Approfondimenti - Il Consiglio News Feed

sabato, maggio 31, 2008

Al cinema


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mercoledì, maggio 28, 2008

Il rastrello di Montalbano

Cerco un centro di gravità permanente,
che non mi faccia mai cambiare idea
sulle cose e sulla gente



“Basta con queste macchiette di Montalbano!”, tuonava un paio di anni or sono l'allora presidente della provincia regionale di Catania, Raffaele Lombardo, mentre arringava la folla intervenuta ad un comizio in Piazza Università, nel cuore della città etnea. E lo gridava proprio di fronte al palazzo dove 60 anni prima si recava al lavoro un certo Antonio Canepa, di giorno professore di storia delle dottrine politiche in quella università, di notte (o ogni qualvolta gli eventi lo richiedessero) Mario Turri, rivoluzionario impenitente.

Da quel momento Andrea Camilleri e Raffaele Lombardo sembrano legati da uno strano filo del destino a quella figura inconsapevolmente evocata in quella calda serata. Un legame che i due continuano a trattare con ambiguità, ma dal quale non riusciranno a liberarsi facilmente.

E difatti ambiguo è stato il loro recente abbocco tra i due, posto a metà strada tra la decisione di Lombardo di fare dedicare una via cittadina al nostro professore ed una recente pièce teatrale sulla vita dell'indipendentista scritta da Camilleri, anche lui reclutato alla causa Siciliana.

Su di un articolo di presentazione pubblicato da Repubblica (ma sempre firmato dal Camilleri) non possiamo che condividere appieno il punto di vista dell'FNS, per cui non ci dilungheremo su un giudizio complessivo. Si deve però rilevare un strana particolarità.

Il legame (ideale) di Camilleri con Canepa risale a molti anni addietro, a quando sul finir di guerra il nostro andava in bicicletta da Serra di Falco a Porto Empedocle, come raccontato durante una tappa del Giro d'Italia. Nell'articolo di Repubblica il papà di Montalbano confessa che durante quei tragitti si dedicava anche a qualcos'altro:

«Chi scrive, allora diciottenne e all'ultimo anno di liceo, venne sorpreso e fermato dalla polizia mentre, munito di un rastrello, sconciava più manifesti che poteva».

Manifesti dell'esercito italiano. E non dei manifesti qualunque, ma la goccia che fece traboccare il vaso dell'insofferenza Siciliana verso il regime italiano, come spiegato nell'articolo. Quindi aggiunge:

«Ero tutt'altro che separatista. Ero solo un giovane italiano nato in Sicilia che si era sentito gravemente offeso».

Alla faccia dell'ipocrisia! Un colpo alla botte ed uno al cerchio...

Ma non è ancora questo il punto. L'articolo chiude così:

«Antonio Canepa è sepolto nel cimitero di Catania, nel viale dei siciliani illustri, vicino a Giovanni Verga e ad Angelo Musco».

Allora: sono rincoglioniti i Siciliani che seppelliscono Canepa accanto a Verga ed a Musco, o è Camilleri in preda ad una forma di demenza senile che gli fa rinnegare le sue “irresponsabili” azioni giovanili? Nessuno dei due. Camilleri malgrado l'età è furbissimo. Ci rivela che lui non è tanto d'accordo con questo pezzo che tuttavia ha diligentemente firmato. Lui da quest'opera teatrale (e da Canepa) per ora ci prende le distanze. Sembra voglia suggerirci che, in vista dell'anniversario della nascita del martire, stia lavorando su commissione. In altre parole, c'è uno sponsor dietro.

Ed allora seguiamo la sua traccia ed andiamo al sito del Festival di Massenzio, per il quale l'opera è stata scritta ed all'interno del quale è stata presentata.

Bingo.

Ricorderete che lo scorso ottobre a Messina si tenne una mostra sull'indipendentismo Siciliano. Tra gli sponsor incredibilmente faceva capolino Capitalia, allora proprietaria del Banco di Sicilia. Invece sul sito del festival romano tra gli sponsor troviamo Unicredit, quella Unicredit che recentemente ha acquisito proprio Capitalia. Ora, se dopo la prima potevamo al massimo proporre una teoria, oggi possiamo tranquillamente dire di trovarci di fronte ad una strategia.

Una banca che si occupa di fare propaganda all'indipendentismo siciliano? Dovrebbero essere dei folli. Chi può avere tanto potere da costringerli a fare una cosa del genere? A meno che... a meno che in Capitalia ieri, ed in Unicredit oggi non ci si stia posizionando favorevolmente in vista dell'arrivo del nuovo ordine che potrebbe presto nascere.

Non diamo più ascolto a chi ci dice ancora che l'indipendentismo fu una 'esaltante stagione vissuta da una minoranza', a chi tra le bombe atomiche, le camere a gas, le atrocità di fascisti e partigiani e le fucilate di Badoglio contro i palermitani che chiedevano il pane, si permette di chiamare l'EVIS una organizzazione terroristica che, nelle parole dello stesso Camilleri (ma siamo nel 2002, ed il nuovo centro di gravità non lo attirava ancora...), 'lasciò una lunga scia di sangue dietro di sé'.

Pur con i piedi in più staffe, sono tutti pronti al salto. Nel caso in cui. Come per il colpo al cerchio e quello alla botte di Camilleri: lui quel rastrello non lo ha gettato. Lo ha solo nascosto. Ed appena verrà il momento, dopo aver messo il bianchetto sul “tutt'altro che separatista”, non mancherà di riprenderlo in mano agitandolo con forza.

Ed ora finalmente ascoltiamoci la vera storia di quel professore dell'università di Catania dalla voce della sola persona che lo possa ancora “sentire”, la figlia Teresa, nella bellissima testimonianza raccolta da Rino Baeli:




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domenica, maggio 25, 2008

Spazzatura d'occidente

Il 13 marzo 2007 Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, fu ascoltato dalla commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse.

Il testo dell'audizione (reperibile in rete) offre uno spaccato preciso dell'argomento. Vediamo di inserirlo nel contesto della attuale situazione di crisi del napoletano.

Una prima sintesi del fenomeno si trova alla pagina 5:

«Osservando, però, l’evoluzione di questo mercato, abbiamo notato che, accanto agli esponenti delle famiglie mafiose, il mondo dei rifiuti si è andato popolando sempre più di una varietà di soggetti che, nella gran parte dei casi, non ha un precedente criminale, ma si collega con i criminali.

L’impressione generale suggerisce che il grosso affare dell’emergenza rifiuti non sia semplicemente il frutto di un'attività criminale occasionale, ma sia legato a un preciso orientamento di alcuni settori del mondo produttivo, sia locale che nazionale, desiderosi – com’è logico per qualsiasi impresa – di ridurre i costi attraverso una costante violazione delle regole del gioco e, di conseguenza, di aumentare i propri profitti.»


L'emergenza rifiuti è da considerarsi un affare in sé. Non è da vedersi solo nell'ottica della conseguenza di determinati traffici che hanno colmato le discariche (abusive o legali) della Campania. Questo “affare” dell'emergenza rifiuti poi non è gestito esclusivamente dalla criminalità organizzata, ma in modo sempre più invasivo anche da soggetti esterni a questo mondo.

A questa dichiarazione però sembra non essere dato seguito nel corso dell'audizione. Poi poco più sotto Grasso dice qualcos'altro che merita attenzione:

«Un breve accenno va fatto ai termovalorizzatori (...). La questione dei termovalorizzatori è molto dibattuta. In merito, ci sono molte pressioni da parte di Legambiente che non considera la soluzione scelta la migliore che si potesse adottare, soprattutto – e questo forse è il punto – senza prevedere una selezione dei rifiuti a monte e un riciclaggio degli stessi. In quest’ottica, il termovalorizzatore dovrebbe essere usato solo per il residuo. Si tratta, comunque, di scelte discrezionali su cui non possiamo intervenire, dovendo limitarci ad accertare se si verificano reati nel momento in cui si pongono in essere queste soluzioni.»

La dice in modo che sembrerebbe casuale e ribadendo che queste sono scelte discrezionali, sulle quali non si può intervenire giuridicamente. Eppure se la esprime in questi termini legandola alla raccolta differenziata (ed aggiungendo un rafforzativo “e questo è forse il punto”) vuol dire che la considera parte integrante del discorso. Una divagazione che avrebbe dovuto suscitare curiosità nella commissione. E forse Grasso divaga sperando di suscitare quella curiosità. Ma il discorso cade, e nessuno della commissione crede di dovere approfondire.

Ma mentre a Napoli esplode la protesta dei cittadini, spunta fuori una notizia che potrebbe spiegare il motivo di “quel breve accenno su scelte su cui non possiamo intervenire”. La magistratura di Terni sequestra l'inceneritore cittadino. Motivo? Pare che lì si bruciassero rifiuti tossici:

«La magistratura tuttavia vuole verificare se tra i rifiuti inceneriti possano essere capitate sostanze nocive o [addirittura, ndr] radioattive»

A questo punto la volontà di costruire inceneritori che brucino tutto senza selezione dei rifiuti a monte (come ad esempio si vorrebbe fare in Sicilia...) diventa ancora più sospetta.

Nascondere i rifiuti tossici in una discarica in mezzo a rifiuti normali non vuol dire farli sparire. Sono sempre lì. Sarebbe semplicissimo analizzarli e risalire all'origine di quei rifiuti. Anzi è stato già fatto. Il “seppellimento” non è più un metodo così sicuro.

Si potrebbero mandare nei paesi nel terzo mondo, come fa TUTTO l'occidente. Ma questa via, anch'essa non più tanto sicura essendo il trucco oramai svelato (e Grasso ne parla nella stessa audizione), potrebbe rivelarsi comunque più costosa dell'incenerimento quasi in loco.

Inoltre i volumi di rifiuti tossici da fare scomparire in Italia ed in Europa aumenteranno esponenzialmente nei prossimi anni. Se fino a poco tempo fà questo (insieme al traffico di clandestini da destinare al lavoro nero nelle fabbriche) era un affare per pochi imprenditori senza scrupoli con le giuste connessioni, ora a causa dell'avanzata cinese e del crollo economico occidentale è diventato la discriminante a seconda della quale un'azienda veneta (tanto per fare un esempio tra quelli riportati sempre nella stessa audizione...) potrà sopravvivere ovvero dichiarare fallimento.

Gli interessi dietro all'emergenza rifiuti e di conseguenza dietro la costruzione degli inceneritori sono così più chiari di quello che potrebbe sembrare. In mezzo ci sono non solo le grosse imprese che dovrebbero costruirli (Impregilo su tutte), ma anche l'intero sistema produttivo del nostro paese e non solo, visto che pare in Campania si siano trovati anche rifiuti provenienti dall'estero (Vedi che furbi i tedeschi? Scambiano i loro rifiuti nocivi con le nostre ecoballe, e per giunta li paghiamo per questo. Un doppio guadagno: “trasi munnizza e nesci oro”, staranno dicendosi in teutonico dialetto...).

E la criminalità organizzata locale e già pronta al salto, come deduciamo sempre dalla stessa audizione:

«Si tratta quasi sempre di imprese che in passato si occupavano di trasporto terra e che si sono riciclate nel più remunerativo settore della gestione dei rifiuti.»

Se ora la criminalità si occupa di gestione complessiva dei rifiuti, la destinazione finale di questi rifiuti non è più decisiva, anche perchè la “camorra” potrebbe arrivare ad ottenere la gestione stessa degli inceneritori. E dopo l'incenerimento niente più tracce: anche quando si dovessero registrare anomalie nelle emissioni sarebbe impossibile risalire all'origine del rifiuto tossico.

L'affare dell'emergenza rifiuti nasce da lontano: il campo le è stato preparato pazientemente.













Ed ora interpretiamo la crisi campana in base a quanto detto.

Per capire quello che sta succedendo basta notare che Bassolino è ancora al suo posto. Nessuno ne parla più sui giornali, di Bassolino. E nessuno fa caso al fatto che la soluzione proposta dal governo Berlusconi è la stessa identica di quella proposta dal governo Prodi. Quindi tutti gli interessi di cui sopra sono ancora al loro posto e di conseguenza al suo posto rimane lo stesso Bassolino, che la “crisi” ha magistralmente provocato tramite ritardi e calibratissime inefficienze.

Ed allora, visto che le proteste continuano, non ci vengano più a raccontare balle dicendo che è la camorra che soffia sul fuoco della rivolta popolare. Sarebbe come dire che lo stato sta combattendo la mafia. Per giunta tutto lo stato compatto, da destra a sinistra, e con tutte le sue istituzioni. Per la prima volta da 150 anni a questa parte. Ma chi vogliono fare fessi?

L'interesse della camorra è proprio nella costruzione degli inceneritori, e momentaneamente nella riapertura delle discariche (dove li staranno gettando i rifiuti tossici in questo periodo?) come sempre coincidente con quello di certi “poteri forti” esterni al territorio da essa controllato.

Rimane solo una cosa da capire. Forse la più importante. Vorremmo tanto credere che le rivolte del napoletano siano pura e semplice rabbia popolare. Fino alle elezioni si poteva pensare che dietro ci fossero elementi di centro-destra. Ma ora non possiamo pensarlo più. Eppure ci sembrano troppo forti e troppo bene organizzate per dire che sia il “popolo” ad autogestirsi.

E se tutti i poteri “occidentali” si sono raggruppati preoccupati dallo stesso lato (come detto, al punto da mettere da parte le sacrosante critiche a Bassolino) vuole forse dire che qualcun altro è entrato in gioco? Ma chi? Chi è che “aizza la massa”, nelle parole di Gasparri, se tutti la stanno combattendo?

La situazione campana è in qualche modo da mettere in relazione con i pesanti dissidi occorsi in questi giorni in Sicilia tra l'MPA-UDC e Berlusconi? La chiusura forzata (ed illegale) della discarica di Bellolampo vicino Palermo oltre ad essere una minaccia per Lombardo, serve anche a confermare ai diretti interessati che le due cose sono in qualche modo collegate?
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venerdì, maggio 23, 2008

E' già caduto

Sono già ricordi felici questi. Quando tutti e tre, Bossi, Lombardo e Berlusconi (Fini neanche lo prendiamo in considerazione) sedevano uniti dopo i risultati delle elezioni. Ricordi felici e lontani.

Perchè dopo qualche ora di senile euforia il cavaliere si è fatto i conti per bene ed il suo sorriso è crollato di colpo.

Aveva già dovuto promettere a destra ed a sinistra: agli americani (Frattini), agli israeliani (la Nirenstein), ai massoni inglesi (Letta e gli accordi con Veltroni), ai russi (i rigassificatori, la Prestigiacomo sotto dettatura ha già autorizzato quello di Priolo), ai tedeschi ed all'impregilo (il ponte). Ma pensava di essere vicino alla realizzazione del suo sogno (o incubo, sono punti di vista...) piduista grazie alle manovre degli ultimi mesi ed ai generosi finanziamenti con cui credeva di avere oramai in pugno la Lega e l'MPA.

Il sogno dell'Italia divisa in tre, con al sud una macroregione fantoccio (con la Sicilia, ma senza autonomia...) dove una nuova classe di ascari telecomandati avrebbe permesso alla padania di avere il suo “giardino” privato mediterraneo.

Ed invece non solo la Lega ha preso tanti voti da poter nuovamente rialzare la testa, ma anche i Siciliani gli hanno tirato un brutto scherzo: un fallimento dell'MPA nel sud Italia ed un particolarissimo successo in Sicilia, dove l'MPA ha superato il 20% alle regionali, ma si è inspiegabilmente fermato al 8% alle nazionali: un risultato che non solo contribuisce ad incrementare la divaricazione tra la Sicilia ed il resto d'Italia, ma che invece di diluire la forza di Lombardo in tutto il sud, la concentra dove il cavaliere non vorrebbe.

Ma il fallimento oltre faro, è stato veramente un fallimento? O piuttosto si è trattato di un calcolo politico di Lombardo? Non è facile rispondere. La concomitanza delle elezioni regionali e nazionali poneva il problema di quale campagna elettorale fare. Per Palermo o per Roma, come chiedevano ad Arcore? Tutto sembrava andare per il verso giusto (quello nordico...) ma ad una settimana dal voto il leader autonomista ha cambiato completamente le carte in tavola, battendo a tutto spiano il tamburo dello Statuto.

E' stata questa una decisione presa in conseguenza dei sondaggi sfavorevoli, o è stata la debacle duosiciliana una conseguenza del suo “cambiamento d'umore”? Forse un po' tutte e due le cose. Certo è che grazie a questi risultati il coltello ora presenta il manico rivolto a sud. La puzza di tradimento rimane.

A Berlusconi non rimane che correre ai ripari. L'Autonomia Siciliana per lui (sì, anche per lui...) è una jattura. La Sicilia è la sua carta più pregiata nel risiko geopolitico internazionale. Se si applicasse lo Statuto mi sa che in Sardegna a trovarlo non ci andrà più nessuno.

Vediamo che strategia sta applicando per ricacciare Lombardo dove lo aveva preso.

Prima mossa: del ministro promesso all'MPA non se ne fa più niente. Mossa stupida: il Presidente della Regione Siciliana è già un ministro. Non solo: questa imprudenza è costata a Forza Italia il comune di Catania, il punto focale dello sviluppo del Mediterraneo nei prossimi decenni.

Seconda mossa: posizionamento di un ministro dichiaratamente anti-siciliano agli affari regionali, il pugliese Fitto. Mossa inoffensiva, visto lo spessore politico del neoministro e la pochezza dei poteri che gli competeranno.

Terza mossa: la terza mossa la svela Capodicase, il quale crede di essere all'opposizione. I fondi destinati alle metropolitane cittadine siciliane sono stati stornati verso nord. In vista delle prossime amministrative in Sicilia, questo sembra un ulteriore regalo a Lombardo.

La cosa più bella dedurre tutto questo dalle parole dello stesso Lombardo in un articolo apparso sul Corriere lo scorso 20 maggio. Parla di colonnelli. Ma se Forza Italia è un esercito, alloro avrà anche un generale del quale questi eseguono gli ordini. Cioè i dissapori non sono con i vari La Russa, Firrarello, Alfano. No no. Il rapporto che si sta incrinando è quello tra i due condottieri:

«ho trovato disponibilità in Berlusconi, fino alle elezioni. All'indomani invece è subentrato un cambiamento di clima che non mi piace»

E poi l'avvertimento per il mancato ministero:

«Non ci resto male se si rispetterà l'articolo 21 dello Statuto speciale, terzo comma: "Il presidente della Regione partecipa al Consiglio dei ministri con voto deliberativo per le questioni che riguardano la Sicilia"»

Ed ecco cosa vuole fare Berlusconi:

«Qualcuno vorrebbe mettere l' Mpa sotto controllo. Per vincolare e commissariare la stessa idea autonomista. Ma non accadrà. Non sono tipo da cascarci»

Il motivo lo abbiamo già detto. La distruzione dell'Autonomia Siciliana è il primo dei piani di Berlusconi, che con il trucchetto del nuovo stato fantoccio duosiciliano vorrebbe con un gioco di prestigio eliminarla. Una volta “liberi” non ne avremo più bisogno. Dall'altro lato chi ha il proprio potere radicato in Sicilia non si può permettere una tale mossa, un vero suicidio politico in questo momento.

Tornando a Capodicase poi, dicevamo che “crede di essere all'opposizione”. Capodicase non lo ha capito che a Roma Veltroni e Berllusconi sono alleati, mentre a Palermo i PD non sono nè al governo né all'opposizione. Semplicemente non ci sono più. Al governo c'è il duo MPA-UDC. Ed all'opposizione? Ovvio: il PDL. Lo dimostrano anche le difficoltà avutesi a Palazzo Reale per l'elezione di Cascio.

Ed è la prima volta dal 1946 che in Sicilia abbiamo una maggioranza ed un'opposizione.

Speriamo che i rapporti tra Lombado e Berlusconi peggiorino. La Sicilia ha solo da guadagnarci dai contrasti con Roma. E poi a Roma... il governo è già caduto. Grazie al voto dei Siciliani.
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lunedì, maggio 19, 2008

L'isola ed il suo motore storico

In un'epoca in cui ogni quartiere d'Europa sembra avere un suo movimento indipendentista, anche istanze vecchie di secoli scadono in una quotidianità fatta di vuote rivendicazioni teleguidate e vengono accomunate al generale clima di disfattismo imposto dall'elite burocratico-finanziaria europeista che cerca di minare le basi sociali degli stati nazionali nati nel XIX secolo per poter gestire indisturbata il potere senza essere chiamata a risponderne.

In questa bagarre di autonomismi più o meno spinti si potrebbe tentare il solito giochetto di collegare gli eventi siciliani più recenti a quelli del continente europeo, come si fece (e si fa...) con i vari episodi avvenuti tra la fine del settecento e la metà dell'ottocento.

Si potrebbe per esempio sostenere che il movimento (ed i moti) indipendentisti del secondo dopoguerra che portarono alla rinascita della Nazione Siciliana altro non furono che le avvisaglie di quello che sta accadendo oggi in Spagna, nella ex-Jugoslavia, in Belgio.

Una tale inquadratura non riesce però a cogliere appieno il significato delle rivendicazioni isolane, e la principale prova di ciò risiede nella costatazione che i moti della metà del '900 siano in chiara continuità con quelli pre e post risorgimentali tramite una serie di eventi anche importanti (il più significativo di tutti sicuramente la rivolta del sette e mezzo) che risultano offuscati ad arte dalla storiografia ufficiale nel tentativo di ricondurre il tutto nel narcotico alveo storico-materialista dell'iper-inflazionata rivoluzione francese.

Per capire l'indipendentismo siciliano bisogna inquadrarlo dal punto di vista culturale e geografico. L'inquadramento politico con il quale di solito vengono etichettati questi movimenti, ed in particolare quel “rivoluzione” buono per tutte le stagioni, non riesce a delineare i termini esatti della questione proprio perchè non si tratta di un problema esclusivamente politico o sociale.

Il susseguirsi di rivendicazioni di tipo indipendentista o autonomistico nell'isola risale per lo meno al periodo delle colonizzazioni greche, durante il quale si sovrapposero rivendicazioni “autonomiste” o “indipendentiste” su almeno due livelli, caso più unico che raro in un ambito territoriale non particolarmente esteso come quello in esame: da un lato lo scontro tra l'elemento autoctono (siculo) e quello alloctono (greco), scontro personificato dalla figura di Ducezio. Dall'altro il tentativo delle colonie greco-siceliote di recidere gli oppressivi legami con la madrepatria (“Ne ioni ne dori, ma siciliani”). Incredibilmente ambedue le istanze poggiavano la loro ragion d'essere sulla stessa base: la definizione in primo luogo geografica e solo in seconda battuta etnica di Sicilia.

Lo stravolgimento delle condizioni sociali e politiche dei secoli successivi non porterà variazioni sul tema. Si va dalle rivolte degli schiavi nel periodo romano (dove “schiavi” altro non era se non il termine propagandistico usato dal regime imperiale romano per nascondere la ribellione siciliana) ai conflitti interni al mondo arabo che porteranno alla nascita di un califfato guidato da una famiglia isolana ed in seguito alla costituzione del Regno di Sicilia.

E potremmo continuare anche per i secoli seguenti sino a raggiungere l'apice della Guerra del Vespro.

Questa ripetitività scollegata dal retroterra sia etnico che sociale delle diverse componenti che nel tempo hanno continuamente riproposto la stessa identica rivendicazione, indica una relazione diretta non tanto con l' “idea” di Sicilia quale concetto astratto di patria nel senso moderno del termine o quale tópos di una determinata coagulazione culturale, ma con la Sicilia quale luogo fisico reale e definito.

Proprio in base a queste considerazioni sembra delinearsi un indipendentismo che non nasce da un effettivo bisogno di cristallizzazione culturale di un momentaneo vissuto culturale, ma che al contrario è emanato dal luogo stesso ed assorbito quasi passivamente dalla società umana: è la Sicilia quale isola che pone dei confini insormontabili ai suoi abitanti rendendo nette le distanze con chi invece risiede “altrove”.

E questo non dovrebbe sorprenderci: tutte le isole rendono i loro abitanti fortemente coscienti della loro identità ed assolutamente gelosi di essa. L'indipendentismo dei siciliani è lo stesso di quello dei sardi, dei corsi, degli irlandesi, tanto per rimanere in ambito europeo.

L'uso del verbo “risiedere” più sopra non è casuale. L'indipendentismo siculo infatti non può avere alcuna definizione a base etnica o sociale, in quanto il travagliato vissuto dell'isola, continuo crocevia di migrazioni e stanziamenti, fa sì che “siciliano” sia chiunque si trovi a risiedere nell'isola in un determinato momento storico. In breve: siciliani non si nasce, si diventa.

Non che rivendicazioni etniche o sociali non siano mai state presenti. Ma queste si configurano come scintille, come casus belli. Non come pietra angolare del processo storico.

Il susseguirsi serrato per migliaia di anni di migrazioni e stanziamenti percepibile persino a livello di esperienza personale porta inoltre ad una esasperazione identitaria continuata, ad una cronica tensione emotiva dell'Io. Una esasperazione ed una tensione tramandate da generazione in generazione e che spiegano come mai l'autonomismo e l'indipendentismo siciliani siano più ostinati (e forse anche più disperati e parossistici nelle loro manifestazioni) di quelli delle altre isole citate.

L'autonomismo e l'indipendentismo sono quindi il motore storico della Sicilia. Un processo senza soluzione di continuità attraverso il quale deve essere sempre interpretato ogni avvenimento della nostra storia, pena l'impossibilità di decifrarne in modo razionale e coerente le dinamiche più intime.

Dinamiche che sembrano andare in letargo in seguito a situazioni contingenti, ma che rinascono ogni qual volta eventi originatisi al di fuori dall'isola vengano percepiti come minaccia a questa esasperata identità di cui, è bene precisare, andiamo fieri.


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mercoledì, maggio 14, 2008

Acque blindate

E' stato recentemente ritrovato un vecchio documentario del 1968 dal titolo 'La Grande Sete' il cui commento fu affidato a Leonardo Sciascia. Questo testo, diligentemente trascritto da Giovanni Taglialavoro è rimasto praticamente sconosciuto fino ad oggi, tanto da non essere incluso nemmeno nell'opera omnia dello scrittore racalmutese.

La scoperta di un inedito di Sciascia dovrebbe fare squillare le trombe in Sicilia, una poderosa macchina mediatica dovrebbe essere messa in moto ed almeno un convegno organizzato. Il turismo si fa anche così. Invece niente. In rete sinora è apparso un solo commento, a firma di Gaetano Savatteri, giornalista al tg5 originario anche lui di Racalmuto.

Savatteri nel suo pezzo ci dice che lo scrittore, cosciente e coraggioso, 'indica i responsabili: i gattopardi, cioè “quegli antichi signori e amministratori della città che hanno ceduto ora il passo agli sciacalli” '

Ma Sciascia usava questo passo solo in riferimento alla città di Palermo. Non all'intera Sicilia. Ecco il passo completo:

E siamo a Palermo, città in anni non lontani sufficientemente rifornita dell'acquedotto di Scillato (...) Non si direbbe, a vedere questa disperata aria di arrangiarsi, cui sono costretti gli abitanti della più grande città siciliana per procurarsi quel minimo di acqua per bere, per lavarsi, per lavare. E la devono ai “gattopardi”, a quegli antichi signori e amministratori della città che hanno ceduto ora il passo agli “sciacalli”.

Non si vuole entrare in polemica con Savatteri (tra l'altro autore di un famoso libro dal quale è stata ricentemente fatta una trasposizione televisiva che ci ha lasciato letteralmente a bocca aperta, e cioè L'Attentatuni...), anche perchè non si può certo affermare che quello che dice la sua “recensione” non sia sostanzialmente condivisibile. Solo che ci sembra di poter dire che Savatteri si sia “saggiamente” fermato solo ad uno degli aspetti messi in luce dal testo del documentario. E certamente non al più importante.

Una lettura anche superficiale di quel testo dovrà necessariamente farci riflettere su questo punto:

Licata è la città più assetata d'Italia: la sua dotazione massima arriva a 35 litri al secondo, ma in questo periodo non supera i 22, con punte frequenti fino a 14 litri al secondo. Talvolta l'acqua viene a mancare perfino trenta giorni di seguito.
Nel luglio del 1960 la popolazione esasperata per la mancanza di acqua bloccò la stazione ferroviaria. Intervennero reparti speciali di polizia che fecero fuoco sulla folla. Un giovane rimase gravemente ferito.


Avete letto bene: siamo nel 1960, non più nel 1860. Ma la forze dello stato in Sicilia continuano a dilettarsi sparando sulla folla.

Se l'analisi fatta da Savatteri è corretta, la penuria d'acqua nelle case dei Siciliani era (è) dovuta al fatto che (parole di Sciascia):

(...)lo sfruttamento della carenza d’acqua – costituiva lo snodo strategico sul quale la classe dirigente siciliana, sia mafiosa che politica, stava indirizzando la propria capacità di condizionare la Sicilia.

Quindi, ne consegue che a Licata la gente si stava ribellando ai politici ed ai mafiosi siciliani*.

Ed allora come mai lo stato decise di sparare sulla folla? Savatteri potrebbe anche non essersi accorto della cosa, ma uno Sciascia così spensierato non riesco ad immaginarmelo.

I testi di Sciascia vanno letti su più livelli, perchè la verità in essi è dissimulata in modo da poter passare la censura senza problemi. Ed una volta che la verità ha passato la censura, al momento giusto salterà fuori e ci prenderà per il collo portandoci a vedere quello che non avremmo mai voluto vedere.

La verità è scritta poco più sotto:

Pare che il famoso biviere di Lentini, il biviere della malaria verghiana, debba essere di nuovo ripristinato in questa valle oggi coltivata da piccoli proprietari. Ma l'acqua sarà destinata all'industria e non all'agricoltura. Lentini è diretta da un'amministrazione di sinistra.

Il Biviere di Lentini è stato effettivamente ripristinato. E l'acqua, come previsto, destinata all'industria. Su quello specchio d'acqua oggi i Siciliani non possono farsi nemmeno due pagaiate in santa pace. E' vietato. L'acqua serve all'industria. E che l'autore punti molto su questo passo lo conferma la delusione che sembra insita in quell'amara constatazione finale: 'Lentini è diretta da un'amministrazione di sinistra'.

L'industria in Sicilia? Ma quale industria? Già. Quale industria. In Sicilia i vari poli petrolchimici (Priolo**, Gela, Milazzo) assorbono circa il 50% di tutta l'acqua in teoria disponibile per gli usi civili e per i campi. Gli invasi vengono costruiti con i fondi destinati allo sviluppo del mezzogiorno, e poi le tasse vengono pagate (quando vengono pagate...) a Milano. E tuttora in molte città siciliane non vi è acqua corrente. Caso unico in tutto l'occidente.

Ecco contro chi si stava ribellando la popolazione di Licata, oltre che contro la politica e la mafia siciliane. Ed ecco perchè lo stato, i cui interessi coincidono sempre con quelli della mafia e dei politici siciliani, ha sparato sui manifestanti.


* Niente niente ci ritorna in mente anche la monnezza napolitana...
** Su tutti quello di Priolo fondato da Moratti grazie al (finto) intervento straordinario per il mezzogiorno ed al quale è tuttora destinata l'acqua del lago blindato del Biviere.

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lunedì, maggio 12, 2008

A lezione di legalità

Riportiamo di seguito, anche per rendere chiari determinati passaggi di altri post, il testo del regio decreto di approvazione dello Statuto della Regione Siciliana e l'ottimo e preciso commento di Massimo Costa de L'Altra Sicilia.

Questo testo è di fondamentale importanza per la comprensione dell'istituto dell'Autonomia Siciliana e della stessa struttura dello Stato Italiano (una volta tanto lo scrivo maiuscolo...).

Sembra incredibile che una parte così rilevante delle nostre leggi costituzionali sia ignota persino a fini giuristi, quando dovrebbe essere la base del nostro sistema legale. Non solo in Sicilia.

Come si fa a parlare di costituzione, di leggi, persino di legalità nei termini più generali nel nostro paese quando si ignora (o peggio, si fa finta di ignorare) che l'Italia repubblicana nasce dall'unione di due nazioni?

Si sente spesso parlare a sproposito del MIS e dell'EVIS da figuri che in un paese civile non sarebbero neanche degni di apparire in pubblico.

Quelle persone hanno dato la loro vita per questo 'articolo unico'. Hanno compiuto il più alto sacrificio che possa mai essere richiesto ad un cittadino. E lo hanno fatto di loro spontanea volontà. Senza che nessuno li costringesse. Solo per amore della loro Patria: la Sicilia.

L'articolo completo, con altre fondamentali osservazioni sull'argomento, è pubblicato sull'ultimo numero de L'Isola, il quindicinale edito da L'Altra Sicilia, alle pagine 6-9.


Leggi costituzionali istitutive dell’Autonomia Speciale
REGIO DECRETO LEGISLATIVO 15 MAGGIO 1946, N° 455:
APPROVAZIONE DELLO STATUTO DELLA REGIONE SICILIANA
Articolo unico
È approvato, nel testo allegato, firmato, d'ordine Nostro, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, lo Statuto della Regione Siciliana.
Lo Statuto predetto sarà sottoposto all'Assemblea Costituente, per essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato.
Umberto II


Apparentemente si tratta di una norma tecnica di presentazione del testo dello Statuto. In realtà è di un'importanza storica e simbolica da non sottovalutare.

Intanto la "Regione-Stato" viene qui espressamente denominata per la prima volta "Regione Siciliana". Questo è il suo nome ufficiale, e non "Regione Sicilia", a simboleggiarne la sovranità (come la "Repubblica Italiana" e dizioni simili).

La Regione nasce quindi come riconoscimento di un ente sovrano, sia pure nei limiti dell'alta sovranità dello Stato Italiano. Ci sarebbe da dire che tutte le sentenze in cui la Corte Costituzionale fa riferimento ad un'inesistente «Regione Sicilia» sono nulle, ma la Corte non ha infatti alcuna competenza a dirimere i conflitti di competenza tra due enti sovrani quali lo Stato italiano e la Regione Siciliana che trovano la loro corte naturale in un organismo giurisdizionale paritetico espressamente previsto dal Nostro Statuto. Ma sulla nullità e sulla insensatezza delle sentenze della Corte Costituzionale torneremo più sotto.

In secondo luogo la firma di re Umberto II (forse l'unico Savoia che la Sicilia dovrebbe ricordare con un po' di rispetto) suggella la preesistenza dell'ente alla Repubblica Italiana:la Sicilia è l'unica "Regione" a essere nata durante il Regno d'Italia. Pertanto la Repubblica NON ISTITUISCE LA REGIONE, BENSÍ LA RICONOSCE, ciò che è manifestamente
diverso. Quindi l'Italia non ha potere di istituire e sciogliere l'Autonomia della Sicilia, bensì soltanto di regolamentarla (di comune accordo con la volontà del Popolo Siciliano, cfr. infra).

La «Regione Siciliana» dentro il Regno d'Italia ha precedenti illustri. Negli anni immediatamente successivi al 1860 il governo della "Dittatura" (formalmente sovrano) passò i poteri non allo Stato italiano bensì alla "Luogotenenza", istituto di autogoverno amministrativo che già era in vigore nelle Due Sicilie e che era l'ultimo retaggio del governo viceregio dell'antico Regnum. In tal modo le istituzioni della Sicilia indipendente vivevano ben oltre la conquista garibaldina e si ricongiungevano all'attualità.

La "Luogotenenza", però, lungi dall'essere un governo autonomo come avevano sperato i Siciliani si era tradotta in un governatorato militare che diede pessima prova di sé. I Siciliani ne chiesero la soppressione e il governo italiano non aspettava altro.

La normalizzazione della Sicilia e la sua assimilazione, anche giuridica, al Continente, fu però processo lentissimo e contraddittorio (si pensi che, fino al 1870, Vittorio Emanuele II deteneva l'Apostolica Legazìa di Ruggero II era cioè “Capo della Chiesa di Sicilia” nella qualità di ... Re di Sicilia!).

Il passaggio di poteri dalla Luogotenenza alle famigerate "province" fu imperfetto e generò nella realtà un caos istituzionale, per cui in fretta la Sicilia dovette essere militarizzata ed affidata a commissari militari straordinari. Ci vollero trent'anni circa per pacificare la Regione ribelle e coincisero all'incirca con la sedazione dei Fasci Siciliani e l'istituzione di una nuova comunità politica unica nel contesto pubblico italiano: il Commissariato Civile, che succedeva a quelli militari, ma che non avrebbe dato anch'esso alcun risultato positivo privo com'era di alcuna rappresentatività popolare.

Gli anni successivi, fine '800 e primo '900, non avevano più visto alcuna forma di autogoverno dell'Isola ma un crescente sentimento "Regionista", delle più varie estrazioni politiche, che fu soltanto soffocato ma non sradicato durante gli anni del regime fascista.

Le epurazioni di funzionari siciliani negli anni '40 (forse con qualche sospetto sulla purezza etnica degli stessi in tempi di leggi razziali), la rivolta separatista successiva allo sbarco degli alleati, le convulse vicende politiche interne e internazionali successive, avevano infine costretto lo Stato italiano a capitolare e a riconoscere nuovamente l'originaria sovranità del Popolo Siciliano per mezzo di un suo corpo politico democratico di autogoverno.

L'Autonomia della Regione Siciliana, quindi, proposta su un testo approvato dalla Consulta, dietro ispirazione della componente più radicalmente autonomista (Guarino Amella), su un canovaccio (il progetto Vacirca) presentato dagli stessi alleati alla riconsegna della Sicilia all'Italia, incalzata da una guerra civile strisciante, e sottoscritta infine dal Presidente del Consiglio dei Ministri, non fu quindi concessa neanche da Umberto II, ma da questi subìta e promulgata.

Essa - come riconosciuto poi da sentenza dell'Alta Corte - ha origine pattizia. Essa non è dunque soltanto la piccola "Costituzione" del rinnovato "Stato di Sicilia" inquadrata come "Statuto" nella più grande "Costituzione" dello Stato italiano. Essa è anche come un trattato internazionale tra due popoli e come tale deve essere riguardata: immodificabile senza l'esplicito consenso dei rappresentanti dei due popoli formalmente pacificati, quello siciliano e quello italiano.

Il tradimento, quindi, perpetrato ai danni della stessa suona come un'insanabile violazione del diritto costituzionale e del diritto internazionale; violazione che riporta la Sicilia nell'occupazione illegale e che potrebbe rimettere in discussione i rapporti tra le due entità politiche.

Quando venne promulgato il decreto in questione non si sapeva ancora se l'Italia sarebbe stata repubblica o monarchia. Qualunque fosse stata la forma di stato, però, il decreto impegnava i Costituenti a rispettare l'Autonomia della Sicilia e del suo "quasi-stato", la Regione Siciliana, limitandosi al "coordinamento" dello Statuto con la nuova Costituzione Italiana.

Altro non potevano fare i costituenti, né - a fortiori - i legislatori di poi in sede costituzionale (sempre a meno che non ci fosse stato il consenso dei Siciliani).
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venerdì, maggio 09, 2008

Un occhio dietro le quinte


Avvertenza per il navigante: molte di quelle che leggerai sono solo ipotesi di lavoro. Un tentativo di guardare un pò più in là. Altri hanno parlato in questi termini di alcuni di questi fatti. Aggiungo qualcosina di nuovo. Sempre usando un punto di vista il più "Siciliano" possibile.

Dallo sbarco dei mille al sequestro Moro. Dal caso Sindona sino alla s-vendita di Alitalia. La presenza di forze “esterne” al paese è una costante che tutti si ostinano a non voler vedere. La nostra penisola è un campo di scontro continuo dei poteri che nell'altalenante gioco della politica internazionale si trovano a passare dal Mediterraneo. Primi di tutti gli inglesi, che a suo tempo fecero dell'unificazione italiana il loro punto di aggancio per il controllo di questo mare, in vista dell'apertura del Canale di Suez.

Sin dalla prima metà dell'800 gli interessi di oriente ed occidente si sono estesi e contratti nel tempo fluttuando lungo una linea di frizione passante attraverso la nostra isola. Oriente: la Russia degli zar, quella sovietica, oppure oggi quella di Putin. Se nel 1856 fu la guerra di Crimea a consegnare la Sicilia e tutto il sud Italia alla marina di sua Maestà, 90 anni dopo saranno gli accordi tra Stalin, Churchill e Roosvelt a tenerla lì quando oramai l'indipendenza sembrava cosa fatta (Vedi La Voce dell'Isola del 28-4-07, pagine 9-12). Occidente: l'impero britannico avido di zolfi prima e gli americani avidi di petrolio dopo. Oggi sono ancora gli stessi i protagonisti del risiko mediterraneo. Ancora per poco forse, visto che la Cina preme per un posto al sole.

Ma quali sono gli obiettivi che le forze in gioco si pongono? E quali pupi stanno manovrando i provetti pupari per raggiungerli? Secondo la Gran Loggia di Sicilia di Rito Scozzese in Italia vi sono forze straniere che stanno tentando di ricreare una situazione pre-1860. E' credibile questa posizione?

Nell'analizzare la situazione non cadiamo nel grossolano errore di vedere in campo due schieramenti contrapposti e senza punti di contatto. Mettiamo da parte qualunque ideologia. Tutti lavorano per sé stessi: niente destra, niente sinistra, niente “interesse nazionale”. Solo gli interessi personali. Al massimo quelli dei “fratelli”.

Per la verità abbiamo spesso evidenziato come dietro le “sinistre” italiane ed europee si celino gli interessi dei grossi gruppi bancari europei (la BCE) e di circoli di potere orbitanti nell'ambito della massoneria britannica. Gente come Prodi, Padoa-Schioppa, Draghi sono veri e propri agenti al lavoro per questi poteri.

Il loro obbiettivo è facile da intravedere, ed anzi qualche anno addietro è stato lo stesso Amato a spiegarcelo. Tra le altre cose, il sovvenzionamento di movimenti e partitini indipendentisti in varie parti d'Europa, anche portatori di istanze importanti e di bisogni reali, è per loro il grimaldello per scardinare gli stati nazionali sostituendoli con entità più deboli e più facilmente controllabili.

Ma mentre Zapatero asseconda baschi e catalani, mentre la Jugoslavia viene smembrata pezzettino a pezzettino, ed il Belgio scende in una crisi istituzionale irreversibile, stranamente quella parte politica fa di tutto per ostacolare il più ovvio dei movimenti autonomisti europei, quello siciliano.

La fuga della Sicilia rappresenterebbe infatti un pericolo. L'isola sarebbe un boccone troppo ghiotto ed appetitoso per tutti per pensare di allentare anche minimamente la presa

Dall'altra parte Berlusconi, discepolo del Gran Maestro Gelli, ha esercitato il potere curandosi solo ed esclusivamente dei suoi interessi “di loggia” (è curioso notare come tutti i mali d'Italia vengano imputati al governo Prodi quando dall'inizio del secolo ad oggi il potere è stato quasi esclusivamente nelle mani della parte politica avversa) e coltivando importanti “amicizie”, quali quelle con Bush e con Putin.

La sua politica estera è un riflesso costante dei vecchi obiettivi della loggia P2, rimasti invariati malgrado la cocente sconfitta subita al tempo di Sindona: lo scontro frontale con le “fratellanze” britanniche che hanno tirato le fila della politica interna italiana sin dall'epoca risorgimentale e la tanto agognata conquista “padana” della penisola dopo 150 anni di vassallaggio.

Se il migliore alleato in questo scontro sino a qualche anno fa erano gli Stati Uniti (che ricordiamo a suo tempo offrirono ben più di una sponda all'affarista di Patti), ora che il fronte occidentale si sta ricompattando per fronteggiare la minaccia cinese, al nostro non rimane che chiamare Putin, subito accorso alla notizia del bel risultato elettorale (anche se nel frattempo il presidente russo non ha mancato di strizzare l'occhio a Prodi...). Recentemente abbiamo visto l'ENI legarsi tanto ai russi da finire quasi nelle mani di Gazprom: ambedue hanno fortissimi interessi in Sicilia, centro di snodo delle rotte energetiche mediterranee.

L'alleanza con la Russia si porta poi dietro i tedeschi, che in Italia hanno almeno due grossi obbiettivi: il primo è il controllo economico del Lombardo-Veneto, nell'Italia pre-unitaria amministrato dagli austriaci. Le mire tedesche non sono nate all'improvviso. I finanziamenti diretti ai movimenti separatisti tirolesi sono noti da tempo, e qualche voce di finanziamenti verso la Lega Nord si è sollevata di tanto in tanto negli anni novanta (voci mai provate, a dire la verità...). Oggi si fanno anche belli con qualche regalia verso la bistrattata Malpensa.

Il secondo è il controllo logistico dei porti del Sud Italia e della Sicilia tramite il collegamento a mezzo ponte tra Augusta ed il terminale di Gioia Tauro, da loro gestito. Si riferisce a questo la notizia (probabilmente falsa) di un accordo tra Dell'Utri e la cosca dei Piromalli di Gioia Tauro, un messaggio in codice per rendere esplicite certe alleanze? La strage di Duisburg è forse stata un invito ai teutonici a non immischiarsi nelle vicende italiane, in particolare in quelle calabresi? E la cimice trovata nell'ufficio del giudice Gratteri a Reggio Calabria, si inserisce in questo gioco?

Sono solo ipotesi. Ma per tutta la campagna elettorale Lombardo non ha fatto altro che ripetere ponte, ponte, ponte. Quasi dovesse sempre rassicurare qualcuno. Qualcuno i cui interessi ruotano intorno al porto di Gioia, fine unico per la costruzione dell'inutile mostro.

Nel frattempo a Roma Berlusconi si premurava di rassicurare altri alleati, che seppure un poco meno alleati di prima, non si poteva non tenerne conto. Ed ecco Fini che continua a cospargersi di cenere il capo per Israele, Frattini che viene dato per sicuro agli esteri e sopratutto Letta, il fidato Letta che Silvio ci assicura è «un regalo di Dio agli italiani». Non vuole essere blasfemo: lo dice sul serio. Non dice però di quale Dio. Sorge il sospetto che questo “Picone” possa avere un occhio solo, visto che Letta è oggi al soldo della Goldman Sachs...

Dimentico qualcosa? Ah... scusate avete ragione: bisogna aggiungerne un altro di paese “straniero” che starebbe facendo del suo per riportare le lancette indietro al 1860. Qualcuno non ha ancora capito? Ma come... parlo del Vaticano! Così vicino, così lontano...

Vi ricordate: mentre il Pontefice era in viaggio negli USA i telegiornali inspiegabilmente cominciarono a parlare di un bambino smarritosi tra le mura dello stato pontificio. Si è parlato di una velata minaccia al Papa. Ma non si capiva dovuta a cosa...

Certo ci si preparava al ballottaggio per l'elezione del Sindaco di Roma, la “sua città” (del Papa). Ed Alemanno nel suo programma ha inserito anche la trasformazione di Roma in distretto federale. Vuoi vedere che...


Ad ogni Letta lo manda il suo Picone

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giovedì, maggio 08, 2008

Siciliani vagabondi



Giramundo gira gira entre verdad y mentira
Senza meta o direzione, la tua destinazione
Varia in base a un temporale, al dondolio del mare
A dove batte il sole, a dove suona il canto dell’amore
Suono che si mescola, al ritmo dei tamburi,
bomba che trapassa i muri e scoppia in mille direzioni
nei porti e alle stazioni, tra popoli e religioni
tra dolore y carnaval tocando el suono global

Da quando la Sicilia è in Cataluna e Londra è in Mali
Da quando Kingston è in Africa e Lecce è la Giamaica
Da quando Sarayevo è in Palestina e il Cairo in Messico
Da quando Haiti è a Barcellona e Cuba nel Mar Baltico

Roy Paci, Giramundo
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