considerazioni.
1) I rigassificatori saranno strutture fondamentali per lo sviluppo economico di qualunque nazione per i prossimi 20 - 30 anni. Non esserne dotati significherebbe rinunciare ad un approviggionamento energetico certo e sicuro, rimanendo in balia di ricatti e vessazioni da parte dei paesi produttori
2) Nel caso della Sicilia diventano un'opera di ancor più vitale importanza se vuole mantenere e (finalmente) cominciare a sfruttare la sua vocazione di hub energetico del meditterraneo. Indipendentemente da quanti e quali rigassificatori si costruiranno in Italia ed in Europa, sarà molto più conveniente per tutti scaricare il gas "en ruote" in Sicilia e poi portarlo in Europa tramite condutture pittosto che risalire tutto il Mediterraneo con quelle gigantesche navi.
3) E' comunque ovvio che la Sicilia ed i siciliani questa volta dovranno trarre dei benefici dalla loro posizione geografica: e ora che il sognor Moratti smetta di fare lo spiritoso con i soldi dei siciliani buttandoli nel pozzo senza fondo dell'Inter. Se non si riesce ad ottenere un accordo con lo stato e con la comunità europea in questo senso, niente impianti industriali in Sicilia.
4) Per il loro posizionamento non si devono scegliere aree "vergini" dal punto di vista industriale, ma piuttosto incominciare quella riconversione di vecchi impianti petrolchimici e di raffinazione. E' infatti tempo di pensare alla dismissione delle raffinerie, dato che il petrolio sarà sempre meno la fonte di energia di preferenza in occidente. Inoltre i rigassificatori, pur essendo sempre inpianti industriali potenzialmetne inquinanti sono molto più sicuri delle raffinerie-spazzatura che ci ritroviamo a Priolo ed in altre martoriate aree del nostro territorio.

In conclusione: si ai rigassificatori, ma solo a certe condizioni.
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mercoledì, agosto 30, 2006

Brescia uber alles

Cari amici di Brescia,
non dovete preoccuparvi: voi siete perfetti, tutti onesti, lavoratori, timorati di Dio. Al massimo qualche scavezzacollo, più un ragazzino monello direi.... non credo che si possano usare parole grosse come delinquente o truffatore.
Invece loro sono il male, loro sono il marcio, tutto lo sporco della terra, sono loro i corruttori, i nullafacenti, gli sfruttatori: meridionali, rumeni, maghrebini, albanesi. Tutti criminali e truffatori, assassini e stupratori.
Soprattutto i vostri nemici di sempre: i meridionali. Quelli sono una razza diversa, ma poi quando si tratta della lingua, allora questa diventa un dialetto. Quando si tratta della storia, diventa diventa storia di dominazioni (subite). Quando si tratta di mamme che risogono dal coma dopo aver partorito, allora si tratta di "miracoli".
Cottarelli? La stampa lo aveva definito subito come uno che aveva sì avuto qualche guaio con la giustizia ma che poi non era stato condannato, e giù con i vicini che ci ricordano che buon vicino che era. E poi le autorità che si sperticavano nell'avvertire che non erano stati extracomunitari a compiere il massacro. Così come vuole il nuovo corso politico liberal-diessino.
Ed infatti oggi sul corriere della sera la conferma: "Il massacro di Brescia deciso in Calabria".
No, voi non avete colpa, bresciani. Il povero Cottarelli (con una fedina penale lunga così, che anche a Scampia avrebbe fatto notizia) era solo una vittima, uno che si lasciava abbindolare facilmente.
Voi siete tutti gente civile. Come l'imprenditore che dava lovoro (in nero) ai due nord africani che hanno violentato le turiste francesi a Milano.
Costui dalla stampa è stato definito come "Italiano" senza altra connotazione geografica. Allora siamo sicuri: il suo luogo d'origine è da collocarsi a nord del Rubicone.
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mercoledì, agosto 23, 2006

Google in siciliano?

Recentemente è stato chiesto a Google da alcuni amici di lanciare una versione in lingua siciliana. Google ha risposto picche. Intanto però...

Da un articolo uscito sull'"Economist" del 19 agosto 2006:

"Google in Quechua"

"Quecha, la lingua dell'impero Inca, ancora usata ampiamente sulle Ande Peruviane ... Miss Supa (recentemente eletta al congresso peruviano, ndr) ha insistito nel parlare alla legislatura nella sua lingua nativa ... Questo ha costretto il congresso ad assumere dei traduttori ... In Perù si crede ci siano tra i 3 ed i 4,5 milioni di indiani che la parlano ... Nei mesi recenti, Google ha lanciato una versione del suo motore di ricerca in Quechua mentre Microsoft ha messo a punto la traduzione in Quechua di Microsoft Office ..."

Non credo vi sia bisogno di ulteriori commenti....
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martedì, agosto 01, 2006

Segregazione e meridione

Finalmente la verità comincia a venire a galla. Chi sono i mafiosi? da dove vengono?

Date un occhiata a questo articolo della Sicilia....

L'articolo parla di un'azienda bergamasca e dice "l'uomo originario di Roma".... vedremo se ora costui sarà imputato per mafia, altrimenti la conclusione sarà quella che tutti già sappiamo: le leggi antimafia nascondono semplicemente dei provvedimenti razziali.

1861: l'anno in cui la mafia ebbe inizio.
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lunedì, luglio 10, 2006

"Avete unito il paese"

Queste le surreali ed al tempo stesso lucide parole del capo dello stato dopo la vittoria dell'Italia ai campionati del mondo di calcio.
Surreali (ed anche un pò puerili) perchè è incredibile sentire un capo dello stato ammettere così candidamente che il paese da lui presieduto in realtà non esiste (e dovrebbe esistere grazie ad una partita di calcio), lucide perchè indicano nello stato una precisa coscienza della situazione del paese che non c'è.
Uno stato che non sa più dove aggrapparsi mentre il paese si disgrega affida tutto a questa vittoria ai campionati del mondo, come se la politica, l'economia, la realtà di oppressione che lo stato italiano ha sempre rappresentato per una buona metà dei suoi abitanti, potessere essere surrogati e guidati da una squadra di atleti.
Invece proprio attraverso questa vittoria è possibile intravedere la crisi in cui versa l'Italia costruita nel 1862 e poi ri-costruita nel 1946. Proprio questo oramai estremo affidarsi praticamente solo alla fortuna ci dice tutto.
Uno stato che si gioca il suo futuro ai calci di rigore e nel frattempo perde i pezzi, assaltato dai colossi energetici russi, deluso dalle sue aziende più coccolate, incredibilmente apertamente schierato contro i suoi stessi servizi segreti.
Una guerra civile sotterranea combattuta con armi silenziose ma i cui contorni stanno a poco a poco venendo a galla, combattuta da poteri estranei ai suoi confini geografici ma da sempre presenti nell'ombra e che si giocano l'assetto della penisola (e delle isole annesse) dalla caduta della Casa dei Borbone.
Siamo vicini ad un nuovo 1946 o alla fine di un ciclo storico iniziato quasi 150 anni fa?
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sabato, luglio 08, 2006

IX. Un piano energetico per lo sviluppo della Sicilia

Intere generazioni di politici hanno amministrato la Sicilia per conto dell'invasore basandosi su un semplice refrain, vecchio di 150 anni: il rilancio del sud, il suo sviluppo economico. Forse il più gigantesco affare di clientelismo politico mai visto sulla terra, una immensa baraccopoli di Messina nella quali i Siciliani sono stati relegati dopo il terremoto dell'unificazione con la promessa di una ricostruzione mai avvenuta.
Si è mai tentato realmente di creare un vero sistema economico nel Sud Italia in generale, ed in Sicilia in particolare? Sicuramente è vero che lo sviluppo ha bisogno di infrastrutture. Ma a monte delle infrastrutture vi è qualcos'altro, senza cui niente può essere prodotto: l'energia.
Qualunque azione volta allo sviluppo programmatico di un territorio deve partire dalla consapevolezza che per attuarne i progetti serve energia.
Ponti , ferrovie, autostrade, non servirebbero a niente senza avere l'energia a disposizione per renderli funzionali, vuoi che essa sia benzina, energia elettrica, o altro.
Attualmente in Sicilia non si produce abbastanza energia per ospitare un economia avanzata. Quella elettrica basta a stento per coprire il fabbisogno attuale e viene in gran parte utilizzata dal petrolchimico, dal quale la nostra economia trae pochissimi benefici.
Ma cosa più grave, non vi sono progetti per ampliarne la produzione in modo adeguato ad un processo di sviluppo. Quindi è inutile farsi illusioni.
Tutte le aree del pianeta in via di forte espansione economica stanno investendo capitali economici e politici immensi sulla generazione di energia: Cina, India, Brasile, Messico stanno programmando il loro sviluppo partendo da precise previsioni dei loro fabbisogni energetici futuri.
In Italia invece si è programmato e si tenta di programmare solo per il nord. Il gas scorre sotto i nostri piedi, ma poi tutti i depositi di stoccaggio strategico sono a nord, le vie di trasferimento dell'energia vanno sempre da sud a nord e mai viceversa (l'interconnessione tra Grecia e Puglia manderà l'energia solo in direzione nord), Il Sole 24 Ore continua a denunciare il fatto che i rigassificatori debbano essere costruiti al nord vicino alle zona produttive del paese, e tale asserzione può avere senzo solo ammettendo che non vi è all'orizzonte nessuno sviluppo economico del sud. L'unica programmazione energetica che si è tentato di fare al sud è stata quella di mandarci le scorie radioattive delle loro centrali.
La Sicilia si deve quindi dotare di un piano energetico per crescere.
La materia prima non manca: gas e petrolio raffinato ne abbiamo già in abbondanza, ed a prezzi che DOVREBBERO essere più bassi che nel resto d'Europa, per i costi di trasporti praticamente annullati grazie alla CENTRALITA' della Sicilia.
Un piano energetico siciliano dovrebbe innanzitutto basarsi sulla produzione di energia elettrica tramite gas (piano dei rigassificatori e graduale smantellamento delle raffinerie), cominciando a prepararsi per il dopo petrolio incorraggiando la produzione di carburanti organici come l'etanolo e l'utilizzo dell'energia solare. Fonti che le strafottenti lobby italiane del petrolio ci impediscono di utilizzare.
Inoltre vi sono importanti scelte strategiche da compiere anche su un altro fronte: un territorio variegato e difficile come il nostro non potrà basarsi su impianti di produzione di grandi dimensione se non a costi ambientali notevolissimi, ma dovrà affidarsi alla produzione diffusa: piccole centrali solari ed eoliche, impianti di temovalorizzazione degli scarti agricoli, riciclaggio, tutti su base locale.
ogni condominio dovrebbe contribuire alla produzione di energia elettrica, ogni industria dovrebbe inserire nel suo ciclo produttivo la valorizzazione energetica dei suoi scarti di lavorazione.
Tutto questo porterebbe (tra l'altro) alla rinascita della campagna ed al ritorno dell'impresa agricola veramente produttiva.
Questo significa programmare lo sviluppo. Lo sviluppo non è costruire strade e ponti per dare lavoro alle fallimentari imprese del nord.
Ma da dove dovrebbero arrivare i capitale per avviare tutto ciò?
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giovedì, luglio 06, 2006

Citazioni

Le banche al sud ci sono già e funzionano bene.

(Beniamino Anselmi, amministratore delegato del Banco di Sicilia in un'intervista pubblicata dal Sole 24 Ore Sud il 5 luglio 2005. Beniamino Anselmi è (ovviamente) Toscopadano. Piacentino, per l'esattezza).
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mercoledì, luglio 05, 2006

Il sud è ricco di infrastrutture

Avete presente tutte quelle classifiche sulla vivibilità, sulla pulizia, sul PIL, sulla criminalità, sulle spiagge in cui sguazza quest'italietta e che immancabilmente condannano le città e le regioni meridionali ad occupare TUTTE la seconda metà della graduatoria? Risultati da guardare con sospetto, certo, come quello sulla vivibilità, dove contano il numero di altalene, ma non i giorni di sole, grazie a regole che sembrano fatte su misura.
Sembra uno scherzo, ma queste graduatorie influenzano flussi economici di una certa consistenza, come quello turistico o la scelta per il posizionamento di una sede aziendale.
Il genio e la sfacciataggine Tosco-Padana possono però raggiungere vette impensabili, come nel caso della graduatoria infrastrutturale del mezzogiorno, preparata dall'Istituo Tagliacarne. In questo caso le differenze tra nord e sud non sono più così nette, e può capitare che Vibo Valentia sia più “infrastrutturata” di Milano.



Infrastrutture risalenti al periodo pre-unitario: le mura greche di Vibo

Si, a questo può giungere la vigliaccheria settentrionale pur di rubare: a dire che a Vibo si sono spesi troppi soldi per le infrastrutture, ed a Milano non abbastanza, malgrado i soldi buttati nel più inutile aeroporto del mondo (Malpensa).
Come ottenere questo risultato? Semplice, sovvertiamo le regole della progettazione economica: da oggi non sono più le infrastrutture la base per creare sviluppo, ma viceversa. La classifica si basa infatti sulla “domanda potenziale”, nuovo, ennesimo ed inutilissimo parametro posto a freno dell'economia del sud. In pratica, si tiene conto della richiesta che c'è sul territorio per ulteriori infrastrutture. Ma noi ci chiediamo, in un territorio dove non c'è niente, in un deserto economico dove prevale l'economia del bar, che richiesta ci deve essere? Ed infatti il Rapporto Tagliacarne questo vuole dire: sottosviluppati siete e sottosviluppati dovete rimanere.


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