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venerdì, luglio 18, 2008

L'eco della Baronessa

Dedicato a tutti quelli a cui piace parlare (di mafia) a vanvera...

Nei memoriali del pentito di mafia Vincenzo Calcara (ma anche in un preciso editoriale di prima pagina di Salvo Barbagallo su La Voce dell'Isola), pubblicati da Borsellino sul suo sito e più recentemente riproposti sul blog di Paolo Franceschetti, si parla della presenza in Italia di cinque entità che gestirebbero il potere per conto (aggiungo) di un qualcosa di più ampio ed universale la cui testa è al di fuori del nostro paese:

«L’ENTITA’ di COSA NOSTRA, l’ENTITA’ della NDRANGHETA, l’ENTITA’ (...) DELLE ISTITUZIONI, l’ENTITA’ (...) DELLA MASSONERIA e l’ENTITA’ DEI PEZZI DEVIATI DEL VATICANO sono legati l’uno con l’altro come se fossero degli organi vitali di uno stesso CORPO. »

Nel brano riportato i puntini stanno nell'originale per “pezzi deviati”. Ma non essendoci mai stati pezzi deviati nelle istituzioni italiane e della massoneria, il termine si è preferito tralasciarlo (i pezzi deviati delle istituzioni italiane erano proprio i giudici Falcone e Borsellino).

Sempre secondo Calcara, l'entità della massoneria in Italia è stata creata da Cavour nel 1866. L'affermazione è errata, non solo per la data della morte di Cavour (1861), ma anche perchè quella massoneria cui si riferisce il pentito agiva in Italia sin da prima dell'unificazione. Intorno al 1866 fu invece articolato il sistema descritto sopra, e ciò fu fatto dall'interno della massoneria stessa. La nascita ufficiale della mafia è nota, anche se tenuta lontano dai riflettori:

«Il primo ad uscire fuori la storia dell'associazione malandrinesca pare sia stato l'allora prefetto di Palermo F.A. Gualtiero nel 1865» (Cito da un post del 2006 de Il Consiglio che dà altre importanti indicazioni sull'argomento e che invito tutti a rileggere).

Le date sembrano più o meno coincidere.

E gli elementi che indicano che le cose andarono proprio così ci sono. Proviamo a seguirne le tracce.


Sono decenni che la RAI scava con profitto nella storia siciliana. Il problema è che lo scavo continua oggi malgrado da tempo si sia toccato il fondo e lo scivolare nel ridicolo sia stato lento ma costante.

L'anno scorso, una volta letta la sceneggiatura dell'ultima versione della Baronessa di Carini, i Siciliani si sono sinceramente chiesti se la fine potesse essere oramai vicina. La risposta potrebbe essere affermativa.

Nell'ucronìa pensata dalla lunga mano dietro il copione, oltre alla detta Baronessa (XVI secolo), vi ritroviamo anche i Beati Paoli (XVIII secolo) ed il solito Garibaldi (XIX secolo). Senza contare la ciliegina della mafia.

Neanche a dirlo, la storia si evolve intorno alla classica favola dei Beati Paoli impegnati nella fondazione della onorata società. La novità è che questa volta fa da collante al tutto la travolgente storia d'amore tra l'eroe dei due mondi e la nobildonna di rosso vestita vittima di un marito violento.

Dei Beati Paoli abbiamo già discusso qualche tempo fa, mostrando come nella realtà la connessione tra la congrega siciliana e l'organizzazione criminale carnefice della nostra terra sia impossibile, se non altro per il semplice motivo che prove storiche dell'esistenza della setta segreta non ve ne sono. Ne consegue che non ve ne possono essere neanche di una qualche connessione con la piovra mafiosa.

Questo nella realtà. Ma nell'allegoria?

Il dubbio circa la presenza di una “quarta” dimensione nascosta tra le righe di quel copione sorge leggendo le prefazione scritta da Umberto Eco per una delle edizioni del romanzo di Giuseppe Natoli dal titolo appunto “I Beati Paoli”, romanzo grazie al quale la leggenda della setta è saltata all'attenzione di qualche mente raffinatissima.

Di tutto lo scritto del pedante una frase ancora rimbomba nella mia testa: «...[episodi storici] non del tutto estranei alla realtà contemporanea dell'isola ...» (*). Questa frase mi perseguita la notte, mi assale al risveglio, mi attende assassina dietro ogni angolo. Perchè non è neanche lontanamente immaginabile che Umberto Eco non sappia che nel romanzo storico del Natoli l'unico elemento di fantasia è dato proprio dalla sedicente setta. E che quindi quell'allusione – anzi, qualunque allusione – alla mafia fatta in connessione agli eventi raccontati nel libro sia assolutamente sbagliata. Almeno in questa dimensione.

I Beati Paoli, secondo il racconto dello scrittore originario della provincia di Messina, erano una setta segreta. Un vero e proprio stato parallelo con regole e tribunali che applicava una giustizia tutta sua per correggere le storture della società di allora. Gli adepti partecipavano alle riunioni coperti dal segreto di un cappuccio, non conoscevano l'identità degli appartenenti ai gradi superiori (al vertice troviamo un nobile che si muoveva liberamente nella Palermo settecentesca) e ancora più significativamente erano obbligati da un giuramento al silenzio. Pena, la morte. Più che la mafia, una tale struttura capace di arrivare ovunque, di lasciare messaggi a chiunque (il cattivo di turno se li poteva ritrovare sulla scrivania) e libera di muoversi a piacimento nei sotterranei della città ci fa venire in mente delle maschere diverse. Le stesse dietro le quali di tanto in tanto si nascondevano quei siciliani che collaborarono attivamente allo sbarco dei mille, tra tutti in testa il Crispi.

Che fondamento può avere una tale impressione? Se dovessimo trovare un qualche indizio che il nostro grande scrittore conoscesse quegli ambienti, forse potremmo sostenere la nostra idea con più forza. Neanche il tempo di iniziare la ricerca. Ecco cosa dice Wikipedia di Luigi Natoli:

Veniva da una famiglia di ardenti ideali risorgimentali: nel 1860, quando aveva solo 3 anni, sua madre, alla notizia dell'imminente arrivo dei Mille guidati da Garibaldi, fece indossare a tutti la camicia rossa: l'intera famiglia venne arrestata dalle guardie borboniche e portata nella prigione palermitana della Vicaria.

Questa famiglia di ardenti risorgimentali proveniva dall'area di Gioiosa Marea, dove basta chiedere in giro per sapere che tra i Natoli si sono annoverati diversi politici repubblicani. Quanto detto basta ad ipotizzare che il nostro sapesse cosa fosse la massoneria. E cosa facesse.

Ma non è tutto. C'è qualcuno che dice anche che l'autore del romanzo più letto nella storia della Sicilia (e forse d'Italia) fosse effettivamente massone. Lo sostiene Massino Introvigne, noto anticomplottista molto citato anche da M. Blondet, in questo articolo pubblicato dal suo centro studi, il CESNUR:

Sebbene i Beati Paoli fossero dei nobili vendicatori degli innocenti nella Sicilia del diciannovesimo secolo,essi usano mezzi illegali, potrebbero corrispondere almeno parzialmente ad una organizzazione storica ed abbiano generato una infinita diatriba sul se per caso questo libro, il più letto in Sicilia per un secolo, possa essere una apologia nascosta per la mafia. Sebbene l'autore Luigi Natoli (1857 - 1941) che scriveva sotto lo pseudonimo di William Galt, ed a proposito un MASSONE, sicuramente non era amichevole con il crimine organizzato, i capi della mafia moderna hanno orgogliosamente proclamato i Beati Paoli come i loro nobili antenati.

Potremmo spingerci anche ad ipotizzare il tipo loggia di appartenenza deducendola dallo pseudonimo usato nello scrivere: William Galt è un nome scozzese.

I Beati Paoli in realtà non è il romanzo della mafia. I Beati Paoli spiegano la massoneria. Anzi, forse per qualcuno lo scritto è da intendersi come una glorificazione della Libera Muratoria.

Cominciando a stringere il cerchio, che Garibaldi fosse massone è risaputo. Solo che Garibaldi non sembra appartenesse ad un grado tanto alto. Più pupo che puparo insomma. Come ci dice il suo infelice tentativo in Aspromonte.

Possiamo fare il nostro salto attraverso lo specchio. Basta un attimo: ora sì che possiamo credere che i Beati Paoli abbiano “creato” la mafia, come proclamato dai mafiosi stessi, sempre per come ci racconta Introvigne. Ma i Beati Paoli nella “quarta” dimensione sono qualcos'altro. Attraverso lo specchio li vediamo sogghignare incappucciati, impegnati nei loro esperimenti, mentre dall'alto un occhio ci guarda severo. Essi rappresentano allegoricamente la massoneria. Ed anche i mille ora si sono trasmutati, rappresentando l'atto creativo, la filiazione, la formula per l'esecuzione di quell'esperimento. Il loro percorso è il cordone ombelicale che lega la creatura al suo Dr. Frankstein.

E se per un attimo vi lasciaste convincere da queste righe, allora dovreste provare qualche vertigine rendendovi conto di quanto grande (nella sua malvagità) questa “operazione” sia stata. Se voi nella vostra malvagità foste stati capaci di tanto, non ve ne sareste un po' vantati? Non avreste preteso per questa vostra malvagità una continua celebrazione? Non avreste preteso i credits, come dicono oltremanica? E la continua sceneggiata raccontata sui Beati Paoli altro cos'è, se non questa celebrazione? Sino all'apoteosi dell'ultima folle versione della RAI.

La traballante trama dell'ultima versione de “La Baronessa di Carini” celebra la creazione della mafia da parte della massoneria.

Si dovrebbero scovare documenti, scritti, analisi. Da qualche parte certamente esistono. Dal canto nostro potremmo invocare l'arrivo di una prova finale. Collegata alla frase pronunciata da Eco. Anche lui sa? Ha delle prove? Se le ha e non le ha fornite sino ad ora non le fornirà mai. Dovremo fare come abbiamo fatto per Natoli e la sua famiglia. Capire se anche il pedante porti di tanto in tanto il grembiulino. Ed allora la quarta dimensione di quella frase istantaneamente ci spalancherà le porte dell'inferno.

Chi vivrà vedrà.

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(*) Riprendo il passo completo dal post “Beata ignoranza”:

L'edizione della Flaccovio del racconto del 1986 riporta una introduzione di Umberto Eco che all'inizio recita così:

'(...)leggerlo (...) per la non poca luce che getta su episodi storici ignorati ai più (e a quanto pare non del tutto estranei alla realtà contemporanea dell'isola).'

e più in là aggiunge:

'Che “I Beati Paoli” siano o no il racconto degli antecedenti storici della Mafia, etc. etc.'

Ignoranza ingiustificabile quindi dei più, che sconoscono elementi fondamentali della storia d'Italia e d'Europa, e del pedante che ha scritto questo finto saggio senza neanche sapere di cosa stava parlando, visto che la setta dei Beati Paoli è l'unico elemento del romanzo la cui storia è interamente inventata dall'autore.

4 commenti:

x_alfo_x ha detto...

Come fa a sopravvivere il mezzogiorno con il federalismo che vogliono attuare? Ma con i problemi economici incombenti, può permetterselo il sistema Italia?

L'Ingegnere Volante ha detto...

Intuizione geniale!

Complimenti anche per lo stile di scrittura. Leggerti è sempre un piacere.

A proposito, Eco, come tutti gli adepti del partito liberal-piemontese, deve sapere e molto! Il Piemonte politico È l'origine di quell'inferno su cui stiamo spalancando le porte. Non a caso parliamo di uno dei luoghi con il maggior numero di sette sataniche al mondo... forse un tassello da aggiungere a quel puzzle che stai componendo.

Saluti,
Ing. Volante

Anonimo ha detto...

Scusate, ma Luigi Natoli era un Massone? Ho letto i Beati Paoli ed alcuni episodi sembrano rituali massonici. Thomas

rrusariu ha detto...

Caro Anonimo, pensi che non lo sia stato?
William Galt, mi sembra che sia stato anche un suo pseudonome per pubblicare altri libri.

Cmq la storia di li "bbiati ri Paula", ovvero i frati francescani minori legati al santo di Paola sono un pretesto per fare propoganda. Certo non veniva garantita l'immediata accettazione...

Cmq la vera storia dei Beati Paoli risale ai primi 30 anni del 1500.

Cmq la connotazione principali era che facevano omicidi su commissioni, spesso aveva valenza politica, specialmente dopo l'ingessatura che ebbe la societa' siciliana al seguito del tentativo della Repubblica Siciliana del luglio 1519.

Corsi e ricorsi... ci vuole coraggio! AN.TU.DO!!!!!!!!